Creato da le_bateaux il 22/08/2008
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« Interno notte, inverno anni '80Les feuilles mortes »

Testamento

Post n°5 pubblicato il 12 Settembre 2008 da le_bateaux
Foto di le_bateaux

Amore mio dolcissimo,

mentre ti scrivo guardo il nostro mare.

Oggi si va rasserenando, dopo le tempeste dei giorni passati.

I gabbiani sono tornati sullo scoglio grande e la risacca ha un suono dolce che accompagna il tramonto limpido di questo giorno.

Mi manchi, ma la tua assenza non mi provoca dolore.

Sembra quasi che gli oppiacei che assumo per contrastare il male fisico abbiano effetto anche su quello morale.

E, sedato il dolore, respirano con queste brezze di fine estate i ricordi.

Quelli tanto lontani, ma anche quelli tanto vicini.

Come a dire che, in mezzo a quelle memorie, c’è stata una vita, e che questa vita ha un senso, anche solo per essere stata scoperta con stupore al suo inizio, e pesata alla sua fine sulla bilancia del tuo amore.

Io non ti merito.

In fondo, nessuno ti merita.

Ma nulla ho rubato di quello che da te ho avuto, perché era puro dono, e gioia.

E non ho mentito, forse solo omesso.

Ma è peccato tacere alla compagna di una stagione il tuo male?

L’amore dispensato ad un malato terminale può essere, forse, diverso da quello concesso ad un sano?

Cosa lo distingue?

La speranza di poterlo nutrire per un altro autunno, di lasciarlo dormire per un altro inverno, di sentirlo risvegliare ai primi tepori, in attesa che torni un’altra estate?

In fondo l’amore è una pianta stagionale, e che la stagione sia l’ultima di chi lo coltiva ha poca o nessuna importanza nel ciclo della vita, e del tempo che le nostre vite governa.

E niente da valore ad un amore più del fatto che ci sia stato e che, necessariamente, sopravviva nel cuore di chi lo ha vissuto.

Vedo già le tue lacrime scorrere sulle tue guance di seta.

Succederà.

Non mi sento in colpa per questo, perché so che ti faranno bene come una buona medicina.

Succederà, anche, che ti possano assalire i ricordi.

Quando accadrà, non disperarti per non potere prendere un telefono e parlarne insieme, ma consolati del fatto che stai ricordando per due e che solo nel tuo ricordo io continuerò a vivere.

Consolati, anche, del fatto che non ho fatto lo stronzo apposta per farmi lasciare, nascondendoti la verità.

Io, amore mio, non so proprio recitare.

Moribondo o no, io sono esattamente quello che sono, quel farabutto bastardo che hai amato e che, giustamente, hai abbandonato a fine stagione.

Ti lascio questo mio piccolo luogo che altri miei prossimi non vorranno mai possedere.

Le chiavi sono nella piccola busta gialla che ti accludo.

I documenti sono depositati da un notaio, che ha l’obbligo di chiamarti alla conferma dell’evento.

Non usare questa casa come tempio alla mia memoria, ma goditela.

Tornaci quando avrai un nuovo amore.

Anzi, portaci a scopare tutti gli uomini che vuoi, prova a pareggiare il numero delle tacche che troverai dietro la testata del letto.

Tacche legate a tanti nomi che ora non ricordo più.

Non ti impressionare, non ti scoraggiare per il duro lavoro che dovrai fare per tentare di emularle.

Avrai tempo, e potrai cominciare presto, anzi, quasi da subito.

Appena avrò finito di scrivere questa lettera la darò al mio giardiniere, che provvederà a spedirtela domani.

Poi andrò a dormire, con la fondata aspettativa di non risvegliarmi domani mattina.

La dose di sedativo che ho messo in corpo è massiccia.

Sono un medico, e godo del privilegio di decidere le mie posologie.

Non è un suicidio, la dose di per sé non è letale, ma, appunto, sono un medico e so quando un corpo non è più in grado di resistere.

E sono un uomo, e un uomo sa quando sta per morire.

Nella metafora delle tacche (so che non guarderai dietro la testata del letto), mi fa piacere dirtelo, la tua non c’è.

Se mai, tu potresti essere il filotto che chiude la serie.

Perché tu sei stata unica tra tante, ognuna a suo modo vergine e puttana.

Perché tu sei stata la più vergine, ma, soprattutto, la più puttana.

Perché io, con te, ho volato.

Un volo breve, un volo di farfalla.

E la farfalla, mentre vola non pensa, non ricorda, forse non sa, d’essere solo un verme in agonia.

Un bacio.

 
 
 
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