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Post n°547 pubblicato il 28 Luglio 2012 da ipostasideltempo
Il problema del racconto biblico ha creato una discussione assai dura che ebbe inizio nel 19° secolo e fu originata dalle somiglianze tra i racconti biblici della creazione, del Diluvio e dei patriarchi con simili racconti cosmologici (sumeri, assiri, babilonesi). “Si veda Enuma Elish per la creazione, Ghilgamesh per il Diluvio, Adapa per il primo peccato.” Francois Lénormant “archeologo, numismatico e assiriologo “scrisse che i primi capitoli genesiaci contengono tradizioni identiche a quelle mitiche degli altri popoli: “Ciò che si raccontava presso questo popolo è uguale, in tutti i dati essenziali, a quanto dicevano i libri sacri sulla riva dell'Eufrate e del Tigri . . L'ispirazione ha solo infuso uno spirito nuovo nel racconto: Le nozioni naturalistiche grossolane che là si esprimevano, diventarono qui il rivestimento morale di un ordine più elevato e di una spiritualità più pura”. Man mano che venivano rielaborati tutti i testi sacri dei sumeri, dall mito sumerico di Gilgamesh e quello di Atramhasis vengono rivisitati si poteva intravedere una visione comune.Il primo mito si ricollega ad un re sumero vissuto ad Uruk intorno al 2700 a.C., che sperimenta l’esperienza della mortalità umana e compie un viaggio verso la conoscenza perfetta.Tra le sue imprese, Gilgamesh avrebbe ucciso un toro divino, inviato sulla terra dalla dea Ishtar, che opprimeva il proprio popolo.Il secondo mito, invece, richiama il diluvio universale. Secondo la tradizione sumerica, An sovrintendeva tutto ed il cielo, Enlil ed Enki, suoi figli, regnavano rispettivamente sulla terra e sugli abissi. Il primo aveva più potere del fratello, che aveva come figlio Marduk. An crea gli altri dei per lavorare sulla terra, al fine di poter mangiare, ma questi si rifiutano, perché troppo faticoso. Quindi crea l’uomo che rifiuta anche esso di lavorare. Qui si inserisce il mito biblico del paradiso terrestre e della cacciata da parte dell’uomo e della donna. La prima modifica babilonese al testo sacro sta nel fatto che, a questo punto, Enlil propone di mandare sulla terra la pestilenza ed il diluvio per punire la ribellione umana, ma Enki facendo salvare Atramhasis su un’arca.Nell’altro testo sacro babilonese del Enuma Elish si descrive la lotta tra Enlil, geloso del salvataggio dell’uomo, ed Enki. Per vendicarsi, ordina a Tiamat, essere vivente dei mari, invincibile, di generare dei mostri e comandare su tutti gli dei, ma Marduk, figlio, di Enki, lo uccide e riceve in compenso la supremazia su tutti gli dei. Pur non riconducendo ad una dipendenza diretta dei racconti biblici da quelli mesopotamici e alquanto evidente che leggende caldee abbiano fornito in gran parte il materiale delle leggende bibliche, un vasto lavoro di assimilazione, di trasformazione, è avvenuto durante un lungo tempo.Lo stesso Abramo che dalla citta’ di Ur Kassdim, in Caldea si dirige verso la terra promessa,conscio che l’idolatria babilonese era frutto della mente e della fantasia umana, fin dalla più tenera età si diede alla ricerca di un dio vero. Secondo la tradizione Abramo scopri’ l’esistenza di Dio, cioe’ di una divinita’ ultraterrena unica e inscindibile,. Per ordine del Creatore, all’eta’ di settantacinque anni Abramo lascio’ la casa paterna per trasferirsi in una terra lontana, la Terra Promessa. I costumi di Abramo e dei suoi discendenti ricordano da vicino quelli dei clan di seminomadi, padroni di pecore e capre, che andavano peregrinando lungo la regione della cosiddetta ‘mezzaluna fertile’. Essi vissero a contatto con le popolazioni sedentarie con le quali intrattennero relazioni per lo più pacifiche. Le loro preoccupazioni fondamentali erano quelle di mantenere in vita le loro famiglie in una regione travagliata dalla carestia e assicurare pascoli abbondanti al loro bestiame. Erano convinti della loro fede fondata sul culto di un ‘Dio individuale’ che sentivano “camminare “con loro durante gli spostamenti, di un Dio che prometteva tutto quanto occorreva alla loro precaria esistenza: la protezione, la fecondità, la discendenza e il possesso della terra, nel contesto di un patto al quale il clan doveva rimanere fedele. Probabilmente vari strati intermediari si sono intromesse un po' dovunque tra i Caldei e la Bibbia . Né la forma mitologica né la forma poetica si conservarono nella tradizione israelita; l'epopea divenne un racconto prosaico e il racconto assunse un valore morale per adattarsi al carattere di un Dio unico”. |
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"Io sono il Grande Fenice, che è in On, supervisore di tutto l'esistente.
Mi librai in alto in volo quale dio primigenio e assunsi forme.
Io sono Horus, il dio che dona luce per il tramite del suo corpo."