Creato da middlemarch_g il 24/01/2008
'Fallisci meglio' è il mio secondo nome
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Post n°221 pubblicato il 24 Agosto 2008 da middlemarch_g
Va bene ragazzi. E' giunta l'ora anche per me di defilarmi un paio di settimane lasciando il blog al suo destino. Come tutti i blogger che cominciano prendendo la cosa sottogamba, quando ho preso atto che sarei stata off line per 15 giorni sono andata in iperventilazione. Incredibile come certe abitudini ti si infiltrino tra le pliche comportamentali e ti facciano sentire nuda quando te ne devi privare. Tipo uscire di casa e realizzare di essersi scordati il cellulare. E del cellulare, concettualmente, suppongo che anche a voi freghi quanto me, cioè un'emerita mazza. Ma prova te ad andare in giro senza avere il tuo a portata di mano. Fa una certa impressione. Alla fine ho deciso che questa cosa andava affrontata come una prova di virilità. Io sarei femmina, e di un certo livello, e antropologicamente delle prove di virilità potrei pure fare a meno. Ma ho sempre apprezzato il lato estetico di certe cosette autolesioniste da maschi, per cui passerò anche attraverso questa ordalia. Mi priverò di ogni contatto col blog senza guardarmi indietro. Poi vedrò in che modo questa essenziale esperienza di crescita mi avrà cambiata. Naturalmente voi sarete i primi a saperlo. Scommetto che nell'attesa non ci dormirete la notte, eh? |
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2010
Ci siamo dati da fare altrove
Confermo i miei atti e rido dei miei castighi. E adesso condannatemi
Rosa Luxemburg
:o))))
“Continua, ti ascolto” mi disse sollevandosi ed asciugandosi la gnocca.
Le dissi che nel suo blog chiunque poteva entrarci ed occuparlo. Le cose lasciate incustodite sono una manna piovuta dal cielo per la clandestinità e la precarietà. Si poteva non scrivere i post ma si poteva comunque utilizzare il commentario.
“Il commentario? Ma come cazzo parli” mi disse asciugandosi il pelo con qualche soffio caldo del phon.
Capii che parlavo a vuoto. Eravamo su livelli diversi in tema di libertà individuali e di legame con le cose. Lei era più avanti di me.
“Beh, io vado. Mi fa piacere se torni” conclusi.
“Certo. Scusami ma ho fretta. Ciao.”
Uscii.
"Sono ancora fuori. Ci sentiamo lunedì, brutti pervertiti."
Sorrisi e mi sorpresi di essere un pò geloso di quel messaggio al plurale. Alle volte basterebbe un singolare a farti sentire parte importante di qualcuno. Col plurale ci sei lo stesso ma sei uno dei tanti.
Mi venne in mente quella nostra prima volta. Mi trattò come un pirla poi, frequentandola, scoprii che io non ero l’eccezione ma la regola. Anche gli altri li trattava da pirla. Mi disse "io sono bocca, lingua, mani, culo e figa. Niente sentimenti con me. Niente sguardi da pesce lesso. D’impegnativo ci sono solo gli orari, punto. Mi piace la buona cucina ma non so cucinare e non ho nessuna voglia d’imparare. Amo la pittura e la fotografia. La musica classica ed il teatro. Sesso, finchè ne abbiamo voglia ma senza amore. Ho paura di morire e perciò ho fretta di vivere".
La frequentavo da oltre un anno quando mi accorsi che mi piacevano cento cose di lei e ne detestavo altre duecento. Due cose, invece, mi stupivano. Quel suo modo di aggredire la vita. Era l’unica persona che riusciva ad anticiparla. A non inseguirla ma a farsi inseguire. L’altra cosa che mi sorprendeva era quella roba che aveva fra le cosce. Una meraviglia che, quella sera, se l’avessi avuta a filo di labbra, leccandola e baciandola fra un verso e l’altro, le avrei detto
sempre caro mi fu quest'ermo colle e questa siepe,
che da tanta parte dell'ultimo orizzonte il guardo esclude.
Ma sedendo e mirando, interminati spazi di là da quella,
e sovrumani silenzi,
e profondissima quiete io nel pensier mi fingo;
ove per poco il cor non si spaura.
E come il vento odo stormir tra queste piante,
io quello infinito silenzio a questa voce vo comparando:
e mi sovvien l'eterno, e le morte stagioni,
e la presente e viva, e il suon di lei.
Così tra questa immensità s'annega il pensier mio:
e il naufragar m'e' dolce in questo mare
e senza più allegorie gliel’avrei succhiata fino a farmi venire in bocca quel suo sapore. Così denso. Così tanto. Così pieno di lei. Mi alzai dal divano tirandomi fuori da quella specie di trance. Uscii dal commentario pensando che se non volevo perderla non potevo permettermi il lusso d’innamorarmene.
La sera fuori era come lei dentro. Calda ed umida.