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Carlo Molinaro

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Mesaviat e Taivasem (racconto breve)

Post n°1110 pubblicato il 14 Dicembre 2011 da molinaro
Foto di molinaro

Mesaviat non si comportava da irresponsabile sotto la spinta di una qualche passione, come talvolta agli uomini accade: era, piuttosto, per lui una passione essere irresponsabile. O, meglio ancora, nell'irresponsabilità cercava lo spazio per una possibile passione. Si comportava dunque da irresponsabile per aprire la porta a una passione che volesse entrare. Aveva sentito dire che l'essere responsabili chiude la porta alle passioni: e ne deduceva che l'essere irresponsabili quella porta evidentemente la apre.

Mesaviat amava le passioni forti perché nient'altro al mondo lo faceva sentire vivo. Quando percepiva una passione passargli accanto, aumentava la propria irresponsabilità, in modo - così almeno credeva - da tenere bene aperta la porta. E sulla porta si affacciava, invitando la passione ad entrare. Gesticolava, saltellava, pronunciava frasi disarticolate, rivolto alla passione; si sbracciava per mostrare la porta spalancata. La passione qualche volta si avvicinava, gli faceva due piroette che lui non sapeva interpretare, mormorava qualcosa; ma poi subito si allontanava, come un colpo di vento.

Allora Mesaviat si disperava, tirava calci, strappava camicie, fermava la gente per strada per raccontare a tutti la grande passione che gli aveva fatto due piroette e gli aveva mormorato qualcosa: e, racconto dopo racconto, in quel qualcosa di mormorato al volo vedeva sempre più chiaro, e spiegava, a chiunque incontrasse, tutta la storia della grande passione, e tutto il dolore per il rifiuto della passione a entrare nella sua porta spalancata.

Nel fare questo gran cancan, Mesaviat metteva molta passione, e di tale passione riflessa, surrogata, immaginata, si nutriva e campava. E rendeva di giorno in giorno la sua vita sempre più irresponsabile e insensata e folle, perché responsabilità, sensatezza e ragione respingono le passioni, mentre lui le voleva accogliere, sempre. Voleva tenere, e teneva, la porta spalancata. Il suo cruccio, il suo dolore lancinante, era che in quella porta spalancata nessuna passione mai entrasse.

Taivasem, il fratello di Mesaviat, era un uomo molto ordinato e responsabile. Poco incline ai sogni, pratico, attivo, affidabile e disponibile, Taivasem teneva ben chiusa la sua porta. Se allo spioncino si affacciava qualcuno, badava prima di studiarlo e conoscerlo, e soltanto dopo, se del caso, offriva e accettava qualche confidenza. I due fratelli abitavano uno di fronte all'altro in una larga via di una piccola città.

Un giorno nella via passò una grande, grandissima passione: aveva tempeste di nuvole per capelli, i suoi occhi erano un rogo di stelle e il suo corpo un oceano in burrasca, e la terra rabbrividiva al tocco del suo piede. Mesaviat corse a sbracciarsi alla porta spalancata, urlò tutti i suoi sproloqui più dementi, fece cadere sulla stufa l'anfora dell'olio che prese fuoco e gli bruciò la casa, tese le mani verso quella grande passione: entra, entra, entra da me, non vedi quanto spazio c'è?

La passione rallentò, fece due piroette, poi altre due piroette, e si scagliò contro la porta chiusa di Taivasem. Taivasem, impaurito, spinse un armadio contro l'uscio, sprangò le finestre, ma non ci fu nulla da fare: la passione entrò per le fessure, gonfiò gli infissi, fece esplodere le camere da dentro. Nulla poteva fermarla. La passione prese Taivasem e lo portò lontano, lontano da casa, lontano dalla città: gli fece godere cose che mai e poi mai lui avrebbe osato immaginare.

Mesaviat, disperato e avvilito, privato di una passione così grande, che a lui aveva preferito l'insulso responsabile fratello, si impiccò a un fico.

Qualche giorno dopo Taivasem, incapace di sostenere una passione così grande, si impiccò a un olmo.

 
 
 
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