ONE MAN TELENOVELA
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Intrecci di poesie e non solo di poesie
Post n°7 pubblicato il 06 Giugno 2007 da molinaro
La festa di poesia, musica e cose varie a Erli (SV) il 26 e 27 maggio è stata molto bella. È la terza volta che partecipo. Quest’anno Chiara e io abbiamo voluto leggere poesie in coppia, scambiandocene anche una, nel senso che lei ha letto una poesia mia e io una poesia sua. Un prestare la voce alla poesia dell’altro. Alla fine della nostra performance Nico, il grande capo di Erli, ci ha un po’ intervistati, con domande anche difficili. Io avevo dato al “pubblico” (se così vogliamo chiamarlo: la compagnia di amici di Erli) un fascicoletto con alcune mie poesie, e dalla “platea” (per così dire: la piazzuola, o radura, sotto le case, dove si fa la festa) si è alzata la voce di alcuni: «Leggici quella dell’amore gioioso». Quella dell’amore gioioso è una piccola poesia di desiderio che secondo me non è neppure fra le mie migliori. È una piccola invocazione. Ma Nico ha detto: «Allora leggila, su». E poi ha aggiunto: «Anzi, potrebbe leggerla Chiara». E questa è una curiosa coincidenza, perché Chiara prima, mentre una sera a Savona in piazza del Popolo preparavamo la nostra performance, aveva detto che proprio quella poesia le sarebbe piaciuto leggere – anche se dopo ne avevamo scelta un’altra che pure le piaceva, una nata in un viaggio a Bucarest (lei è affezionata all’Europa dell’Est). Si vede che in qualche modo quella poesia è proprio destinata a Chiara. Perché ho raccontato questo? Forse perché è bello pensare che i pensieri legati alle poesie viaggino per canali misteriosi fra le persone. E poi forse è una scusa per parlare di Erli, che merita: è un paese dove c’è una borgata rimessa a posto da un gruppo di validi volenterosi, la contrada Bassi, e dove ogni anno, solitamente l’ultimo finesettimana di maggio, si fa una festa per dare il benvenuto all’estate. Ci potete arrivare da Albenga, in Liguria, prendendo la strada su verso il passo che porta a Garessio, in Piemonte. O viceversa. È luogo di confine. Va bene. E poi questo raccontare è anche una scusa per offrire tre poesie. La prima è la mia cosiddetta suddetta dell’amore gioioso, che in realtà lo chiede, non lo ha: Fammi scrivere versi d’amore gioioso. La seconda è la mia poesia che Chiara ha letto a Erli, Vento dell’Est, e la terza è la poesia di Chiara che io ho letto a Erli, In morte a un amico. Sì, è stato bello. Bisogna intrecciare, abbracciare, amare. FAMMI SCRIVERE VERSI D’AMORE GIOIOSO [di Carlo] Fammi scrivere versi d’amore gioioso: da troppo tempo mancano da me. Fammi scrivere versi d’amore gioioso: poi li tolgo dal foglio e li semino in te. Vedrai che germogli, vedrai che primavera! Fammi scrivere versi d’amore gioioso: li potrai coltivare nell’orto del tuo seno. Sorrideranno quando fiorirai. IL VENTO DELL’EST [di Carlo] Rodica si concede a Bucureşti con ritrosia. L’amico la spalleggia cercando di ottenere anche due paia di pantaloni, oltre il mangianastri. Deve tornare da sua madre a Giurgiu: ha gli occhi blu come il Danubio blu. Io parlo româneşte troppo bene, per questo è diffidente: dice che non lascerebbe mai il suo paese. Trascorriamo la notte in una stanza lercia, senza nemmeno un lavandino, che mi è costata quattrocento lei; giaciamo stretti in un lettuccio sghembo, timidamente forzati a toccarci, sicuri appena dei nostri vent’anni e con l’amore di non far l’amore. All’alba un vento gelido ravviva la cenere dei suoi capelli corti mentre mi lascia in Calea Victoriei. Racconto tutto al vecchio alcolizzato, ex miliţian ex securist ex uomo, che incontro per le strade di Giuleşti: dice che la conosce, che è fututa (lemma neolatino) fino in bocca, mi dice la sua età e il suo cognome, e che non è di Giurgiu ma di Arad. Io mi sdegno con lui, lo ingiurio un poco, però non se ne accorge, e andiamo a bere un intruglio che chiamano coniac, perché la ţuica non si trova più. Entriamo in casa, e m’offre con orgoglio un bel pezzo di carne affumicata, frutto di relazioni altolocate; poi conosco sua figlia, brutta e grassa, che con la scusa d’una passeggiata mi porta in un negozio per stranieri a comprare una gonna e una bottiglia di whisky vero, con un prezzo assurdo. Protesto che non ho quasi più soldi: lei mi conduce al lago Herǎstrǎu, dove c’è pace e il cuor si riconforta. Dormo da loro clandestinamente, perché la legge snaturata vieta la sacra antica ospitalità: e la casa è graziosa, e fuori ha preso a nevicare, e io teneramente li stupisco cantando un loro canto. Alle cinque, il mattino, scendo in strada per la coda dell’olio, con la madre di Elsa, la ragazza brutta e grassa. La neve fa una pasta scivolosa sulle pietre rotonde mal disposte. Mi prende un senso strano di dolcezza. Cosa farà Rodica stamattina? Fra cinque giorni tornerò a Vercelli. IN MORTE A UN AMICO [di Chiara] Non ti avvertono gli amici quando se ne vanno. Non ti telefona nessuno se deve dirti «io parto, io non torno più». Nella navata gremita la folla s’accalca ma è tardi, è già l’attimo dopo (di nuovo vita), non si fa notare lei, tra noi, non smuove l’aria non calca non parla. Solitaria fa cenno con la mano di seguirla nel suo lontano. È pausa musicale, è spazio vuoto nel saliscendi del bus della folla che sembra smarcata mentre sempre è anticipata e rincorsa dall’ombra scura, l’impronunciabile suono: Morte (non c’è più). |
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