Un blog creato da molinaro il 04/06/2007

Carlo Molinaro

Pensieri sparsi, poesie e qualsiasi cosa

 
 
 
 
 
 

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« L'uomo che per conserva...Il grigio e il nero »

Non solo sull'infanzia

Post n°218 pubblicato il 08 Gennaio 2008 da molinaro
Foto di molinaro

No, non me l’hanno ancora aggiustato il computer, forse domani. Ho tirato fuori un vecchio portatile che funziona abbastanza male, ha la tastiera inglese (quindi le accentate bisogna farle con i codici), ha un monitor che ci vuole la lente d’ingrandimento, ma in qualche modo riesce a connettersi. Lavorare con questo è un po’ dura, ma spero per domani di riavere il mio. Spero! Con il servizio di assistenza dei computer non si sa mai, purtroppo: il tecnico c’è, non c’è, torna dopo... Nonostante tutte queste traversìe, ho scritto una poesia, che forse è una poesia sull’infanzia, o forse no. Buona giornata.


IL TERRACANTIEREMOTOCARROLUCE

No, vede, in questa sera diversa, ulteriore,
lo sento, sa, come è inutile raccontare:
eppure non c’è altro da fare,
devo scrivere il tema, professoressa:
sono rimasto un momento questo pomeriggio
mezzo assopito sul letto e ho sognato di essere
nella strada su cui fuggiva il motocarro
arrugginito e a destra c’era la voragine
del cantiere e a sinistra l’asfalto, e in mezzo
un ciglio rado d’erba, qualche fiore minimo
e l’odore che lasciava il motocarro
aspro, di ferro e carburante bruciato
e l’erba, e tutto insieme
era da esplorare e respirare
(non c’era differenza fra esplorare e respirare):
anche allora la sera cominciava dalla terra
scoperta della buca che si faceva umida
e scura e rasa dalla luce scarsa
sulle scabrosità che si alzavano come pustole:
tutto era insieme, non è che fosse
umida e poi scura e poi rasa dalla luce,
era qualcosa che è questo insieme indivisibile,
professoressa, è per questo che nei temi
non uso gli aggettivi, lei mi rimprovera,
ma gli aggettivi sono talmente generici:
umida e scura e rasa ma veramente
non era nessuna di queste cose, no,
era quello che sentivo nella bocca passando,
so benissimo com’era:
tornavo a casa agitato e i miei «cosa hai fatto?»
e io «niente» e passavo per un bambino scorbutico
ma non era per cattiveria era perché
non c’erano le parole per dirlo
e non ci sono neanche adesso, signora,
e soprattutto gli aggettivi no,
gli aggettivi sono troppo fuorvianti,
terra umida lei chissà cosa pensa:
magari i campi ubertosi o l’irrigazione:
no vede quella terra era dura compatta,
come dire, l’umido ce lo metteva la sera
con lo scuro o forse, sa, ce lo mettevo io,
perché altri testimoni avrebbero riferito
diversamente, avrebbero detto
«guarda che bella sera d’estate c’è venuta»
oppure «che quartiere di merda con tutti i lavori di scavo»,
ma quel ciglio con poca erba e qualche minimo fiore
fra quell’asfalto sgranato, sa, quello grezzo
e la terra, aveva un odore che i fiori
erano la stessa cosa del motocarro,
petali di benzina, erba arrugginita,
ma non lo dico in senso negativo:
vede com’è difficile professoressa,
era meraviglioso che tutto stesse insieme,
le giuro era un profumo meraviglioso
quello che filava dietro il motocarro,
qualche radice che spuntava dal taglio
dello scavo del cantiere e il calore
del giorno restava, ma era freddo e la luce
c’era ma diventava scura, vede quanti aggettivi
non funzionano, anche gli altri dettagli,
rumori di ruote e di campane
e più in là l’orizzonte era tutto macchiato
di fumo dei camion, lei non ha idea
di quanto sia bello quell’arancio pallido col nero
del fumo e la terra che sosteneva il motocarro
e me, le mie scarpe, tutto aveva un odore congruente:
ma vede che mi disperdo, sarà contenta che ho usato
più aggettivi però io no, sa, a ogni respiro
mi sembrava di avere già perso il filo
come se un attimo prima ci fosse qualcosa
a cui non ero stato attento abbastanza, ma almeno
restava quella luce-odore-scuro chiaro,
vede, io sapevo perfettamente che cosa teneva uniti
l’erba e il motocarro e la fila delle case
con lo scavo del cantiere e il fumo dei camion:
guardi che respiravo benissimo, non creda,
poi dopo a casa certe volte mi prendeva la paura
di morire ma questo è già un altro discorso:
avevo sette anni e sapevo com’era
il terracantieremotocarroluce,
era un paradiso perduto mi creda,
queste erano le mie passeggiate verso sera
quando avevo sette anni le prime volte che mi lasciavano
andare in giro da solo:
strisciavo il dito su certi muri che sembravano grattugie
per farmi sanguinare, per lasciarci del mio:
perché volevo essere terracantieremotocarroluce
e invece ne venivo allontanato,
pian piano ne venivo allontanato
e sono qui, adesso, però nell’angolo del terrazzo
dico adesso 45 anni dopo in un altra città
c’è una pianta in un vaso e il muro scrostato
con la luce radente della sera fa un poco di odore
simile, un poco simile, sa, dicono l’infanzia,
cosa vuole mai, io la cerco in un angolo umido:
quell’odore, sa, che tutto sta insieme,
il motocarro, il cantiere, l’erba scarsa, la radice
tagliata, io non posso sapere se lei sa,
respiro uguale, guardi respiro bene,
poi a casa certe volte mi prende la paura
di morire, vede che non cambia niente
a sette anni o adesso è lo stesso
o no, non è lo stesso ma vede non c’è una parola
che prenda insieme quello che si sente,
sono solo pezzetti e non è mica detto
che messi in fila dicano la cosa,
le parole sono tutte così generiche:
io non saprò mai dirle, signora professoressa,
com’è il terracantieremotocarroluce
e come posso ritrovarlo stasera sul terrazzo:
figuriamoci se posso dirle che cos’è l’infanzia,
figuriamoci se posso dirle che cosa è adesso.

 
 
 
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