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Carlo Molinaro

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Gli occhiali schiacciati

Post n°459 pubblicato il 18 Ottobre 2008 da molinaro
Foto di molinaro

Ho avuto anch’io un biennio di tifo calcistico, sui 16-17 anni d’età. Con alcuni amici occupavo così il pomeriggio della domenica, e certe volte seguivamo la squadra anche in trasferta. La squadra era la Pro Vercelli: giocava in serie D puntando alla promozione in C, oppure in serie C cercando di non retrocedere in D (più o meno come adesso). C’era molta passione! Una domenica verso la fine del campionato andammo a vedere la Pro in trasferta a Busto Arsizio, contro l’altra Pro del girone, la Pro Patria. Partita importantissima, decisiva per le sorti finali. Partita che si trascinò sullo zero a zero fino al novantesimo. Ma proprio allo scadere del tempo la Pro Vercelli segnò il gol decisivo. Nel gruppetto dei tifosi «ospiti», dove mi trovavo, travolgente ebbra esultanza. Tutti a gridare e saltare, saltare a braccia alzate. All’epoca portavo gli occhiali più o meno sempre, ero astigmatico (poi mi passò e li smisi; li ho rimessi trent’anni dopo per la presbiopia), e anche alla partita li avevo sul naso, e saltando mi caddero a terra.

Saltavamo. Esultavamo. Mi accorsi che gli occhiali erano caduti. Pensai di chinarmi a raccoglierli. Poi pensai che no: stavo esultando! Non si può interrompere di esultare per raccogliere gli occhiali. Continuai a saltare. Gli occhiali sembrarono salvarsi per qualche secondo, ma infine, com’era prevedibile, lo scarpone di un vicino li maciullò. Logico. Pazienza. Stavo esultando, non potevo chinarmi a raccogliere gli occhiali. Se esulti non ti chini a raccogliere delle cose, neanche un diamante da mille milioni di euro. Altrimenti, tradisci l’esultanza. Così pensavo a 16-17 anni.

A casa i miei mi fecero un bel culo: erano occhiali costosi. A distanza di quasi quarant’anni rifletto su quel remoto episodio. È una riflessione problematica. Mi accorgo che, da un lato, ancora oggi «sento» che se sto esultando (o se sono innamorato, che è lo stesso) non voglio chinarmi a raccogliere occhiali né qualsiasi cosa, voglio tirare diritto.

Ma dall’altro lato mi accorgo che non è vero niente. Anche allora, a 16-17 anni, io non stavo esultando. Io stavo solo credendo di esultare. Infatti vidi gli occhiali cadere, li vidi a terra, pensai di raccoglierli, pensai di non raccoglierli, sperai che non li fracassassero, vidi che erano fracassati, pensai che pazienza chi se ne frega, pensai mille cose e dunque non stavo esultando, stavo pensando mille cose. Avrei fatto meglio a chinarmi e raccogliere gli occhiali. Tanto, non esultavo nel modo in cui pensavo di esultare. Se avessi esultato in quel modo là, non avrei neppure saputo che gli occhiali erano caduti. Me ne sarei accorto dopo minuti, o dopo ore, o dopo anni, o gli occhiali non sarebbero neppure esistiti, perché mentre esulti nulla esiste.

Però invece la vera cosa che non esiste è esultare in quel modo là. Perché gli occhiali ci sono e sai che ci sono, perché poi si prende il pullman per tornare a casa, perché dopo lo devi dire ai genitori che li hai rotti, e quindi ci pensi.

Perché quell’esultare là (quell’innamorarsi là) è sempre un gradino sopra, è sempre una cosa pensata, immaginata, ma non c’è, e ci sono gli occhiali, e il pullman, e pensare e pensare e pensare e, parafrasando Pessoa che ha proprio ragione ma ragione tanto, fingere che sia esultanza l’esultanza che davvero provi (davvero: perché ero davvero felice che la Pro avesse fatto gol, di questo sono certo. Ma...). La realtà non funziona a dovere, è una macchina difettosa, c’è sempre qualcosa che non quadra, che disturba, e allora ne fingi un’altra, una che vada bene, e così fingi di vivere quello che davvero vivi. Chissà se oggi mi chinerei a raccogliere gli occhiali. Vorrei. Forse. Ma non sono sicuro. Buona notte.

 
 
 
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