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Carlo Molinaro

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Rimpiangere l'infanzia

Post n°842 pubblicato il 08 Marzo 2010 da molinaro
Foto di molinaro

Guardando un video di bambini, preso in una bella giornata che ho vissuto una settimana fa, osservo tutti quei sorrisi, che mi sembrano anche spontanei, e penso che io non ricordo di avere mai sorriso nei primi quarant'anni circa della mia vita (dopo sì, a volte sì). La canzone che accompagna il video parla di rimpianto per l'infanzia, un rimpianto che sembra appartenere quasi a tutti. A me no. Dell'infanzia ricordo scenari belli, sì, immagini, ma appunto immagini, scenari, cose esterne a me. Io non riuscivo a partecipare: ero un bambino solitario e stronzo e davvero non sorridevo mai. La causa è difficile da scoprire (ero in una situazione normale, famiglia di media borghesia in media cittadina di media provincia...), ma la realtà era quella. Il disegno era bello ma io ci camminavo sopra, non dentro. Per provare a partecipare, strisciavo le dita contro i muri per farle sanguinare (lo dico nella poesia Il terracantieremotocarroluce, nel libro che sta per uscire): un tentativo molto goffo e velleitario di «esserci», mescolando il mio sangue alla calcina. Ho la sensazione di ricaderci ancora, ogni tanto, nei tentativi goffi e velleitari (mi è venuto come un flash, in questo momento, che per esempio corteggiare una certa ragazza sia come strisciare il dito sul muro ruvido da bambino - ma è da verificare - non è affatto detto che i flash siano sempre sensati, a volte sono cazzate), però complessivamente adesso va meglio, da una ventina d'anni in qua ogni tanto sorrido, ogni tanto entro dentro il disegno, e tutto sommato non avere granché da rimpiangere nell'infanzia e nella giovinezza può essere anche un vantaggio, chi lo sa.

Poco fa nel bar latteria, dove ho preso un cappuccino e comprato un litro di latte e quattro yogurt, c'era la radio accesa, una di quelle radio cretine in cui intervistano i giovani d'oggi su profonde questioni esistenziali, e stavano chiedendo a una serie di maschietti: «tu hai lasciato o sei stato lasciato?». Nel tempo che sono stato nel negozio, l'hanno chiesto a quattro, e tutti e quattro hanno risposto che loro hanno lasciato, non sono stati lasciati. Nel turbine continuo di pensieri che non riesco a fermare neppure mentre compro il latte (invece di stare attento a quel che faccio: l'altro giorno in un altro negozio mi hanno rifilato dello yogurt scaduto da una settimana; però l'ho mangiato lo stesso e sono vivo) ho formulato due principali ipotesi. Prima ipotesi: dicono la verità, e allora è strano che buttino via l'amore così facilmente: forse ne hanno troppo, o forse non è amore. Seconda ipotesi: dicono una balla, perché fa più figo lasciare che essere lasciati, e allora sono degli insicuri infelici stronzi. Forse non strisciano il dito contro il muro ruvido, ma è come se lo facessero.

Chissà se poi, in generale, c'è davvero così tanto da rimpiangere l'infanzia e la giovinezza. Chissà. A volte a me non sembra.

 

Qui sotto, il video di cui parlo nella prima riga:

 
 
 
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