ONE MAN TELENOVELA
Attenzione! Chi volesse vedere le puntate della mia ONE MAN TELENOVELA, tutte in bell'ordine, una per una, in fila, può cliccare qui sulla giocalista di YouTube. Se poi qualcuno ritenesse che tanto lavoro merita un compenso, come gli artisti di strada quando fanno passare il cappello, può mettere le banconote in una busta e mandarmele: via Pinelli 34, 10144 Torino. Grazie!
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Post n°647 pubblicato il 15 Giugno 2009 da molinaro
Oggi, consegnato un lavoro in un ufficio di periferia, camminavo in uno spiazzo fra i tigli, tigli di banlieue, splendidi, e ho scritto una poesia che, me ne rendo conto, si presta alle battute più feroci (una delle più benevole è: allora relaziónati con i tigli, stronzo). Però è solo una poesia, esprime una verità momentanea, una sensazione. La poesia (come l’arte in genere) non conosce la «rinuncia pulsionale» (der Triebeverzicht). Già si devono censurare i desideri, dolorosamente censurare i desideri, ci manca solo che censuriamo le poesie, adesso. E poi anche una piccola poesia stupida può essere utile. Scrivendo questa qui, mi sono reso conto, a un tratto, che verosimilmente il problema di distinguere le ragazze dai tigli (e accettare i limiti che la differenza pone) è tutto maschile. Secondo me le donne, fin dall’antichità, non hanno mai confuso fra uomini e tigli: per loro è scontato, da sempre, ciò che per il maschio è una lenta conquista razionale elaborata e sofferta. E questo può essere uno spunto per lo studio delle differenze di genere (e delle connesse incomprensioni). Perché magari mi sbaglio: magari anche per le donne è un faticoso cammino. Ci vogliono pareri femminili su questo. Un fertile stimolo al dibattito! Sì, no, ok, vabbè, non esageriamo. È solo una piccola poesia stupida. Buona giornata e buona settimana.
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UN ESEMPIO
Io quando una mi piace e mi piace tanto
– anche se non ci sta e non c’è mai stata –
non riesco a smettere di sperare,
non ci riesco mai, in nessun modo, mai.
E mettiamo che tu – tu, insomma, tu
mi dicessi: «Ma non ha senso, come fai?» –
io non è che proprio ti risponderei alla domanda
– perché non c’è una risposta –
ma ti farei un esempio: «Facciamo finta
che io campo cent’anni e a cent’anni
sono proprio tutto rattrappito
devastato dalla vecchiaia e dalle malattie
e sono in un ospizio di suore cattive
che non mi lavano mai e quindi oltre tutto
puzzo come una merda, puzzo già di cadavere,
e non mi muovo più e ho le piaghe da decubito
sul lenzuolo marcio, una flebo e un catetere,
sono anni che nessuno più mi cerca
e se le suore non mi hanno soppresso
è solo perché incassano la mia pensione
ma adesso che sono agli ultimi
hanno già accettato una prenotazione
per il posto letto (letto è una parola forte:
diciamo per il posto) da un nano di un circo di Bamberga
che vuole liberarsi del padre, facciamo finta
che è quasi certamente l’ultimo giorno,
e io sono lì, che è uno scenario possibile,
considerato come va ultimamente il welfare,
sono lì che aspetto che il cuore si fermi,
ecco, in quel momento so già che spererò
che tu arrivi, entri, dai uno spintone a una suora,
e ti chini su me e mi baci, con tutte le bave,
mi baci sulla bocca e io sono felice».
«Minchia che schifo» – immagino che dici
quando finisco di farti l’esempio,
ma sì comunque era solo un esempio
per spiegare com’è il mio modo che non riesco
a smettere di sperare, hai capito?
(Poi se arrivi prima mi trovi un po' meglio.)