Un blog creato da molinaro il 04/06/2007

Carlo Molinaro

Pensieri sparsi, poesie e qualsiasi cosa

 
 
 
 
 
 

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« Un'altra estate: quella...La festa di Erli »

Lunga specie di poesia fra Erli e dopo Erli

Post n°623 pubblicato il 31 Maggio 2009 da molinaro

Sono stato alla festa di musica e poesia che si tiene ogni anno a Erli alla fine di maggio, per salutare l'arrivo della stagione calda. Bella festa, come quasi sempre. Magari la racconterò nel prossimo messaggio, ho fatto anche qualche foto e un po' di video. Adesso sono appena rientrato e sono un po' intronato. Quando poco fa sono arrivato a Torino nel mio quartiere, a bordo della mia Panda, ho visto che c'è una sagra domenicale nelle vie e, dato che quando fanno queste sagre sgombrano le strade e rimuovono le auto in sosta, ho pensato: «Cazzo, dove avrò lasciato posteggiata la Panda?». E ce l'avevo sotto il culo. Ecco, appunto. Per il momento quindi mi limito a mettere qui sotto una specie di lunga poesia scritta fra Erli e dopo Erli, oggi. E che però con Erli c'entra poco. E buona domenica sera!



VAFFANCULO

Stamattina a Erli al bar del paese
la tazza era in una buona luce,
faceva un buon contrasto con il tavolo.
Avevo con me la macchina fotografica
e avrei voluto, e potuto, fotografare la tazza
ma non l'ho fatto
perché non avevo voglia di spiegare
- o di non spiegare, che è lo stesso,
è la stessa fatica -
alla ragazza che era con me
né all'amica della ragazza che era con me
né al barista né agli altri avventori
come e perché fotografavo la tazza.
Non volevo creare un'anomalia,
non volevo che pensassero che sono pazzo
o che sono un maniaco fotografatore di tazze:
anche perché non è vero, io non fotografo
tazze, fotografo tutto ciò che m'ispira
quando per caso ho la macchina fotografica.

Circa dieci volte al mese
dal giornalaio mi tocca comprare il Sole 24 Ore,
per un lavoro che faccio, una rassegna stampa.
È un gran fastidio, ogni volta è un gran fastidio
perché oramai il giornalaio pensa
che io sia uno di quelli che leggono
il Sole 24 Ore, e non è affatto vero: lo compro
solo per necessità di lavoro, e mi disturba
la reputazione di lettore del Sole 24 Ore,
perché non mi corrisponde: io odio tutto ciò
che c'entra con la finanza o economia,
e m'accorgo che uscendo dall'edicola
mi viene spontaneo piegare, nascondere
quel giornale per non farlo riconoscere:
come si faceva una volta,
da ragazzi, con i giornalini porno
(ma è ancora peggio: perché il giornalino porno
era comunque davvero un mio acquisto,
anche se mi vergognavo a farmi vedere
era comunque un mio acquisto
voluto, scelto, per farmici le seghe,
mentre il Sole 24 Ore è un obbligo
di lavoro, che con me non c'entra niente,
e senza mia colpa mi rovina l'immagine).

Ecco, qui volevo arrivare: dunque è vero
che anch'io ci tengo all'immagine,
alla reputazione, non è affatto vero
che me ne frego del giudizio della gente:
odio che il barista pensi che sono pazzo,
odio che il giornalaio pensi che sono economista.
E dunque devo fare un'autocritica:
se qualche volta ho detto
che me ne frego del giudizio della gente
(e mi sa che l'ho detto, mi sa che l'ho detto,
non so quando ma mi sa che l'ho detto)
ho detto una cazzata. Non è vero:
anche a me importa il giudizio della gente.

Oddìo, certo, all'immagine ci tengono
tutti: ne ho le prove inconfutabili:
nella vita m'è successo di fare fotografie
ad amiche, ad amici, a conoscenti,
e tutti hanno voluto vedere le foto
e tutti, senza eccezione alcuna, mi hanno detto:
«questa sì, ma questa no, è orribile, strappala».
Nessuno mai mi ha detto: «va bene,
in alcune foto sono un mostro, ma dato che sono
foto genuine, e la macchina non mente,
allora è una documentazione corretta
del fatto che in certi momenti, in certe luci,
in certe angolazioni sono un mostro,
dunque sono anche un mostro, non è che queste foto
siano meno vere di quelle dove sono bello,
quindi tienile tutte e mostrale tutte a chi vuoi».
No, nessuno mi ha mai detto così,
perché tutti vogliono offrire l'immagine migliore
e - sia chiaro - anch'io faccio così, se mi scatto
trenta foto, potete giurarci
che tengo le migliori e butto le peggiori.

Nessuno trova strano che si faccia così
con le foto, ma io penso che se lo si fa
con una foto, una semplice foto, che in fondo
è un banale pezzetto di carta
o un banale riquadro sul video di un computer,
- ed è soltanto un'immagine fisica -
tanto più lo si fa con l'anima, con il carattere,
con i tratti distintivi della personalità:
voglio dire che secondo me è la stessa cosa
scegliere le foto migliori buttando via le peggiori
e non voler essere visti con il Sole 24 Ore:
in entrambi i casi il meccanismo che scatta
è del tipo: «eh no, io non sono così,
accidenti, cazzo, io sono meglio di così:
non sono così brutto, non sono un economista:
rendetemi giustizia!».

Forse non è che sia strano o che sia un male:
psicologi e pedagoghi sanno e dicono
che la persona umana si forma nel confronto
con le altre persone e c'è dunque una forte
interazione fra l'immagine che uno crea di sé
e l'immagine che di lui creano gli altri:
quindi nel nostro vivere sociale
magari è naturale che si voglia
che le due immagini corrispondano il più possibile:
altrimenti si percepisce
qualcosa di falso, di mentito, di sfasato.
E va bene. Ma allora dire
«me ne frego del giudizio della gente»
è solo una battuta altisonante
che riempie le orecchie ma ha poca sostanza.
Al massimo si dovrebbe dire: «affronto
il giudizio negativo di alcuni o di molti
per portare avanti certe cose in cui credo
o più semplicemente per fare quel che voglio,
ma non è che non m'importi, è un ostacolo
e lo affronto, sì, con più o meno fatica».
Ecco, detto così è più credibile.

A proposito di battute altisonanti
sempre oggi a Erli alla festa giù in contrada
ho pensato ai poeti idealisti
che scrivono in gloria amore e libertà
come fossero parole sorelle
(e l'ho fatto anch'io: vedete, oggi sono
in vena di autocritica).
Anche i filosofi e persino i politici
a volte scrivono e dicono così:
si riempiono la bocca di amore e libertà
promettendo - cialtroni - tutto insieme.

Io oggi fra i boschi e i muretti di Erli,
fra messaggi di gelosia triste sul telefonino
e parole di ragazze presenti alla festa
ho sentito precisamente
realisticamente
che amore e libertà sono parole nemiche:
ogni gesto d'amore cancella un po' di libertà,
ogni gesto di libertà cancella un po' d'amore:
bisogna farsene una ragione
e dato che abbiamo bisogno
- bisogno come l'aria! - di amore e libertà
(in questo sì, nel bisogno che ne abbiamo
sono parole sorelle, solo in questo)
ne consegue che la vita è un perenne conflitto,
un pencolare, un tentennare, un arrabattarsi,
una scelta impossibile, un barcamenarsi
in qualche modo, un aggiustarsi
giornata per giornata senza mai
una vera soluzione sostanziale.

Va bene, lo sanno tutti, probabilmente
tutti sanno che è così: sono io che ci arrivo
come sempre in ritardo, dopo essermi illuso
per decenni e decenni, ora vedo che è così,
cerchiamo di capirci, ognuno ha i suoi difetti,
andiamo avanti, sì, barcameniamoci,
è la vita, si fa quel che si può.

(La gelosia però non potrò approvarla
mai: la gelosia è il basso istinto che ti fa togliere
all'altro qualche cosa che a lui piace
per egoismo puro, perché vuoi
essere tu soltanto a dargli cose
e ad averne da lui, vuoi tutto tu:
ma togliere all'altro qualcosa che a lui piace
non può mai essere un atto d'amore:
direi anzi che è vera crudeltà
e se dovesse un giorno capitarmi
di essere geloso - a questo mondo
può succedere tutto - ricordatemi,
per favore, questa cosa che ho qui scritto.)

In un altro momento, sempre oggi a Erli
(è stata una bella giornata, ma densa
di pensieri da fare scoppiare la testa)
ho meditato sulle cose che finiscono.
Anche qui devo fare un'autocritica:
io dico sempre che le cose non finiscono,
però invece, oggettivamente, finiscono.
Non lo sopporterò mai, però finiscono:
quando morirò, oltre a farmela sotto
per la paura e l'angoscia, so già che penserò:
«ma perché? ma che cazzo... che vaccata!
è inconcepibile...» però questo pensiero
- lo so - non è che fermerà la morte.
Due anni fa in questa festa a Erli
(sono quattro anni, mi pare, che frequento
la festa a Erli che celebra l'arrivo
della bella stagione con musica e poesia)
leggevo versi d'amore spasimanti
per una che non mi cagava neanche di striscio:
due anni dopo lei è ancora qui,
continua a non cagarmi neanche di striscio
ma io ho smesso di scrivere per lei
- e meno male, si dirà. D'accordo:
ma voi non lo trovate sconcertante?
L'amore non è eterno? Forse no:
finiscono gli amori e i non amori,
come la vita, come le stagioni:
un giorno dovrò ammetterlo, mi sa.
Che cosa triste, tristissima. Però
è così, devo fare un'autocritica,
non è vero che le cose non finiscono,
scrivere che non finiscono è soltanto
una pazzia, una velleità.

Già.

Poi mi passa il momento di autocritica
e scrivo che me ne frego del giudizio della gente,
che amore e libertà stanno insieme benissimo
e che le cose non finiscono mai.
E concludo così. La poesia
non è mica saggezza. Vaffanculo.

[Nell'immagine in alto a destra, fiore non identificato. Se fotografo un fiore così, nessuno lo trova strano: se fotografo al bar la tazza con il cappuccino, invece sì. Chissà perché. Ma è così.]

Commenti al Post:
larossa58
larossa58 il 01/06/09 alle 11:09 via WEB
il punto è piacere a se stessi o agli altri?A se stessi è difficile perchè sai i tuoi difetti e se non li accetti buona notte al secchio come si dice, agli altri è ancora più difficile perchè devi mantenere un'immagine che non è tua. Il connubio amore libertà: abbiamo alle spalle anni di "impostazioni sociali" e scrollarsele di dosso non è facile. Buona giornata Gisella
 
 
molinaro
molinaro il 01/06/09 alle 11:20 via WEB
Già! Convivere con sé stessi è la cosa più difficile, e poi c’è l’immagine che si dà agli altri. Secondo me si sta meglio se l’immagine che si dà agli altri è «il più uguale possibile» all’immagine che si ha di noi stessi: cioè se si riducono al minimo il nascondimento e l’ipocrisia – ma so bene che non è possibile azzerarli, e del resto è anche normale (e magari utile) che ci sia una parte «segreta» in ciascuna persona. Per la convivenza di amore e libertà, poi, sì, è un discorso eterno... e alla fine si può estendere a tutti i rapporti umani. La famosa frase di non ricordo che filosofo o politico, «la mia libertà finisce dove comincia la tua», è una bella frase a effetto ma non risolve granché, perché il problema è proprio quel confine, è la zona dove le due libertà si sovrappongono, la tua e la mia: è proprio lì che bisogna vedere se riescono ad armonizzarsi o se si scontrano. Oggi comunque quella specie di poesia la scriverei già un po’ diversa, già un po’ più ottimista: cambio umore con grande facilità! Grazie anche dei commenti ai messaggi precedenti! Buona settimana e buon mese!
 
Utente non iscritto alla Community di Libero
metelys il 01/06/16 alle 07:39 via WEB
...eterne problematiche... il tempo cambia qualche prospettiva....
 
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Queste tortuose specie di poesie, questo appigliarmi a...
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