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Il ponte tra la disperazione e la speranza, è una buona dormita. Poi scopri che la speranza è una buona prima colazione, ma una pessima...cena!
Qualcuno ci rammenta che il tempo passa, ma non ci accorgiamo che siamo noi a...passare.
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Moltissimi anni fa, esprimere dileggio, dissenso e contrarietà con una bella e sonora pernacchia, costituiva motivo di apprensione. L'esecutore rischiava di essere trascinato in giudizio dal destinatario della rumorosa e tradizionale manifestazione contestatrice. Oggi, accertato e stabilito che la pernacchia non costituisce reato, è prassi quotidiana farle per protesta e avversione, per sfottere e canzonare, per beccare amici e nemici. Fa parte del costume ormai e se si evita un eventuale vilipendio istituzionale, si va tranquilli e senza problemi preoccupandosi, semmai, di spararla in faccia ad un boione alto due metri con peso forma di 120 Kg: in tal caso è meglio astenersi per non prenderle di santa ragione. Per il "vaffa" il discorso cambia: è anch'essa espressione corrente, ha le stesse finalità, usata a tutte le età e al contrario della pernacchia che richiede una certa modalità d'atteggiamento labbiale di cui non tutti godono, basta avere il dono della parola e l'offesa è fatta! Un bel "vaffa" liberatorio e la persona che sta sul piloro è bella che servita!!!!! Quanti "vaffa" negati nella vita, quanti rimasti in petto e non detti, quanti rimandati indietro e non espressi: non a tutti è possibile destinare la mandata a...quel paese, non sempre a tutti riesce facile esprimere il dissenso con un invito cortese, chiaro e deciso. Pensiamo agli ambienti di lavoro, all'ambito scolastico, ai superiori che massacrano i gorgioni, alle persone che per posizione sociale li meritrebbero e se li scansano per...vocazione divina; insomma, non sempre i "vaffa" partono e non sempre arrivano ai soggetti meritevoli. Finalmente, dopo anni di corsi e ricorsi, in questi giorni la Cassazione fissa un punto fermo su una delle più elementari e ricorrenti occasioni in cui il "vaffa" ci sta tutto e avanza pure: l'ufficio, uno dei luoghi più deputati per la genesi dell'esortazione inequivocabile, il posto di lavoro dove c'è sempre un "capo", un superiore che intorcina gli ammenicoli e fa scendere il latte alle ginocchia. Ci sono momenti in cui ci si trattiene, si subisce e si ingoia il rospo, con il passar del tempo l'acredine e il livore aumentano e improvvisamente arriva l'occasione giusta: ci si pente subito dopo magari, ma quando si sbotta, non c'è chi può trattenere il "vaffa" liberatorio. La sentenza di Cassazione che riguarda un impiegato licenziato sette anni fa per aver mandato a quel paese il suo capoufficio (donna), è chiara ed univoca: mandare a quel paese il superiore gerarchico si può!!! Una tantum, ma si può! La motivazione è semplice: "Poichè non compromette il rapporto fiduciario con l'azienda, poichè non v'è volontà di sottrarsi alla disciplina, poichè non c'è intenzione per l' insubordinazione e anche se il "vaffa" va stigmatizzato, non è meritevole di lincenziamento. Alla luce di questa rassicurante sentenza, è facile immaginare come certi equilibri aziendali, possano mutare: rammentando il leggendario ordine di Russell Crowe nel film "Il Gladiatore": "Al mio segnale scatenate l'inferno" , gli uffici rimbomberanno dei tantissimi "vaffa", si sprecheranno, saranno inviati con gli interessi per tutte le volte che non sono stati detti e saranno il miglior modo per chiarire al capo il proprio dissenso! Attenzione però, occhio a non ripeterlo, solo una tantum va bene! Ovvero, il "vaffa" dovrà essere unico, stentoreo e perentorio!!! Senza abusare!
"Dover dominare gli altri significa aver bisogno degli altri. Il capo è un dipendente". (F. Pessoa)
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