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Il ponte tra la disperazione e la speranza, è una buona dormita. Poi scopri che la speranza è una buona prima colazione, ma una pessima...cena!
Qualcuno ci rammenta che il tempo passa, ma non ci accorgiamo che siamo noi a...passare.
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Sempre più spesso, alla luce di sentenze emanate dalle varie Corti e/o in occasione di processi eclatanti, la Giustizia Italiana è al centro di polemiche e discussioni. Non passa giorno che se ne sentono delle belle e ovviamente quando qualcuno viene toccato personalmente in negativo, ha sempre da ridire. Non va mai bene per nessuno, parlare di giustizia "giusta" e applicata senza interpretazioni tendenziose, ormai sembra utopia mentre dovrebbe esserci una unica buona regola: applicare la legge. Abbiamo recentemente dissertato sul caso di Riina: se offrirgli una morte dignitosa sia o meno il caso, visto che il 41 bis non concede alcun beneficio. Su questo si è discusso molto e se per taluni, a solo titolo di misericordia cristiana, andrebbero concessi i domiciliari, per moltissimi altri non se ne parla nemmeno. Specie i parenti delle vittime: nessuno è disposto a cedere nulla su colui che da mafioso ha causato la morte di tanta gente innocente. Sopita la notizia della probabile libertà per Totò, oggi si torna a parlare di una sentenza che ha lasciato tutti perplessi. Ancora una volta si scontrano quelli che sono animalisti a tutto campo e quelli che fissati alcuni paletti, non perdono tempo a discutere se un'aragosta debba vivere o meno con delle inibizioni prima di essere consumata a tavola da buongustai. Bella lotta, uno scontro che va al di là della cultura personale e della volontà di voler far male ad un animale di qualunque specie sia. Un ristoratore toscano è stato condannato per aver detenuto un'aragosta nel ghiaccio e con le chele legate. Per un alto magistrato questa è una vera e propria detenzione, ossia una "Detenuta in attesa di morire", una aberrante cattiveria perseguibile e punibile poiché non si fa soffrire al freddo l'animale. Ossia, il ristoratore per mero interesse commerciale non può detenere l'aragosta in quelle condizioni infami e l'interesse dell'animale, è decisamente superiore a quello del ristoratore. Quindi, hai una aragosta che serve a preparare un piatto delizioso e squisito? Lo tieni nell'acquario predisposto: libera di muoversi e senza alcuna alienazione. E così giungiamo al controsenso, alla inspiegabile presa di posizione della sentenza che cozza (no cozza mitilo, cozza verbo) con l'opposta realtà: non è reato lessare l'aragosta viva! Allora come funziona? Cosa interessa principalmente? Che l'aragosta non soffra quando è libera di stare in giro per il ristorante, quindi nessuna imposizione malefica e dolorosa per lei; però se un cliente la desidera, passa dall'acquario alla cucina senza remore, e viene lessata nel pentolone mentre tenta disperatamente di risalire e guadagnare l'orlo. Tornando a Riina e parlando di morte dignitosa, dove la si può ravvisare? In un mafioso che rimane in carcere nonostante soffra per i mali che l'affliggono e quindi destinato a finire in galera i suoi giorni, oppure salvaguardare la buona salute dell'aragosta evitandole il troppo freddo del ghiaccio e le chele bloccate? E ancora, perché lessarla viva e non morta? La sofferenza dell'acqua calda per cucinarla non vale quanto la sofferenza del ghiaccio o del frigo? E se non si deve fare alcun intervento per Riina, perché non evitiamo una sentenza sciocca e inutile visto che per l'aragosta lessa...quella è la morte sua?
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