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Un blog creato da marineblue il 30/01/2008

NONNA RACHELE

I ricordi di nonna Rachele

 
 

AREA PERSONALE

 

 

NONNA RACHELE A FESTA ITALIANA

 

7 marzo 2009
nonna Rachele intervistata
dal Resto del Carlino

Clicca qui per leggere l'intervista

 

RINGRAZIAMENTI

Grazie per il vostro affetto. Oggi grazie alla messa in onda della trasmissione FESTA ITALIANA ho ricevuto tante mail.
Cercherò di rispondere a tutti, abbiate pazienza, scrivo con un dito solo e la connessione a volte fa i capricci.
Vi abbraccio.
Nonna Rachele

 

FINALMENTE ...

Finalmente ho abbracciato due mie nipotine acquisite ...
Che gioia!!!!

Nella foto: Veronica, io, Pinu, Numottola

 

CONFIDENZE

01 ottobre 2008

Sul  Confidenze di questa settimana un articolo su NONNA RACHELE.
Potete dare un'occhiata al
PDF qui.

La foto accostata all'articolo di Nonna Rachele non raffigura Nonna Rachele.

 

NONNA RACHELE

Che fatica convincere nonna a fare una foto per il suo Blogghino!

Ma non pensate anche voi che sia una bellissima nonna?

 

 

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ASPETTANDO LA BELLA STAGIONE...

Il mio verde paradiso ...
Appena verrà la bella stagione vi scriverò da qui!
Dalla finestra della mia camera vedo questa meraviglia...


Gelso con more dal sapore delicato e dolce




Albero di cachi ... ne và ghiotta mia nipote Veronica




Cachi sotto controllo ... non ancora maturi!




Questo vaso insieme a tanti altri che circondano la casa,
li comprò mio padre 65 anni fa.
Fanno ancora la loro bella figura vero?






Mimino curioso.

 
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MUTANDE

Post n°49 pubblicato il 12 Giugno 2008 da marineblue

In questi giorni si è parlato molto di mutande con Vanessa, Alessandro e Macchiolina. Ora devo proprio raccontarvi cosa è capitato a me in proposito. Tre o quattro anni fa ero a Bressanone in vacanza con mia cugina Mariola. (Quella del mio post Ultima spiaggia. ) Lei è una grande cultrice dei mercati  rionali, in mezzo alle bancarelle è felice e non se ne lascia scappare uno. Ci fa pure degli affari perché ha pazienza: guarda la marca, la misura, la composizione, controlla tutto il capo minuziosamente che non abbia buchi, mercanteggia e compra. Io con la mia solita impazienza dopo cinque minuti sono già stanca e annoiata e me ne vado. Cosa mi venne in mente di seguirla? Forse l’aria di montagna  mi aveva resa più calma. Volevo un paio di pantaloni e poiché lei si assumeva tutta l’ispezione e io dovevo solo provarli, la seguii al mercato. Ci andammo presto perché non ci fosse la confusione che io mal sopporto. Fu facile: un paio di pantaloni neri. Per farmeli provare, mia cugina forte della sua esperienza, fece montare un gabbiotto di tela nel quale entrai fiduciosa. Appena tolti i miei, inavvertitamente toccai la precaria parete, tutto cominciò ad ondeggiare ed io precipitai su un banco di borsette, la mia gabbia si aprì ( tipo pacco regalo ) e dentro c’ero io in mutande. La scena ricordava  le feste di addio al celibato, quando da qualcosa esce una giovane e bella fanciulla poco vestita, solo in quel caso la ragazza aveva  80  anni e non era la stessa cosa. Mia cugina invece di aiutarmi, si limitava a dirmi che avevo delle belle mutande molto bianche e di filo pregiato. Afferrai i miei  pantaloni me li rimisi rapidamente e partii per l’Albergo a passo di carica lasciando i commercianti a ridere. Se qualcuno avesse filmato  la scena sono certa che si sarebbe meritato il primo premio a Paperissima. Non ditemi che ne combino sempre una, questa è capitata, non l’ho certo organizzata. Vi vedo che ridete come i matti ma fate pure……fa bene.       

Nonna Rachele

 
 
 

IL  MIO  PROF

Post n°48 pubblicato il 05 Giugno 2008 da marineblue

Qualche giorno fa ho sentito parlare alla T.V. del mio Prof. di plastica, sono arrivata che la trasmissione era quasi finita e spero che non sia stato un necrologio, ma che abbiano parlato delle sue notevoli opere d’arte. Lo scultore di cui parlo è: LUCIANO  MINGUZZI . Quando venne ad insegnarci all’ISTITUTO  D’ ARTE  G. CHIERICI  era appena laureato e squattrinato, in compenso biondo con gli occhi azzurri. Io ero piccola e non ambivo, ma le ragazze grandi venivano al mattino presto solo per vederlo arrivare dalla stazione. Era molto giovane e per niente severo e non rimproverò mai molto me e Camminati che eravamo sempre occupati a fare scherzi, combinare cagnare e ad attaccare pezzi di creta al soffitto di tutte le aule in modo che seccandosi cadessero poi sulle teste dei malcapitati. Una volta ci fece posare entrambi per una statuetta che rappresentava due pescatori, naturalmente vestiti, non pensate male! Chissà se si rammenta ancora della breve parentesi di Reggio E. dove restò solo un anno. Dovrebbe ricordare almeno il nostro splendido  TEATRO. Era un inverno molto freddo, lui arrivava da Bologna e come prima cosa riempiva la stufa Becchi di legna (tanto che essendo di terracotta finì per crepare ) poi tagliava  le castagne e le sistemava tra i due piani della stufa; ne uscivano delle caldarroste favolose che a metà mattina distribuiva anche a noi. Nella memoria del bidello rimase a lungo come quello che faceva crepare le stufe. C’ era un gruppo di ragazze della Reggiobene che si era si iscrissero ai corsi che teneva la Scuola solo perché faceva fino. Guarda caso erano molto frequentati quelli con  Prof. giovani e belli. Io ebbi qualche buffetto fraterno che però indispettiva le grandi. Un giorno sentimmo Camminati gridare al professore: è caduto il DUCE ! Era accaduto che la testa di creta che lui stava modellando, durante la notte era crollata. Conoscendo i sentimenti del bidello sul fascismo ho la vaga idea che avesse aiutato il misfatto nella sua realizzazione. Il DUCE venne rimesso in piedi ,però dietro i trespoli tutti ridevano a vederlo con mezza faccia. Il Prof. si diede da fare ma per quanto si sia  adoperato non ebbe più l’aria marziale di prima.    Nonna Rachele

 
 
 

PIPPO

Post n°47 pubblicato il 29 Maggio 2008 da marineblue

Stava dentro nell ‘uovo coi suoi fratelli sotto la chioccia, ma aveva fretta di nascere e nacque tre giorni prima. ( Del resto come me che sono nata di otto mesi.)  Questo fatto creava dei problemi perché lasciandolo sotto la chioccia sarebbe stato schiacciato tra le uova  ancora chiuse.  Solo non poteva stare perché di notte era freddo. Era durante la guerra; gli zii erano sfollati da noi ed io e mio cugino Pierfranco eravamo diventati inseparabili e decidemmo di prenderci cura noi del pulcino. Ci fu il battesimo: PIPPO. Dopo di che, diventammo abilissimi cacciatori di mosche che lui gradiva molto; gli davamo anche briciole di pane, a quei tempi preziose, ma lui era carnivoro dichiarato. Era libero di giorno di scorazzare in giardino, dove precoce come era, razzolava come una gallina adulta e ogni tanto trovava qualcosa di invisibile per noi ma non per lui che lo ingoiava rapidamente. Appena catturata una mosca lanciavamo il grido: PIPPO e lui accorreva con il becco già aperto. Essendo in due a cacciare, lui faceva delle scorpacciate e gli veniva il gozzo tutto torto. Di notte dormiva con me in una scatola  con la bambagia. Dopo tre giorni nacquero i fratellini e mamma che aveva paura lo facessimo crepare lo restituì alla chioccia che lo portava in giro con gli altri, lui la seguiva, però se sentiva chiamare PIPPO accorreva e non dava retta disperati KLOC   KLOC  della sua mamma, correva da noi  e finiva che doveva essere lei a rincorrerlo arrabbiata come tutte le madri cui qualcuno si è permesso di viziare i figli. La sera quando la chioccia gonfia come un pallone nascondeva i pulcini sotto le penne per tenerli caldi, io e Pierfranco, che avevamo tenuto a parte qualche cadavere di mosca per lui chiamavamo PIPPO, si vedeva un tramestio e appariva la sua testina  furba, felice della buona notte che eravamo andati a dargli. Crebbe ma ci conosceva sempre e veniva da noi spesso dopo che la chioccia finito il suo ruolo si era licenziata . Avevamo scongiurato le nostre madri che non venisse messo in pentola PIPPO ....assolutamente NO.  Un giorno durante un forte temporale ci fu un gran vento che fece precipitare un vecchio cancello di legno su di lui e lo uccise. Le nostre madri sempre a corto di cibarie, lo misero arrosto ma noi due 

non volemmo assaggiarlo. Credete fu un vero dispiacere!  

Nonna Rachele 

 
 
 

I GATTI

Post n°46 pubblicato il 21 Maggio 2008 da marineblue

Ne ho avuti parecchi: il primo che rammento lo chiamavamo Arsenio Lupin per quanto era dedito al furto. Lo ricordo correre nei campi trascinando una collana di salsicce rubate al contadino, alla mamma  sottrasse un intero pollo arrosto riuscendo con pazienza ad aprire un armadietto chiuso a chiave, le portò via una cotoletta al volo mentre la stava adagiando nella padella per friggerla. Era un soriano enorme, scorbutico e facilmente irritabile; ricambiava le mie carezze con graffiate che io cercavo sempre di nascondere alla mamma che mi diceva di non toccarlo. Malgrado fosse un ingrato e moralmente da condannare, lo adoravo. Un giorno d’ inverno, sparì.  Fu un vero dispiacere per me anche perché avevo dei sospetti: dicevano che il padrone della trattoria del paese facesse una polenta col coniglio veramente insuperabile, anche se non lo vedevano mai comprare un coniglio e invece sparivano molti gatti. Povero Arsenio si era imbattuto in uno più ladro di lui. Dopo ci furono delle gattine dolcissime che mi fecero una gran  compagnia. Veramente non erano nostre, le portava a casa il contadino, ma loro non so se erano delle arrampicatrici sociali o ricevessero da noi un trattamento migliore perché si installavano tutte a casa nostra. La  Micia era la mia prediletta; era molto intelligente e quando voleva uscire aveva imparato a saltare sulla maniglia per abbassarla, però lasciava poi la porta aperta e mamma brontolava. Malgrado il suo acume non capiva perché in cucina ci fosse caldo e in certe gelide giornate serene vedendo un bel sole usciva ma rientrava immediatamente con un’aria interrogativa. Andava a dormire nel forno della stufa e vi restava finché aveva talmente caldo che usciva e si stendeva sulle mattonelle rivoltandosi parecchie volte. Era bianca ma in inverno aveva il pelo ingiallito dal forno. Malgrado le cotture invernali visse con noi parecchi anni, era più cane che gatto, non si allontanava mai, veniva nei campi solo se ci andavo io. Quando si tornava dovevo poi visitarla e liberarla dalle zecche e lei con grandi  RON RON si arrampicava per venire a darmi un bacino nel collo come ringraziamento. Piansi molto quando un mattino la trovai morta davanti la porta di casa; la misi in una scatola e la seppellii sotto il cipresso dove dormono tutti i miei amici cani e gatti. Dopo sposata i gatti divennero appannaggio dei miei genitori, anche se quando andavo in campagna mi elargivano strusciate e RON RON.

Un’ altra volta vi parlerò della MIMINA che visse 26 anni e merita un post tutto per lei.

Nonna Rachele

 
 
 

LA MIA PRIMA MAESTRA

Post n°45 pubblicato il 16 Maggio 2008 da marineblue

(Fu quella che in seguito ebbe la gradita visita di GIPSY )

Andare a scuola mi piaceva perché ero ansiosa di imparare a leggere, così avrei finito di torturare mia madre perle favole di cui non ero mai sazia. Avevo ancora intatte le mie illusioni e siccome fino ad allora ero stata amata oltre che dai miei genitori e parenti anche dalle mie tate pensavo che lo sarei stata anche a scuola. Fu così per quanto riguardava i miei compagni, ma non con la  maestra. Mio padre mi aveva educato alla generosità, sincerità e a quella  utopia che è la giustizia, per fortuna  mia madre mi aveva raccomandato di non dire alla maestra cosa pensavo di lei, ma di essere sempre rispettosa e di fare come mi diceva senza discutere. Per una volta obbedii, ma dentro ribollivo quando la vedevo ingiusta verso alcuni miei compagni. Aveva una prediletta, la  Rosa, figlia dei suoi contadini; io non ero gelosa ma quando vidi che rifiutava la mia amicizia, poiché col sesto senso dei bambini capiva che questo non sarebbe stato gradito alla maestra l’abbandonai. Finì per essere isolata anche dagli altri e divenne una di quelle bambine che tengono la mano davanti perché nessuno copiasse. Io avevo sempre il quaderno lontano e aperto al pubblico. Quando la maestra se ne accorgeva veniva a chiuderlo e mi rimproverava e io spalancavo gli occhi con falsa ingenuità. Passavo i bigliettini con la soluzione del problema; lei lo sapeva, disapprovava e si seccava perché non mi coglieva mai in castagna. Un giorno l’incauta ci fece fare un compito in classe d’ italiano, il tema era: il compagno che mi piace di più. Su 24 bambini, 22  dissero : la Rachele. Si poteva imputare questo anche al fatto che dividevo le merendine, ma non nascondo che mi fece piacere, visto che lo ricordo ancora . Mi rendo conto solo ora  di aver  fatto le elementari con dei bambini molto intelligenti. Povere creature, come arrivavano a casa, magari dopo aver fatto due chilometri a piedi, dovevano lavorare; facevano i compiti la sera senza poter chiedere un chiarimento a nessuno e studiavano quando potevano. A volte, qualcuno non aveva fatto il compito, io gli prestavo il mio quaderno e lui andava in fretta a copiarlo dietro la scuola prima di entrare. Mi raccomandavo sempre di fare qualche piccolo errore per non destare sospetti. Uno di questi bambini è migrato in America dove ha fatto fortuna e quando viene in Italia a trovare i parenti mi manda sempre a salutare. La mamma sapeva che andavo bene, ma ogni tanto per deferenza andava dalla maestra a chiedere di me. Al ritorno non mi raccontava mai niente e questo fatto mi incuriosiva e un giorno la sentii parlare con la tata e senza nessuna vergogna origliai. Stava dicendo: io non la capisco , le chiedo come va mia figlia e lei mi liquida con due parole BENE, BENE, però anche la Rosa  è molto brava e qui comincia a tessermi le lodi di una bambina  che non conosco  nemmeno. Ma io non ho mai preteso che la Rachele fosse un genio, anche perché se non la facessi studiare io, lei giocherebbe con il gatto. Passarono così tre anni, in cui malgrado il cattivo rapporto che avevo instaurato con la maestra fui molto felice. Visto l’insuccesso avevo smesso di cercare di esserle simpatica e anche, se allora la parola non faceva parte del mio vocabolario, francamente me ne infischiavo.

Nonna Rachele

 

 

 

 

 

 
 
 

ANACRONISMO

Post n°44 pubblicato il 12 Maggio 2008 da marineblue

Ero perfetta nel mio ruolo di vecchietta calma e in disparte fino al 2 febbraio 2008 . Mia figlia e mia nipote mi hanno rispolverata e buttata nella mischia di INTERNET , è li che sono diventata un anacronismo vivente. (Già prima mi avevano addestrata all’uso del cellulare.) Vado al mare con una comitiva di coetanee e sono invidiata se non da tutte, da parecchie, perché mando continuamente SMS come una diciottenne. Questo è stato solo l’inizio; il computer è stato poi un EVEREST raggiunto a fatica, ma raggiunto. Il RESTO del CARLINO che ha parlato di me, mi ha fatto pensare che forse non sono unica, ma rara indubbiamente, se hanno pensato di divulgare questo fatto. C’è di che far saltare tutti i bottoni! Per fortuna è rimasto il mio realismo; io non ho un’età fissa vado dai 60 ai 110 anni. Le mattine in cui mi sveglio sessantenne, sono rare, ma appunto per questo molto apprezzate. Ci sono però  delle regole da rispettare: correre passando davanti agli specchi, non esagerare nello sfruttarla mia effimera potenza, per non avere poi il giorno dopo cento anni che non sono per niente piacevoli, non essere troppo euforica perché ti prendono per scema, non mangiare troppe patate fritte perché lo stomaco è al corrente della mia passeggera età e così via……. Io amo molto i gatti e forse come loro sto sfruttando la mia settima vita  e vi dirò che sono soddisfatta. Ringrazio le mie fanciulle che mi hanno costretta a non invecchiare con malinconia e solitudine e col senso di essere inutile. Veramente inutile non sono ancora perché faccio l’orlo ai pantaloni di mia figlia, preparo i cappelletti per mia nipote e l’ erbazzone per mio genero. Vi pare poco?   Avendo superato con tanta fatica  grandi dolori, ho imparato a prendere senza drammi le invitabili seccature quotidiane. Accade qualche guaio? Mi viene il nervoso, ma cerco subito il lato comico e mi dico: se la prendo in ridere sono salva e con buona volontà spesso ci riesco. Vi faccio un esempio: ieri ho preparato con cura l’erbazzone  perché avevo a cena i miei cari. Il pesto era squisito, la pasta al punto giusto. Qui però viene il difficile: friggere un disco (25 cm di diametro) e specialmente voltarlo nella padella mentre l’olio bollente gocciola nel  lavandino è pericoloso:  per me una probabile scottatura e per lui cadere e suicidarsi definitivamente con destinazione pattumiera. C’è un altro pericolo:  il collasso di mio genero che lo stava già pregustando. Sarebbe semplice metterlo nel forno, ma non sarebbe la stesa cosa . Come se io mi paragonassi a Sofia Loren e dicessi: siamo due donne, perciò siamo uguali. Penso che qualcuno troverebbe il pelo nell’uovo. Dunque quando ho affrontato il difficile compito ho capito  non c’era collaborazione, quel cretino si stava sbruciacchiando, ma non potevo toglierlo dal fuoco perché non era cotto. Alla fine come potete immaginare presentava parecchie anomalie e mi sono incavolata, a ragione credo, dopo tanto lavoro. Però vedere ieri sera mia figlia e mio genero che pelavano l’erbazzone, non ditemi che non fa ridere (forse voi non avete visto la scena ed è più difficile cogliere il lato comico) comunque una volta sistemato era proprio buono.

Nonna Rachele

 

 
 
 

LA ZIA QUASI

Post n°43 pubblicato il 10 Maggio 2008 da marineblue

La zia quasi era una zitella, maestra in pensione. Nipoti diretti e cugini di nipoti la chiamavamo tutti zia poiché lei accudiva noi durante l’estate per un breve periodo quando i nostri genitori viaggiavano. Andavamo tutti in una grande casa di campagna, piuttosto malandata ma con pretese di fasto che le davano diritto all’ appellativo di villa. Lei si era assunta di sua spontanea volontà il compito di sorvegliarci, quale esperta conoscitiva dell’animo infantile e fu l’unico caso in cui non usò il quasi che sarebbe stato così appropriato. Intanto di infantile in una banda di ragazzi dai tredici ai diciotto c’era veramente poco. La zia dormiva molto ed era da noi molto apprezzata proprio per questa sua qualità, ignota invece ai nostri genitori. Per riposare tranquillamente esigeva che si andasse a letto tutti alle ventidue. In genere mezz’ora dopo ci alzavamo tutti ed andavamo a giocare a carte in solaio, ma quando in paese c’era la fiera, noi con la scusa di essere stanchissimi per una lunga passeggiata pomeridiana andavamo a letto alle ventuno e lei seguiva il nostro esempio. Alle ventidue con le scarpe in una mano e l’altra mano sulla bocca,  perché non ci sentisse ridere, scendevamo le scale e andavamo a ballare. Tornavamo cantando fino ai pressi della villa, poi nel più religioso silenzio ritornavamo ai nostri letti.  Questa libertà anche se rubata ci rendeva ben disposti nei confronti della zia e durante l’inverno andavamo a turno a trovarla e ci rassegnavamo a sentire il suo rosario di quasi. Aveva sempre: quasi preso l’influenza, era quasi caduta, era quasi svenuta, aveva quasi avuto un collasso, aveva quasi perso la borsetta, l’avevano quasi rapinata; tuttavia per merito del piccolo avverbio non le succedeva  mai niente, se non il fatto di venir chiamata  da noi con quel soprannome. Un giorno uno dei miei cugini andò a trovarla per farle vedere la macchina nuova e poiché lei era quasi senza uova, si offrì di accompagnarla in campagna ad acquistarle. Lo scontro fu tremendo il ragazzo  ne uscì molto malconcio, ma per la zia  non ci fu niente da fare. Povera donna quella volta il talismano del quasi non aveva funzionato.    

Nonna Rachele 

 
 
 

LAC E GIPSY

Post n°42 pubblicato il 03 Maggio 2008 da marineblue

Il primo era già vecchio quando nacqui, era un setter inglese molto bello e molto amato dai
miei genitori. La mia nascita lo detronizzò, passò al secondo posto e lo accettò con filosofia; ci amammo molto io e LAC. Era molto intelligente, io lo accarezzavo e gli facevo lunghi discorsi che ascoltava con la condiscendenza di un nonno allungandomi una approvante linguata. Visse ancora qualche anno, diventando, pian piano, quasi cieco e sordo. Quando andavo con papà  a fare una passeggiata, voleva ad ogni costo seguirci e a un certo punto lanciava guaiti disperati perché si era perso e mio padre accorreva a tranquillizzarlo. Morto lui papà acquistò un bulldog : GIPSY, era bruttissimo e nelle intenzioni di mio padre e nelle assicurazioni di chi l’aveva venduto doveva spaventare qualche
malintenzionato, dato che vivevamo in un luogo isolato. Nella stessa proporzione in cui era brutto, era buono e leccava le mani a tutti gli sconosciuti che passavano da noi e con questa sua qualità mi suggerì il modo di fare una birichinata. A me piaceva  andare a scuola, ma un giorno fosse la primavera o l’ intento di fare uno scherzo alla maestra che francamente non mi era molto simpatica, io e l’Armida (mia compagna di banco) trascinammo Gipsy per un chilometro con grande fatica e grandi risate. Giunte a scuola, io dissi  alla maestra  che il cane ci aveva  seguite (in fondo non era nemmeno una bugia ). Lei era molto impaurita, ma non volle darlo a vedere e mi disse di mettermi nell’ ultimo banco e di tenerlo nell’angolino dietro di me. Povera bestia, forse era stanco e per un po’ dormì, ma poi cominciò a muoversi provocando le urla dei miei compagni. Io mi alzavo e lo riportavo al suo posto; però si era creato un caos tale, perché mentre la maestra spiegava, lui andava per farle un complimento che lei ingrata non gradiva. I miei compagni avevano capito che era innocuo e di nascosto lo chiamavano; la giornata con questo diversivo era diventata molto divertente a mio avviso. Di parere diverso era l’insegnante che s’innervosiva sempre di più e prese la decisione di mandare me e l’ Armida che abitavamo vicine a casa a riaccompagnare Gipsy e molto severamente ci disse: d’ora in poi assicuratevi che il cane sia legato prima di partire da casa perché altrimenti avrete tutte due una nota. Mi ricordo la felicità di tornare a casa, pian piano, chiacchierando. Ci fermammo anche a giocare alla settimana, mentre lui paziente e docile ci aspettava. Per fortuna non c’era il telefono e la mamma non sapeva che eravamo in giro. A casa nessuno credeva che il cane ci avesse seguito di sua spontanea volontà anche se noi continuavamo ad asserirlo. In fondo era vero che ci aveva seguito se non si tiene conto dei particolari…….
 
 Nonna Rachele

 
 
 

LE TRECCE

Post n°36 pubblicato il 01 Maggio 2008 da marineblue

Quando avevo otto anni vennero di gran moda le trecce per le bambine di buona famiglia; era un segno di distinzione. La mamma mi fece crescere i capelli e io accettai senza discussioni, giacché non potevo avere i ricci cui tanto ambivo tanto valeva castigarli dentro le trecce. Era il tempo in cui furoreggiava SHIRLEY TEMPLE soprannominata RICCIOLI D’ORO ed io che avevo i capelli che  più lisci non esistevano mi avvolgevo una ciocca attorno a un dito e dormivo così. Al mattino non c’era un boccolo ma avevo costruito un angolo retto e mia madre non l’apprezzava, bagnava il pettine e li metteva al loro posto. A scuola ero l’unica con queste appendici perché le mamme delle mie amiche non avevano tempo per pettinare le figlie e la maestra non approvava la mia diversità e si vendicò mettendomi in pagella il voto nove in igiene. La mamma si offese molto e in questo aveva ragione perché lei era addirittura maniaca e non faceva che farmi il bagno e lavarmi i capelli con grande disapprovazione della tata che per atavica credenza diceva non facesse bene. Le mie amiche di città erano rassegnate al dovere di essere munite di trecce fino ai dodici anni quando si accorsero che i ragazzini guardavano quelle coi capelli corti che sembravano più adulte. Allora con le scuse più banali cominciarono a chiedere ai genitori di tagliarle, ma le madri non erano stupide, capivano a cosa miravano  e mettevano il veto più assoluto. Io non chiedevo niente ma ero tra le aspiranti all’ eliminazione e stavo studiando un piano per aggirare l’ostacolo. Ero portata ad esempio dalle amiche di mia madre che, in buona fede, asseriva che io non avevo mai parlato del problema.  Era estate e avevo adocchiata una ragazza più grande di noi che veniva a volte in nostra compagnia e che era giudicata molto ribelle a regole genitoriali, per lei assurde. Un giorno a casa di una nostra amica c’era sul tavolo un paio di forbici e così come fosse la cosa più naturale del mondo le chiesi: mi tagli una treccia? Rimase un attimo interdetta ma visto i risolini ironici delle altre con le quali diceva sempre di non aver paura di niente, prese le forbici e mi tagliò la treccia. Quando andai a casa, mio padre si inalberò, lui sempre così tetragono, diede in  escandescenze e disse che avrebbe denunciato la ragazza. Le cose si mettevano male, per fortuna la mamma che era più furba disse: se l’ è fatta tagliare lei e il giorno dopo mi portò dalla parrucchiera però sapendo il mio amore per i riccioli, mi punì non permettendole di farmi la messa in piega. Nel frattempo però la scarlattina mi aveva quasi fatta morire, ma mi aveva ondulato naturalmente i capelli. Le amiche mi dicevano che mi invidiavano e avevano voglia di picchiarmi; le convinsi che come pioniera avevo loro portato un vantaggio. Cominciarono così a tediare i genitori fino ad esaurire le loro forze e pian piano le trecce caddero tutte meno quelle della Laura che aveva solo il papà, che l’adorava ma non sapeva mai bene come comportarsi e che trovò la scappatoia promettendole che finita la guerra le avrebbe dato il permesso. Finalmente la guerra finì ed io istruii la  Laura a non parlare al padre della promessa, perché capivo che avrebbe trovato delle scuse per rimandare. Lei  mise via le sue paghette e un giorno l’accompagnai dal parrucchiere che le fece una bellissima permanente .Andò a casa un pò  impaurita, ma quando a lui diede quasi un infarto, lei serafica disse: me lo avevi promesso e lo lasciò senza parole.    

Nonna Rachele

 
 
 

Post N° 35

Post n°35 pubblicato il 27 Aprile 2008 da marineblue

Anche questo fa parte degli scavi archeologici nei miei cassetti; è stato scritto 25 anni fa.

MIA NIPOTE

La guardo, dicono che assomiglia a me, io non trovo; forse a volte è simile a me come carattere da dare l’impressione di qualche attinenza fisica. E’ senz’altro migliore di me, lei è bella, dolce, altruista, sempre desiderosa di piacere,di suscitare affetto, di rendersi utile. Da dove viene a me insperato dono, questa meravigliosa bambina che è mia nipote? Veronica, tesoro mio, non potrò mai ripagarti di ciò che tu mi hai dato. E’ molto difficile, ma cerca di non cambiare, combatti la vita che ci porta via le illusioni e ci incattivisce. Come rimpiango quella me stessa che ero e che non sono più, quella me stessa tanto ingenua da rasentare il ridicolo, così altruista da potersi chiamare stupida. Si quella bambina che ero e che piaceva tanto a papà che mi adorava, che mi chiamava la buona figliuola e con tanto dolore mi diceva: povero il mio vaso di vetro che viaggi con quelli di ferro. Ora il vaso di ferro sono io; efficiente donna d’ affari, ho perso per strada molti dei miei scrupoli e mi sono fatta una scorza arida e dura. Si deve se si vuol sopravvivere; è la legge della giungla. Non mi piaccio e spero un giorno di rammorbidirmi.

( Il mio sogno si è avverato dopo che sono andata in pensione .)

 
 
 

I PARTICOLAREGGIANTI

Post n°34 pubblicato il 24 Aprile 2008 da marineblue

Ho un’amica che è la persona più buona, affettuosa, generosa e altruista che si possa immaginare, ma ahimè diventa noiosa per  la sua mania del particolare ininfluente. Ora  la  vedo di rado perché a causa dei disturbi di respirazione del marito si è trasferita in Riviera; mi scrive ogni tanto ( dalle quattro alle sei pagine ) ma la lettura è meno micidiale perché la puoi leggere a rate, puoi persino saltarne dei pezzi, puoi aspettare il momento in cui non sei nervosa e seduta in una comoda poltrona puoi pure ridere. Mi sento un verme a parlarne così, però anche il marito a volte sbotta; ricordo di averlo sentito dire con aria annoiata: ma per dire che hai comprato un cappotto, cominci da quando hanno tosato la pecora? Sperando di avere da voi un    di comprensione vi spiego. La incontravo e mi diceva : c’era un bel sole e sono uscita senza lavare i bicchieri, i piatti, i coltelli, le forchette, i cucchiai, il tegame della pasta, il mestolo, il tegamino del ragù……a questo punto io già scalpitavo e cercavo di cambiare discorso: è tanto che non vedi la Maria? No, mi rispondeva, l’altro giorno ero in via Farini (pausa e ripensamento ) no, ero in via Emilia……io ero giù dal marciapiede….( altro ripensamento ) no, era lei giù dal marciapiede. Non avevo più voglia di sentire il resto e cercavo di distrarla mostrandole un abito in vetrina. Ahimè degli ahimè! Le davo l’esca per dirmi che in mattinata aveva tolto dall’armadio il suo vestito ( e qui c’era una interminabile descrizione per farmelo individuare ) cosa di cui non poteva importare di meno e una volta rassicurata che avevo capito (anche se non era vero ) si dilungava a spiegarmi che vi aveva trovato una macchia di cui non si era accorta e li c‘era  una lunga indagine per sapere se l’aveva fatta al tal pranzo o a quell‘altro e io continuavo a non capire l’ importanza dell’origine. C'era da stare attenti a parlare perché ogni argomento poteva dare adito ad una sfilza di particolari inutili che non avevo più voglia di ascoltare. Se leggendo questo nessuno è svenuto vuol dire che siete forti e non impazienti come me. Non si direbbe eppure le voglio bene, vorrei solo che avesse un bottone di spegnimento come la radio per quando sono al limite delle mie forze. Questa è espatriata ma  restano altre due persone particolareggianti e pare impossibile ma sono anche loro buoni, premurosi e affidabili. Ad uno l’ho anche detto in un momento di grande sincerità o nervosismo, che lui non è un conversatore ma un conferenziere perché non ti lascia intervenire finché non ha finito il suo proclama e ammesso che alla fine tu sia ancora viva, puoi solo dire due parole e riparte lui. E’stressante ! Anche se è colto come la TRECCANI,  dovrebbe essere abbastanza  psicologo per capire se l’argomento interessa l’ascoltatore, perché se così non è.... ci si annoia da morire e non si apprezza. L’altra persona pretende che tu stia molto attenta al racconto riguardante persone sconosciute che hanno o hanno avuto una vita melensa tanto da far slogare le mandibole per gli sbadigli. Alle sue risatine bisogna far eco anche se non sai perché stai ridendo ( o mi sarò distratta non cogliendo il momento comico? )La linguaccia sono io, loro sono delle ottime persone. Se qualcuno ha la mia stessa disavventura o insofferenza, per piacere me lo dica: l’unione fa la forza.     

Nonna Rachele  

 
 
 

LA NONNA MATERNA

Post n°33 pubblicato il 21 Aprile 2008 da marineblue

Oggi leggendo il commento di CINQUEKAPPA, mi sono resa conto di non essere stata buona con la mia nonna materna, che aveva avuto una vita non tanto fortunata. Se ci penso è una storia incredibile! Sembra un romanzo strappa lacrime di quei tempi. I suoi genitori  avevano un bellissimo  albergo ed erano i più ricchi di Sassuolo. Lei ebbe la sfortuna di nascere quando suo fratello e sua sorella erano già grandi e la sua mamma non più giovanissima; quasi ci rimise la vita con una gravidanza e un parto  molto difficili che la lasciarono allo stremo delle forze. Anche la bambina era un povero esserino che non si sapeva  se sarebbe sopravvissuto e su consiglio del medico venne affidata ad una balia che la portò a casa sua in montagna e la crebbe per un anno insieme alla sua bimba. L’aria salubre o il latte della robusta montanara o tutte due, operarono il miracolo. La sua mamma stentava a riprendersi e non andò mai a vederla, riceveva saltuariamente notizie dal marito della balia. Una volta svezzata venne riportata a casa, ma quando la sua mamma vide quella bellissima bambina cominciò a dire che non era sua figlia e che la balia l’ aveva sostituita con la sua. La sua sfortuna era non assomigliare per niente ai fratelli piuttosto bruttini e nemmeno farle notare che la sorella di latte era molto simile alla balia le tolse dalla testa la sua fissazione. Crebbe in cucina allevata dalle tate; non le fecero mancare niente, però né i genitori né i fratelli  le fecero mai una carezza, anzi la ignorarono completamente. Più Cenerentola di così…..A sedici anni si sposò per uscire di casa e liberare i suoi della sua sgradita presenza. Il nonno fu innamorato di lei fino  all’ ultimo giorno della sua vita ma non credo fosse ricambiato allo stesso modo. Comunque dagli agi materiali di cui aveva goduto finì in una casa modesta, a curare i suoceri vecchi e malati e poiché il nonno era molto religioso cominciò la serie delle gravidanze a catena. Ebbe dodici figli di cui ne restarono otto da crescere e non fu certo una fatica da poco anche se il nonno faceva il possibile per aiutarla. Per quanto la nonna alla nascita fosse uno scricciolo, ereditò una salute di ferro e così i suoi figli , che erano sempre ben nutriti, puliti ed educati. Il nonno durante l’ estate la gratificava portandola tutte le sere al bar; sedevano a un tavolino e prendevano un caffè o un sorbetto. Era una cosa inaudita per quei tempi e che facevano solo i ricchi e solo qualche volta. La nonna non ebbe mai amiche, non so se per mancanza di tempo, timidezza o loro non la volevano perché gelose della sua bellezza e invidiose del sorbetto al bar; solo una vicina di casa molto più vecchia di lei e sola a volte l’ aiutava e lei la considerava la mamma che non aveva avuto e ricambiava con affetto quando l’altra era malata. Pare che la madre quando stava per morire abbia avuto un pentimento e volesse vederla forse per chiederle perdono o lasciarle qualcosa, come sarebbe stato giusto, nessuno la chiamò e non ereditò un soldo. Per questa cosa ho sentito a volte i suoi figli brontolare, ma lei mai ! Era una donna molto dignitosa!       

Nonna Rachele

 
 
 

I MIEI NONNI

Post n°32 pubblicato il 18 Aprile 2008 da marineblue

Dopo tanti anni li ricordo e li amo ancora. Quelli paterni li ho conosciuti solo attraverso i racconti di mio padre che aveva un modo così vivido di narrare da riportarli in vita per farli conoscere ed amare da me. Mio nonno era un signorotto di campagna che viveva coi proventi delle sue terre e la cui sola occupazione era quella di andare a caccia, chiacchierare con gli amici attizzando il fuoco nel camino e leggere PONSON DU TERAIL facendosi prendere in giro da mio padre che aveva letture più impegnate o filosofiche. La nonna aveva la passione del cucinare e fare le marmellate e le sue ricette erano molto ambite dalle amiche; forse dipende dai geni che mi ha trasmesso se anch’io quando c’era mio marito, cui piacevano molto le crostate, mi divertiva preparare tanti vasetti di tante qualità. A me la frutta piace solo cruda, ma mi dava soddisfazione guardare la dispensa così ben rifornita e gratificare Franco coi miei dolci. Adesso  non ne faccio più; hanno tutti paura d’ ingrassare, me compresa, però mi è rimasta la mania di essere sempre  ben rifornita naturalmente di generi non deteriorabili a breve e mia figlia la chiama la sindrome della guerra. I nonni materni li ricordo bene; la nonna era bellissima, con due splendidi occhi azzurri ma era un po’ dura e autoritaria. Aveva dovuto allevare otto figli e per forza era diventata intransigente, almeno finché l’ultima figlia la rese la sua schiava. Ormai gli altri erano grandi, erano usciti di casa e lei poteva finalmente coccolare una bambina e viziarla. Questa cosa ha sempre fatto soffrire mia madre che ne era gelosa. Quando andavo a trovare la nonna mi cucinava i suoi meravigliosi  ragù, ma non sentivo l’adorazione che aveva il nonno per me. Mamma ci teneva a portarmi a Sassuolo sempre infiocchettata di pizzi e nastri e il nonno mi potava subito in giro e mi presentava orgoglioso ai suoi amici. Per quanto mio padre non mi facesse mancare niente, lui fu il primo a regalarmi una bambola. Io lo ricambiavo con tanto affetto e con tutte le mie chiacchiere. Non so se era vero, ma ho sempre pensato di essere la nipote preferita.      

Nonna Rachele

 

 
 
 

MALINCONIA

Post n°31 pubblicato il 16 Aprile 2008 da marineblue

. Oggi io e il telefonino ci siamo scaricati, solo che per lui è semplice; l’ho già attaccato col suo aggeggino alla corrente, ma io invece come faccio? In genere mi ricarico nel mio eremo verde, dove mi stanco da morire perché ci sono sempre mille cose da fare, però lo spirito si ricrea. Fa ancora freddo però e penso che andarvi non sia un toccasana per la mia tosse; vado ai giardini. Un buon caffè al bar poi mi siedo su una panchina e cerco di trarre vantaggio guardando i praticelli verdi costellati di margheritine che mi ricordano quando ne coglievo un mazzolino e lo portavo alla mamma che lo metteva in un vasetto e mi faceva una carezza. Quanto tempo è passato, quante persone a me care non ci sono più, lasciamo perdere ….Un merlo nerissimo, lucido e con un magnifico becco giallo, fruga nell’erba e ogni tanto ingoia un bacherozzo e mi guarda soddisfatto. Beato lui, io non proverò certo la stessa gioia questa sera quando aprirò il cartoccio del prosciutto. Si guarda intorno senza paura poiché gatti non ne esistono più, in parte sono stati mangiati, gli altri sono sterilizzati e dormono nelle ceste in casa dei loro conviventi ( non mi piace chiamarli padroni ). Il gatto è un animale dignitoso che ti elargisce coccole, se ti sei fatto amare, altrimenti ti ignora. Il cane invece sente proprio il bisogno di appartenenza, pronto a dare anche la vita per te. Forse noi non apprezziamo abbastanza questi nostri amici che sono così sinceri e ti amano anche se sei vecchio, malato, noioso e persino sporco. Oggi penso di essere pesante, sarei forse amata da un cane, ma non da voi che avete già la pazienza di leggermi. Perdonatemi!      

Nonna Rachele

 

 

 

 

 

 
 
 

MANDINGO

Post n°30 pubblicato il 11 Aprile 2008 da marineblue

Dal fondo di un cassetto sono usciti alcuni pezzi che ho scritto in passato, questo 30 anni fa quando c’ era Franco vicino a me e ci prendevamo in giro a vicenda Lui ai cambi di stagione s’ indeboliva  a causa della sua ulcera duodenale e io lo sfottevo col sopranome di MANDINGO che nel libro Radici è uno schiavo negro cui ne fanno di tutti i colori, ma resta sempre invincibile. Copio il pezzo così come sta perché in questo modo mi sento trasportata nel passato.

Il Mandingo è lui, il compagno della mia vita, il padre dei miei figli, che è poi una sola; dire mio marito non va più di moda. Naturalmente il suo vero nome è un altro, si chiama così solo dopo che ho letto RADICI. Veramente se ho bisogno lo chiamo Franco, l’umorismo perpetrato ai suoi danni a volte lo secca anche se non lo dice, e non mi risponderebbe. Mandingo viene chiamato quando lo nomino con gli intimi, specialmente con mia figlia, cui viene da ridere tutte le volte. Si, perché lui si sente spesso di malavoglia, almeno fino alla scoperta  da parte degli americani della cimeditina  che gli asfalta l’ulcera e gli lascia dei periodi in cui rovescia il mondo ed è piuttosto prepotente. Quando si sente male invece è buono come un angelo tanto che quando comincia a diventare irascibile, non mi preoccupo più perché sono certa che sta guarendo.

Il Mandingo non è avaro, se gli chiedi danaro sgancia e a volte ti fa anche generosi regali, bisogna solo stare attenti a non prestarglieli i soldi perché a quelli si affeziona e ti fa sudare sette camicie per la restituzione. A volte riesci a riaverli, ma te li elargisce come se tu dovessi ringraziarlo per la sua generosità. Figlio di madre  rompiballe, lui non lo è, salvo quando c’è quella che io chiamo  “ la vestizione della sposa”. Cioè, lui è capace di portare una settimana lo stesso abito e non gli importa molto se i pantaloni di lino sono stazzonati; questo avviene in città. Quando invece andiamo nella nostra casa di campagna e io indosso quanto ho di peggio per potermi tranquillamente sedere sull’erba e vivere una giornata allo stato brado, lui diventa difficile e non c’è mai niente che vada bene (vedi appunto: vestizione della sposa ).Perché, inveisco io .....ti metti i pantaloni nuovi? Non devi ridipingere le finestre? Certo risponde serafico, ma poi mi cambio! Infatti in campagna ho un armadio di vestiti vecchi che mi ha fatto trasferire, che dovrebbero servire all’uopo e che invece servono solo a mandarmi in bestia perché non se li mette mai. Come arriviamo lancio l’urlo: cambiati! Si, un momento! E accende una sigaretta; sapendo che sono allergica al fumo, per un po’ mi toglie dai piedi. Da lontano vigilo e lui passeggia, sa  che a un certo punto mi distraggo. Quando ritorno in me, lui sta sul tetto a rivoltare le tegole coi pantaloni nuovi. Io ho la pressione bassa al mattino, se è salita urlo, inutilmente, ma urlo; se è ancora bassa transigo; vivo e lascio vivere e mi dedico alla  bambina, ai fiori , ai gatti . Ed è allora che lui appare tutto contrito, pare dispiaciuto e invece se ne frega; ha il pennello in mano e una bella macchia di vernice sui pantaloni. Nel frattempo la pressione è salita ed io urlo il dicibile e penso una sfilza di parole moderne che gli farebbero venire un collasso. Per preparagli il pasto occorre poi un chimico perché lui si accorge subito se hai messo un grammo di burro in meno o se lo hai soffritto un secondo in più; vuoi per l’ulcera, vuoi per il carattere, lui è così. Il Mandingo legge molti libri gialli e si immedesima; così nel bel mezzo della notte lancia un urlo e mi spinge giù dal letto per ripararmi perché sparano, dice. Anche i film con gli indiani gli piacciono,  ma   ahimè, sempre a metà notte, mi chiama con voce soffocata: "ho una freccia in gola" ed io ….Mandala giù che non ti fa niente!

Se dimentica di fare qualche cosa, anche se è molto importante, si è semplicemente scordato e apre le braccia per dire che non ci può far nulla. Se a dimenticare sono io allora mi guarda stranito e disapprovante, non riesce a capacitarsi. Tutti gli anni a Pasqua si presenta il problema prenotazione vacanze estive. Io odio il caldo, ma lui riesce sempre  a trascinarmi dove in agosto ci fan 40 gradi all’ombra: Spagna,Marocco,Malta…..Non ho capito se mira all’ uxoricidio perfetto o se, odiando lui il freddo, mi porti per forza al caldo. Arriva a casa con fasci di deplientes  (lui sa già dove andremo)e mi chiede dove voglio andare e si arrabbia se non glielo dico. Ma come parlo di Londra o dei Paesi Scandinavi lui ,o dice che non possiamo permettercelo,o parla di scioperi d’ aerei. Così si finisce a Malta, non con uno ma con due aerei e spendendo la stessa cifra che occorreva per il nord. Comunque poiché mi porta in alberghi con aria condizionata e piscina, io non solo sopravvivo, ma passo delle meravigliose vacanze. Dimenticavo di dire che in ferie, lontano dalle rogne del lavoro e dalla madre eternamente di parere contrario, libero di fare ciò che vuole migliora notevolmente. Sia ben chiaro che io adoro il Mandingo, perché amare vuol dire accettare anche i difetti dell’amato, o no?  Lui ha poi anche tante buone qualità, ma quelle non fanno mica ridere!       

      Nonna Rachele

 
 
 

VERONICA

Post n°29 pubblicato il 07 Aprile 2008 da marineblue

Quel cosino che mi misero in braccio in un tempo lontano ebbe sempre ed ha tuttora un grande posto nella mia vita. Mia nipote era una bambina adorabile, buona, carina, allegra, un vero tesoro, basti dire che fu l’unica ad andare d’ accordo con mia suocera. Purtroppo avendo il negozio da mandare avanti ho potuto godermela poco. Era mia solo il giovedì pomeriggio e la domenica. Gli altri giorni poiché mia figlia insegnava, la bambina era affidata alla nonna e alla zia paterna che come me l’adoravano. Lei amava tutte, almeno non dava a vedere di avere preferenze, tanto che quando vedeva i genitori preparare le valigie, metteva il pigiama in una borsa e chiedeva: io da che nonna vado? Ed era molto orgogliosa di asserire che lei aveva tre case. Non ricordo se aveva due o tre anni quando la portai con me al mare. La madre la vestiva sempre sportiva come lei, ma a Veronica piacevano anche gli abiti un po’ frou frou ed io l’ accontentai. La sera faceva la sua apparizione agghindata a dovere sull’alto della scala e scendeva tipo Vanda Osiris, allora si sentiva il coro delle voci gutturali dei tedeschi che dicevano: Veronica come sei eleganteee. Anche loro l’avevano in simpatia, le avevano regalato un enorme pallone e la signora tedesca veniva tutte le mattine a spalmare sulle spalle di mia nipote una crema speciale che aveva portato da casa per pelli molto delicate. Lei ricambiava con lunghi discorsi che pareva loro capissero. Il   pomeriggio andavamo a fare il riposino, io avvicinavo il suo lettino al mio e le davo un giornalino, credendo di poter intanto leggere il mio, ma dopo poco vedevo spuntare il suo bel faccino e mi chiedeva: nonna iaia mi faresti un pochino di compagnia? Era irresistibile, me la tiravo sul letto e la riempivo di baci; ma qui  c’ era la seconda richiesta: mi racconti la favolina? Avevo dovuto inventarne molte perché di leggerne dopo l’ indigestione che ne avevo fatto da bambina, non me la sentivo. Le mie non contenevano né fate né principi, ma solo animali naturalmente parlanti. A volte me ne chiedeva una specifica, ma non dovevo sbagliare nemmeno una virgola perché mi correggeva. Mi chiedevo:" ma se la sa a memoria perché me la fa ripetere?" Ma certo, era come me che ho visto innumerevoli volte : Via col vento, Ghost e Pretty woman. Ho avuto con mia nipote un grosso successo letterario perché qualche anno dopo quando andava in vacanza coi genitori mi faceva promettere di mandarle almeno una favolina e io lo facevo. Il guaio era che non sapeva ancora leggere e i genitori si stancavano di farlo innumerevoli volte. Mia nipote non si è mai scoraggiata di fronte alle difficoltà e con un bel sorrisino andava dagli altri ospiti e chiedeva: per piacere mi leggi la favolina della mia nonna? Si mettevano a ridere e lo facevano; così mi hanno letto nei vari alberghi fino ai suoi sei anni, dopo di che se le imparava a memoria da sola. Forse tutte le nonne trovano straordinario ciò che fanno i loro nipoti, ma io mi stupii molto quando una sera Veronica ,che aveva due anni e mezzo mi telefonò dicendomi che era sola in casa e non piangeva ma quasi lo facevo io. Chiamai subito mio marito, che mi disse che i genitori erano nella porta accanto alla riunione di condominio. Telefonò alla figlia e le disse di andare subito a casa che la bambina aveva paura; e tu come fai a saperlo? Mi ha telefonato. Era successo che un giorno che mia figlia doveva attaccare tende e prima di salire sulla scala le scrisse in grande su un biglietto il mio numero e le disse: se cado chiama la nonna. Per fortuna non cadde, ma il numero servì comunque, perché lei riuscì a seguire le forme dei numeri trasferendole sul telefono. Il mio tesoro in inverno aiutava me in cucina mi lavava gli spinaci foglia per foglia sotto il rubinetto così non c’era pericolo di trovare sabbia nel piatto. In estate aiutava mio marito in giardino; infatti appena arrivava in campagna diceva: cosa facciamo nonno? Nei pomeriggi delle domeniche invernali quando aveva sette o otto anni voleva che andassimo in negozio a mettere ordine. Le avevo spiegato che le scatole andavano messe per numero di articolo e per taglie progressive e non si è mai sbagliata. Ora si chiamerebbe sfruttamento di minore, ma lei si divertiva tanto che non voleva mai tornare a casa. Quanto mi ha dato questa meravigliosa creatura ! Le sono molto grata. Avrei tante cose da raccontare anche di mia figlia, ma è così riservata che non vuole si parli di lei. Peccato però! Se mai ci ripensasse……

Nonna Rachele

 
 
 

IL VIAGGIO DEL RIMORSO

Post n°28 pubblicato il 02 Aprile 2008 da marineblue

Avevamo sempre sognato di fare un bel viaggio, specialmente mio marito in quanto io supplivo alle carenze con la fantasia. Non ne avevamo mai avuto la possibilità. Appena sposati le difficoltà erano di ordine finanziario, dopo era arrivata la piccola che aveva bisogno di mare. Cominciò così la lunga serie delle vacanze a Miramare; alla bambina il mare piaceva moltissimo, a me veniva sempre più a noia, perché col passare del tempo la mia allergia al caldo aumentava e il mio lui dopo due giorni sbadigliava come una leonessa in gabbia. Così per consolarci a vicenda continuavamo a parlare del viaggio che avremmo fatto quando la bambina si fosse sposata. Infatti a forza di estati al mare la figlia era diventata grande, aveva il ragazzo e tutto lasciava presagire che finito di studiare si sarebbe fatta la sua famiglia. Io avevo pallidamente accennato negli ultimi anni di lasciarla andare al mare con le amiche e il ragazzo come nel frattempo era venuto di moda, ma mi ero vista guardata come se fossi stata una maitresse e non per mancanza di fiducia verso quella brava figliola, né verso il fidanzato, ma solo per un vizio di forma. Passò  qualche anno e la mia bambina si sposò. Per mio marito fu un giorno angosciante; di ritorno dal rinfresco lo trovai in lacrime che si nascondeva dietro una porta e ne provai una gran pena. Io non ero malinconica, mi immedesimavo nella felicità di mia figlia. Con la mia fertile immaginazione vedevo quei due ragazzi belli, allegri, innamorati a Parigi in viaggio di nozze e il cuore mi si riempiva di gioia. Quando tornarono, poiché risiedevano nella stessa città e non troppo lontano, finimmo per vedere Marina più spesso di quando abitava con noi e sempre occupata dagli studi e dalla attività sportiva e dal fidanzato passava in casa come una meteora. Mio marito si consolò e riprese a parlare più concretamente del famoso viaggio. Dopo aver consultato fasci di depliants, optammo per il Marocco che avremmo raggiunto a bordo dell’ENRICO C.  Prenotammo per i primi di giugno perché non fosse troppo caldo e io mi sentii d’ un tratto ringiovanita. Mi buttai allegramente nei preparativi. I vestiti, i costumi da bagno, l’abito lungo per la serata di gala, le valigie nuove. Si può dire che feci due crociere: quella a casa sognata e pregustata e quella vera. Un giorno venne mia figlia a trovarmi e buttò li come la cosa più naturale del mondo che aspettava un bambino. La mazzata mi lasciò tramortita; appena potei parlare le chiesi quando sarebbe arrivato questo bambino. A  luglio, rispose. A luglio? Sbigottita, va bene rinuncerò alla crociera. Perché dovresti rinunciare? Sono incinta io, non tu. E se arrivasse in anticipo? Mamma esistono gli ospedali , ed io ho 22 anni, non 2. Vai, non rompere! E poi ti prometto che ti aspetto. Ne parlai con mio marito, volevo disdire la prenotazione ma pareva che anche lui fidasse sulla puntualità del futuro nipote e non mi diede retta. Poiché la gravidanza procedeva in maniera perfetta, decidemmo di andare ugualmente. L’effervescenza dei preparativi era però scemata. Mi sentivo una madre snaturata, ero arrivata persino a sperare che uno dei due si sentisse male per essere costretti a rinunciare. Ma visto che continuavamo a godere ottima salute, mi venne una gran fretta di partire e appena partita, una gran fretta di tornare.

C’imbarcammo a Genova verso le quattordici, alle sedici la nave cominciò a ballare un po’ ma nel mezzo del golfo del golfo del Leone il mare aveva raggiunto forza sette, scendemmo in cabina e ci sistemammo nelle cuccette.

Guardare fuori dall’oblò era terrificante, c’ erano onde gigantesche; fu una notte orribile. Al mattino verso Palma de Maiorca il mare si calmò e l’ isola mi sembrò bellissima; la folla eterogenea dei turisti gremiva le strade e i favolosi negozi, ma io provavo un senso di angoscia. Era passato solo un giorno, ne dovevano passare altri sette. Io che amavo tanto quella ragazza che con gli altri chiamavo mia figlia, ma dentro di me mi ostinavo a chiamare la mia bambina, l’avevo abbandonata. Provavo un senso di rancore anche per il mio correo, ma obiettivamente dovevo riconoscere che ero abbastanza grande per oppormi se proprio avessi voluto. Subentrava poi la parte razionale di me: mia figlia non era mai stata mammona, era disinvolta ed efficiente, abituata ad organizzare la sua vita meglio di me. Lasciammo l’isola verso sera e navigammo tutta notte su un mare liscio come un’autostrada. Da Casablanca andammo a Marrakech; ci faceva un caldo d’ inferno, ma non si poteva non ammirare la celebre piazza che aveva l’ aspetto un po’ di una fiera popolare e un po’ di un circo coi giocolieri e gli incantatori di serpenti. Sulla nave di giorno qualche volta riuscivo a distrarmi; di sera nella mia cuccetta ero ripresa dall’angoscia e dal rimorso. Visitammo poi Tangeri, Rabat e forse anche altre città, ma per me era come sfogliare distrattamente un libro di cui si ha fretta di giungere alla conclusione. Dei bellissimi bambini dai grandi occhi neri ci rincorrevano gridando: cento lire per collezione! Noi sapevamo benissimo di che collezione si trattava e proprio per questo li accontentavamo. Durante la navigazione il mio lui giocava a carte e io stavo in piscina a prendere il sole e a guardare i delfini giocherelloni uscire dall’ acqua sulla scia della nave. Sul ponte tra cielo e mare rosa dai rimorsi, facevo un esame di coscienza e mi chiedevo se ero stata una buona madre. Che ci avessi messo tutta la buona volontà era indubbio, ma è così difficile il mestiere di genitori ed è così facile sbagliare. Avevo fatto di tutto perché non diventasse la classica figlia unica paurosa e un po’oca sempre al riparo delle gonne della mamma. Quando partiva in aereo con la squadra di Pallavolo di cui faceva parte mi si contorcevano le viscere ed ammutolivo fino al suo ritorno, ma non ho mai fatto niente per trattenerla. Ho cercato, compatibilmente con le nostre possibilità economiche di procurarle abiti e divertimenti. Mi sono prodigata per comunicare con lei, ma ci sono poi riuscita? Ed era questo che mia figlia voleva da me o altro ? Mi si potrebbe accusare di tutto, ma non di non averle voluto bene e sarebbe molto triste se avessi fallito nell’unica  che mi importa, di non essere stata una buona madre o almeno inadatta a lei. Quando mio marito mi veniva a prendere per la cena ci avrei giurato che anche  lui aveva dei rimorsi, ma non gli chiedevo nulla, perché non lo avrebbe ammesso nemmeno sotto tortura. Ormai che stavo per tornare avevo la certezza che non era successo niente durante la mia assenza e diventavo euforica. Appena sbarcata telefonai a casa; tutto bene, figlia e nipote erano stati di parola,non si erano ancora lasciati e godevano entrambi buona salute. Quando abbracciai mia figlia avrei voluto chiederle perdono, ma non sarei stata capita e sorvolai. Cominciai a raccontare ciò che avevo visto, ma in modo caotico:ricordavo palazzi,chiese , monumenti, ma non sapevo più se le avevo viste a Rabat , Casablanca o a Tangeri. Diedi  la più gran testimonianza di rimbambimento. Ogni tanto pensavo al rischio corso, ma passò un mese prima che mi mettessero fra le braccia quel cosino violaceo e umido che era mia nipote, la strinsi al cuore e le dissi: birichina, mi hai rovinato il primo vero viaggio della mia vita. Quell’ abbraccio fu l’ inizio di un grande amore. Poi la guardai: Dio, com’ è bella!  Non lo era, ma lo divenne, la mia Veronica e non solo bella ma con tante doti. 

Nonna Rachele  

 

 
 
 

GIULIA MARAMOTTI (Una donna eccezionale)

Post n°27 pubblicato il 26 Marzo 2008 da marineblue

Da bambina sognavo di diventare un medico, anche se allora le dottoresse erano poche. Mi scontrai per la prima volta con papà che non ne volle nemmeno sentir parlare ed aveva ipotizzato per me  un avvenire di brava signora che sapesse gestire una casa, accudire i figli e il marito, sapesse cucinare, riordinare, cucire e fare la calza. Alla mia istruzione pensava lui che era già in pensione e ci pensò veramente, ma in maniera anomala. Sostenevo conversazioni con adulti, ma coi miei coetanei ero un pesce fuor d’ acqua, non ne conoscevo il gergo e capivo di non poter parlare loro di Confucio. La tata provvedeva a farmi diventare una colf perfetta e la mamma mi istruiva in cucina anche se avevamo interminabili discussioni sulle migliorie che volevo apportare e che lei non condivideva. Ebbi due anni di vere sofferenze anche se cercavo di non farlo capire a papà per non addolorarlo. Ero sola perché le mie amiche, figlie di contadini, non potevano farmi compagnia in quanto già lavoravano, le benestanti prendevano tutte le mattine il pullman e andavano a scuola in città, le cosiddette ricche le avevo quando venivano in campagna. Mi è rimasto così impresso il dolore di quando vedevo chiudere le ville e salutavo le mie amiche, che persino ora, passo l’ estate in campagna, ma quando cominciano le brume autunnali e si accorciano le giornate fuggo in città con gioia. A un certo punto mia madre aveva tentato di insegnarmi i segreti dell’uncinetto e dei ferri da calza. Li odiavo lasciavo cadere i punti e facevo tutto a rovescio. Pensarono di mandarmi da una sarta vicina perché imparassi a cucire, ma anche li fu un fiasco non ne volevo sapere di fare i punti    piccoli e tutti uguali, mi divertivo a tirare talmente il filo che l’indumento si arricciava. Puàh! Per fortuna la mamma conobbe la sig. Giulia Maramotti e le parlò di questa figlia degenere e le chiese  di prendermi alla sua scuola di Taglio e Cucito. Da quel momento la sig. Giulia divenne la mia seconda mamma. Era una donna molto intelligente e quando vide che non facevo progressi capì che non era perché ero scema, ma che non mi piaceva. Io mi confidai a  lei e le dissi che volevo fare il medico, ma se questo non era possibile almeno andare a scuola coi ragazzi della mia età. Mandò a chiamare la mamma che mi sapeva infelice ed insieme tramarono contro papà. La sig. Giulia gli disse che io avevo bisogno per imparare a fare bene i modelli di andare all’Istituto d’Arte.  D’accordo non era medicina, però  mi accontentavo; volevo diventare una ragazzina normale. Grazie sig. Giulia mia grande benefattrice. Fu l’estate più lunga della mia vita, non vedevo l’ ora di andare a scuola e finalmente venne ottobre. Quanto mi divertii in quei quattro anni di Istituto d’Arte!Siccome andavo a scuola solo il mattino, il pomeriggio andavo  a fare taglio e cucito e per riconoscenza verso la sig. Giulia imparavo ed ero felice. Avevo poi incominciato a fare i disegni per i libri di taglio e a guadagnare qualcosa per i miei piccoli bisogni.

Ero molto esuberante e a volte ne combinavo qualcuna, però quando lavoravo diventavo seria e precisa e la sig. Giulia non ha mai avuto bisogno di rettificare i miei disegni.

Andavo anche in tipografia a correggere le bozze e non sono mai stata sgridata per il mio lavoro, ma solo per le mie birichinate. La più grossa che feci fu questa: la sig.Giulia voleva nutrire anche il nostro spirito e un anno prima di Pasqua fece venire tutti i giorni per mezz’ora un prete a farci la predica. Non fu felice la scelta del reverendo, che era noioso con una voce monotona, e si faceva una gran fatica a reprimere gli sbadigli. In un angolo del salone, c’era una sedia che aveva un piede pericolante ed era stata messa da parte in attesa del falegname. Io la presi sistemai bene la gamba e andai a sedermi proprio davanti e nel bel mezzo dell’omelia, spostai il piede e caddi a gambe all’aria fra le risate generali. Il prete perse il filo, se ne andò e non si vide più. Quella volta la sig. Giulia mi sgridò; io mi difendevo dicendo che non sapevo che la sedia fosse difettosa. Naturalmente non la bevve e scosse la testa, perché malgrado le malefatte, le ero simpatica.

Finito l’istituto d’arte irretii i professori perché inducessero mio padre a farmi continuare a Bologna e lui a malincuore acconsentì, solo che per iscrivermi avevo bisogno anche di un diploma di magistrali inferiori in quanto avevo studiato solo materie artistiche. C’era il programma di quattro anni e lo dovevo svolgere in un anno. Per l’italiano me la cavavo, ma restavano latino, francese, matematica, storia e geografia, musica e puericoltura. Fu un anno molto intenso, ma le sfide mi piacciono. Ce la feci; purtroppo per niente in quanto la guerra era diventata molto cruenta e non mi permetteva più di prendere treni che venivano sempre mitragliati. La gente fuggiva dalle città bombardate.

In attesa di tempi migliori, mi impiegai in un mulino. Finì la guerra, il mio fidanzato tornò a casa e cominciò a parlare di sposarmi. Abbandonai il mio sogno e siccome al mulino andavo solo mezza giornata, nell’altra mezza giornata tornai alla scuola Maramotti a fare disegni. La sig. Giulia apprezzava il mio lavoro e chiudeva un occhio sulle mie intemperanze; sapeva che ero così vivace per carattere, ma che le volevo bene e non ero certo cattiva. Poi mi sposai, lei voleva che continuassi a lavorare, ma mia suocera, soprannominata da me e mio cognato IL DUCE , non voleva; dovevo stare a casa. Quando andavo a trovarla, mi chiedeva: “Si può sapere cosa fai tutto il giorno ? “ ed io le rispondevo che facevo l’orlo a giorno nelle lenzuola, peraltro senza mai contare i fili, perché lo ritenevo inutile. Lei sbuffava, non voleva come suol dirsi mettermi su, però non approvava. Passarono così quattro anni infernali per me; ma appena la bambina ebbe tre anni la iscrissi all’asilo e una sera (non chiesi il permesso)  semplicemente annunciai che il lunedì sarei andata a lavorare dalla sig. Maramotti mezza giornata perché l’altra metà l’avrei dedicata ai lavori di casa. Ci fu un silenzio di tomba che io interpretai come consenso. Da quel momento lavorai molto ma mi divertii anche molto. Avevo ritrovato le mie amiche, ero in mezzo a gente giovane e mi piaceva anche l’indipendenza economica. La sig. Giulia era buonissima con me, quando sapeva che la mia bambina era malata mi dava il permesso di portare a casa i miei disegni da finire. Quanto bene mi ha fatto questa donna meravigliosa, ho imparato molto da lei e non mi riferisco solo alle nozioni di taglio, ma soprattutto mi ha insegnato ad essere forte, a come prendere ed affrontare la vita. Mi disse: “ La strada più dura per una donna è accompagnare al cimitero un figlio, io ho fatto tre volte quella strada e ho combattuto lavorando anche 20 ore al giorno in modo da cadere sfinita e dormire un po’.” Nei miei grandi dolori per combattere ho usato questo metodo. Grazie sig, Giulia.

Restai a lavorare per lei dodici anni poi mio marito ebbe la fortuna di ottenere da suo zio un negozio in via Emilia e aveva bisogno di me.

La sig. Giulia capì e mi lasciò andare, ma le dispiaceva tanto che l’ultimo giorno che lavorai per lei mi espose tutto un programma come se non fosse vero che me ne andavo. Se ci penso mi viene ancora il magone. Dovevo per forza voltare la pagina e andai in negozio dove mi diedi da fare e poiché venivo dal mondo della moda, mi buttai su tutto ciò che vi era di nuovo e che piaceva molto ai giovani. Passai così ventidue anni in negozio, con mia cognata, senza mai litigare, perché ci eravamo divisi le mansioni, io pensavo alla vetrina e lei alla contabilità e insieme ci dedicavamo alla vendita. Lavoravo molto, mi stancavo molto, ma mi piaceva. Ringrazio di nuovo la sig. Giulia, perché ho capito che il bagaglio di cognizioni che mi ha elargito, ho potuto applicarlo anche in altro campo.

Nonna Rachele

 
 
 

ALTROCHE' NEGRIERA

Post n°26 pubblicato il 22 Marzo 2008 da marineblue

Sono quella che mia madre definisce negriera, e cioè sono la figlia di nonna Rachele.
Mi ero ripromessa di non scrivere mai nel blog di mia madre, ma non posso lasciare che i  suoi fans  (macchiolina , bonaria, lussina, warger, laura1953, prettywoman, leon, atapo, talisman, silvia ,ecc…..)   continuino a pensare che io sia  davvero così terribile …… e per farvelo capire cercherò di trascrivere fedelmente una conversazione, che ho avuto con mia madre, tramite il cellulare, la vigilia di Pasqua, mentre ero l’ultima di una fila interminabile alla cassa di un supermercato, con intorno 3000 persone che ascoltavano divertite. Premetto che mia madre si impegna davvero tanto  al pc e sta diventando bravina, ……anche se non capisco come faccia, visto che quando vado a casa sua per insegnarle  si rifiuta, dicendo che quando io sono da lei ..ha voglia di parlare  con me e non di mettersi al pc.
C’è solo una cosa …..che quando tutto fila liscio è brava , ma se solo sbaglia qualcosa …poi va nel panico e se glielo chiedete non sa neppure più come si chiama !
Allora, come dicevo ero in fila e sento suonare il cellulare:

-Aiutoooo, oh ben ben, mammamia ……ma come faccioooooooooo …….
-Mamma cosa c’è ….. dai calmati (mentre mentalmente mi passano davanti agli occhi tutte le cose terribili che potevano  esserle capitate : caduta dalle scale , tagliata un dito mentre affetta le cipolle, arrivata una bolletta del telefono da 500mila euro…….) Dai mamma dimmi cosa c’è !
-Mi è sparita la pagina !!!!!!!!!!!!!
-(stramaledico….roba che mi faccia venire un infarto per una pagina sparita) Dai va beh ...mamma  …. Spiega…. cosa hai pigiato?
-Ti avevo telefonato anche prima perché non riuscivo a far scorrere la pagina, ma tu non hai risposto e allora l’ho chiesto a Veronica e lei mi ha detto di mettere il cursore in fondo all’ultima parola e pigiare invio e la pagina è sparita …..e pensare che ieri avevo scritto tanto ….non posso tornare a scrivere tutto ....aiutamiiiiiii.
- Allora ascoltami …. Prova a guardare in alto dove c’è il quadratino con il grassetto e….
-Grassetto??????? Cosa è il Grassetto????? Tu non me lo hai mai spiegato !
-Mammaaaaaaaa  daiiiiiiiii lo hai sempre saputo cosa è il grassetto.
-Ah il grassetto ….ma si certo che sò cosa è il grassetto
-Ecco allora in quella fila dove c’è il grassetto ci dovrebbe essere una freccia voltata indietro ….come una inversione ad U .
-ci sono tre frecce voltate in giù, una in su, due a destra e una a sinistra …quale pigio?
-No mamma questa freccina va prima in su e poi volta a sinistra , come per farti capire di tornare indietro
-No a sinistra non c’è nessuna freccina
-ma noooooooooo mammaaaaaaa è la freccia che è voltata a sinistra ma tu non devi cercarla a sinistra …… guarda bene tutta la linea
- ah si trovata ….. però sopra c’è scritto FORMATO
-Senti …fregatene di cosa c’è scritto sopra … tu cliccala !
-EVVIVAAAAAAAAAA è tornata ……che bello ……. Ma però è tutta nera !
-Clicca nel bianco !
-Eh però adesso ce ne manca un pezzo .
-Mamma ragiona, fai scorrere la pagina .
-Che scoperta ….. ti dico che non scorre.
-Pigia le freccine
-no la freccina in su non funziona
-per forza mamma …… ragiona …. La pagina deve andare in giù e non in su
-Non va neppure in giù!
-Senti mamma fai una cosa ….. chiudi tutto senza salvare  e poi riapri.
-Stai fresca, con tutto il lavoro che ho fatto ieri…. Figurati se non lo salvo
-Mamma quello che hai fatto ieri lo hai già salvato ….oggi hai fatto solo ca……. inutile salvarle.
-Beh io non mi fido …. Poi perdo tutto quello che ho fatto ieri.
-Senti mamma, allora è inutile che mi telefoni se poi non ti fidi di quello che ti dico.
Vi ricordo che il tutto avveniva mentre  ero in fila alla cassa del supermercato .
-ehhhhhhh aspetta, aspetta, ecco, ecco …. Mi è apparso un altro pezzettino di testo ….. ma ne manca ancora un po’
-beh allora rifai quello che hai fatto
- e cosa ho fatto?????
-Mammaaaaaaaaaa  ragionaaaaa….come posso sapere qui dal supermercato cosa hai fatto tu a casa tua ????
-Ehhhh ecco ecco …. Perfetto adesso ho trovato tutto , ciao grazie .

Dopo mezz’ora mi è arrivato un sms straziante :”Dì la verità ….sei pentita eh …di avermi insegnato ad usare il computer?”
Ma no mamma , come posso essere pentita vedendo quanto ti diverti, vedendo quanto tutto questo ti ha riempito le giornate, vedendo quante persone  ti stanno apprezzando e ti si stanno affezionando .
Continua così che sei forte !!!
La negriera  (o la vittima decidete voi)

 
 
 

IL GENERALE DELLA GHESTAPO

Post n°25 pubblicato il 21 Marzo 2008 da marineblue

Adesso sto scrivendo sul "bimbo"; la bestia nera si è licenziata  da sola perché io non riuscivo ad abbandonarla e lei era stanca . Ha cominciato a fare strani rumori e soprattutto a puzzare di gomma bruciata e così ha fatto volontariamente la fine  dei vecchi che non servono più. Mia figlia l’ ha infilata in una borsa; io non ho osato chiedere e non so se l’ha buttata o se sta in cantina, tanto è la stessa cosa. Poi si  è messa a insegnarmi a usare il Bimbo e ora sta lui sul tavolo di cucina in attesa di una sistemazione più consona perché tutto nuovo e lucido si da un sacco di arie. Quello però che non sapevo è che fosse così inflessibile, non me ne lascia passare una, sembra un generale della Ghestapo. Poi è pignolo all’eccesso e avevo pensato di chiamarlo come un capufficio che ho conosciuto, il quale pretendeva che le matite fossero tutte allineate sulla scrivania in ordine di lunghezza e perfettamente perpendicolari al bordo del tavolo. Il terrore era poi quando uno era chiamato ad abbassare le veneziane. “Così ? 4 centimetri più su, così ?Leggermente più giù, inclini le stecche, ma non così tanto, forse è meglio se le alza 2 centimetri, ho detto 2 non 4”.

A questo punto se uno voleva salvarsi doveva solo svenire. Per stabilire poi se era meglio scrivere fra o tra ci voleva una intera mattina. Era il nome adatto per il Bimbo, ed era anche un bel nome, ma mia figlia che è molto più saggia di me ha stabilito che era meglio non farlo. Dunque dicevamo che il Bimbo se dimentichi lo spazio ti fa subito sotto un segnaccio rosso, mi affretto a correggere e vedo due segni rossi sotto RACCONIGI e VENARIA e qui è lui che è ignorante se non sa che esistono in Piemonte (mia figlia sa come zittirlo ) segna rosso anche se la virgola non è perfettamente aderente alla parola che la precede, se non lascio abbastanza spazio dopo il punto, se la parola non è italiana. Sembra Mussolini quando vietava nel modo più assoluto di usare parole straniere e avevo pensato di chiamare il Bimbo col nome Duce, ma è appartenuto a mia suocera e non ho voluto toglierglielo. A un certo punto mi sono stufata di correggere sbagli che  non influivano sul contenuto ma è apparsa  una finestra nella quale era scritto: vai subito a correggere e   per le parole  straniere usa il corrispondente italiano. Sta fresco io sono stanca di tutte queste imposizioni, tolgo la finestra e tiro avanti imperterrita. Speriamo non si metta a imprecare a dire parolacce.

 

P.S. : Mi dispiace, nei miei post troverete delle ripetizioni; è un triste retaggio dei vecchi, portate pazienza, non si salvava nemmeno il mio grande padre, al quale con la crudeltà dei giovani rispondevo con un numero: 25, 36 ecc….

Lui mi guardava stupito e chiedeva : “Te l’ho già detto?”…….   Si Papà !”

Nonna Rachele

 
 
 
 

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NONNA RACHELE SU SKY

Sky History Channel sostiene la Banca della Memoria.

Nonna preparati perchè presto ti si vedrà su Sky!!!

 

QUESTO BLOG.........

......... è nato per gioco, per unire in un progetto comune Madre, Figlia e Nipote.
A neanche 24 ore dal primo messaggio postato da mia nonna, il Blog si è riempito di visite e commenti e credo che se inizialmente poteva essere titubante e confusa nel partecipare a questo “gioco”, ora grazie a voi, ne ha preso consapevolezza e imparare ad usare il computer non la trova più un’idea così terrificante. (A parte ieri sera che nello spegnere il computer continuava ad apparirle un messaggio che le diceva che aveva una finestra aperta e l’ho sentita dire “ma come ?????  Tutte le mie finestre sono chiuse !!!!” ).
Finchè lei ne avrà voglia continueremo questa avventura. Io che la conosco bene so che ha tante cose da raccontare interessanti, proprio perché a volte non è quello che si racconta, ma come lo si racconta.
Buona lettura.
Veronica, la nipote.

 

 

REGGIO EMILIA HA SCOPERTO NONNA RACHELE

Stamattina Nonna Rachele si è svegliata con una sorpresa!
Si è ritrovata insieme a sua nipote, (quella vera  ) in prima pagina sul Resto del Carlino di Reggio Emilia.

Il primo tuffo al cuore è stato quando ha visto questa:


 

Il secondo tuffo al cuore è stato quando ha visto questo:

 

 

NONNA RACHELE SU LA STAMPA

 

LIBRO DI MIA NIPOTE

Alla televisione mettono la pubblicità, sui giornali mettono la pubblicità, nella buca delle lettere mettono la pubblicità (che rabbia!!)
Perdonerete se metto sul mio Blogghino un po' di pubblicità pure io.
Per una giusta causa però!
Libro di mia nipote:

"Canto XXXV Inferno. Donne affette da Endometriosi" Di Veronica Prampolini
Edito da Mammeonline

www.donneaffettedaendometriosi.it

http://blog.libero.it/librodade/



 

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