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Su Instagram, con il nome di "Statbunker", l'autore si occupa di debunking statistico e probabilistico


 
 
 
 
 
 
 

 

 
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L'UNIVERSO AFFOLLATO: ALLA RICERCA DI PIANETI ABITATI di Walter Caputo - 14-15/8/2010

Alan Boss ha scritto un libro veramente bello. "L'Universo affollato - Alla ricerca di pianeti abitati" (editore Le Scienze, 2010) è un diario di viaggio lungo 14 anni, in cui si narrano le vicende degli astronomi che hanno partecipato alla caccia ai pianeti situati al di fuori del nostro Sistema Solare. Dal 1995 al 2009 si susseguono le speranze, i progetti, i meeting, gli annunci, le verifiche, le stime e - soprattutto - le idee di chi ha lavorato con un unico obiettivo: la caccia ai nuovi mondi. Si tratta di un libro, peraltro molto efficace dal punto di vista del linguaggio, decisamente divulgativo, che offre tantissimi spunti di riflessione. Tratterò in questo articolo soprattutto le affermazioni di natura statistica che vengono fatte dall'autore, alcune delle quali sono corrette, altre per lo meno azzardate ed altre ancora assolutamente scorrette. Come ho già fatto in precedenti articoli (*), intendo divulgare un corretto uso dei concetti statistici, proprio per demolire la credenza secondo cui con la statistica si può affermare ciò che si vuole e non ciò che è.

Nel suo diario Alan Boss, il 21 agosto 1995, scrive che George Wetherill, nel corso della sua relazione in occasione di una conferenza che si tenne al Caltech di Pasadena dal 7 al 10 dicembre 1992, "aveva scioccato una platea di parecchie centinaia di astronomi e studiosi di scienze planetarie facendo notare che la prova dell'esistenza di un solo sistema planetario contenente Giove non significa necessariamente che i pianeti simili a Giove siano comuni". Nel 1992 non era ancora stato scoperto alcun pianeta orbitante intorno ad una stella diversa dal nostro Sole, dunque perché pensare che possano esistere altri Giove intorno ad altre stelle? Non avendo evidenze statistiche, non era possibile affermare che i pianeti come Giove
fossero comuni, di conseguenza l'affermazione di Wetherill non avrebbe dovuto scioccare nessuno, poichè era un'affermazione corretta dal punto di vista statistico.

Il 23 novembre 1995 l'autore, nel suo libro, spiega come mai Gordon A. H. Walker non sia riuscito a scoprire alcun pianeta extrasolare dopo 12 anni di osservazioni; al contrario, servì relativamente poco tempo a Michel Mayor e Didier Queloz per
scoprire, nel 1995, il primo pianeta orbitante intorno ad una stella simile al Sole. D'altronde Mayor e Queloz osservarono 142 stelle, mentre Walker ne considerò soltanto 21. Se voglio fare un'indagine su coloro che abitano nel mio condominio
(ad es. per verificare se gradiscono che venga costruita una moschea nel mio quartiere, quindi mi interessa valutare il grado di razzismo), i risultati saranno più attendibili se intervisto 25 persone su 50 (invece che 5 persone su 50). Dunque sarà
più facile trovare 1 razzista su un campione di 25 (estratto da una popolazione di 50), piuttosto che 1 su un campione di soli 5 soggetti (sempre estratti dalla medesima popolazione). Ecco perchè Mayor e Queloz centrarono il bersaglio. Tuttavia non è corretto affermare che si tratta di "un fenomeno che ha l'1 per cento di probabilità di manifestarsi", anche se 1 pianeta su 142 stelle corrisponde a poco meno dell'1 per cento. Ciò in quanto si può parlare di probabilità se si conosce il rapporto fra numero di casi favorevoli all'evento e numero di casi possibili: a quanto ammonta il numero di stelle presenti in tutto l'Universo? E quanti sono, sempre in tutto l'Universo, i pianeti extrasolari? Non abbiamo risposte a queste domande e ciò implica che non conosciamo la probabilità di trovare pianeti extrasolari.

Il 7 agosto 1996 Boss scrive che "dovevano esserci molti pianeti là fuori, e se nel nostro sistema solare c'erano almeno due pianeti (l'autore si riferisce alla Terra e a Marte) ad ospitare (o ad aver ospitato) la vita, non c'era motivo di dubitare
che non si fosse evoluta in tutta la galassia
". Qui l'autore commette lo stesso errore che già avevano commesso gli astronomi che erano rimasti scioccati dall'affermazione di George Wetherill. Quest'ultimo avrebbe potuto dire: "Il fatto che la vita
si sia evoluta sulla Terra non significa necessariamente che si sia evoluta anche in altri pianeti della nostra Galassia".

L'11 novembre 1999 l'autore descrive la difficoltà di osservare il transito di un pianeta extrasolare. Fino alla scoperta del nono pianeta, non si era riusciti a "vedere" alcun transito. Ma ora "la notizia era che il team di Butler aveva trovato il decimo Giove caldo, e che quel decimo pianeta transitava, eccome. L'ipotesi del 10 per cento di probabilità di poter osservare il transito dei giganti gassosi veniva dunque confermata: in perfetta coerenza con il calcolo delle probabilità, si era dovuto aspettare proprio la scoperta del decimo pianeta". Sebbene non risulti dal contesto, la speranza è che questa affermazione sia una sorta di battuta umoristica. Infatti, come già spiegato in precedenza, non è possibile calcolare la probabilità di osservare il transito di un gigante gassoso. Si potrebbe tentare una stima, arrampicandosi sui vetri, ma, in
ogni caso, la verifica di una stima è una procedura statistica piuttosto complessa e si tratta sempre di una verifica probabilistica. Non è possibile ottenere una verifica deterministica, semplicemente perchè non si hanno a disposizione tutte le unità che compongono la popolazione di riferimento, ma soltanto un campione, peraltro non ottenuto tramite estrazione casuale, e quindi inattendibile. Purtroppo il calcolo delle probabilità pare essere piuttosto sconosciuto, non soltanto in generale, ma anche fra i ricercatori: ecco quindi ribadita la necessità di divulgare i fondamenti della statistica, sia descrittiva che inferenziale.

Occorre in ogni caso rilevare anche le informazioni statistiche corrette presenti nel libro di Alan Boss. L'11 dicembre 2001 egli scrive "la missione Kepler (...) sarebbe stata in grado di stimare la frequenza di pianeti di tipo terrestre (...)". Questa affermazione è corretta: infatti non si parla di calcolare la frequenza, ma soltanto di stimarla. D'altronde il campo stellare sottoposto ad indagine da Kepler (un'area presso la costellazione del Cigno) è paragonabile al mio condominio, quando tutta la popolazione italiana corrispondesse all'Universo (non ho calcolato esatte proporzioni: si tratta soltanto di un esempio per dare un'idea). Se nel mio condominio ci sono 50 razzisti su 100, non posso certo affermare che i razzisti sono il 50% della popolazione italiana (vale a dire circa 30 milioni !). Tuttavia, posso partire dal mio condominio per fare una stima. Che, naturalmente, potrà essere anche molto lontana (cioé molto distorta) dalla vera percentuale di razzisti in Italia.
Inoltre l'autore ha parlato correttamente di frequenza e non di probabilità: si tratta infatti di due concetti diversi e completamente distinti, che molti spesso confondono. Mentre la probabilità è il rapporto fra il numero di casi favorevoli all'evento e il numero di casi possibili, la frequenza è quante volte si ripete una determinata modalità. Secondo l'approccio frequentista al calcolo delle probabilità la frequenza diventa una buona approssimazione della probabilità quando il numero di prove è infinitamente grande.

Continuando nella lettura, il 26 luglio 2004 troviamo un altro esempio di informazione statistica corretta ed anche efficacemente descritta. "Si contano sulle dita di una mano i teorici della formazione dei pianeti che scommetterebbero sull'instabilità gravitazionale: quando viene il momento di mettere i soldi sul tavolo, quasi tutti puntano sull'accrescimento del nucleo", scrive l'autore. Si tratta di due teorie "rivali" che cercano di spiegare come possa nascere un gigante gassoso come Giove. Visto che i dati sono insufficienti e non è possibile confermare con assoluta certezza
quale delle due sia vera, gli studiosi si dividono fra quelli che sono a favore della prima e quelli che indicano la seconda come favorita. Se ad uno studioso a favore della teoria dell'instabilità gravitazionale viene chiesto quale probabilità egli
assegni alla propria convinzione, vi risponderà 90%. Questo è il concetto di "probabilità soggettiva": ogni soggetto emette il suo verdetto e tutte le probabilità sono diverse, quindi questo tipo di probabilità dipende dalla persona a cui la si chiede. Dato che la probabilità soggettiva sostanzialmente non serve a nulla, Bruno De Finetti propose di "modificarla" nel senso di chiedere al soggetto di scommettere sulla probabilità da lui assegnata all'evento. Così quello stesso studioso a
favore della teoria dell'instabilità gravitazionale, se deve scommettere il proprio denaro, modificherà l'affermazione, magari in un più modesto 10 per cento.

Vorrei concludere questo articolo con un'affermazione significativa tratta dall'epilogo del libro: "(...) se i mondi abitabili sono comuni, che cosa impedisce, in miliardi di anni di esistenza, l'evoluzione dei loro abitanti da una sorta di vita primitiva?". Questa è un'errata interpretazione della legge dei grandi numeri, ovvero pensare che, nel lungo termine, l'evento sperato comunque si verificherà. Ciò induce alcuni a trasformarsi in giocatori d'azzardo "cronici", perchè, essi pensano, se non vinco oggi, vincerò domani, quindi devo soltanto continuare a giocare e a tenere duro. Purtroppo il nostro
giocatore potrà continuare a giocare per tutta la vita e potrebbe benissimo perdere sempre. Così come è perfettamente plausibile che, anche dopo miliardi di anni, la vita non si evolva affatto, restando al livello microscopico. Boss aggiunge "(...) considerando i miliardi di mondi abitabili nella Via Lattea, bisogna concludere che è alquanto improbabile che sia il nostro l'unico pianeta ad aver assistito allo sviluppo di vita intelligente". Di nuovo l'errata interpretazione della legge dei grandi numeri porta ad affermazioni errate. Non è improbabile che la vita si sia evoluta soltanto sul nostro pianeta, è semplicemente possibile. Ed è vero fino a quando non troveremo altra vita intelligente.

(*) APPROFONDIMENTI

http://www.gravita-zero.org/2010/02/ma-cosa-stiamo-dicendo-quando-parliamo.html

http://www.gravita-zero.org/2009/11/un-vecchio-esperimento-mentale-della.html

http://www.gravita-zero.org/2009/10/si-fa-presto-dire-probabilita-di-vita.html

http://www.gravita-zero.org/2009/10/non-probabilita-di-vita-extraterrestre.html

Commenti al Post:
elloh
elloh il 26/09/10 alle 20:20 via WEB
Salve, sono un fisico, ho letto il libro in questione e mi sono imbattuto in questo post per un mio generico interesse per l'esoplanetologia. Dico subito che ho trovato entrambe interessanti (anche se il libro non mi ha soddisfatto appieno, forse perché mi aspettavo una trattazione un po' più sistematica degli aspetti scientifici invece di una cronistoria delle scoperte americocentrica e personalistica). Sono cosciente di quanto gli argomenti statistici possano essere scivolosi, di quanto un'affermazione dal suono verosimile possa essere una fesseria. Però credo che da leggerezze contenute in un libro divulgativo per di più tradotto non si può dedurre l'ignoranza di una categoria di studiosi. Perciò volevo commentare alcune sue critiche, ovvero reinterpretare un paio di passaggi del libro. La probabilità di poter osservare un transito di un pianeta dipende sostanzialmente dal raggio della stella e dal raggio dell'orbita, e il fatto che io possa osservarlo o no dall'inclinazione del piano dell'orbita rispetto alla direzione di osservazione. Se so della sua esistenza e posso stimare i primi attraverso osservazioni di natura diversa, allora posso stimare la probabilità che io riesca ad osservarne il transito. Questa è rozzamente del 10% per un pianeta gigante vicino alla stella; ovviamente non ha senso dire che mi aspetto di vedere il transito del decimo pianeta, però la probabilità che io osservi il primo transito per un pianeta compreso per esempio tra il quinto e il quindicesimo è molto alta. I fisici sono abituati ad avere a che fare con fenomeni molto improbabili sui loro tempi scala caratteristici, però con questi minuscoli rispetto ai tempi umani. Se p è la probabilità che una cosa avvenga in una certa unità di tempo, la probabilità che non avvenga in n unità di tempo è (1-p)^n , e quella che avvenga almeno una volta in n unità di tempo è 1 - (1-p)^n ( circa = p*n finché questo è molto minore di 1 ) . Questo componendo le probabilità indipendenti degli n intervalli di tempo, ovviamente è vero se il non avverarsi ad un dato tempo non modifica la probabilità che si avveri dopo. Se penso ad esempio che l'emergere di una forma di vita multicellulare da forme di vita unicellulare abbia una certa probabilità di verificarsi in un certo lasso di tempo, allora se ho più tempo, ad esempio perché ho una stabilità climatica più a lungo, la probabilità è maggiore. Nel gioco del lotto è diverso in principio solo perché per giocare devo pagare e la vincita potrebbe essere ampliamente superata dalle spese (oltre che numericamente dal fatto che la probabilità di vincita resta trascurabile anche se ci gioco 2 volte a settimana tutta la vita). Per trarre conclusioni con qualche validità scientifica ovviamente dovrei stimare questa probabilità e non ho modo di farlo, per cui io leggerei la conclusione più che altro come una speranza che da senso e alimenta il loro lavoro. Spero che abbia trovato i miei commenti interessanti. Saluti, Alessio
 
 
supergigia2000
supergigia2000 il 26/09/10 alle 20:44 via WEB
Salve Alessio, i suoi commenti sono decisamente interessanti e ha fatto bene a puntualizzare. D'altronde io mi occupo principalmente di statistica e matematica e non sono un fisico. Condivido quanto lei ha scritto e mi piacerebbe scrivere con lei un articolo a 4 mani sull'opera di Sergeyev (una reinterpretazione dell'analisi matematica vista con gli occhi dei fisici). Può dare un'occhiata, sulla destra dello schermo, ai link contenuti nel riquadro "Walter Caputo e la matematica del Prof. Sergeyev". Mi faccia sapere.
 
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L'AUTORE DEL BLOG: CHI E' WALTER CAPUTO ?

Ha un diploma universitario in Amministrazione Aziendale, con specializzazione in Finanza. E’ laureato in Economia e Commercio e in Scienze Statistiche. Insegna sia materie matematico - fisico – statistiche che economico - giuridico - fiscali. Su questi temi: contabilità, controllo di gestione, paghe e contributi, divulgazione scientifica ha scritto decine di libri. Inoltre ha pubblicato più di 300 articoli di divulgazione scientifica. Da giugno 2016 è coautore del blog Cibo al microscopio. Da novembre 2012 è cofondatore di Risparmiare Fare Guadagnare. Da novembre 2008 è science writer per Gravità Zero, corporate blog di divulgazione scientifica. Da giugno 2007 è autore di un Blog di Scienze naturali ed economiche.

I suoi articoli si leggono qui.

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