Un blog creato da MerMayTayDea il 01/10/2006

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Post n°138 pubblicato il 24 Febbraio 2008 da MerMayTayDea
 
Tag: Diario

Paris 23/02/2008

 
 
 

Uomo di carattere

Post n°137 pubblicato il 14 Febbraio 2008 da MerMayTayDea
 

"Colui che ha il proposito di migliorare quello che é,
perseverando nelle vedute e nella condotta,
con molta attenzione e forza di volontà;
non piglia colore dalle cose che lo circondano,
non varia sentimento secondo i casi, le sensazioni o la paura del ridicolo;
non brucia una candela al santo e una al diavolo;
cerca di non sembrare diverso da quello che é, ma di essere quello che
desidera sembrare;
non civetta la popolarità col rinnegare la propria coscienza;
non cerca tanto il bene che può godere, quanto il bene che può fare;
sa quel che fa e perché lo fa;
nobilmente sente, virilmente sostiene, fortemente spera:
con altezza di pensieri, chiarezza di scopi, franchezza di atti."

N.Hill

 
 
 

Per rimanere in tema

Post n°136 pubblicato il 14 Febbraio 2008 da MerMayTayDea
 

 

 
 
 

San ValeGoogle....

Post n°135 pubblicato il 14 Febbraio 2008 da MerMayTayDea
 

 
 
 

"Io sono Legenda"

Post n°134 pubblicato il 02 Febbraio 2008 da MerMayTayDea
 
Tag: Cinema

Non sono un critico cinematografico. Il mio è solo un parere spassionato.
La settimana scorsa sono andato, dopo lngo tempo, al cinema
e tra sale piene e film improponibili, ho scelto "Io sono legenda".
Che gli americani avessero la fobia dell'Apocalise era risaputo e più volte
lo hanno manifestato sul grande schermo (Apocalypse Now, Virus Letale,
Vulcano, Twister...)
Effettivamente hanno il cruccio che a spazzare via il genere umano sarà
un virus, creato per errore da noi stessi, o una catastrofe naturale.

Nel film "Io sono legenda" assistiamo ad un misto tra cinema e videogame
"I Ritorno dei morti viventi" e "Alone in the Dark".
Più della metà del film è incentrata sull'attore Will Smith (che ha deluso nella
sua interpretazione) e sul suo fedele cane.
Ambientato in una New York devastata dal virus del morbillo modificato
in laboratorio, racconta di un poliziotto che con il suo sacrificio salverà ciò che
rimane del genere umano.
Patetico a tratti (Will Smith corteggia un manichino), lento in alcuni punti, fino
ad essere strozzato nel finale (quasi come se lo avessero tagliato)
più che scontato.

Ho cercato per qualche minuto di trovarne dei punti positivi per giustificare
il prezzo del biglietto (tra l'altro anche aumentato). Nulla. Niente.

Mediocre. L'ennesima "americanata". Di sicuro non degno del suo titolo.

 
 
 

Incredibile ma vero

Post n°133 pubblicato il 19 Gennaio 2008 da MerMayTayDea
 

HO INTERNET A CASA!!!!

 
 
 

Gli operai di Torino diventati invisibili

Post n°132 pubblicato il 17 Gennaio 2008 da MerMayTayDea
 


TORINO - "Turno di notte vuol dire che monti alle 22. Sono abituato.
Quel mercoledì sera, il 5 dicembre, sono arrivato come sempre un
quarto d'ora prima, ho posato la macchina, ho preso lo zainetto e
sono entrato col mio tesserino: Pignalosa Giovanni, 37 anni, diplomato
ragioniere, operaio alla Thyssen-Krupp, rimpiazzo, cioè jolly, reparto
finitura. Salgo, guardo il lavoro che mi aspetta per la notte e vedo
che ho solo un rotolo da fare".

"Allora vado prima a trovare quelli della linea 5, devo dire una cosa
ad Antonio Boccuzzi, ma poi arrivano gli altri e si finisce per parlare
tutti insieme del solito problema. Il 30 settembre la nostra fabbrica
chiuderà, a febbraio si fermerà per prima proprio la 5, stiamo cercando
lavoro e non sappiamo dove trovarlo. Duecento se ne sono già andati, i
più esperti, i manutentori, molti alla Teksfor di Avigliana.
Noi mandiamo il curriculum in giro, con le domande. L'azienda se ne
frega, la città anche. Chiediamo agli amici, ai parenti operai che
hanno un posto. Chi può cerca altre cose, Toni "Ragno" dice che ha
la patente del camion e prova con le ditte di trasporti: gli piacerebbe,
tanto ogni giorno fa già adesso 75 chilometri per arrivare all'acciaieria
e 75 per tornare a casa. Bruno ha deciso, il 29 chiude con la fabbrica e
apre un bar con Anna, Angelo ha provato a farsi trasferire alla Thyssen
di Terni, la casa madre, ma poi è tornato indietro per la famiglia.
Parliamo solo di questo, come tutte le notti, abbiamo il chiodo fisso.
E' brutto essere giovani e arrivare per ultimi. La Thyssen qui in giro
la chiamano la fabbrica dei ragazzi, perché dei 180 che siamo rimasti il
90 per cento ha meno di trent'anni. Ma questo vuol dire che quando
tutt'attorno chiude la siderurgia e Torino non fa più un pezzo d'acciaio
che è uno, chi ti prende se sai fare solo quello? Eppure siamo specializzati,
superspecializzati, non puoi sostituirci con un operaio qualsiasi che non
abbia fatto almeno 6 mesi di formazione per capire come si lavora l'acciaio.
E infatti ci pagano di più, uno del quinto livello alla Fiat prende 1400 euro,
qui con i turni disagiati, la maggiorazione festiva, il domenicale arrivi a
1700 anche 1800 senza straordinario. Non ti regalano niente, sia chiaro,
perché lavori per sei giorni e ne fai due di riposo, quindi ti capitano un
sabato e domenica liberi ogni sei settimane, non come a tutti i cristiani.
Ma la siderurgia è così, lavoriamo divisi in squadre e quando smonta una
monta l'altra perché le macchine non si fermano, 24 ore su 24, questo è
l'acciaio. Che poi, se ci fermassimo noi si ferma l'Italia perché siamo
i primi, senza l'acciaio non si vive, dai lavandini all'ascensore, alle
monete, alle posate, siamo la base di tutta l'industria manifatturiera,
dal tondino per l'edilizia alle lamiere per le fabbriche, agli acciai
speciali. E quando parlo di acciaio intendo l'inox 18-10, cioè 18 di
cromo e 10 di nichel, roba che a Torino si fa soltanto più qui da noi,
che è come l'oro visto che il titanio viaggia a 35 euro al chilo e noi
facciamo rotoli da sei, settemila chili. Eppure tutto questo finirà,
sta proprio per finire, Torino resterà senza, siamo come le quote latte.
E' chiaro che ne parliamo tutte le sere, come si fa? Comunque, a un certo
punto, sarà mezzanotte e mezza, io saluto tutti, e dico che vado a fare
quel rotolo che mi aspetta. Salgo, e lì sotto comincia l'inferno.
E' una parola che si usa così, come un modo di dire. Ma avete un'idea di
com'è davvero l'inferno"?



Se a Torino chiedi degli operai della Thyssen, ti indicano il cimitero.
Bisogna prendere il viale centrale, passare davanti ai cubi con i nomi
dei partigiani, andare oltre le tombe monumentali della "prima ampliazione",
girare a sinistra dove ci sono i nuovi loculi. Lì in basso, come una catena
di montaggio, hanno messo Antonio Schiavone, 36 anni (detto "Ragno" per un
tatuaggio sul gomito), morto per primo la notte stessa, Angelo Laurino,
43 anni, morto il giorno dopo come Roberto Scola, 32 anni. Subito sotto,
Rosario Rodinò, 26 anni, che è morto dopo 13 giorni con ustioni sul 95
per cento del corpo e Giuseppe Demasi, anche lui 26 anni, ultimo dei sette
a morire il 30 dicembre dopo 4 interventi chirurgici, una tracheotomia,
tre rimozioni di cute con innesti e una pelle nuova che doveva arrivare
il 3 gennaio per il trapianto, ed era in coltura al Niguarda di Milano.
Ci sono i biglietti dei bambini appesi con lo scotch, come quello di Noemi
per Angelo, ci sono le sciarpe della Juve, mazzi di fiori piccoli col
nailon appannato dall'umidità, un angelo azzurro disegnato da Sara per
Roberto, quattro figure colorate di rosso da un bambino per Giuseppe,
tre Gesù dorati, due lumini per terra. Attorno alle cinque tombe,
una striscia azzurra tracciata dal Comune le separa dagli altri loculi.
E' un'idea del sindaco Sergio Chiamparino e del suo vice Tom Dealessandri,
una sera che ragionavano sulla tragedia della Thyssen. Se tra un anno,
cinque, dieci, qualcuno vorrà ricordarla, parlarne, partire da quei
morti per discutere sulla sicurezza nel lavoro, ci vuole un posto, e
non ci sarà neppure più la fabbrica, non ci sarà più niente: mettiamoli
insieme, quelli che non hanno una tomba di famiglia; hanno lavorato
insieme e sono morti insieme. Quelle fotografie di ragazzi sono le u
niche tra i loculi, le altre sono di vecchi e dove non c'è la foto
c'è la data: 1923, 1925, 1935, 1919, anche 1912. Intorno, un telone
nasconde lo scavo di una gru nel campo del cimitero, si sente solo
il rumore in mezzo ai fiori, ma c'è lavoro in corso. Siamo a Torino,
dice un guardiano, è la solita questione: lavoro, magari invisibile,
ma lavoro.

"Dunque, ero da solo, con la gru in movimento. Il mio lavoro si
può fare così.
Alla linea 5 invece il turno montante era completo.
Mancavano due operai, ma si sono fermati in straordinario Antonio
Boccuzzi e Antonio Schiavone, anche se avevano già fatto il loro turno,
dalle 14 alle 22. Quella tecnicamente è una linea tecnico-chimica per
trattare l'acciaio, temprarlo e pulirlo per poi poterlo lavorare.
Stiamo parlando di una bestia di forno a 1180 gradi, lungo 40-50 metri,
alto come un vagone a due piani, e lì dentro l'acciaio viaggia a 25 metri
al minuto se è spesso e a 60 metri se è sottile, per poi andare nella
vasca dell'acido solforico e cloridrico che gli toglie l'ossido creato
dalla cottura nel forno. La squadra di 5 operai sta nel pulpito, come
lo chiamiamo noi, una stanzetta col vetro e i comandi.
Ci sono anche il capoturno Rocco Marzo e Bruno Santino, addetto al
trenino che porta il rullo da una campata dello stabilimento all'altra.
Manca poco all'una. So com'è andata. Il nastro scorre a velocità bassa,
sbanda, va contro la carpenteria, lancia scintille, l'olio e la carta
fanno da innesco, c'è un principio di incendio. Loro pensano che sia
controllabile, come altre volte. Escono dal pulpito, si avvicinano,
provano con gli estintori, ma sono scarichi. Un flessibile pieno d'olio
esplode in quel momento, passa sul fuoco come una lingua e sputa in avanti,
orizzontale, è un lanciafiamme. Non li avvolge, li inghiotte. Boccuzzi è
proprio dietro un carrello elevatore per prendere un manicotto, e quel
muletto lo ripara salvandolo. Vede un'onda, sente la vampa di calore che
lo brucia per irradiazione, ma si salva. Gli altri sono divorati mentre
urlano e scappano. Piomba in finitura il gruista della terza campata,
corri mi dice, corri, è scoppiata la 5, sono tutti morti. Non ci credo,
ma si avvicina urlando, è bianco come uno straccio e sta piangendo.
Corro, torno indietro, metto in sicurezza la gru, corro, non penso a
niente, corro e li vedo".

I tre funerali sono diversi. Prima lo choc, il dolore, la paura.
Poi la rabbia. Egla Scola, che ha vent'anni e due figli di 17 mesi e
tre anni, in chiesa ha urlato verso la bara di Roberto: vieni a casa, adesso.
La madre di Angelo Laurino gli ha detto: ora aspettami.
Il padre di Bruno Santino, anche lui vecchio operaio Thyssen, l'abbiamo
visto tutti in televisione gridare bastardi e assassini, con la foto del
figlio in mano. Il giorno della sepoltura di Rocco Marzo, arriva la notizia
che è morto Rosario Rodinò, dopo quasi due settimane di agonia.
Ciro Argentino strappa la corona di fiori della Thyssen, i dirigenti
dell'azienda entrano in chiesa dalla sacrestia, se ne vanno dalla stessa porta.
Fuori ci sono soprattutto operai, in duomo come a Maria Regina della
Pace in corso Giulio Cesare, come nella chiesa operaia del Santo Volto
con la croce sopra la vecchia ciminiera trasformata in campanile.

Attorno, il fantasma della Torino operaia che fu. Qui dietro c'erano
una volta la Michelin Dora, la Teksid, i 13 mila delle Ferriere Fiat
dentro i capannoni della tragedia, poi venduti alla Finsider dell'Iri,
che negli anni Novanta ha rivenduto alla Thyssen. Che adesso chiude.
Sequestrata per la tragedia, con i cancelli chiusi e un albero trasformato
in altare ("ciao, non siamo schiavi", ha scritto un operaio della
carrozzeria Bertone), già adesso l'impianto della morte è uno scheletro
vuoto, inutile, proprio dove la città finisce e comincia la tangenziale,
con le montagne piene di neve dritte davanti. La gente conosce il posto
perché lì c'è un autovelox famoso per sparare multe a raffica.

Ma non sa la storia della Thyssen. Ciro dice che un pezzo di Torino
non sapeva nemmeno dei morti, e alla manifestazione c'erano trentamila
persone, ma era la città operaia, e pochi altri. Come se fosse un lutto
degli operai, non una tragedia nazionale. Anzi, uno scandalo della democrazia.
Chi lavora l'acciaio sa di fare un mestiere pericoloso, dice Luciano Gallino,
sociologo dell'industria, perché macchine e materiali che trasformano il
metallo sovrastano ogni dimensione umana, con processi di fusione,
forgiature a caldo, lamiere che scorrono, masse in movimento.
C'è fatica, rumore, occhio, tecnica, esperienza, senso di rischio,
concentrazione. E allora, spiega Gallino, proprio qui nell'acciaio
non si possono lasciar invecchiare gli impianti e deperire le misure
di sicurezza, non si può ricorrere allo straordinario con tre, quattro
ore oltre le otto normali. Invece l'Asl dice oggi di aver accertato 116
violazioni alla Thyssen. Le assicurazioni Axa lo scorso anno avevano
declassato la fabbrica proprio per mancanza di sicurezza, portando la
franchigia da 30 a 100 milioni all'anno. Per tornare alla vecchia
franchigia, bisognava fare interventi di prevenzione, tra cui un sistema
antincendio automatico proprio sulla linea 5, dal costo di 800 milioni.
From Turin, ha risposto l'azienda, dopo che Torino avrà chiuso.

"Il primo è Rocco Marzo, il capoturno, che aveva addosso la radio e il
telefono interno, bruciati nel primo secondo. Appare all'improvviso,
al passaggio tra la linea 4 e la 5. Non avevo mai visto un uomo così.
Anzi sì: dal medico, quei tabelloni dov'è disegnato il corpo umano senza
pelle, per mostrarti gli organi interni. La stessa cosa. Le fasce muscolari,
i nervi, non so, tutto in vista. Occhi e orecchie, non parliamone.
Non mi vede, non può vedere, ma sente la mia voce che lo chiama, si gira,
barcolla, cerca la voce, mi riconosce. "Avvisa tu mia moglie, Giovanni,
digli che mi hai visto, che sto in piedi, non li far preoccupare".
Lo tocco, poi mi fermo, non devo. Ha la pelle, ma non è più pelle,
come una cosa dura e sciolta. Un operatore di qualità continua a saltarmi
attorno, cosa facciamo? Mando via tutti quelli che piangono, che urlano,
che sono sotto choc e non servono, non aiutano. Dico di non toccare Rocco,
di scortarlo con la voce fuori: gli chiedo se se la sente di seguire i
compagni, di seguire la voce. Va via, lo guardo mentre dondola e sembra
cadere a ogni passo, mi sembra di impazzire. Mi butto avanti, tutta la
campata è piena di fumo nero, bruciano i cavi di gomma, i tubi con l'acido,
i manicotti. Vedo Boccuzzi che corre in giro a cercare una pompa, mi vede e mi
urla in faccia: "Li ho tirati fuori, li ho tirati fuori.
Ma Antonio Schiavone è vivo e sta bruciando lì per terra".
In quel momento Schiavone urla nel fuoco. Tre grida.
E tutte e tre le volte Toni Boccuzzi cerca di gettarsi tra le fiamme e
dobbiamo tenerlo, ma lui ripete come un matto: "Il fuoco lo sta mangiando".
Dico di portarlo via, fuori. Mi volto, e mi sento chiamare:
"Giovanni, Giovanni". Non ci credo, guardo meglio, non si vede niente.
Sono Bruno Santino e Giuseppe Demasi, due fantasmi bruciati, consumati
dal fuoco eppure in piedi.
Non mi sentono più parlare, non sanno dove andare, in che direzione cercare,
sono ciechi. Poi Demasi si muove, barcolla verso la linea 4 tenendosi
le mani davanti, come se fosse preoccupato di essere nudo.
Mi avvicino e lo chiamo, si volta, chiama Bruno.
Guardo la loro pelle scivolata via, non so cosa dire e loro mi cercano:
"Giovanni, sei qui vicino? Guardaci, guardaci la faccia: com'è?
Cosa ci siamo fatti, Giovanni?"

Dicono gli operai che i sette, alla fine, sono morti perché da tempo
erano diventati come invisibili. Si spiegano con le parole di Ciro
Argentino e Peter Adamo, trent'anni: l'operaio ovviamente esiste, cazzo
se esiste, manda avanti un pezzo di Paese, e soprattutto a Torino lo sanno
tutti. Ma esiste in fabbrica e non fuori, nel lavoro e non nella testa
della politica. Ma lo sapete voi, aggiunge Fabio Carletti della Fiom,
che nell'assemblea del Pd appena eletta a Torino non c'è nemmeno un operaio?
Che in tutto il Consiglio comunale ce n'è uno, perché il sindacato si è
trasformato in lobby e ha minacciato di fare una lista operaia separata,
supremo scandalo per la sinistra? Dice Peter che l'invisibilità la senti
tutto il giorno, quando vai a comprare il pane, quando esci la sera.
Per le storie veloci con le ragazze in discoteca, fai prima a dire che sei
un rappresentante, vai più sul sicuro. Non è rifiuto o disprezzo, aggiunge
Davide Provenzano, 26 anni, è che sei di un altro pianeta.
Credono di poter fare a meno di te. Da bambino, spiega, vedevo con mio padre
al telegiornale le notizie sul contratto dei metalmeccanici, "undici milioni
di tute blu scendono in piazza", adesso, non si sa quanti siamo, un milione
e sette, uno e otto? Il sindaco Chiamparino sa di chi è la colpa: quelli
che pensano alla modernità come a una sostituzione, l'immateriale, l'effimero
al posto del manifatturiero, mentre invece è moderno chi gestisce la
complessità, la fine di una cosa con l'inizio dell'altra, sopravvivenze
importanti e novità salutari. "Chiampa" dice che lui non potrebbe dimenticare
gli operai, la sua famiglia viene dalla fabbrica, il figlio di suo fratello
ha la stessa età e fa il lavoro dei ragazzi della Thyssen, però è vero che
si lamenta perché i riformisti non usano più quella parola, operaio.
E tuttavia non si può tornare agli anni Settanta.

E la città non è indifferente, non si può misurare il funerale operaio
col metro del funerale dell'Avvocato, in quel caso la partecipazione era
anche un modo di dire "io c'ero", mentre qui voleva dire "voi ci siete".
E poi, pensiamo sempre a Mirafiori, dove cresceva l'erba sull'asfalto,
tutto era abbandonato, e tutto è rinato. Il sindaco ha aiutato Marchionne,
l'amministratore delegato Fiat ha aiutato Chiamparino.
I due si vedono qualche sera per giocare a scopa col vicesindaco e un
ufficiale dei carabinieri, ma in pubblico si danno del voi, perché questa
è Torino. Anche se Marchionne voleva strappare, e andare al funerale operaio
della Thyssen. Poi si è fermato, dice, per paura che la sua presenza diventasse
una specie di comizio silenzioso. Ha radunato i suoi e ha detto:
che non capiti mai qui. Un incidente può sempre scoppiare, ma non per
incuria verso la tua gente e il suo lavoro. Mai, mettetemelo per scritto.
Solo in Italia, spiega ancora Marchionne, operaio diventa una brutta parola,
nel mondo indica quelli che fanno le cose, le producono.

E tuttavia, avverte il professor Marco Revelli, Torino è sempre più Moriana
di Calvino, la città con un volto di marmo e di alabastro e uno di ferro
e di cartone, e una faccia non vede più l'altra. Gli operai della Thyssen,
anche per la loro età, non hanno riti separati, tradizioni private,
fanno una vita perfettamente visibile nella sua normalità.
Dopo la fabbrica si incontrano indifferentemente alla Fiom o al Mc Donald's
di via Pianezza, Peter ha la moglie laureata e vede tutta gente del suo giro,
ai funerali hanno messo musica dei Negramaro, hanno portato anche la maglia
di Del Piero. Ma ti dicono che l'invisibilità sociale li rende deboli,
la debolezza e la solitudine portano a scambiare straordinari per sicurezza,
il Paese li convince di vivere in una geografia immaginaria, dove per dieci
anni ha contato solo la cometa del Nordest, solo l'illusione del lavoro
immateriale, solo il consumatore e non il produttore, e persino la parola
lavoro è stata poco per volta sostituita da altre cose: saperi, competenze,
professionalità. Questa fragilità - culturale? Politica? Sociale? - li espone.
Il cardinal Poletto, che ha fatto l'operaio da ragazzo (il mattino in officina,
il pomeriggio in canonica) ha detto ad ogni funerale cose semplici ma solide
perché autentiche: la città ha reagito ma non basta, serve un sussulto, la
ricerca sacrosanta del profitto non può danneggiare la sicurezza o
addirittura la vita di chi lavora. La sinistra ha detto meno del cardinale.

"Nessuno sa cosa fare davanti a una cosa così. Due compagni di lavoro
carbonizzati, e ancora vivi. Uno ha preso due giacconi, glieli ha buttati
addosso. "Giovanni aiutaci - dicevano - portaci via". Ragazzi, ho provato
a rassicurarli, l'importante è che siate in piedi, io non so se posso
toccarvi, non posso prendervi per mano, ma vi portiamo fuori,
vi facciamo da battistrada. Due passi, e trovo per terra Rosario Rodinò,
Angelo Laurino e Roberto Scola. Statue di cera che si sciolgono, l'olio
che frigge, non c'è più niente, i baffi di Rocco, i capelli di Robi,
solo la voce. Mi accoccolo vicino a Laurino, gli parlo. Si volta:
"Dimmi che starai vicino ai miei". Scola ripete che ha due figli piccoli,
"non potete farmi morire". Rodinò sembra più calmo: "Non pensare a me,
io sto meglio, occupati di loro". Poi, quando ritorno da lui mi chiede:
"Come sono in faccia? Cosa vedi?" Arrivano i pompieri, poco per volta li
portano via. Un vigile mi dice che stanno morendo, ma il fuoco gli ha
mangiato le terminazioni nervose, per questo resistono al dolore.
Non so se è vero, non capisco più niente, ho quei manichini davanti
agli occhi. Prendo un pompiere per il bavero, e gli urlo che Schiavone
è ancora a terra da qualche parte, devono salvarlo. Mi dice che lo hanno
portato via e che devo andarmene, perché il fumo sta divorando anche me.
Stacchiamo la tensione a tutta la linea, blocchiamo il flusso degli acidi,
dei gas, dell'elettricità. Tutto si ferma alla ThyssenKrupp, probabilmente
per sempre. Non ho più niente da fare".

Al cimitero hanno messo le sigarette sopra ogni tomba. Un pacchetto di
Diana per Angelo, due sigarette sciolte vicino alla fotografia di Antonio,
una sulla sciarpa di Roberto, le Marlboro per Giuseppe e per Rosario.
Subito non capisco, poi sì. I ragazzi di oggi non comprano più le sigarette,
ma i ragazzi operai sì, le hanno sempre in tasca. Metterle lì, tra i fiori
dei morti, è un modo per riconoscerli, per renderli visibili.
di Ezio Mauro. Da "La Repubblica" de il 16/01/2008

 
 
 

Buon Anno da Napoli!!!

Post n°131 pubblicato il 31 Dicembre 2007 da MerMayTayDea
 
Tag: Auguri

 
 
 

Buon Natale e felice 2008

Post n°129 pubblicato il 13 Dicembre 2007 da MerMayTayDea
 
Tag: Diario

Cari amici,

dispiace non poter curare il Blog e dispiace non poter mantenere i contatti con tutti voi.

Colgo l'occasione di fare a tutti voi gli auguri di un periodo di Natale sereno e che il nuovo anno possa portarvi tantà felicità

speriamo che a me porti internet a Parigi....

 
 
 

Addio Enzo, Grazie Enzo....

Post n°128 pubblicato il 06 Novembre 2007 da MerMayTayDea
 
Tag: Ricordi

Se ne andato un grande personaggio, un Grande Uomo.

 
 
 
 
 
 
 
 
 

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LUXEMBOURG - CITY - 2004

 2004-2005-2006-2007 Luxembourg
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2005 LIECHTENSTEIN - Vaduz
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MUNICH - MARIENPLATZ - LIFE AND FAMILY

Munich 2000 to 2007
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2003 DACHAU - Lager II World War
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2004 TRIER - Porta Nigra
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STOCCOLMA 2004 - 2006

 
 
 
 
 
 
 
 

AMSTERDAM - CITY 2004

Amsterdam 2004 and 2006


2006 L'AIA (Den Haag)

 
 
 
 
 
 
 

BRUXELLES - LIFE NOW...

Bruxelles 2003-2004-2006-2007
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Antwerp 2006
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Bruges 2007
Immagine:Bruges Minnewater.JPG

Louvain La Neuve 2007
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Gent 2007
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Knokke (Belgium) 2007

 
 
 
 
 

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