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"il sapere ha potenza sul dolore" (Eschilo) ______________ "Perchè ci hai dato sguardi profondi?" (Goethe)
 

 

« incontrare la differenzal'armonia contrastante »

l'unità prima della differenza

Post n°75 pubblicato il 30 Ottobre 2011 da m_de_pasquale
 
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Il sacro come indifferenziata unità dei contrari. Il pensiero delle origini sembra condurci in questa direzione quando Eraclito in un suo frammento dice: “Il dio è giorno e notte, inverno e estate, guerra e pace, sazietà e fame, e muta come il fuoco quando si mischia ai profumi odorosi, prendendo di volta in volta il loro aroma”. Le mitologie, i simboli, le fantasie - le prime forme attraverso cui l’uomo ha parlato del divino e del sacro – esprimono spesso significati incompatibili secondo la logica dettata dalla ragione, sì da farci pensare che tali forme espressive attingano da un comune sfondo pre-umano, pre-razionale dove appunto la luce della ragione con la sua capacità di stabilire differenze - secondo il principio d’identità e non contraddizione - non ancora agisce. Cos’è questo sfondo pre-umano, pre-razionale? con la civiltà è stato assorbito dalla ragione e di conseguenza oggi non ve ne è più traccia? o continua ad esercitare la sua influenza sull’azione dell’uomo nonostante egli sia asservito al dominio della ragione? Il grande storico delle religioni, Eliade ritiene che l’uomo contemporaneo “a-religioso”, epigono del processo di desacralizzazione che ha caratterizzato la nostra civiltà, a sua insaputa si comporta ancora religiosamente – si pensi alle superstizioni, ai ritualismi che accompagnano le tappe della sua vita, a quell’ “officina di sogni” che sono il cinema e la televisione che spesso riprendono i motivi delle antiche mitologie, alla struttura mitologica di movimenti politici - perché egli “è il diretto discendente dell’homo religiosus e non può annullare la propria storia, cioè il comportamento dei suoi antenati, che lo hanno costituito nella sua forma attuale. Tanto più che gran parte della sua esistenza è alimentata da impulsi che nascono dal più profondo del suo essere, da quella zona, cioè, che oggi viene chiamata inconscio: i suoi contenuti e le sue strutture sono il risultato di situazioni primordiali antichissime, ed è per questo che l’inconscio è avvolto in un’aura religiosa … Nell’uomo contemporaneo la religione e la mitologia si sono occultate nelle tenebre del suo inconscio”. L’inconscio, quindi, come luogo privilegiato dove rinvenire le tracce del sacro. Compito possibile se l’inconscio viene inteso non solo come luogo dei contenuti dell’esperienza personale rimossi (inconscio personale), ma anche come luogo dei contenuti che non sono mai stati nella coscienza e perciò mai acquisiti individualmente, ma che devono la loro esistenza esclusivamente all’ereditarietà (inconscio collettivo). Il suo contenuto, è costituito essenzialmente da immagini archetipiche, immagini universali presenti fin dai tempi più remoti, che per Jungrappresentano la sempiterna esperienza della divinità, di cui hanno sempre dischiuso all’uomo il presentimento, proteggendolo contemporaneamente dal contatto diretto di essa”. L’inconscio è impossibile inquadrarlo nella logica della ragione essendo i suoi contenuti ambivalenti, sincronici, insomma non regolati dal principio d’identità e non contraddizione che caratterizza l’azione della ragione. Non è l’esperienza dell’irrazionale (inteso come il contrario della ragione), ma è l’esperienza di quella dimensione che precede la distinzione tra la ragione e il suo opposto, una dimensione in cui c’è l’uno e l’altro insieme (unità indifferenziata dei contrari). E’ la dimensione che è possibile esprimere solo attraverso il simbolo (in greco syn-ballein che significa “tenere insieme”, contrario di “separare” che è l’azione che compie la ragione grazie al principio di non contraddizione) caratterizzato dall’ambivalenza (questo e quello insieme) di custodire in maniera indifferenziata le successive differenziazioni imposte dalla ragione. Non tenendo conto del modo ordinario d’intendere il simbolo come segno rinviante ad un preciso significato fornito dalla ragione (ad es. il “segno” bandiera rinvia al “significato” patria),  il simbolo rappresenta un cedimento dell’ordine della ragione perché esso non rinvia ad un significato ma è l’azione di composizione degli opposti, e pertanto rende possibile l’accesso a quell’universo pre-razionale dove sono custodite le tracce del sacro. Per comprendere il sacro è indispensabile che la ragione non sia più dominante pur rimanendo spettatrice, che non faccia uso dei concetti ma dei simboli, gli unici ad essere capaci di mediare tra la ragione e il suo altro. La ragione non si annienta ma si apre a ciò che si annuncia oltre i suoi limiti, si apre a quello sfondo misterioso. In effetti sostiene Eliade che ”l’uomo, in virtù dei simboli, esce dalla sua situazione particolare per aprirsi verso il generale e l’universale … Di fronte a un albero qualunque, simbolo dell’Albero del Mondo e immagine della Vita cosmica, un uomo delle società premoderne è capace di raggiungere la più alta spiritualità: comprendendo il simbolo, è in grado di vivere l’universale”. La dimensione simbolica presentandosi come uno sporgere oltre ed al di là, viene a coincidere con la possibilità della trascendenza, ovvero con l’apertura ad un senso che non coincide con i soli significati imposti dalla ragione. E’ quel processo che Jung definisce d’individuazione. (sacro - 2  precedente  seguente)

 
 
 
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