Creato da m_de_pasquale il 05/10/2009
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quando l'indignazione "ribolle e s'adira"

Post n°14 pubblicato il 25 Ottobre 2009 da m_de_pasquale
 
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C’è un imprenditore italiano che, negli ultimi anni, ha dichiarato al fisco molto meno di quanto abbia guadagnato. Grazie ad un giro di fatture gonfiate è riuscito ad accumulare, in una fiduciaria estera, l’80% di quanto guadagnato, non sempre legalmente. Per lo stato italiano è un piccolo imprenditore, i cui affari non vanno neanche tanto bene visti i suoi scarni introiti e quindi, poverino, paga le tasse al minimo (anzi certi anni non le paga proprio perché il suo reddito è sotto soglia). Un suo amico, uomo di spettacolo, ha avuto, negli stessi anni, la grande abilità di riuscire a nascondere al fisco una quantità ingente di denaro che ora è ben custodito in una banca delle Caiman. E da ultimo, un cittadino italiano, in verità particolare essendo un mafioso di alto grado, custodisce in una banca del Lussemburgo vari milioni di euro frutto del traffico di droga ed armi costituenti la sua attività imprenditoriale. Da cosa sono accomunate queste tre persone? Certamente da un comportamento delinquenziale. Ma non solo. Essi condividono una grande opportunità che si chiama scudo fiscale. Infatti, grazie ad una legge approvata recentemente dal Parlamento italiano, tutti e tre possono far rientrare in Italia i loro tesori (acquisiti illegalmente) per ora depositati in banche estere pagando allo Stato una “multa” del 5% sui capitali e con la sicurezza dell’anonimato (mai nessuno saprà chi sono). In Italia i cittadini che onestamente guadagnano soldi devono lasciare allo Stato circa la metà (40-45%) in imposte che lo Stato utilizza per pagare i servizi di pubblica utilità di cui tutti usufruiamo. Questi privilegiati, invece, non solo hanno guadagnato disonestamente, ma vengono anche premiati dovendo lasciare allo Stato solo il 5%! Anche negli U.S.A. esiste lo scudo fiscale, ma funziona molto diversamente: chi vuol far ritornare i suoi soldi in patria deve versare allo Stato il 50% del capitale rientrato e senza anonimato (diventando così un soggetto particolarmente controllato dal fisco). Quando gli onesti ascoltano certe storie hanno una reazione che possiamo definire d’indignazione, di rabbia, di ira (con ripercussioni somatiche: il sangue ci affluisce alle mani, sentiamo una scarica adrenalinica ed è bene non avere tra le mani chi ha votato questa legge). E’ quella che Platone chiamava thymoeides (irascibilità). Nel IV libro della Repubblica dopo aver constatato che nella nostra anima vanno distinti due principi, quello razionale e quello irrazionale (quando l’anima è in preda alle passioni, pervasa dal desiderio insaziabile), Platone si chiede: “ma quello dell’ira non è poi un terzo principio? O avrà la natura di uno dei due precedenti?”. Saremmo portati a rispondere che quando siamo presi dalla indignazione, dalla collera, dall’ira siamo come posseduti da qualcosa che non controlliamo e pertanto il terzo principio è più congenere al secondo (irrazionalità). Ma osserva Platone che “talvolta la collera combatte coi desideri, come due principi differenti tra loro”. Ed avanza l’ipotesi dell’alleanza del terzo principio col primo (razionalità): “E non notiamo anche in numerose altre occasioni che, quando una persona è dominata da violenti desideri che contrastano con la ragione, essa si rimprovera e prova un senso di sdegno contro l’elemento violento che è in lei? e che, in questo contrasto a due, il suo animo si allea alla ragione?”. Platone sembra indicarci il modo per valorizzare la nostra indignazione. Spesso la nostra rabbia di fronte all’ingiustizia si risolve in un grande fuoco di paglia (nell’istante, in preda alla collera, vorremmo fare la rivoluzione … qualche minuto dopo basta una distrazione o un’emozione più forte che ci fa dimenticare quanto provavamo), mentre la forza che si sprigiona dall’anima thymoeides dovrebbe essere incanalata ed alimentare nel tempo la nostra azione volta a contrastare l’ingiustizia sì che il nostro proponimento raggiunga il risultato desiderato: “E che succede quando uno ritenga di essere vittima di un sopruso? Non è vero che allora ribolle d’ira e prende le parti di ciò che gli par giusto e, sfidando la fame, il freddo ed ogni altra sofferenza, resiste e combatte, senza desistere dai suoi nobili sforzi finché non riesce o muore o si ammansisce alla voce della ragione che è in lui, come si ammansisce un cane alla voce del pastore?”. E allora l'indignazione più che essere una rabbia passeggera, deve costituire quella energia volta ad alimentare il nostro impegno politico per la giustizia.


 
 
 
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