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e se al posto del PIL mettessimo il BIL?

Post n°16 pubblicato il 29 Ottobre 2009 da m_de_pasquale
 
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L’attuale crisi economica ha fatto schizzare il debito italiano alle stelle: ogni cittadino italiano (bambini compresi) ha sul groppone un debito di 29.000 euro. Il debito pubblico viaggerà attorno al 118% del P.I.L. (= Prodotto Interno Lordo cioè il valore complessivo dei beni e servizi prodotti in un anno misurante la ricchezza del Paese) nel 2010. Occorrerebbero – si dice – programmi di stimolo economico volti ad aumentare la spesa pubblica per rilanciare l’economia: ma se non ci sono risorse come si fa ad aumentare la spesa pubblica? Si dice che il riavvio dell’economia deve passare attraverso il rilancio delle imprese: ma se esse sono sottoposte alla concorrenza straniera (al di fuori dell’Italia e all’interno) come faranno ad intercettare la debole domanda esistente? Si sostiene che l’Italia dovrebbe investire in ricerca ed innovazione: negli altri stati europei, nonostante il periodo di crisi, si continua ad investire sulla scuola e sulla formazione, da noi si fanno i “tagli” nella scuola! Si dice che l’Italia dovrebbe avere uno sguardo lungimirante e decidersi ad operare riforme strutturali: al contrario naviga a vista affrontando le emergenze che assorbono le poche disponibilità finanziarie! In questa situazione, i gestori del credito (le banche) non si espongono per sostenere quelle piccole imprese che avrebbero bisogno di denaro come l’ossigeno: al contrario fanno i loro giochi finanziari col denaro dei risparmiatori! Cos’hanno in comune le ricette su esposte (peraltro non o mal applicate in Italia) per uscire dalla crisi? Tutte condividono un paradigma di riferimento: l’aumento del PIL [che calcola il valore monetario delle merci scambiate] è la condizione per uscire dalla crisi. Il PIL aumenta quando aumentano i consumi: acquistando beni e servizi, il denaro si muove contribuendo a far crescere il PIL. Pertanto, secondo questo paradigma, il benessere di uno stato è direttamente proporzionale alla movimentazione mercantile delle merci. Ma per star bene, abbiamo bisogno di merci o di beni? Ricordo che il bene (finalizzato al soddisfacimento dei bisogni esistenziali) non passando necessariamente attraverso la intermediazione mercantile, non viene computato nel PIL e quindi non contribuisce a farlo crescere. L’egemonia del PIL corrisponde alla dittatura della produzione (stimolata dall’obbligo di consumare): è la riproposizione del meccanismo consumo/produzione per perpetuare il sistema economico. Se è così assistiamo ad una inversione di fini: non più il soddisfacimento dei bisogni esistenziali, ma il mantenimento del sistema economico! Si chiede Maurizio Pallante: “Vive felicemente chi si propone di avere sempre maggiori quantità di merci, anche se non sono beni, e spende tutta la vita per questo obbiettivo? Non vive più felicemente chi rifiuta le merci che non sono beni e sceglie i beni di cui ha bisogno in base alla loro qualità e utilità effettiva, lavorando di meno per dedicare più tempo ai suoi affetti? Vive felicemente chi vive in una società che si propone di produrre sempre maggiori quantità di merci, anche se non sono beni, e sacrifica a questo obiettivo la qualità dell’aria, delle acque e dei suoli? Non vive più felicemente chi vive in una società che antepone il bene della qualità ambientale alla crescita della produzione di merci che non sono beni?”  Il PIL si fonda sul mito della crescita, ma preoccupanti segnali ci invitano a rivedere questo mito: il progressivo esaurirsi delle fonti fossili d’energia, le guerre per averne il controllo, l’innalzamento della temperatura terrestre, i mutamenti climatici, lo scioglimento dei ghiacciai, la crescita dei rifiuti, le devastazioni e l’inquinamento ambientale. E’ sempre più urgente definire nuovi parametri per le attività economiche e produttive, elaborare un’altra cultura, un altro sapere: adottare come nuovo paradigma il B.I.L. (= Benessere Interno Lordo). Per capire la portata rivoluzionaria del nuovo paradigma fai l’esercizio proposto:


 
 
 
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