Creato da m_de_pasquale il 05/10/2009
"il sapere ha potenza sul dolore" (Eschilo) ______________ "Perchè ci hai dato sguardi profondi?" (Goethe)
 

 

« Nesti che di sue lacrime...dove c'è tabù c'è desiderio »

felicità è diventare ciò che si è

Post n°27 pubblicato il 25 Novembre 2009 da m_de_pasquale
 
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Se dovessimo descrivere cos’è la felicità analizzando quelle situazioni in cui veniamo a trovarci e che associamo ad essa, potremmo dire che è uno stato di perfetto benessere in cui avvertiamo un sentimento di illimitata espansione che si svolge in una  fusione con ciò che ci circonda, uno stato d’animo armonioso caratterizzato da sensazioni di tranquillità, pace. Solo che saremmo tutti d’accordo nel sostenere che questo stato di grazia è temporaneo, accade per brevi periodi. E’ possibile assicurargli continuità? Aristotele nell’Etica Nicomachea sostiene che ogni nostra azione è tesa a perseguire un bene; il bene pratico più alto è la felicità. Solo, continua, non c’è un grande accordo su cosa sia la felicità: “la massa e le persone più volgari giudicano che il bene e la felicità consistono nel piacere (hedoné)”. C’è, in effetti, uno stretto collegamento tra felicità e godimento derivante dal piacere dei sensi, forse perché attraverso questi sperimentiamo quella fusione col mondo di cui parlavamo. Se consideriamo i piaceri del cibo e del sesso, prototipi del piacere in generale, constatiamo che in essi vengono sollecitate le esperienze del gusto e del contatto che sono appunto quelle che ci permettono di giungere meglio ad una identificazione armoniosa con l’oggetto del desiderio. I piaceri del cibo e del sesso sono intensi, veementi, impediscono al soggetto di pensare, ostacolano il suo pensiero in quella capacità che i greci chiamavano phronesis (= intelligenza/prudenza): infatti la nutrizione e la generazione costituiscono quelle funzioni elementari che più ci avvicinano agli animali e quindi distanti da ciò che è proprio dell’uomo, il pensiero. Nei piaceri d’amore non si pensa, quanto più si pensa tanto meno si gode. In particolare nel piacere sessuale sono implicati tutti i sensi: sia quelli della distanza che presiedono alla eccitazione (l’udito – sentire la voce e il respiro del partner - , la vista – guardare il suo corpo, le sue movenze - , l’olfatto – sentire l’odore -), sia quelli del contatto che presiedono alla soddisfazione (il tatto, il gusto). I piaceri della gola – in particolare il bere -  abbassano le censure,  ingenerano un’ebbrezza tale da sciogliere i sensi e liberare gli affetti, ci si abbandona liberandosi al gioco. Ma afferma Natoli: “I piaceri della mensa – nella specie quelli del bere – e i piaceri d’amore vengono tra loro associati poiché, ordinariamente, danno ebbrezza più di ogni altro piacere. Ora, è a tutti noto che l’ebbrezza abolisce la percezione del limite ed è per questo che persuade gli uomini di felicità”. Ci sentiamo felici perché salta la percezione del limite? Si tratta di godimento o soddisfazione? Il godimento può non implicare la soddisfazione, mentre la soddisfazione non può esistere senza godimento. Allora il piacere deve cercare la soddisfazione – che è appunto altra cosa dal godimento immediato – e la felicità, probabilmente, ha a che fare col buon uso dei piaceri, ma affinché ciò avvenga occorre l’intervento del pensiero che ripristina la distanza rendendo possibile cogliere l’oggetto del desiderio nella sua interezza evitando di ridurlo ad occasione di un godimento puntuale. In altri termini la distanza, ovvero la ricerca della giusta misura, consente di andare oltre l’intensità istantanea del godimento per orientarsi verso la stabilità e la durata nel tempo. Del resto, se pensiamo al principio di costanza di Freud, è più doloroso un piacere intenso e discontinuo che la diluizione dell’intensità nella stabilità. Quindi il gioco è nella dialettica soddisfazione/contenimento del desiderio. Non basta però, occorre anche allargare il campo delle facoltà che intervengono nella produzione del piacere aprendo, così, altre possibilità di soddisfazione con sensazioni analoghe a quelle derivanti dai piaceri dei sensi. Se Leopardi parlando della poesia può dire che essa: “… destando mozioni vivissime, e riempiendo l’animo di idee vaghe e indefinite e vastissime e sublimissime e mal chiare ec., lo riempie quanto più si possa a questo mondo”, significa che non solo i sensi ma anche l’intelletto e la memoria concorrono a produrre soddisfazioni altissime. Un ultimo passo va fatto dopo aver assodato l’importanza della giusta misura e della necessità di guardare ad ampio raggio alla questione del piacere considerando non solo quello proveniente dai sensi. Siamo portati a legare la felicità a qualcosa di esterno a noi da possedere, con cui identificarci. Ma cosa ci attrae: l’oggetto o la sensazione di benessere che proveremo dalla identificazione con esso? Esiste un oggetto in grado di assicurarci stabilmente quello stato di benessere, armonia che contraddistingue la felicità? Dove scoveremo questo oggetto? Potremmo individuarlo in quel compito, proprio dell'uomo, che è la conoscenza di sé, la sola che ci consente di diventare quello che siamo e quindi realizzare la fusione, l’identificazione che ci renderebbe felici?  La felicità non coincide, forse, col “diventare ciò che si è” (Nietzsche)?

 
 
 
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