Creato da m_de_pasquale il 05/10/2009
"il sapere ha potenza sul dolore" (Eschilo) ______________ "Perchè ci hai dato sguardi profondi?" (Goethe)
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"La filosofia guarda da un altro livello cose, problemi, sofferenze, desideri, piaceri. E qui cade la solitudine del filosofo che non gode come gli altri, non soffre come gli altri, perchè non guarda le cose al livello dove le vedono gli altri. Per questo il filosofo è solo e incompreso. Della solitudine ringrazia ogni giorno gli dèi che gli tolgono di torno gli abitatori del tempo; dell'incomprensione si rammarica, non per sé ma per gli altri che non sanno quello che dicono e fanno." (Galimberti)
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slow economy
Post n°67 pubblicato il 29 Gennaio 2011 da m_de_pasquale
Dicevamo che l’economico è diventato l’orizzonte di riferimento delle nostre idee e quindi anche di quella di potere. La preoccupazione per la contabilizzazione, il profitto, la crescita, il mercato, caratterizza il nostro sguardo sul mondo. Abbiamo parlato di sistema economico-tecnico come di una gabbia all’interno della quale ci muoviamo; in questa gabbia, di fatto, siamo determinati nelle nostre azioni anche se apparentemente ci sentiamo liberi. Ci stiamo chiedendo se in questa situazione ci siano spiragli per una effettiva libertà dalla tirannia della “mentalità economica”, se è possibile, cioè, esercitare un potere non determinato dai significati ricorrenti dell’economico (crescita, profitto, interesse, …). Insomma è possibile una “umanizzazione” dell’economia, è possibile sviluppare uno sguardo “economico” che non privilegi la contabilità, l’aumento ecc., ma punti l’attenzione sul benessere delle persone? Maturare questo sguardo diverso ci conviene se consideriamo gli effetti della grave crisi economica che stiamo attraversando. L’attuale crisi è figlia di un sistema che, come abbiamo detto, pone al centro il “dio produzione” , la crescita esponenziale: ma come si concilia una crescita esponenziale della produzione con la natura finita del mondo, con i bisogni finiti dell’uomo? Era prevedibile che l’irrazionalità del sistema, prima o poi, avrebbe inceppato il meccanismo. La crisi economica attuale è una crisi di produzione: la fine della fase espansiva delle economie dei paesi ricchi ha comportato una saturazione della domanda alla quale si cerca di rispondere con un consumo di sostituzione (automobili, nuove tecnologie, …) stimolando la domanda con misure sempre più aggressive (pubblicità). Nell’intento di raschiare il fondo del barile, si attivano pratiche pericolose in un periodo di recessione come la creazione di credito per sostenere i consumi (mutui subprime, credito al consumo, moneta elettronica), la creazione di debito pubblico per stimolare la domanda, la trasformazione progressiva di beni in merci (privatizzazione dell’acqua). Sono pratiche pericolose perché si collocano in una situazione che, oltre a non prospettare una ripresa dell’economia (con conseguente impossibilità di ripagare i debiti contratti: povertà irreversibili delle famiglie, aumento del deficit degli stati), è fortemente ingiusta. Il capitalismo contemporaneo non ha avuto la preoccupazione della redistribuzione, non ha perseguito l’ideale di assicurare i livelli minimi a tutti nella generale crescita come auspicava Rawls quando sosteneva che le ineguaglianze possono sussistere a patto che si massimizzino le posizioni dei più svantaggiati. Le nostre società conoscono disparità maggiori che nel passato. Afferma Berselli: “Nella società fordista veniva considerato equo che il presidente o l’amministratore delegato di una grande impresa guadagnasse trenta volte lo stipendio di un usciere. Oggi si considera normale che il reddito del grande manager ammonti da tre a quattrocento volte la retribuzione di un impiegato di basso livello. In Italia il 10 per cento delle famiglie ricche possiede il 44 per cento dell’intero ammontare di ricchezza netta”. Insomma ci dobbiamo convincere che un sistema a sviluppo lineare in un ambiente limitato non può durare in eterno, né crescere all’infinito; dobbiamo renderci conto che abbiamo problemi economici con importanti risvolti sociali a causa delle diseguaglianze, gravi problemi ambientali (riscaldamento del pianeta, …), problemi finanziari legati agli effetti del consumismo compulsivo; dobbiamo essere consapevoli che stiamo sfruttando le risorse del pianeta oltre la sua capacità di rigenerarle, stiamo mangiando il futuro dei nostri figli che vivranno peggio di come stiamo vivendo noi. La crisi che stiamo vivendo, dolorosa e problematica, potrebbe costituire un’opportunità per il cambiamento? Potrebbe favorire il passaggio da un’economia centrata sulla produzione e sulla crescita con le conseguenze prima descritte, ad un’economia che, consapevole della limitatezza delle risorse a disposizione ed attenta ai bisogni esistenziali delle persone, persegua l’obiettivo del benessere degli individui? Da un’economia che trasforma i beni in merce (monetizzando tutto) attenta solo ad aumentare la circolazione di queste in modo da incrementare il PIL (= prodotto interno lordo), ad un’economia preoccupata delle relazioni umane dove la produzione di beni e la loro circolazione costituisce lo strumento (non più il fine) del benessere generale (che diventa il vero fine dell’economia)? Da un’economia centrata sullo scambio mercantile con la conseguente preoccupazione del profitto ad un’economia fondata sullo scambio di reciprocità e dono col conseguente rafforzamento delle relazioni umane? Da un’economia dove è centrale il capitale ad un’economia dove è centrale il lavoro? Da un’economia preoccupata per le quantità ad un’economia attenta alle qualità? Da un’economia della dismisura (hybris) e dello spreco ad un’economia della misura e della sobrietà? Non stiamo parlando del sogno di un’economia diversa, ma di una realtà che faticosamente e gioiosamente si sta già sperimentando in varie parti del mondo come ad esempio nel movimento delle Transition Towns, intere città che adottano politiche per passare da un vecchio ad un nuovo modello economico. In Italia, ormai da anni, sono operanti organizzazioni civiche – perlopiù gruppi di decine di famiglie – che adottano scelte di consumo a basso impatto sull’ambiente, finalizzate al rafforzamento dei legami sociali, tese a migliorare la qualità della vita: sono i GAS e quelli che aderiscono al movimento Bilanci di giustizia. Ci sono ancora gruppi che per liberarsi dalla tirannia del mercato e quindi dalla circolazione eccessiva delle merci, sviluppano le loro capacità autoproduttive con i conseguenti benefici di rafforzamento delle relazioni umane e di scarso impatto ambientale perché i beni sono prodotti a km 0: uno dei tanti esempi potrebbe essere l’Università del saper fare. Da oltre un decennio è operante in Italia un cartello di organizzazioni civiche animatore della campagna Sbilanciamoci finalizzata ad orientare l’economia verso i principi della solidarietà, dell’eguaglianza, della sostenibilità, della pace. Una loro interessante iniziativa è quella di mostrare l’Italia “come non l’avete mai vista” prendendo in considerazione indicatori spesso trascurati nei vari rapporti ufficiali. Un importante convegno è stato quello che si è svolto a Perugia nell’ottobre 2010 su Progettare il futuro, un tentativo di rilancio dell’economia partendo dallo sviluppo della sostenibilità ambientale. 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