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la politica impotente

Post n°37 pubblicato il 24 Gennaio 2010 da m_de_pasquale
 

Oggi la Puglia – una parte di essa – è in fermento perché si sceglie il candidato della sinistra alle prossime elezioni regionali: la competizione è tra Vendola, governatore in carica e Boccia, sostenuto dagli apparati del partito maggioritario della sinistra. Gli apparati sostengono che la candidatura Boccia si impone se si vuole allargare l’alleanza al centro e quindi vincere le prossime elezioni (la candidatura Vendola ha il veto del partito di centro); le malelingue insinuano, invece, che l’operazione Boccia è funzionale alle mire della joint-venture D’Alema-Casini sull’acquedotto pugliese (leggi privatizzazione). Ma al di là di queste considerazioni, perché tanto entusiasmo nel popolo della sinistra per la scelta di oggi? Forse perché soddisfa la fame di democrazia della gente (comprensibile in un Paese dove 6-7 persone scelgono i candidati al parlamento!) pur sapendo che si tratta solo di scegliere un candidato di una parte politica? Certo che siamo conciati male se la scelta di un candidato per una tornata elettorale diventa una delle alte espressioni del potere democratico! E nel momento in cui dovesse diventar presidente della regione, quale spazio democratico di influenza avranno i cittadini sulle sue scelte amministrative? Ma ancora: quali spazi autonomi di manovra avrà il neo governatore per realizzare i propositi dichiarati agli elettori? Chiunque esso sia, non riesco a non vedere il futuro governatore come un prigioniero che gode di una libertà condizionata. Non credo che la politica sia così potente come sembra, ritengo sia forte la sua soggezione all’economia e alla tecnica. Non conosco Vendola personalmente ma da quanto mi dicono e da come si è mosso in questi cinque anni di governo della Puglia, credo che abbia sinceramente condiviso una posizione contraria all’installazione della centrale termoelettrica a San Severo. Eppure, nonostante la sua contrarietà, non è riuscito a bloccarne la costruzione. A partire dal mondo antico si è ritenuto che gli uomini, con i loro valori e i loro bisogni, fossero attori e protagonisti della politica. Platone che non distingueva l’etica dalla politica, riteneva che essa, conoscendo il Bene, fosse una “tecnica regia” col compito di coordinare le singole tecniche ed assegnare ad esse le loro finalità: “Il possesso di molte scienze, quando non è accompagnato dalla scienza di ciò che è meglio, poche volte è utile e il più delle volte danneggia […] Accade infatti che chi possiede molte conoscenze ed ha particolare abilità in molte tecniche, se è privo di questa scienza, si fa trascinare di volta in volta da ciascuna delle altre e così finisce per trovarsi travolto dai flutti come chi solca il mare aperto senza pilota e con il rischio di non restare in vita per molto tempo”. Aristotele riteneva che la politica fosse l’essenza dell’uomo (zoon politikòn); essa, avendo il compito di consentire all’individuo il conseguimento di una vita buona e felice, aveva per oggetto le condizioni di vita degli uomini raccolti in comunità. Successivamente, il pensiero medievale e moderno fino alle correnti del ‘900, si è sempre mosso all’interno di un contesto che riteneva attori e protagonisti politici gli uomini con i loro valori e i loro bisogni. Insomma una politica umanistica dove l’agire (la scelta dei fini) aveva il primato sul fare: la politica decideva quale orientamento dare al fare, quali azioni erano possibili, erano da fare. Oggi la politica dà l’impressione di aver perso quella funzione di controllo (la tecnica regia di Platone) che l’antichità le riconosceva. Essa vive una soggezione all’economia e le sue decisioni dipendono dalle logiche dell’apparato economico e tecnico: “la politica non è più il luogo delle decisioni, perché questo luogo si è trasferito nella competenza tecnica. A questo punto, il processo di formazione della volontà democratica si risolve in un procedimento regolamentato dall'acclamazione di élite chiamate alternativamente al potere. Attraverso l'acclamazione, la popolazione legittima le persone che devono prendere decisioni all'interno dello scenario dischiuso e predisposto dalla tecnica, ma le decisioni restano per principio sottratte alla discussione pubblica, che così si adatta passivamente alla politica, così come la politica si è passivamente adattata all'economia e questa alla tecnica. A questo punto la democrazia cessa di essere la norma dei sistemi politici, e l'economia, affiancata dalla tecnica, che la sostituisce come sistema normativo, finisce con il creare seri dubbi sulla possibilità, nelle società tecnicizzate, dell'esistenza della democrazia” (Galimberti). Consapevoli dell’impotenza della politica, del tramonto di un orizzonte umanistico, della soggezione dell’azione al fare tecnico, dei ridotti margini di manovra di un qualsiasi governatore (di destra o di sinistra), facciamo bene a scegliere il minore dei mali nella speranza di allontanare, per quanto è possibile, scenari dove l’uomo non conta più niente: meglio uno che dice (sperando che manterrà l’impegno) che l’acquedotto pugliese non sarà dato ai privati e che se il Governo vorrà costruire centrali nucleari dovrà venire coi carri armati.

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Commenti al Post:
Utente non iscritto alla Community di Libero
*** il 24/01/10 alle 21:04 via WEB
la debolezza della politica si manifesta non solo per la sua dipendenza dall'economia, ma anche perchè la società è più complessa e quindi sono molteplici i centri di potere che si condizionano reciprocamente e che a seconda delle circostanze esercitano alternativamente il ruolo di subordinato o di sovraordinato.
 
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