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non ci sono più valori

Post n°40 pubblicato il 14 Febbraio 2010 da m_de_pasquale
 

La mancanza di valori è una delle cause sbandierate della crisi di una società. Non ci sono più quegli ideali, quei significati forti, quei fini universali che dovrebbero orientare le vite degli uomini. Il nichilismo (nell’accezione nietzschiana “nichilismo: i valori supremi si svalorizzano”) ne è la conseguenza. Le soluzioni che si prospettano? Ritorno nostalgico agli antichi valori (famiglia, patria e religione, …) oppure sostituzione dei valori decaduti con nuovi in attesa che anche questi facciano la stessa fine. E se invece seguissimo un’altra strada, quella di capire perché abbiamo bisogno di valori? Storicamente il valore si annuncia in Platone che valorizzando un ente lo fa diventare un Super-ente (il Bene): l’essere è la condizione perché le cose siano, ma dimenticandolo bisogna inventarsi qualcosa che faccia essere gli enti, appunto il Super-ente. Difficile riuscire a spiegare negli spazi di un post cos’è l’essere … per Jaspers è Umgreifende, vale a dire quell’onnicomprensività che consente l’accadere dell’ente: l’Essere non appare in sé ma solo nell’ente; e quando l’ente appare, l’Essere indietreggia e scompare: la presenza dell’Essere si annuncia sottraendosi nell’apparizione dell’ente. L’epoca del nichilismo è l’epoca della dimenticanza della differenza tra Essere ed ente e quindi dell’oblio dell’essere: il nichilismo considera l’essere come un nulla (nihil = niente) perché considera l’ente come un tutto. Il Super-ente platonico vale incondizionatamente, esso, cioè, ha la pretesa di essere per virtù propria e non per l’essere, sicché dell’essere ne è nulla. Se l’essere è niente (nichilismo), il valore è alla base di ogni ente. L’inconsistenza dei valori risiede nel fatto che a porli non è l’essere, ma l’uomo che, proprio in occasione dell’assentarsi dell’essere, va alla ricerca di quell’ente capace di far essere la totalità degli enti. Per effetto di questa valutazione, operata dall’uomo, nasce il mondo sovrasensibile con al vertice il Super-ente che ha potenza su tutti gli enti. Ma la valorizzazione è il frutto di una valutazione soggettiva dell’uomo; l’unico fondamento possibile per una gerarchia di valori è la valutazione della soggettività umana. Ci ricorda Heidegger: “Il pensiero che si pronuncia contro i valori non sostiene che tutto ciò che viene indicato come valore, la cultura, l’arte, la scienza, la dignità umana, il mondo e Dio, siano senza valore. Si tratta piuttosto di capire che proprio quando si caratterizza qualcosa come valore, ciò che è così valutato viene privato della sua dignità. Ciò significa che con la stima di qualcosa come valore, ciò che è così valutato lo è solo come oggetto della stima umana. Ma ciò che qualcosa è nel suo essere non si esaurisce nella sua oggettività, e ciò tanto meno se l’oggettualità considerata ha il carattere del valore. Ogni valutazione, anche quando è una valutazione positiva, è una soggettivazione. Essa non lascia essere l’ente, ma lo fa valere solo come oggetto del proprio fare. Lo strano sforzo di dimostrare l’oggettività dei valori, non sa quel che fa. Proclamare per sovrappiù Dio come il valore più alto significa degradare l’essenza di Dio. Pensare per valori, qui e altrove, è la più grande bestemmia che si possa pensare contro l’essere. Pensare contro i valori non vuol dire perciò sbandierare l’assenza di valori e la nientità dell’ente, ma portare la radura della verità dell’essere davanti al pensiero, contro la soggettivazione dell’ente ridotto a mero oggetto”. Il valore (frutto della soggettività umana che valuta), quindi, prendendo il posto dell’essere viene a costituire l’ideale a cui il reale deve adeguarsi: il dover-essere supera l’essere. Nascita della metafisica e dell’etica che come si è dimostrato sono operazioni umane, troppo umane. Insomma, i valori, nella storia della metafisica occidentale, sono stati funzionali all’oblio dell’essere perché essi, afferma Galimberti, “non sono un evento dell’essere, ma un fatto puramente estimativo che ha il suo fondamento nella soggettività, per cui ciò che viene valorizzato viene in effetti abbassato al rango di un’umana valutazione soggettiva. Bisogna quindi eliminare i valori per riportarsi alla luce dell’essere”. Riportarsi alla luce dell’essere significa cogliere la realtà nella sua originarietà come intende fare la fenomenologia che si colloca oltre la oggettivazione del soggetto (scissione soggetto-oggetto) per avvertire la presenza originaria (unità soggetto-oggetto). Sono più pericolosi i critici dei valori che ne denunciano l’origine soggettiva, o chi impone valori alimentando l’oblio dell’essere? Alla luce di queste considerazioni possiamo capire l’accorato appello che Nietzsche mette sulla bocca di Zarathustra quando, giunto nella città dal suo ritiro sui monti, annuncia il superuomo e scongiura i fratelli: “restate fedeli alla terra e non prestate fede a coloro che vi parlano di speranze ultraterrene! Sono avvelenatori, lo sappiano o no. Spregiatori della vita sono, moribondi e loro stessi avvelenati, di cui la terra è stanca: vadano dove vogliono!“. Il filosofo destituisce il valore dei valori, la loro presunta oggettività, trascendenza, incondizionatezza, perché alle spalle del valore non c’è l’essere ma l’umana valutazione, la quale valuta in conformità ai bisogni della vita che la volontà di potenza spinge a soddisfare. Potrebbe essere questa la via per liberarci dalla visione gerarchica della realtà: non esistono cose, relazioni, fatti più importanti e meno importanti … tutti si equivalgono perché tutti “sono”?

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Utente non iscritto alla Community di Libero
Antonietta il 14/02/10 alle 16:56 via WEB
la presenza dell'assenza che svela Nietzsche è immediatamente devastante...
 
Utente non iscritto alla Community di Libero
io il 14/02/10 alle 17:59 via WEB
nella società di oggi si hanno troppe comodità,questo non sucita il bisogno di avere qualcosa in cui credere. i valori sono enti ,che noi abbiamo definito a noi stessi ,superiori..una guida ,qualcosa in cui credere nel momento in cui non stiamo bene e abbiamo bisogno di credere in qualcosa. per essere ciò che siamo basta considerare sinceramente i nostri pensieri e le nostre volontà,siamo corpo e ragione e qualsiasi azione della nostra mente in cui noi crediamo è sincera a noi stessi,e quindi anche agli altri. prima era più facile avere dei valori,perchè non c'era tutto il resto. l'essere in assoluto che non ha valori è l'essere che in assoluto si sente arrivato.
 
 
Utente non iscritto alla Community di Libero
Antonietta il 18/02/10 alle 13:57 via WEB
è vero è vero...ci si sente onnipotenti..perchè abbiamo già tutto..ma è davvero "tutto" ciò di cui abbiamo bisogno?non occorre invece recuperare quel "pò" di autenticità che davvero ci appartiene?(..la cui scoperta allora ci devasta)..abbassiamo la mira per affermare noi stessi!(Galimberti è preciso quando descrive:<<si viene così a creare quella situazione paradossale in cui l'"autenticità",l'"essere se stesso",il "conoscere se stesso",che l'antico oracolo di Delfi indicava come la via della salute dell'anima,diventa,nel regime della funzionalità della tecnica,qualcosa di patologico...>>)
 
Utente non iscritto alla Community di Libero
io il 19/02/10 alle 19:36 via WEB
tutto ciò che ci appartiene provoca ansia se non è chiaro,il problema sta nel capire cosa sia davvero giusto, se l'essere chiari anche con i nostri lati più cupi o se questi ci portano ad un allontanamento..è un casino :) . credo che basti capire ,per iniziare almeno,di come essere per sentirsi soddisfatti di se stessi e in pace con gli altri..che non sia un cambiare per questi ultimi, ma che sia un migliorare il proprio modo d'essere.
 
 
Utente non iscritto alla Community di Libero
Antonietta il 20/02/10 alle 09:45 via WEB
(eh si è un casino):)..concordo!
 
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