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l'ambivalenza dell'anima

Post n°57 pubblicato il 20 Ottobre 2010 da m_de_pasquale
 

Da alcune settimane l’attenzione di giornali e televisioni è concentrata sul delitto di Avetrana dove una ragazzina quindicenne è stata uccisa. Gli investigatori non sanno ancora con certezza se sia stato lo zio o la cugina, e pertanto si susseguono le ipotesi, gli interrogatori dei membri della famiglia perché la giustizia deve stabilire la verità che, sola, tranquillizzerà i nostri animi. Per quanto ogni delitto sia un evento sconvolgente, è incomprensibile che milioni di italiani siano così presi da questa singola morte “familiare” ed ignorino, quasi, le tante morti “sociali” che ogni giorno funestano il nostro Paese: dai suicidi silenziosi frutto della depressione ai morti sul lavoro, dai morti sulla strada a quelli per droga, da quelli per malasanità agli immigrati che affogano in mare. Perché l’attenzione ad una vicenda familiare fa dimenticare un intero Paese che va a rotoli per il sistema di ingiustizie e privilegi sempre più diffuso, per l’illegalità sempre più estesa che mette in pericolo la nostra sicurezza, per la mancanza di lavoro che toglie la dignità a sempre più persone, per la povertà crescente che appare in tutte le forme attorno a noi dall’immigrato che chiede l’elemosina a quelli che rovistano nei cassonetti della spazzatura? Probabilmente le dinamiche di un delitto familiare riescono a rappresentare meglio le nostre dinamiche interiori, troviamo delle corrispondenze tra quello che prova la nostra anima e gli sviluppi della vicenda di cui seguiamo la rappresentazione: le passioni profonde ed inconfessabili che avvertiamo nella nostra interiorità trovano un aggancio in quelle che hanno mosso i protagonisti della triste storia. E’ come se assistessimo ad uno spettacolo dove vediamo rappresentati sentimenti, emozioni che avvertiamo in noi stessi ma che abbiamo paura di confessare. Questa paura la esorcizziamo andando alla ricerca del movente (la causa) che quando difetta di connessioni logiche denominiamo raptus. “Ma il raptus – dice Galimberti non esiste. E’ fanta-psicologia ipotizzare una vita che scorre normalmente e normalmente continua a trascorrere dopo l’eccesso. I raptus sono comode invenzioni per tranquillizzare ciascuno di noi e tacitare il timore di essere anche noi dei potenziali omicidi”. Questo significa che la nostra anima è ambivalente perché l’amore si incatena con l’odio, il piacere con il dolore; e nel profondo, tutte le cose sono intrecciate in un’invisibile disarmonia. Afferma ancora Galimberti: “Le nostre passioni più truci che sonnecchiano nel nostro inconscio trovano negli attori dei crimini di famiglia la loro espressione. La televisione, mettendole in mostra e raccontandocele a più riprese e da più punti di vista ce le fa conoscere, ma come passioni di altri e non come nostre passioni. Così facendo ci fa dono di una troppo facile innocenza che ci gratifica e non ci fa fare un passo verso la ricognizione di noi, perché la riflessione non è proprio una caratteristica della televisione. Anzi. E così, abbarbicati a una storia che ci appassiona perché è nostra, ma che ci viene illustrata come una storia d'altri, finiamo col non riconoscere che anche il nostro amore è orlato di odio, persino l'amore materno, persino quello per i nostri genitori, per i nostri vicini di casa, per i nostri amici, per cui basta una leggera alterazione per trovarci al di là dello schermo, questa volta guardati, dopo aver a lungo seguito con interesse storie di altri che in realtà descrivevano quanto di torbido si agita in noi”. I delitti più sconvolgenti sono quelli delle madri che uccidono i figli. Anche in questo caso è facile rassicurarci parlando di un gesto di follia, ma se si riflette sulle due soggettività che si dibattono nella donna cominciamo a capire quanto sia minima la distanza tra noi “buoni” e loro “cattive”. Nella donna – molto più marcatamente che nel maschio – la soggettività individuale confligge con quella che fa sentire la donna depositaria della specie: ogni figlio vive e si nutre del sacrificio della madre, sacrificio del suo tempo, del suo corpo, del suo sonno, delle sue relazioni, dei suoi affetti. Quando il peso di questo sacrificio diventa così alto da allontanarla dal sogno che ha coltivato per la sua vita, l’ambivalenza amore-odio, comune a tutte le madri, si potenzia e chiede una soluzione. E quando il sacrificio oltrepassa i limiti di sopportazione si affaccia come via d’uscita il più terribile degli eventi: l’evento della morte. Possiamo liberarci dalla potenzialità omicida mossa dall’ambivalenza della nostra anima? Liberarci no, ma governarla sì. Dobbiamo conoscerci meglio nel senso che la ragione deve dialogare con le nostre emozioni. Deve prendere atto che nella nostra anima si muovono sentimenti che sono potenzialmente distruttivi e quindi deve imparare a governarli. Non a reprimerli perché poi potrebbero esplodere in eventi delittuosi, ma a convivere con essi avendone intelligenza: intelligenza delle emozioni che significa capacità di riflessione, di mediazione, di proporzione. I greci parlavano di “giusta misura”. Il contenimento razionale dei sentimenti si esprime politicamente nella cultura, nella civiltà. La cultura, quindi, diventa il grande antidoto dell’istinto di morte. Si uccide e ci si uccide perché si è soli, per uscire dall'anonimato, per rivendicare la propria esistenza, oltre quella soglia dell'insignificanza in cui molti si sentono affogare. Quando si provano sentimenti ignoti a se stessi e non si ha modo di comunicarli e, nella comunicazione, portarli alla coscienza e così diluirli, è facile che si possa compiere il gesto irreparabile. Quando perdono d’importanza valori quali la comunicazione, la relazione, l’aiuto reciproco, quando si scompagina quella trama sociale che tiene legati i cittadini (che la Costituzione chiama solidarietà sociale, politica, economica), il clima che si vive è quello dell’isolamento all’interno del quale l’individuo non può che affidarsi ai suoi sentimenti e sappiamo quanto siano pericolosi se non sono governati dalla ragione.

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Valentina il 20/10/10 alle 21:06 via WEB
concordo molto con ciò che c'è scritto nell'art.Ormai la tv trasmette servizi a ripetizione sul caso Avetrana,certo dispiace però non è il caso nazionale da risolvere,c'è ben altro che dovrebbe colpire la coscienza e la sensibilità della gente.Perchè ormai ovunque in qualsiasi luogo nella più piccola parte ci sono intrallazzi e cose losche..e canale5 intanto si fissa sul solito caso!e come spiega bene l'art non pensiamo che sia poi chissà quanto lontana quella realtà che vediamo in tv,perchè ogni giorno ci troviamo di fronte a situazioni o persone o eventi che rappresentano stimoli a cui reagire,sta a noi controllare questi contrasti emozionali che emergono continuamente.E poi ricordando i greci appunto se ci ritroviamo in situazioni assurde è perchè la società,la politica,la cultura insomma tutto ciò che sta alla base,all'origine ha perso quella efficacia di antidoto per l'istinto di morte!!
 
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