Creato da m_de_pasquale il 05/10/2009
"il sapere ha potenza sul dolore" (Eschilo) ______________ "Perchè ci hai dato sguardi profondi?" (Goethe)
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"La filosofia guarda da un altro livello cose, problemi, sofferenze, desideri, piaceri. E qui cade la solitudine del filosofo che non gode come gli altri, non soffre come gli altri, perchè non guarda le cose al livello dove le vedono gli altri. Per questo il filosofo è solo e incompreso. Della solitudine ringrazia ogni giorno gli dèi che gli tolgono di torno gli abitatori del tempo; dell'incomprensione si rammarica, non per sé ma per gli altri che non sanno quello che dicono e fanno." (Galimberti)
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la guerra santa
Post n°56 pubblicato il 05 Ottobre 2010 da m_de_pasquale
Secondo il sito www.guerrenelmondo.it ben 46 Paesi sono interessati da guerre. La guerra è più diffusa di quanto si pensi. Anche l’Italia è coinvolta in una guerra; attualmente ci sono truppe italiane in Afghanistan: secondo la versione ufficiale i militari italiani fanno parte del contingente ONU che si trova lì per aiutare l’esercito regolare afghano nella guerra contro i talebani. Sembra che le due guerre mondiali del “secolo barbaro” col loro strascico di violenze e distruzioni, non ci abbiano insegnato niente se continuiamo, ancora oggi, a praticare questa azione primitiva! Facciamo questo perché, nonostante tutto, l’uomo non è cambiato e continua ad essere – come dice Quasimodo - ”ancora quello della pietra e della fionda”, o perché la guerra esercita sull’uomo un suo fascino? Ma non è più esatto dire che, più che la guerra, è il mito della guerra ad affascinare? Il mito della guerra con il richiamo al coraggio, all’eroismo può affascinare a patto che siano cancellati gli elementi essenziali di una guerra. Scrive infatti Hedges: “Non sentiamo odore di carne putrefatta, non ascoltiamo i lamenti dell’agonia e non vediamo davanti a noi il sangue e le viscere che erompono dai corpi. Osserviamo - a distanza – l’ardore e l’eccitazione, ma non viviamo l’ansia che torce le budella e l’umiliazione che accompagna un pericolo mortale”. Il mito si alimenta col patriottismo, con la retorica dell’orgoglio nazionale (“Adesso vi faccio vedere come muore un italiano” esclama Fabrizio Quattrocchi prima di essere sparato dai rapitori iracheni), con le celebrazioni pubbliche (si pensi ai tanti monumenti sorti in Italia dedicati ai “martiri” di Nassiriya), a cui corrisponde lo svilimento del nemico: “se da una parte veneriamo e piangiamo i nostri morti, dall’altra siamo stranamente indifferenti a quelli che ammazziamo noi. I nostri morti e i loro morti non sono uguali. I nostri morti contano, i loro no” (Hedges). Il patriottismo agisce come una religione, un pensiero sacro che non ammette critiche e pertanto chi dissente, chi denuncia le stragi compiute dalla propria parte, viene tacitato e disprezzato. Quando la guerra per apparire giusta viene caricata di sacralità, si abbandona la ragione e viene in primo piano la dimensione propria del sacro che è la pre-razionalità la quale neutralizza la funzione critica e negoziatrice della ragione; quando la guerra si muove in questa dimensione condivide il tratto tipico di ogni religione monoteista che è il principio d’intolleranza: se la verità è unica ed io la possiedo, l’altro è nell’errore e perciò Dio mi assiste nell’annientamento del nemico. Non è forse questo il principio della guerra santa che come si vede non è affatto una prerogativa degli islamici? Secondo Hedges la guerra scatena la necrofilia e la lussuria: “Gli esseri umani diventano oggetti, oggetti da distruggere o da usare per gratificazioni carnali. Il sesso casuale e frenetico, assai frequente in tempo di guerra, spesso passa il segno e si trasforma in perversione e violenza, rivelando un grande vuoto morale. Quando la vita non vale niente, quando non si è sicuri di sopravvivere, quando a governare gli uomini è la paura, spesso si ha la sensazione che rimangano solo la morte o un fugace piacere carnale”. Sono le pulsioni primarie che Freud chiamava Eros e Thanatos. Della guerra non ci si libera facilmente perché essa – a detta di Hedges - genera una specie di tossicodipendenza, e pertanto, anche quando è finita, i suoi effetti continuano nella vita dei reduci: “La furia della battaglia provoca una dipendenza fortissima e spesso letale, perché anche la guerra è una droga, un tipo di droga che ho mandato giù per molti anni. A spacciarla sono coloro che ne creano il mito. [...] Quando assumiamo la droga della guerra proviamo esattamente quel che provano i nostri nemici, quei fondamentalisti islamici che definiamo alieni, barbari, incivili. È lo stesso narcotico che anch’io ho consumato per anni. E come per ogni tossicodipendente in fase di recupero, una parte di me continua ad avere nostalgia della semplicità e dell’euforia della guerra, anche se mi tormento per la ferocia che avrei fatto meglio a non vedere di persona. In certi momenti avrei preferito morire così, che tornare al tran tran della vita quotidiana. [...] La pace aveva fatto riemergere in me e in tanti di quelli che ho visto combattere quel vuoto che era stato riempito dalla furia della guerra. Ancora una volta eravamo soli, come forse lo siamo tutti, senza più il legame di un comune senso di lotta, senza essere più sicuri di che cosa sia la vita e di quale senso abbia. [...] Come la droga, infatti, anche la guerra dà l’illusione di eliminare i problemi più spinosi della vita”. Ci si può disintossicare da questa droga? Probabilmente rimane valida l’esortazione di Kant - l’autore di Per la pace perpetua - “Sapere aude”: abbi il coraggio di servirti della tua ragione, l’unica in grado di far tacere il fondo pre-razionale che ha sempre alimentato la guerra e di far riconoscere la dignità e il valore di ogni essere umano al di là di ogni appartenenza. |
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