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terra da dominare o terra da abitare?

Post n°17 pubblicato il 01 Novembre 2009 da m_de_pasquale
 

La Regione Puglia ha emanato un bando pubblico per favorire l’insediamento dei giovani in agricoltura. Al di là di una espressione equivoca (“miglioramento della competitività delle imprese agricole pugliesi”), sono interessanti gli obiettivi dell’azione perché si intende “consolidare il tessuto socio-economico nelle zone rurali” ed “incoraggiare il miglioramento delle capacità professionali dei giovani agricoltori, anche al fine di orientarli verso lo sviluppo di nuovi sbocchi per le produzioni agricole”. Ma quale rapporto con la terra si auspica per questi giovani? La logica competitiva non ha a che fare con lo sfruttamento che ottimizza i risultati e perciò si è competitivi? O la competizione deve giocarsi su un diverso rapporto con la terra? Terra da dominare o terra da abitare? Per i greci antichi la natura costituiva un limite insuperabile a cui l’azione umana doveva piegarsi come alla suprema legge: l’uomo non può dominare la natura, ma solo svelare ciò che è in lei. La concezione greca della verità è intesa come svelamento (aletheia) della natura (physis) dalla cui contemplazione nascono le conoscenze che regolano l’agire dell’uomo. Da questo orizzonte cosmologico del pensiero greco, si passa ad uno antropo-teologico della concezione giudaico-cristiana: la natura è il prodotto della volontà creatrice di Dio che la consegna all’uomo. Affidando la natura all’uomo, viene anche deciso il suo destino. C’è scritto nella Bibbia: “l’uomo domini sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo, sugli animali domestici, su tutte le fiere della terra”. Un destino di dominio che oggi si risolve nello sfruttamento della natura: le cose non sono più considerate per quello che sono, ma per quello a cui servono; e l’uso che l’uomo ha sempre fatto delle cose per garantirsi l'autosussistenza, diventa usura, logoramento della terra. Scrive Heidegger: “ La legge nascosta della terra la mantiene nella moderata misuratezza del nascere e del perire di tutte le cose entro i limiti della loro possibilità, che ognuna di esse segue e che tuttavia nessuno conosce. La betulla non oltrepassa mai la sua possibilità. Il popolo delle api abita dentro all’ambito della sua possibilità. Solo la volontà, che si organizza, con la tecnica, in ogni direzione, fa violenza alla terra e la trascina nell’esaustione, nell’usura e nelle trasformazioni dell’artificiale. Essa obbliga la terra ad andare oltre il cerchio della possibilità che questa ha naturalmente sviluppato, verso ciò che non è più il suo possibile, e quindi è l’impossibile.Al primato della natura è subentrato il primato del mercato: i beni sono prodotti dalla natura non per il soddisfacimento dei bisogni, ma per la produzione di denaro grazie allo scambio di essi secondo le leggi del mercato (Marx direbbe non più valori d’uso, ma valori di scambio). E’ il dominio della cosa sull’uomo, ovvero del “materialismo” (ed ironia della sorte, Marx che ha denunciato tutto ciò, viene tacciato di essere un materialista!). Per curare la nostra volontà di potenza che ha ridotto la terra ad un fondo a nostra disposizione sfruttabile oltre ogni limite, ci farebbe bene un bagno rigeneratore nel pensiero delle origini, dove la natura è la Grande Madre [l’associazione madre/terra insiste sulla forza generatrice della terra e sulla sua funzione protettiva]. Ritornare a quell’idea di sacralità associata all’agricoltura, considerata non semplicemente una tecnica, ma - essendo in relazione con la vita presente nei semi, nei solchi, nella pioggia - anzitutto un rituale compiuto sul corpo della Terra-Madre che mette in moto le forze sacre della vegetazione. Afferma Mircea Eliade: “ Quel che l’uomo ha veduto nei cereali, quel che ha imparato da questo contatto, quel che ha inteso dall’esempio dei semi che perdono la loro forma sotto terra, tutto questo rappresentò la lezione decisiva. L’agricoltura ha rivelato all’uomo l’unità fondamentale della vita organica; tanto l’analogia donna-campo-atto generatore-semina, come le più importanti sintesi mentali uscirono da questa rivelazione: la vita ritmica, la morte intesa come regressione. Queste sintesi mentali sono state essenziali per l’evoluzione dell’umanità e furono possibili solo dopo la scoperta dell’agricoltura. Appunto nella mistica agraria preistorica sta una delle radici principali dell’ottimismo soteriologico: precisamente come il seme nascosto nella terra, il morto può sperare in un ritorno alla vita sotto nuova forma. Ma la visione malinconica, talvolta scettica, della vita ha parimenti origine dalla contemplazione del mondo vegetale: l’uomo è simile al fiore dei campi…”.

 
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