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il potere della crescita

Post n°60 pubblicato il 21 Novembre 2010 da m_de_pasquale
 

Se l’efficienza è il metodo con cui il potere si conserva, la crescita è la prova del raggiungimento del potere. La crescita è una potente idea che si è affermata a partire dalla rivoluzione industriale, da quando, cioè, l’economia fa il salto da una logica di sussistenza ad una di surplus produttivo, di accumulazione, di profitto inaugurando l’ideologia capitalista. Il mito della crescita – economica – è figlio dell’aberrazione di questa ideologia che sgancia da ogni finalità il senso della produzione o meglio produce per accumulare (ma accumulare perché?). Ho definito la crescita un mito delle nostre società. A differenza delle idee che pensiamo, i miti sono idee che ci possiedono e ci governano con mezzi che non sono logici, ma psicologici, e quindi radicati nel fondo della nostra anima, dove anche la luce della ragione fatica a far giungere il suo raggio; sono idee semplici, comode, che non danno problemi, facilitano il giudizio, ci rassicurano togliendo ogni dubbio alla nostra visione del mondo. Assomigliano molto ad una fede. L’idea di crescita, nelle varie accezioni con cui la utilizziamo, alimenta l’idea del potere. Associamo abitualmente all’idea di potere quella dell’espansione (diventare più grande, aumento delle dimensioni), dell’evoluzione (progredire nella forma, nella funzione), del progresso (migliorare), dell’integrazione (parti che si collegano in sistemi più estesi). Sono tutti significati inerenti all’idea di crescita che è diventata così pervasiva da non riguardare più solamente la dimensione economica (vedi l’idolo venerato dalla religione dell’economia, ovvero la crescita del PIL), ma tutta la nostra vita, è diventata la nostra forma mentis: sentiamo, pensiamo, vediamo il mondo con la lente della crescita. Se un processo si arresta, se le quantità diminuiscono, se prevale il segno meno, se la povertà incombe, l’angoscia ci pervade dato che la nostra valutazione del mondo è condizionata dal mito della crescita. Eppure basterebbero alcune banali considerazioni per renderci consapevoli di essere prigionieri di un mito: le vite che osserviamo (le nostre, degli animali, delle piante) sono caratterizzate dalla crescita infinita o il loro futuro naturale è la decadenza e la morte? le “crescite” che osserviamo sono caratterizzate dal succedersi di progressivi segni più o sono piuttosto un alternarsi di segni più e meno (un traguardo, in genere, è raggiunto attraverso una esperienza di sconfitta, di dolore …)? il “di più” coincide sempre col “meglio”? viviamo in società con tante industrie che producono i tanti beni che noi consumiamo, con tanti mezzi di comunicazione che hanno fatto diventare il mondo poco più di un villaggio, con tante opportunità in più rispetto al passato …: ma tutte queste “quantità” non hanno forse segnato negativamente la “qualità” della nostra vita che deve difendersi da un ambiente sempre più inquinato, sommerso dai rifiuti, più insicuro, povero di relazioni umane e di tempo libero? ed allora la quantità è sempre meglio della qualità? Il mondo organizzato sul modello della crescita, dell’accumulo, dell’espansione deve indurci a porre alcuni interrogativi fondamentali: perché l’attivismo dovrebbe essere meglio dell’ozio? la velocità della lentezza? l’effimero della durata? il futuro del passato? il rinnovamento della conservazione? il nuovo del vecchio? il consumatore del fruitore? il divertimento della gioia? la competizione della collaborazione? il fare della contemplazione? il tempo della produzione del tempo della relazione? il tempo di lavoro del tempo libero? l’aumento della diminuzione? la forza della debolezza? (potere - 3  precedente  successivo)

 
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