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oltre il mito del potere

Post n°64 pubblicato il 31 Dicembre 2010 da m_de_pasquale
 

L’idea di potere è un’idea dominante tra quelle che orientano la nostra vita ed i significati ricorrenti con cui si manifesta sono guadagno, possesso, profitto, mercato, proprietà, risparmio … le domande usuali che regolano il nostro rapporto col mondo – e quindi l’esercizio del nostro potere – non sono forse: a che serve? che ci guadagno?  L’orizzonte economico è l’humus nel quale si sviluppano le nostre vite e pertanto anche le nostre idee sono determinate da questo orizzonte: la “religione” dell’economia è la vera religione del mondo attuale. Ma se l’economia condiziona/determina le nostre idee che sono quelle che orientano il nostro agire, se vogliamo coltivare una speranza di cambiamento – gli effetti aggressivi della nostra azione sul mondo sono evidenti! – dobbiamo, necessariamente, lavorare sulle nostre idee, studiare la loro dipendenza dall’orizzonte economico, ipotizzare il modo per liberarle da questa dipendenza nella speranza, così, di mettere in campo azioni “rispettose” del mondo. Bene, riflettiamo, allora, sul fatto che l’economia sia diventato l’orizzonte predominante e che tutte le nostre produzioni siano influenzate dall’orizzonte economico. L’idea centrale dell’economia è la produzione;  la produzione si prospetta come il “fine” dell’economia. Nel passato la produzione era un “mezzo”, infatti l’uomo aveva dei bisogni e per soddisfarli doveva produrre dei beni: il “fine” era il consumo di un bene, il “mezzo” era la produzione di un bene. Oggi è ancora così? Non assistiamo ad una inversione di mezzi e fini per cui la produzione diventa il “fine”? Se facciamo attenzione, oggi non si produce per consumare, ma si consuma per produrre. Il consumo diventa il mezzo per perpetuare la produzione: la grande alleata di questo imperativo è la pubblicità, la moda, accomunate nel disegno di distruzione dei beni (l’abito non è più di moda … i prodotti hanno la scadenza e devono essere buttati … il nuovo modello di cellulare che soppianta il precedente anche se ancora funzionante …) per consentire la produzione di altri beni. Questa inversione del rapporto normale tra mezzi e fini acquisisce nella contemporaneità una tale insensatezza che la produzione va allentando sempre più il legame col consumo, e nel suo impazzimento diventa normale produrre e basta, produrre per produrre. Sembra quasi che la frenesia della produzione abbia talmente drogato la stessa produzione che se si dovesse chiedere “ma perché si produce?” l’unica risposta possibile sarebbe “per produrre sempre di più!” . E’ un meccanismo che si autoalimenta. Se proprio volessimo trovare l’ombra di un “fine” nella questione, potrebbe essere quello di produrre in modo sempre più efficiente, con un buon rapporto costi/benefici (risparmio), velocemente, ottenendo un profitto sempre più alto … insomma ritorna la solita litania di idee dominanti che abbiamo già considerato che fanno riferimento ad un’altra parola dominante: tecnica. Una produzione tecnicamente perfetta è appunto quella caratterizzata da un ottimo rapporto tra costi e benefici. L’orizzonte economico-tecnico è diventato il nostro universo di riferimento, un orizzonte che determina le nostre idee e che, di conseguenza, informa il nostro agire. Determina o condiziona? Se diciamo “condiziona” riserviamo ancora un margine di libertà, di soggettività all’uomo che pensa e che agisce, ma se diciamo “determina” l’uomo non è più soggetto, è obbligato in determinati percorsi; si crede, forse, ancora libero, ma di fatto non lo è! Com’è la situazione attuale? Più che la funzione di soggetto libero, l’uomo non svolge il ruolo dell’impiegato, del funzionario di un sistema? Paradossalmente, oggi, l’uomo non si sente libero proprio perché è funzionale, perché è al servizio di un sistema? Il sistema economico-tecnico in cui l’uomo è oggi ingabbiato è avvertito come una costrizione esterna, o piuttosto è stato interiorizzato e ci governa dall’interno così da sembrare quasi una religione, la vera religione del mondo attuale? Ed essendo una “costrizione” interiore non ci sentiamo “in pace” (= liberi) solo quando aderiamo intimamente ad essa? Pertanto non è vero, allora, che solo nella nostra funzionalità, nel fatto che siamo degli “impiegati”, sperimentiamo la nostra libertà? O addirittura, non abbiamo la possibilità di comprendere noi stessi solo all’interno di questa condizione di funzionalità? La messa in crisi della soggettività dell’uomo a causa del predominio dell’orizzonte economico-tecnico, non significa messa in crisi di tutte quelle che erano espressioni dell’umanismo come le ideologie (c’è ancora spazio per l’ideazione umana se la vita dell’uomo è già programmata dall’apparato economico?), la politica (c’è ancora la possibilità di trasformare il mondo a partire dall’impegno degli uomini se il mondo funziona solo obbedendo alle leggi dell’economia?), l’etica (ha senso parlare di responsabilità umana e quindi di una azione che deve tener presente dei fini da raggiungere se la tecnica si è così evoluta che per l’uomo è impossibile percepirne gli sviluppi?)? Insomma, dobbiamo rassegnarci alla sconfitta di ogni protagonismo umano convicendoci di condurre vite come automi determinati dal sistema economico-tecnico? Se, come abbiamo visto, all’origine di tutto ci sono le idee che si traducono nel fare, se le idee dominanti sono quelle funzionali al sistema, se proprio questo tipo di idee funzionali rafforzano in tale modo il sistema da farlo apparire come un organismo autonomo che può addirittura fare a meno dell’uomo (fine del soggettivismo, tramonto dell’umanismo), penso che si possa coltivare una ragionevole speranza per liberarsi dalla morsa dell’apparato economico-tecnico. In che modo? Lavorando sulle idee. Evidenziandone i pregiudizi, esplicitandone i sensi nascosti, liberandole dall’irrigidimento in cui il mito (= il modo omologato d’intenderle) le colloca. Solo problematizzando le idee – che poi è il lavoro della filosofia -  potremo smuoverle dal loro assopimento (= fissazione nei miti del nostro tempo), liberarle dalla tirannia dell’apparato economico-tecnico. Solo così potrà presentarsi un altro mondo all’interno del quale potremo giocare una presenza attiva e partecipe recuperando un ruolo per la nostra soggettività. (Potere - 7  precedente  successivo)

 
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