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il sacro dell'eros

Post n°80 pubblicato il 02 Dicembre 2011 da m_de_pasquale
 

Abbiamo individuato nella tensione – intesa come apertura alla dimensione simbolica che consente all’uomo di vivere la natura come una ierofania - l’essenza della capacità di trascendenza. Se la tensione è anche l’essenza dell’amore, l’amore è trascendenza ovvero possibilità dell’esperienza del sacro. Platone ci spiega queste cose nel Simposio quando racconta il mito della nascita di Eros. Nel giorno della nascita di Afrodite, gli dèi celebrano l’evento con un banchetto a cui partecipa anche Poros (= astuzia, espediente). Penìa (= povertà), venuta a mendicare qualcosa, avendo visto Poros ubriaco ed addormentato nel giardino di Zeus, si sdraia al suo fianco con l’intento di avere un figlio. Rimane  incinta e partorisce un figlio, Eros, che eredita dalla madre il carattere di costante bisogno perché la povertà alimenta il desiderio, e dal padre l’astuzia e cioè la capacità di riuscire ad ottenere ciò che desidera. Platone coglie bene la natura di costante tensione ma anche di lacerazione che caratterizza l’esperienza d’amore: quando l’oggetto del desiderio non è ancora posseduto si soffre per la sua mancanza, ma quando lo si è raggiunto la tensione non si placa completamente, come se esistesse un’eccedenza tra desiderio e realizzazione. Insomma sembra che l’amore sia caratterizzato da una contraddizione: se da una parte desidera l’oggetto d’amore e soffre finchè non lo raggiunge, e poi, una volta raggiunto, ricorda con nostalgia la condizione precedente in cui desiderava, vuol dire che l’essenziale nell’amore non è tanto il raggiungimento dell’oggetto, quanto quello di vivere costantemente uno stato di tensione. Tensione finalizzata a che cosa? Quale potrebbe essere il vero oggetto del suo desiderio? Verso cosa rinvia la sua capacità di trascendenza? Anche Freud coglie la contraddizione dell’amore quando afferma che “dove amiamo non proviamo desiderio, e dove lo proviamo non possiamo amare”. Sembra quasi che la tensione non debba mai concludersi con un possesso perché la forza dell’amore è nel desiderio costante. Dice Stendhal che il desiderio deve rimanere sempre desto grazie al dubbio e all’incertezza così da alimentare la scintilla della passione che la certezza, invece, uccide. Nella passione perdiamo il controllo, subiamo l’attrazione – che è una tensione - verso l’amato (forse sarebbe meglio dire verso la nostra idealizzazione dell’amato), un’attrazione che dura finché si nutre del “non ancora” divenendo, come direbbe Levinas,godimento del trascendente … perché l’amore è una relazione con ciò che si sottrae per sempre e che è impossibile tradurre in termini di potere”. Quando l’amore si risolve nel possesso, come accade nell’esperienza del piacere sessuale, la passione svanisce perché il possesso interrompe la tensione e non rinvia più alla trascendenza. Insomma siamo attratti da ciò che non vediamo; direbbe Baudrillard che “l’assenza seduce la presenza”. Non ci attrae ciò che è chiaro, ma ciò che intravediamo perché solo così si mantiene quella tensione che altrimenti verrebbe dissolta. Sempre Platone nel Simposio, probabilmente, potrebbe fornirci delle indicazioni interessanti per rispondere alla domanda riguardante il vero oggetto della tensione che caratterizza l’amore. Dopo aver raccontato della decisione di Zeus di dividere a metà i primi uomini, parlando dell’attrazione provata da questi esseri nel momento in cui incontrano l’altra metà di se stessi, scrive: “E queste persone che passano la loro vita gli uni accanto agli altri non saprebbero nemmeno dirti cosa si aspettano l’uno dall’altro. Non è possibile pensare che si tratti solo delle gioie dell’amore: non possiamo immaginare che l’attrazione sessuale sia la sola ragione della loro felicità … c’è qualcos’altro: evidentemente la loro anima cerca nell’altro qualcosa che non sa esprimere e perciò la esprime con vaghi presagi, come divinando da un fondo enigmatico e buio”. Non il desiderio dell’unione dei corpi, ma qualcos’altro costituisce il vero oggetto di desiderio dell’amore: la tensione verso quella parte di sé sconosciuta che egli definisce “fondo enigmatico e buio”. Potremmo pensare che ciò che noi siamo abituati a far coincidere con l’amore, vale a dire il rapporto simbiotico tra due amanti, costituisca non il fine ma il tramite, la via per giungere ad incontrare il fondo enigmatico e buio? La sessualità quando coincide con l’esperienza del cedimento dell’Io – l’Io che perde il suo potere di controllo e pertanto muore (Bataille ci ricorda che in francese orgasmo si dice petite morte) – non apre forse sul vuoto facendo sì che questa assenza attragga più della presenza dell’amante? E se il vuoto attrae più del pieno, si può ben dire che l’amore è trascendenza. L’attrazione del vuoto è il richiamo esercitato dalla parte ignota di noi. Affacciarsi sulla parte ignota di noi significa immergersi nella follia che abita il fondo enigmatico e buio. Follia intesa come quella condizione che precede ogni distinzione, dove convivono tutti i sensi possibili, regno del caos, del disordine, della confusione. E’ un rivivere la dinamica di morte e resurrezione che abbiamo visto operante nei cicli della natura: l’Io muore / si immerge nella follia da cui proviene / rinasce in nuove configurazioni. Una periodica immersione nella follia - nel sacro – che si rivela importante per la nostra salute se Platone può affermare che “i beni più grandi ci vengono dalla follia naturalmente data per dono divino. La follia del dio proveniente è assai più bella della saggezza di origine umana”. (sacro - 6  precedente  seguente)

 
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