Creato da carlopicone1960 il 13/01/2008

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Messaggi di Giugno 2020

Turismo di prossimità

Post n°592 pubblicato il 28 Giugno 2020 da carlopicone1960
 
Foto di carlopicone1960

Con la pandemia che continua a manifestarsi attraverso focolai che scoppiano un po’ in tutto il Paese, anche se con effetti molto meno devastanti rispetto ai mesi iniziali del contagio, la mobilità degli italiani sul territorio è destinata a subire notevoli condizionamenti. Come ancora accade per i nostri spostamenti quotidiani. È pur vero che dovunque è cessata l’obbligatorietà dell’uso della mascherina, solo all’aperto però, che nei ristoranti e nelle pizzerie possiamo andare in quasi completa libertà, basta farsi controllare la temperatura corporea e rispettare un distanziamento fisico sempre più ridotto. 

Tuttavia, la persistenza del virus che non smette di affacciarsi in realtà già precedentemente aggredite, come l’Emilia Romagna, la Campania e il Lazio, solo per citarne alcune, contribuisce ad aumentare l’attenzione. All’insorgenza di un pericolo che sembra essere costantemente dietro l’angolo, malgrado le rassicurazioni che vengono da gruppi nutriti di esperti infettivologi e virologi, attualmente divisi sulla necessità di allentare le misure restrittive e di contrasto all’epidemia, attesa in autunno ad una nuova ondata virulenta. 

Di sicuro è improponibile ripristinare il “tutti a casa” di marzo e aprile: il logdown con i suoi scenari surreali e desolati ha notevolmente provato la tenuta dell’intera nazione. Eppoi ci sono le sacrosante ferie, la voglia di vacanze e di svago, per mettersi alle spalle le paure e rilanciare il Pil italiano sceso a livelli insostenibili. Ma resta la contraddizione di realtà regionali diversamente interessate al Covid-19, mentre cresce il caldo torrido, contestualmente all’incertezza delle politiche dei vari stati coinvolti, non tutti propensi alla riapertura delle frontiere, come se niente fosse successo. 

E allora la parola d’ordine di quest’estate è “turismo di prossimità”. Viaggi brevi, spostamenti ridotti, senza allontanarsi troppo dal proprio luogo di residenza. Insomma, vacanze regionali, per chi, nel generale incremento dei prezzi, se le potrà permettere. 

Va da sé che a soffrirne maggiormente saranno le popolazioni delle zone interne. Così, gli irpini, che si allontaneranno dal capoluogo, rimasto privo com’è di attrattive, ritorneranno ad affollare le coste cilentane e, nell’altra direzione, i molto più cari approdi della costiera amalfitana. Per un bagno in più. 

Alternative valide sono rappresentate dalle nostre montagne, con gli stupefacenti paesaggi che offrono al visitatore, pronto ad immergersi in scenari naturali di grande impatto. Organizzare tour in provincia può infatti essere una buona idea di prossimità, malgrado non abbia i crismi della vacanza stanziale e prolungata. A meno di scegliere di trasferirsi per qualche settimana nella pace disconnessa di qualche nostro paese. Altrimenti si è sempre liberi di imbarcarsi in itinerari molto più dispendiosi verso sud, illudendosi che l’emergenza coronavirus appartenga ormai al passato. Di certo, partire con mascherina al seguito, regole di distanziamento e divieti di assembramento, divenute ad un tratto più flessibili, non costituisce propriamente un buon viatico per delle ferie davvero spensierate.   

 
 
 

Verso le Regionali

Post n°591 pubblicato il 25 Giugno 2020 da carlopicone1960
 
Foto di carlopicone1960

Tra il 20 e il 21 settembre, più o meno come per il recupero dei turni del campionato di calcio non giocati, si svolgerà l’“election day”. Anglicismo con cui s’intende l’appuntamento destinato alle consultazioni amministrative locali - rinnovo di presidenti di regione e sindaci -, per il quesito referendario sul taglio del numero dei parlamentari, e per le elezioni suppletive in due collegi - uno in Sardegna, l’altro in Veneto - rimasti senza rappresentanti. Un evento che si preannuncia speciale, in tempi ancora segnati dal Covid-19, che condizionerà la campagna elettorale chiamata quindi a misurarsi con il caldo estivo e la voglia di vacanza degli italiani. Sta di fatto che la Campania è una delle regioni più importanti dove si voterà, insieme a Toscana, Veneto e Puglia. 

Dopo mesi di confinamento, nei quali la figura del governatore, erettosi a padre-padrone severo e preoccupato per la salute di tutti i cittadini campani, è divenuta familiare per quanti rinchiusi nelle loro case seguivano i suoi continui video-messaggi e le molteplici ordinanze declamate con tono solenne e stentoreo, si va a votare. 

Questi mesi di pandemia hanno partorito, come candidati alla presidenza della Regione, tre volti stranoti quali appunto l’uscente Vincenzo De Luca; l’ex presidente di due legislature fa Stefano Caldoro e Valeria Ciarambino, già competitor in precedenti elezioni. Il primo, alla guida di un esercito di liste di area Pd, ma non solo, visto l’appoggio dichiarato dei demitiani e di qualche altro centrista ex democristiano. Il secondo, rispolverato dopo un lungo periodo di silenzio, espressione di Forza Italia e candidato delle destre, dopo il patto siglato con Salvini e la Meloni. Infine, la terza, pentastellata amica di Di Maio, a capeggiare la solita lista post-ideologica del Movimento, in crisi in tutt’Italia. 

Si tratta di tre scelte assolutamente non inedite, in nome di un cambiamento di classe dirigente ancora lontano dal realizzarsi, coi mandati elettorali che si ripetono e le figure che inevitabilmente invecchiano. Ma, se quello che si è maggiormente avvantaggiato sul piano dei consensi, durante il periodo più vivo dell’emergenza sanitaria, è stato senza ombra di dubbio il 71enne “mastino” di Ruvo del Monte (Pz), fino a conquistare i palcoscenici nazionali e superare lo stesso imitatore principe Maurizio Crozza, grazie al suo eloquio ridondante e al linguaggio iperbolico (i famosi “lanciafiamme”) con cui annunciava i provvedimenti di contrasto al contagio; degli altri due contendenti alla carica di presidente poco e niente è riuscito finora a penetrare fra il popolo degli elettori campani. Tanto che molti si sono chiesti il motivo per cui le destre abbiano deciso di puntare su un personaggio già sconfitto alle elezioni, come Caldoro. E perché il M5S abbia pensato di riproporre l’eterna consigliera d’opposizione Ciarambino, come se non ci fossero alternative. 

Stando alle previsioni, non ci dovrebbe essere partita, né ballottaggio. Anche se l’insidia più grande, a parte l’ex socialista berlusconiano che si sforza di recitare il ruolo del “nuovo che avanza”, per De Luca pare essere proprio in seno all’area democratica, dove da sempre il governatore non gode di sostegni unanimi. Anzi, c’è più di un avversario interno che potrebbe prendersi una clamorosa rivalsa ai suoi danni. 

D’altra parte, sono note a tutti le opinioni a dir poco critiche di De Luca nei confronti della dirigenza nazionale del Pd. Tuttavia, la trasversalità dei voti in suo favore dovrebbe metterlo al riparo da sorprese sconvenienti. 

Dietro al presidente uscente c’è però una situazione alquanto caotica. Che siano dieci o no le sue liste di supporto, le notizie provenienti dallo schieramento di centro-sinistra riferiscono di una voglia generalizzata di partecipare alla competizione per ottenere un seggio a Palazzo S. Lucia. Con una carica di irpini distribuiti un po’ dappertutto. Di certo più problematica la strada per conseguire il successo. 

L’emergenza Covid che, nonostante si sia molto allentata specie in Campania, continua a destare attenzione, perché il virus è ancora presente, finché non sarà trovato un vaccino davvero efficace a debellarlo. Immaginate le limitazioni anti-assembramenti e i dispositivi anti-contagio ai comizi elettorali. Così, l’ottimistico rinvio dell’appuntamento con le urne nella seconda parte di settembre ha il sapore di qualcosa di improrogabile. Malgrado l’impressione sia che l’“election day” di domenica 20 settembre, con il successivo lunedì mattina, farà registrare molti non-votanti. 

 

 
 
 

Linee guida

Post n°590 pubblicato il 24 Giugno 2020 da carlopicone1960
 
Foto di carlopicone1960

Sono state rese pubbliche le anticipazioni delle Linee guida per il ritorno a scuola, in sicurezza, nel mese di settembre. Fermo restante che non è stata ancora ufficializzata la data del rientro, dopo il lungo stop iniziato il 6 marzo scorso, il Ministero dell’Istruzione dimostra di non perdere il suo carattere d’incertezza, affidando buona parte dei provvedimenti, pensati per ogni grado d’insegnamento, alle decisioni di enti locali e presidi. Una clamorosa delega di responsabilità che non solo getta nello sconcerto i capi d’Istituto, sui quali viene trasferita gran parte dell’impegno di organizzare classi e orari secondo le esigenze del post Covid, che potrebbe ritornare in una seconda ondata ancora più letale, fin quando non sarà disponibile un vaccino efficace per tutti; ma finisce per caratterizzare in maniera decentrata le modalità della delicata ripresa delle attività didattiche. 

A scorrerli velocemente, infatti, nell’attesa della negoziazione con i rappresentanti dei sindacati e delle associazioni di categoria, le cosiddette “parti sociali”, colpisce la densità degli interventi, ideati dalla scuola d’infanzia alle superiori, assemblati insieme, senza dare le doverose indicazioni specifiche e dettagliate per attuarli. Si legge, ad esempio, di ore ridotte (a 45 minuti); raggruppamento di alunni provenienti anche da classi diverse e di età differente (grandi e piccoli insieme); possibilità di mixare didattica in presenza e didattica a distanza; alternanza di turni; azzeramento del sabato festivo per chi ne usufruisce. 

Tuttavia, nulla si dice sull’effettiva applicazione del distanziamento fisico, che resta una priorità indispensabile nella socializzazione della scuola post Covid. Perché, se permane l’obbligo del metro e mezzo o due da osservare rigorosamente, gli spazi delle aule non sono cambiati, come le “classi pollaio” di cui la ministra Azzolina aveva annunciato l’eliminazione. A meno di non intendere come possibile la loro riforma mediante lezioni per gruppi separati da spalmare durante la giornata, secondo criteri che ancora s’ignorano. Se non si aspettano le dovute soluzioni da parte dei dirigenti scolastici. 

Di certo, nell’assenza di una linea unitaria per tutto il territorio nazionale, fra istituti ipermoderni e molti altri fatiscenti, le lezioni on line torneranno a fare capolino specie per le classi più numerose. In un caotico guazzabuglio che rimanda ai singoli ogni iniziativa. 

Tra le svariate misure di sicurezza, peraltro, mancano non solo indicazioni stringenti sulla necessità di indossare le mascherine, ma si trascurano quasi completamente quelle riguardanti la didattica, il processo d’insegnamento-apprendimento che rischia di essere travolto dalla serie infinita di misure ancora emergenziali. 

Sanificazione degli ambienti a parte, liquidi disinfettanti, misurazioni della temperatura, ingressi dilazionati e vigilanza sulle uscite degli alunni per i corridoi, non bastano infatti ad assicurare un “fare scuola” che sia davvero efficace in funzione formativa. Come sono insufficienti i controlli sulla salute dei docenti, con test sierologiche e tamponi, che lasciano il tempo che trovano. Con l’eliminazione della figura mitica del “compagno di classe”. Il demandare a presidi e Regioni, e le maestre dell’infanzia con la visiera protettiva. 

Tutto questo, senza che si sia provveduto ad adeguare le scuole esistenti ai nuovi bisogni, lascia il sapore amaro del solito disinteresse con cui le istituzioni guardano all’agenzia educativa per eccellenza. Da sempre maltrattata ed economicamente depotenziata. Ad essa ci si affida per curare la crescita culturale delle nuove generazioni, ma nella generale incertezza. Ci saremmo aspettati nuovi spazi e strutture, indirizzi adatti all’anno scolastico in arrivo, anche rispetto ai programmi disciplinari e agli orari di lezione. Nuovi assunti per le esigenze raddoppiate delle classi da dividere nella prossima stagione, che vedrà diverse migliaia di pensionamenti ed i soliti duecentomila precari. 

Se puntare sull’istruzione costituisce un requisito indispensabile per lo sviluppo di un Paese, non si può dire che la scuola post Covid delineata dal Ministero sia sulla strada giusta. Piuttosto, non se ne intravedono le linee. Nella speranza che qualche orientamento più concreto possa venire dalle prossime contrattazioni sindacali.  

 
 
 

In difesa di De Luca

Post n°589 pubblicato il 23 Giugno 2020 da carlopicone1960
 
Foto di carlopicone1960

Il politico italiano che maggiormente ha guadagnato consensi durante la lunga fase di pandemia è sicuramente il presidente della Regione Campania, Vincenzo De Luca. Un seguito trasversale, il suo, fra elettori di destra e di sinistra, ammaliati dai suoi toni decisi e perentori, tanto da sfuggire da ogni collocazione precisa dentro lo scacchiere degli schieramenti partitici. Sì, perché il governatore-sceriffo di Palazzo S. Lucia, in questi mesi, ha dimostrato di saper parlare al suo popolo, riuscendo a gestire con oggettiva efficacia l'emergenza coronavirus. Ma confondere il suo modo di comunicare, determinato e soprattutto chiaro, con un riprorevole inguaggio violento, con cui volgarlmente attacca i suoi avversari politici, è frutto di una polemica vuota e strumentale da parte di chi non trova altro che le sue espressioni ridondanti e forbite per rispondere strumentalmente ai suoi affondi.

È di questi giorni, infatti, lo scambio di invettive tra il presidente e il leader della Lega, Matteo Salvini, sostenuto da una disorientata Giorgia Meloni. Casus belli la festa in piazza dei tifosi del Napoli per la vittoria della Coppa Italia sull'odiata Juventus. Con i due esponenti delle destre pronti a bacchettarlo per aver permesso di trasgredire le regole di distanziamento ed i divieti di assembramento tra i tifosi festanti, tutti privi di mascherine. Proprio da lui che minacciava di chiamare i carabinieri armati di lanciafiamme di fronte ad ogni minima trasgressione delle rigide ordinanze varate per contrastare in maniera proficua il contagio da Covid-19. Ma, ancor di più, quello che ha schifato la "vispa Teresa" di Fratelli d'Italia sono stati il toni volgari, l'allusione al "fondoschiena" del "somaro" Salvini, fuori da ogni regola di buona educazione, nella risposta alle critiche ai napoletani da parte del governatore. Proiettato verso l'election day di settembre per il rinnovo del Consiglio regionale. Capace, ormai, grazie a qualità dialettiche fuori dalla media, di superare per trovate linguistiche il suo stesso imitatore, Maurizio Crozza.

Tuttavia, attaccarlo per un'uscita sopra le righe, per i monologhi dei suoi interventi televisivi senza contraddittotio, con cui aggiorna della situazione regionale i suoi cittadini, appare un esercizio sterile. Se la popolarità di De Luca, sul piano nazionale, è cresciuta a dismisura, proprio per la gestione dell'emergenza, pari soltanto a quella del leghista atipico Zaia, in Veneto, o del concreto democratico Bonaccini in Emilia Romagna, è dentro la sua Campania che si prepara l'assalto al trono di governatore.

Tutte le critiche esterne al contesto regionale lasciano il tempo che trovano, destinatei a perdersi presto nel dimenticatoio. Piuttosto, deve fare i conti con oppositori esterni e nemici interni. A contendere la sua poltrona, non saranno solo il M5S con la solita Ciarambino o il rispolverato Caldoro, per le destre, ma le crepe che si aprono nel suo stesso fronte, che si preannunzia oltremodo composito. Accanto alla decina di liste di supporto c'è infatti più di uno che non lo sopporta nel centro-sinistra. E se lo può confortare il patto d'acciaio con democristiani di vecchia data come Ciriaco De Mita e Paolo Cirino Pomicino, c'è da registrare lo scontento per la mancanza di alternative da parte dei democratici dissenzienti e degli antagonisti coi quali spesso ci sono state scintille e contrapposizioni.

Per cui lasciamo ai media nazionali il risentimento, che non serve a nulla, degli aedi del centrodestra: non saranno le loro sparate a far perdere De Luca.

 
 
 

Contraddizioni epidemiologiche

Post n°588 pubblicato il 21 Giugno 2020 da carlopicone1960
 
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Sono in pieno svolgimento gli Esami di Stato 2020, quelli più "strani" della storia. Caratterizzati da imponenti misure di sicurezza e protezione anti-contagio. Con rigide prescrizioni inerenti al distanzaimento fisico, all'obbligo di mascherina per commissari e candidati, al divieto di assembramenti e di contatti. Insomma, tutte le regole del protocollo che, da quattro mesi ormai, scandiscono le azioni di contrasto al coronavirus.

Ma se nelle scuole italiane, frettolosamente attrezzatesi allo stato di necessità, vige un clima di apprensione diffusa, a cui si aggiunge la preoccupazione per la riapertura di settembre (data ufficiale ancora da stabilire), non essendo stata compiuta, né avviata, alcuna opera di modifica strutturale, per eliminare le cosiddette "classi pollaio" (fino a 30 studenti e più) sdoppiandole in turni e insegnamenti assumendo personale; tutt'altra atmosfera si respira per le strade della bella stagione che finalmente s'è decisa ad arrivare.

Così capita di imbattersi in veri e propri muri di persone, che strette strette deambulano come se niente fosse per le vie principali, in pericolosi "assembramenti mobli", incuranti di avere altra gente davanti, mascherina o meno in dotazione. Eppoi, gli stessi ragazzi, chiamati tra pochi mesi a fare i conti con un problematico ritorno fra i banchi, che si riversano sui luoghi della routinaria "movida" abbandonando ogni dispositivo di protezione, né disdegnando di toglierselo quando incontrano un amico per scambiarsi un bacio. Dimentichi delle proibizioni, si abbracciano e restano vicini, come se l'emergenza sanitaria non riguardasse anche loro. E ci si chiede il perché di tante attenzioni nelle scuole.

Del resto, i più giovani hanno di fronte esempi poco virtuosi di indomiti no-mask e doppi messaggi provenienti dai media. Vedono in tv 22 calciatori che rincorrono una palla e si ammassano dopo un gol, seppure in stadi vuoti, e si domandano perché loro non possono fare altrettanto. Sicché tornano sempre meno timidamente le partitelle con il supersantos in spazi improvvisati.

Ma, ripetiamo, quello che maggiormente colpisce è la sensazione che sia di colpo tornata la normalità pre-covid. Spiagge piene, ora pure le discoteche. Bar che ormai estendono i loro tavolini sempre più lontano, dove vige un "protocollo" differente: puoi stare senza mascherina se sei un avventore, mentre, dieci centimetri più in là, devi indossarla. E che dire poi delle pizzerie, da sempre gettonatissime e prese d'assalto nel weekend. Anche qui la distanza di sicurezza è un concetto puramente aleatorio.

Tuttavia, tra le contraddizioni epidemiologiche, acuite dallo scarso senso civico, non possiamo non citare la dismissione di ogni forma di controllo e di sanzione nei confronti dei trasgressori delle ordinanze anti-contagio. Chi, nei primi tempi del confinamento ha subito multe di 400 euro per non aver indossato la mascherina, avrebbe di che recriminare vedendo le bande di ragazzini affollare queste sere d'estate. Senza dimenticare gli esercenti che nei loro locali ospitano clienti free-mask come loro stessi, interessati solo a incrementare i profitti.

Resta la raccomandazione di seguire le direttive degli esperti, che s'affannano a ripetere che l'emergenza sanitaria non è finita, anzi sta vivendo una lieve impennata, e che, se continueremo ad abbassare la guardia in questo modo, in autunno sarà di nuovo pandemia. Lunedì, intanto, il presidente De Luca, in Campania, liberalizzerà l'uso della mascherina, ma solo all'aperto e mantenendo il distanziamento e il divieto di assembramento (più di due persone). 

 
 
 

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