Rocche del Crasto
Cultura, politica, società, varia attualità a cura di Gaetano Zingales
SAN VALENTINO, SEMPRE!
T'amai allora
e t'amo ancora
come si adora
la propria bimba.
Pur lontani
ho volato
sulle ali del pensiero
per dirti:
t'amo.
Nel tuo letto dolente
poggio le labbra sulle tue
per sussurrarti ancora:
t'amo.
14 febbraio 2021
GZ
PH: Amore e Psiche del Canova
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Fiat lux
Va via lunga buia notte.
Già albeggia
sui sogni dei viandanti
del dolore.
La melodia di Orfeo
attende Euridice
ed i suoi compagni
alla fine di questa ancora
incerta strada.
Che la fiaccola olimpica
illuminerà
per guidare
le speranze degli italiani.
1 gennaio 2021
GZ
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VERSO LA GIOIA, VERSO LA LIBERTA'
C'è uno strano stormo
nel cielo scuro
di bianchi aironi
in volo verso i punti cardinali:
trasportano parole d'amore
su antichi papiri.
Corsi d'acqua in piena
travolgono
di contro
gli epigoni del male
per consegnarli ad un turbine
che sparsi vulcani inghiottono.
S'alzino orsù
scudi a testuggine
per difenderci da frecce avvelenate
dei demoni del mondo.
Forti animi
inizino la marcia verso la
LIBERTA'
per innalzare il vessillo della
VITTORIA
sui campanili
sulle moschee
sulle basiliche
sulle cattedrali
sulle sinagoghe
sulle pagode
sui santuari
sui templi dorati
dove la preghiera s'incontra con il dolore.
Vai
bianca bandiera
dove le genti abitano
le foreste
le oasi del deserto
gli alti monti
la giungla delle metropoli
dove le genti non hanno un dio da pregare
dove il multietnico colore del volto
abita questa terra
dove in molti hanno dimenticato
il volto della speranza
e dell'umana fratellanza.
Che il sorriso
inondi
questa vecchia terra!|
E sia
PACE
sia
GIOIA
per coloro che la gioia
non hanno conosciuta
per la gente normale
di questo nostro
BELPAESE!
24 12 2020
GZ
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C'era una volta un presepio
C'era una casa che il tempo centenario aveva conservato in quel borgo millenario dove viveva un bambino, cui la violenza di una guerra strappata ai più aveva portato via il genitore.
Nella vecchia cassetta militare della prima guerra, il nonno aveva conservato un lavoro, frutto del suo hobby di intarsio del legno: i vari personaggi di un presepe. Poggiò su una grande cassapanca, quel nipote, le figure lignee: c'era la casetta (non la grotta) per la natività, c'erano i pastori, c'era il bue e l'asinello, c'erano i Magi, c'era "u spirdato", c'era la Madre e c'era il Padre.
Nei campi, il bimbo raccolse il muschio e piccole pietruzze e "costruì" un prato attraversato da un sentiero; con la carta stagnola - dalla mamma conservata - di una tavoletta di cioccolato (quello che le truppe americane distribuirono a piene mani alla gente del paese durante la liberazione della Sicilia dal nazi-fascismo), "realizzò" un fiumiciattolo ed un piccolo laghetto e, nello sfondo, mise delle pietre vere a guisa di montagna innevata, coperte da batuffoli di cotone; manciate di scaglie di sale grosso , sul prato di muschio, dicevano che era ...nevicato. La sera spegneva il lume a petrolio ed accendeva una "lumaricchia" (lumera ad olio in creta) per illuminare, in penombra, la scena di quel presepio del nonno .
Nella Notte Santa, su una manciata di paglia, depose la figura principale, anch'essa lavorata al traforo: il Bimbo Nato. Il suono di un carillon che riproduceva Jingle bellis, venuto da chissà dove, allietava quell'umile stanza e l'innocente anima di quel bimbo gioiva . Il quale ,con poco, era felice nella brevità di quell'evento.
L'uomo, non più credente, coperto da canizie, rievoca ancor quel tempo, non felice ma pieno della serenità di una decorosa povertà. Ed una fredda goccia, sfuggita alle ghiandole lacrimali, s'insinua silenziosa tra le rughe del suo volto, che sa di non dimenticato pathos.
19- 12- 2020
GZ
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Un uomo giusto
Se rispetti i tuoi simili
se ami e difendi
l'ambiente che ti circonda
se agisci secondo morale
se non menti
se il tuo operare non procura
danno a chi ti sta accanto
se difendi il debole
se ti batti contro
ciò che è ingiusto
se sei solidale
con chi non possiede e lo aiuti
o con chi soffre
per dolore o altri eventi
se amministri ed operi
con trasparenza ed equità,
sei una Donna Giusta
sei un Uomo Giusto.
13- 12 -20120
GZ
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Talvolta ritornano...
Pensieri vaganti
penetrano
nell'inquietudine dell'animo
portati dal turbinio
di venti polari
che in sintonia con
una tempesta di candida pioggia
imbiancano il nudo corpo.
Volano i ricordi
nel freddo della profonda notte
verso immagini fuggite
da un non dimenticato
archivio fotografico.
Ed è ancora tristezza!
07/12/2020
GZ
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Solitudine
Quando il battito del cuore
nessuno l'ascolta
quando alcuno sente
il rumore del pensiero
quando è vuota la poltrona accanto
mentre ti deliziano
le note di un concerto
quando nessun'ombra
conta i tuoi passi
quando chiudi il portone
e non vedi una mano
che ti aiuti a salire
il paniere colmo di sogni
la mia
la tua casa
svaniscono nel deserto.
28 11 '20
GZ
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Sinfonia notturna
U scrusciu du mari
mi porta l'eco
d'un lontano flauto
che vola su piume
di baci fuggiti dal tuo corpo
negli anfratti della costa rocciosa.
Copriva
la nostra giovane pelle
una coltre di lucide stelle
e u scrusciu du mari.
Poi,
fu un concerto di lire
suonate da delfine invisibili
ancelle della immensamente bella
Afrodite.
25 11 2020
GZ
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Un sogno d'amore
Verso la solitaria spiaggia
del verde Adriatico
dal terrazzo sul golfo
scendevamo le scale
grondanti di gelsomini
e di bianche cascate di bouganville
tra cui occhieggiavano roseti d'oriente.
E la sera cenavamo
tra la frescura ombrosa
della trattoria sul Cecita
nella dolce Sila.
Tu eri ammirata
per la tua bellezza greca
mentre danzavamo i lenti
tra il sussurrio del lago
nel lume lunare.
Poi
il violino spandeva le note del
"Sogno d'amore".
Fu l'estasi d'una estate insieme
che svanì con la cruda realtà
delle convenzioni sociali
di quegli anni cinquanta
che ci vietarono il proseguire:
io ateo con una bimba
tu fervente cristiana ortodossa .
Nel tempo
rimase una struggente incompiuta
di quel meraviglioso sogno d'amore
nella novella terra albanese.
GZ
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Nessuna foglia tra noi
Era autunno
e nel quieto calar del vespro
non c'era foglia
vagante nella ombrosa faggeta
che separava le nostre anime
su quel greto silvano.
Che, dolce suono,
fluiva tra ombrosi aceri
ed il sentiero di agrifogli
mentre silenziosi bovi
assaporavano le sue fresche acque.
Ed io ti baciavo
e tu mi baciavi.
Più non vi tornammo
mia diletta
perchè fatal morbo
falcidiò i tuoi giovani anni.
14 11 2020
GZ
la foto è di Salvatore Pidalà
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LE DIVERSE MASCHERE DELLA
VIOLENZA
La violenza ha un millenario antenato con il volto dell'omicida. Caino era un bruto che adoperava le mani come una clava per uccidere.
I figli di Caino hanno sparso il loro seme in questo tormentato globo attraverso e dopo il rapporto incestuoso tra Caino e sua madre, Eva.
Abele, il buono, non potè avere figli. Presumibilmente, quindi, una cellula impazzita del dna del Male, che portava i cromosomi ereditari dei primi progenitori, sfuggita all'evoluzione naturale, perse i caratteri somatici preponderanti del genitore maschio e diede vita ad una placenta che racchiudeva il tenue seme del Bene.
Il Bene ed il Male, quindi, hanno antenati che risalgono alla notte dei tempi.
Gli epigoni di Caino vorrebbero dominare sulla vita di coloro che intersecano la loro strada e, quando qualcuno vi si oppone, scatta l'incontrollata ragione della violenza, che, appunto poichè senza controllo, potrebbe sfociare nella morte del povero malcapitato. Altri, novelli barbari, sono invasi dal sadico piacere di vedere soffrire un poveraccio malmenandolo ferocemente sino a procurargli la morte .
Quando un violento, pertanto, uccide dovrebbe essere escluso immediatamente dalla società civile ed emarginato a vita, attraverso la reclusione fisica, per non potere più arrecare del male o uccidere esseri innocenti.
E' sempre esistita, ahimè, la violenza nella genia della razza animale, sia esso uomo raziocinante oppure bestia selvaggia, sin dai lontani millenni, ma nell'era odierna si è accentuata e/o si è camuffata sotto le mentite spoglie del dio denaro, dello spaccio della droga, delle promesse illusorie per accattivarsi la buona fede di un individuo, la disponibilità e l'amicizia di gente per bene, che s'incontra, anche, imprevedibilmente e che, probabilmente, necessita di qualcosa.: amicizia, solidarietà, sostegno morale o materiale, uscire dalla solitudine e talvolta anche amore.
Ma c'è un'altra forma sottile di violenza, che passa attraverso la cattiveria somatizzata nelle cellule del sistema nervoso di taluni soggetti, laddove coesisterebbe la doppia personalità dell'amore e dell'odio, del bene e del male, personalità individuale sdoppiatasi verosimilmente dopo essere stati oggetto di forti traumi, che abbiano colpito il corpo e l'animo. E' anche, questa, un' altra faccia della violenza strisciante, psicologica, e pertanto ambigua, la quale, dopo avere ottenuta la dedizione totale dell'individuo, mostra il suo vero volto, dal ghigno omicida, e colpisce con la sua lama avvelenata. E' la violenza dai diversi volti, ma sempre figlia di quel tal Caino.
Mi sovviene il comportamento dell'ape regina, la quale dopo l'accoppiamento col fuco - doloroso per l'ape maschio perchè subisce una sorta di evirazione - lo uccide: una forma di violenza in natura.
La violenza non ha mai fine, quindi?
GZ
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"PER FAVORE, FERMATEVI!"
In genere, quando si distrugge il bello e l'antico, per fare spazio al moderno, c'è sempre un sottofondo, che nasconde interessi personali di natura non chiara. Presumo che così sia stato, negli anni passati, quando il paese ha perso i suoi antichi beni culturali. L'illustre on Andreotti diceva: "a pensare male si fa peccato, ma spesso si indovina". Io voglio essere un "peccatore", anche se non credente, ma vorrei anche sbagliare ad indovinare...
Io amo tutte le espressioni variegate del pensiero che inducono all'arte, alla poesia, alla lettura ed alla composizione delle idee che il pensiero vuole tradurre in parole scritte.
Il turismo, in massima parte, è basato anche sull'interesse culturale per la visione ed il godimento di ciò che il passato ci ha tramandato. Ma quando esso viene distrutto, nelle sue forme strutturali, artistiche ed architettoniche, ma anche ambientali, cosa offriamo, noi longesi, per attirare quel turista?
Non esiste più l' "antico" a Longi e si vuole continuare nell'opera di distruzione dell'ultimo bene storico ed architettonico. Dopo di che abbiamo chiuso con i reperti residuali del nostro passato. Abbiamo distrutto la memoria di una testimonianza col nostro passato e con quello ereditato dai nostri antenati.
Questa azione di dissoluzione di antichi resti può essere definita omicida; omicida nei confronti della vita economica, della politica turistica e dell'arte longese.
Se tutto ciò vede conniventi i più, siamo caduti veramente in basso.
Perchè questa mia battaglia ?
Mi considero, con molta modestia ed umiltà, l'ultimo Cavaliere, di nome, e di fatto in favore delle giuste Crociate perchè discendente da quel personaggio che va sotto il nome di Angelo Zingales, le cui gesta invito a leggere, se credete, nel mio blog "Il Nibbio". Il mio non è un richiamo autoreferenziale, bensì una constatazione di connaturata presenza genetica di comune DNA col mio antenato.
Inoltre, ho intrapreso questa mia ultima battaglia culturale, e non politica, per difendere il "Bello"; ultima perchè sono vecchio e malconcio in salute. La mia è una battaglia a favore, e non contro qualcuno. A favore di un bene culturale, rientrando nelle variegate espressioni dell'arte; a favore, quindi, di ciò che è affascinante, suggestivo, incantevole del mio paese
Ogni battaglia prefigura due schieramenti in campo: io sono dalla parte del più debole, senza le necessarie "armi" se non la penna, ma ho attivato gli strumenti per uscire vincitore da questa diatriba.
Come ex Sindaco di Longi, non figura giuridica, bensì rappresentante morale della maggioranza silenziosa dal volto umano, anche se anonimo, - essendo perfettamente consapevole che, per bloccare i lavori, bisognerebbe adire il TAR e per farlo occorrerebbe mettere sul piatto 5/6 mila euro circa -, ho deciso di proseguire nell'azione di difesa sul piano burocratico.
Sono convinto che, alla fine, il GIUSTO trionferà perchè è una legittima lotta socio-culturale in difesa di una comunità che assiste attonita allo scontro, da altri voluto.
Per concludere, invito i titolari del progetto della" chiesa vecchia" di non trincerarsi dietro un ostile silenzio , antidemocratico, di non considerarsi come destinatari di una lesa maestà, ma di scendere tra la gente comune e di leggere gli interventi, sul Club dei Longesi nel Mondo di Facebook, qualificati e propositivi, di persone dotate di mentalità aperta e non chiusa al nuovo, al possibile, al cosiddetto "in medium stat virtus".
Per favore, scendete dal "pulpito" per dialogare, prima che sia troppo tardi; insieme potremo trovare una soluzione di compromesso per non perdere, soprattutto, i soldi del finanziamento del progetto, di cui economicamente il paese non usufruisce, che può sempre essere variato in corso d'opera per sopravvenute nuove esigenze. Se questo appello non accoglierete, dovremo pensare che vi paragonate al Marchese del Grillo (Alberto Sordi) : " io sono io , e voi non siete un c...o".
Auguro alla mia Longi un ottimo futuro e buona fortuna.
Dalla mia residenza estiva di Crocetta , 25/07/2020
GZ
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"ARMIAMOCI E ... PARTITE" O, SE VOLETE, QUANDO LA GENTE VUOLE PRENDERE IL FUOCO CON LE MANI ALTRUI.
Quando diedi notizia che si stava dando l'avvio dei lavori per la ristrutturazione dell'ex chiesa di s.Salvatore, tra cui la ventilata copertura della volta - un vecchio pallino dell'inquilino-ospite della canonica -, in molti dissentirono e protestarono.
Faccio un passo indietro.
Quando, nel 2018, venne effettuato analogo tentativo, il sottoscritto ebbe ad inviare la seguente lettera agli Organi istituzionali interessati alla questione:
"Gaetano Zingales
Cavaliere O.M.R.I.
_____________________________________________________
Nota indirizzata a:
AL Prof. Dott. SEBASTIANO TUSA
ASSESSORE REGIONALE
DEI BENI CULTURALI E
DELL'IDENTITA' SICILIANA
assessorebci@regione.sicilia.it
AL SOPRINTENDENTE DEI BB.CC.AA.
DI MESSINA
orazio.micali@regione.sicilia.it
A S.E. MONS. GUGLIELMO GIOMBANCO
Vescovo della Diocesi di Patti
diocesipatti@diocesipatti.it
AL PARROCO DI LONGI
prestimonacogiuseppe@libero.it
e p.c. AI CITTADINI LONGESI
Oggetto: Lavori presso ex chiesa di S.Salvatore in Longi
Mi giunge notizia che esisterebbe un progetto esecutivo, già finanziato, che dovrebbe consentire lavori di ristrutturazione e di copertura del tetto presso l'ex chiesa di S.Salvatore, in Longi. E' vera la voce che corre oppure è una bufala dei soliti buontemponi?
Per coloro che non fossero a conoscenza degli eventi abbattutisi su questa struttura, faccio quì una breve descrizione. Essa fu investita dalla frana , il 15 marzo 1851, nella navata di destra mentre l'abside e la navata di sinistra non furono travolte. La chiesa era in costruzione e, per motivi che non si sanno, venne abbandonata anche se si sarebbe potuto liberare dal fango la parte invasa in quanto la gran parte della superficie era rimasta integra. Se i lavori fossero stati in uno stadio avanzato ( con la copertura, il catino e l'intonaco ai muri) e la chiesa fosse stata investita totalmente non avremmo visto i muri allo stato grezzo. Invece, il tutto è rimasto come si presenta ai nostri occhi.
L'ex chiesa, sin dagli anni trenta venne utilizzata per rappresentazioni teatrali e, dai ragazzi, sino alla realizzazione del campo sportivo, come campetto di calcio.
Io rammento, da ragazzo, che, dopo avere giocato al pallone, attraverso un'apertura sul retro dell'abside ci portavamo dietro il muro della chiesa perché, staccato da questo, nella parete di fronte, c'era una piccola sorgiva d'acqua, dove noi andavamo a dissetarci. Quindi, su quel muro non si era abbattuta la frana, al contrario della navata di destra che era rimasta sommersa dal fango. Quell'apertura sul retro - a mò di porticina - successivamente venne murata.
Rammento anche che al muro esterno di destra si erano appoggiate abitazioni, in seguito costruite da privati, e che, al piano terra, si accedeva ad un locale ( forse la futura sagrestia) accanto alla torre campanaria.
In conclusione, la frana ci fu ma non si abbatté su tutto l'edificio, che venne abbandonato divenendo una "incompiuta", la quale , oggi, ha bisogno solo di essere restaurata e conservata, così com'è, per spettacoli e manifestazioni culturali.
La struttura viene da tutti ammirata per la sua bellezza, che trasmette l'emozione di un'antica civiltà del paese e di valori religiosi e culturali esistenti presso quei nostri antenati. Trasformare l'estasi della visione oggi esistente, durante gli spettacoli estivi, è un delitto contro la natura e la bellezza architettonica.
E' l'unica eredità di antiche strutture e di manufatti artistici, rimasta al godimento degli amanti dell'architettura del passato, in quanto tutte le altre, per mancanza di convincimenti culturali , sono andati distrutti. Come ad esempio. Il lavatoio pubblico alla Fontana, l'edicola di San Leone al Serro, le fontanelle di acqua potabile disseminate nel paese, il Monumento ai Caduti sotto i Due Canali con la vasca dei pesci. E presso la chiesa madre: il pulpito per le prediche, il grande lampadario centrale, l'artistico fonte battesimale, le lapidi di feudatari sepolti, il tetto a cassonetto.
Adesso, si vorrebbe distruggere l'ultimo bene artistico rimasto al paese di Longi. Vi invito a desistere in quanto ai longesi piace così com'è.
Se la meravigliosa e coinvolgente chiesa dello Spasimo, a Palermo. laddove si svolgono manifestazioni musicali ed artistiche a cielo aperto, fosse oggetto di intervento strutturale con copertura del tetto, oggi inesistente, non verrebbe commesso uno scempio culturale? L'ex chiesa di Longi non ha certamente la bellezza di quella dello Spasimo, ma ha egualmente una sua attrattiva come sito artistico per manifestazioni di vario genere. Se non fosse un'affermazione azzardata, direi che l'immobile, pur essendo della metà del 1800, ha un qualcosa di archeologico, che ci fa rammentare la millenaria esistenza del borgo montano, fondato dagli esuli della distrutta città di Demenna.
E' uno stato d'animo sublime quello in cui , durante l'ultra ventennale Concerto d'Estate, lo spettatore, sommerso dalle note musicali del complesso orchestrale, eleva il suo sguardo verso il cielo stellato, talvolta rischiarato dalla luna. E' un appuntamento, il Concerto, che coinvolge i longesi, soprattutto quelli che al paese tornano per trascorrere le ferie estive. Il sito di rustica e antica bellezza, guardando in alto, sopra la struttura, durante gli intervalli dello spettacolo, è impreziosito, dalle caratteristiche piante di opuntia (fico d'india). Qualcuno potrebbe obiettare che, sotto il tetto di copertura della struttura, lo spettacolo si potrebbe svolgere egualmente. Lo scenario cambierebbe, non essendo quello offerto dalla natura, ed il momento celebrativo perderebbe la bellezza e l'importanza del suo appuntamento annuale.
Leggo da un saggio su internet. "La tutela del patrimonio culturale e del paesaggio.
La conservazione del paesaggio, in pratica l'insieme delle bellezze naturali e del patrimonio artistico-storico-culturale, è un esigenza irrinunciabile nel nostro paese e va considerata come un aspetto specifico della più ampia tutela dell'ambiente.
Già la Costituzione intende la tutela del paesaggio come protezione del patrimonio naturale nella sua complessità; riconosce, inoltre, tra le finalità precipue dello Stato la conservazione del patrimonio storico e artistico al fine di salvaguardare la civiltà, i costumi e le tradizioni, in sostanza la memoria storica della nazione, e di proteggere l'ambiente costruito nel tempo dall'uomo. "
Chiaramente, l'immobile fa parte dei beni paesaggistici e, quindi, soggetto alle norme, nazionali e regionali, di salvaguardia e tutela dei beni culturali, archeologici ed architettonici.
A questo punto, mi chiedo: nel caso in cui esista il progetto in argomento, lo stesso ha avuto rilasciati tutti i necessari visti per l'inizio dei lavori.?
E' doverosa , pertanto, una risposta a quanto, con la presente, viene chiesto.
Pur tuttavia, ove sia percorribile sul piano tecnico e normativo, per non bloccare un progetto esecutivo propongo, come mediazione, di apportare una variante allo stesso. Anziché un tetto fisso per la copertura delle navate, centrale e laterali, si potrebbe ricorrere, nella navata centrale, ad un tetto mobile. E' possibile? Se "no", che si intervenga per la messa in sicurezza dello stabile ma, per favore, che non sia distrutta la visione di ammirare, durante gli spettacoli, la bellezza del cielo quando la luna e le stelle offrono lo scenario del loro incanto notturno.
I longesi rimangono in attesa di una buona novella affinchè il loro "piccolo Spasimo" non venga distrutto.
Li, 14 aprile 2018
Gaetano Zingales
già Sindaco di Longi
gaetano.zingales@gmail.com
Sembrava che il problema fosse stato risolto. Successivamente, venne a mancare il Prof Tusa, famoso Archeologo, perito in un incidente aereo, ed i meandri della politica di basso conio ripresero a mandare avanti le truppe cammellate. Le quali risolvettero il problema . Ovviamente, "pro domo sua".
Ritenni, pertanto, di non dovere rimanere insensibile agli inviti di persone che dicevano che occorreva fare qualcosa e presi l'iniziativa di formare un Comitato longese per la tutela dei beni culturali, tra i quali l'architettonico manufatto dell'immobile di via Vittorio Emanuele II.
Invitai, quindi, parecchie persone, da alcune delle quali ebbi conferma di partecipazione alla riunione. Alla data ed all'ora fissata, ci trovammo in quattro, giusto per fare una partita a "scupa luncitana". E gli altri? A ciascuno la risposta, palesemente già chiara. Appunto, "ARMIAMOCI E PARTITE" O, SE VOLETE, " LA GENTE VUOLE PRENDERE IL FUOCO CON LE MANI ALTRUI".
Diceva il grande principe De Curtis, in arte Totò: "io il coraggio ce l'ho, quella che mi frega è la paura", Oppure, forse è una sorta di "timor reverentialis" , che ancora invade taluni, eredi di quel plebeo che si toglieva la coppola di fronte al feudatario e, genuflesso, farfugliava un "voscenza benedica"?
Sveglia gente, il feudalesimo è finito ed è stata superata la mafia del feudo quando il padrone imponeva le sue regole attraverso la doppietta del suo fattore, o la più nota lupara.
Rammento, inoltre, che la dittatura mussoliniana è stata mandata a quel paese parecchi decenni addietro e, quindi, siamo in democrazia , liberi di esprimere il nostro pensiero, piaccia o non.
Avviandomi alla conclusione, tengo a sottolineare che, malgrado la mia veneranda età, il mio è stato un tentativo per dare vita ad una battaglia culturale in difesa dell'ultimo bene architettonico del mio paese natio perchè, malgrado gli acciacchi, le cosiddette pa..e ancora tintinnano quando c'è da affrontare una battaglia contro le cose ingiuste. Ad un vecchio leone, se metterete la museruola, pensate che non ruggirà?
Mi dispiace che i longesi debbano subire, in silenzio, i dictat di altri senza potere esprimere il proprio punto di vista. Costoro sono convinti che la democrazia sia un optional; bisognerebbe far capire loro che invece è un diritto di tutti. Sarebbe bello un confronto aperto con i titolari del progetto. Ma mi rendo conto che è una pia illusione!Mi sovviene , infatti, la famosa frase del marchese Del Grillo (Alberto Sordi) . " io sono io e voi non siete un ca...o".
A questo punto non mi resta che salutare il luogo di spettacoli teatrali, di concerti, sotto un cielo blu dove le stelle erano le ètoiles dell'immaginario palcoscenico, bellezza della natura, ed anche di giochi a pallone nella lontana infanzia con: " Adieu, mia piccola miniatura dello Spasimo longese". Ma mi chiedo anche:"Cui prodest tutto ciò"?
GZ
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L'ANTICO E' SEMPRE BELLO, MA A LONGI LO ERA UNA VOLTA.
Tra i miei ricordi di ragazzo, riaffiorano alla memoria angoli del paese, oggetti d'arte, che la mano dell'uomo ignorante ha distrutto. Ignorante perchè non conosceva la bellezza dell'antico, dei manufatti artistici, dell'importanza morale e legale di preservare quelle "cose" che vengono definite beni culturali.
Rammento, all'interno della chiesa Madre, un meraviglioso grande lampadario in ferro battuto, realizzato da don Emilio Bellissimo, che, illuminato con parecchie candele, espandeva la luce nella navata centrale; c'era un pulpito per le prediche e c'era anche un artistico battistero in legno, pregevole opera di un artigiano locale, che racchiudeva il fonte battesimale. Scomparsi!
Il monumento ai Caduti era allocato nello spazio sotto i Due Canali, dove prima sorgeva la chiesa dell'Annunziata, distrutta nel 1700 da un forte terremoto, e dietro di esso c'era una vasca con pesciolini rossi, mentre, alla sommità, l'icona della fiamma era sovrastata da una croce. Non esiste niente di tutto questo.
C'era il lavatoio comunale, con 8 fontane d'acqua ed altrettante vasche, dove le donne, cantando, lavavano i panni. Distrutto anche questo per farne un banale magazzino comunale.
C'erano artistiche fontanelle d'acqua freschissima disseminate nelle vie e rioni del paese: di alcune rimane lo scheletro. Ai Due Canali, le due bocche emanavano un getto d'acqua, refrigerio, soprattutto, nelle calde notti estive quando, a quei tempi, l'unico bar del paese chiudeva al suono dell'Ave Maria. Rimaneva aperta qualche bettola di vino per i cantori notturni di improvvisate serenate, alcune delle quali - meno male poche - si chiudevano con il lancio dall'alto di un vaso di fiori o, peggio, col contenuto liquido di un vaso da notte. Ma, talvolta, la serenata si concludeva con l'apertura dell'uscio di casa e lì continuavano i brindisi, con giammellotte e ramette, con liquori fatti in casa ed i canti accompagnati dal suono del mandolino della chitarra e, alcune volte, di un violino.
La chiesa dell'Annunziata, solitaria nel suo sito e senza case attorno, era uno spettacolo, che spaziava dal "Jardino du Duca" sino a "Cruci du Serro", dove lo sguardo, dopo essere passato dal "Maiazzinu di S. Antonio", si soffermava ad ammirare la cappelletta in muratura con il quadro di S. Leone, naturale sfondo per foto ricordo, abbracciata da un lungo sedile in pietra, sosta, soprattutto notturna, durante la calura agostana, magari per canti di ragazzi che si accompagnavano con la chitarra di Emilio Bellissimo.
Per non parlare, dell'occasione perduta, per il diniego frapposto dal suo ultimo proprietario, di donare (ottenne un mare di soldi attraverso le cause che vinse contro il Comune di Longi) oppure di
vendere al paese il Castello medievale per farne sede di rappresentanza dell'Amministrazione, centro di cultura, galleria d'arte, biblioteca comunale, Museo Naturale ed Etno-antrologico. Non posso non rammentare gli artistici Murales di Castiglione, andati perduti per incuria.
Adesso, l'ultimo bene culturale, l'architettonica bellezza dell'incompiuta struttura muraria di via Vittorio Emanuele va via, perduta anch'essa per sempre con la copertura del tetto. Mi chiedo il motivo di siffatto scempio. Ma è altresì legittimo chiedersi quale motivazione è stata addotta per potere ottenere anche l'avallo dei BB.CC. senza incorrere nella violazione delle leggi in materia di tutela dei beni culturali ed architettonici. A chi o a cosa giova? E mi fermo qui perchè troppo dolore, sul piano culturale, la perdita del "bello antico" procura al mio animo.
La cosiddetta "chiesa sfasciata" ha un passato glorioso: forse anche prima, ma ho notizia che sin dagli anni trenta ha ospitato generazioni di giovani artisti, che hanno allietato i concittadini con lavori teatrali di scrittori e registi longesi, con commedie e, nel recente passato, con il Concerto d'estate che ha avuto la sua inaugurazione nel 1994 - durante la quale sono stato oggetto di lancio anonimo di buste di plastiche piene d'acqua scagliate dall'alto, nel buio del muro esterno di sinistra, che per fortuna non mi colpirono , - e la continuazione negli anni successivi. E la gente si divertiva e si trovava a suo agio perchè assisteva a quegli spettacoli in uno scenario unico quando, dall'alto, in notturna, appariva il cielo stellato che brillava attorno ad un splendida luna.
Un momentaneo materiale beneficio ad personam verrà rammentato, nella futura storia del paese, come un'azione criminale per la distruzione del bello e di un antico bene, l'ultimo, ma forse il più bello.
Ma i lupi, che vengono da fuori, hanno una coscienza? Addio, "mini Spasimo" di Longi.
GZ
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Il Passero Solitario
Ho tradotto questa poesia del grande poeta Giacomo Leopardi, per uno scopo ben preciso, cioè per ricordare il mio poeta preferito dei tempi di scuola, di cui sostenni sempre che il suo pessimismo non era innato, ma dovuto a quel male che ne deformò il suo fisico, e lo costrinse alla solitudine, come ben si coglie dalla presente poesia : "Il passero solitario".
Capisco che non è stata cosa facile, ma ho voluto cimentarmi in quest'ardua prova per rendere omaggio al poeta dei miei anni spensierati. A parte ciò, ricordo che esercitarsi a scrivere in lingua siciliana, serve ad acquisire sempre maggiore esperienza.
U Passiru sulitariu
Di supra la cima di la turri antica,
Passaru sulitariu, a la campagna
Cantannu vai fin'a cchi non mori lu jornu;
E erra l'armunia pi sta valli.
Primavera intornu
Brilla nni l'aria, e pi li campi esulta,
Sì ch'a mirarila 'ntenerisci lu cori.
Senti greggi belar', muggiri armenti;
L'autri aceddi cuntenti, a gara nsèmmula
Pi lu libiru celu fan' milli giri,
Pur fistiggiannu lu loru tempu migghiuri:
Tu pinsusu 'n-disparti lu tuttu miri;
Non cumpagni , non voli,
Non ti mporta di l'alligria, eviti li spassi ;
Canti, e accussì trapàssi
Di l'annu e di la to vita lu cchiu' beddu ciuri.
Ahimè, quantu 'sumigghia
A lu to costumi lu miu! Spassu e risu,
Di la giuvini età duci famigghia,
E tia frati' di giuvintù, amuri
Suspiru gerbu di li passati jorna,
Non curu , jò non sacciu comu; anzi d'iddi
Quàsi fuju luntanu;
Quàsi sulitariu, e stranu A lu me locu natìu,
Passu di lu viviri miu la primavera.
Stu jornu chi ormai cedi a la sira
Fistiggiari si usa a lu nostru borgu.
Senti pi l'aria sirena un sonu di campani
Senti spissu un tunar' di ferrei canni,
Chi rimbummanu luntanu di villa 'n-villa.
Tutta vistuta a festa
La giuvintù d' 'u locu
Lassa li casi e pi li strati si diffunni
E ammira ed è ammirata , e nta lu cori si rallegra.
Jò sulitariu nta sta
Luntana parti di la campagna niscennu
Ogni divirtimentu e jocu
Rimannu ad autru tempu.: e 'ntantu lu sguardu
Miratu nni l'aria luminusa
Mi firisci lu suli chi tra li luntani munti
Doppu lu jornu sirenu
Tramuntannu scumpari, e pari chi dici
Chi la biata giuvintù veni menu.
Tu sulitariu acidduzzu , arrivatu a la vicchiaia
Di la vita chi ti dannu a te li stiddi,
Certu di lu to distinu
Non ti lamenti; pirchì di natura è fruttu
Ogni vostru disidderiu.
A me si di vicchizza
La detestata sogghia
Evitari non riesciu
Quannu muti st'occhi a l'autri cori
E pi iddi è votu lu munnu , e lu jornu futuru
Di lu prisenti cchiu' nuiusu e scuru
Chi mi nni pari di tali vogghia?
Chi di st'anni mei? chi di me stissu?
Ahi mi pentu, e spissu,
Ma scunsulatu , vardu ndarreri.
Giuseppe Li Voti
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(clicca sopra il titolo)
Recensione
QUELL'ESTATE A MANGALAVITE, è un "ripasso" di "storie nella Storia" partorito dalla "penna" di Gaetano Zingales che, pur avendo affermato (amaramente?) in un suo post su Fb che "...da quel momento decisi di non pubblicare alcun mio lavoro", io - al contrario dell'Autore - spinto dalla curiosità, non ho voluto perdermi l'occasione di non leggere quanto, che per la "penna" longese, era l'ultimo suo lavoro pubblicato. Posso dire, così come per altri 29 amici di Gaetano, omaggiati il giorno del suo 80. genetliaco, di una copia (la mia è la 22.) di quello che "il Longese" ama chiamare la "mia ultima fatica letteraria, (omettendo volutamente? forse!) la necessaria puntualizzazione: in ordine di tempo". Io lo spero che non sia l'ultima, perché quella dell'Autore è "una penna" non meritevole di essere riposta in fondo ad un cassetto. La trama è già tutto un romanzo da leggere nei riflessi di uno specchio (Zingales...) rivolto al passato che anela un ritorno ad "Itaca" (alla "sua" Longi ?), quando bambino, in compagnia della madre, si recavano a Crocetta, allora popoloso villaggio in agro longese. L'Autore, nelle cui vene scorre la poesia, va oltre il ristretto confine della laboriosa comunità' e nei riflessi di quello specchio si scorge fanciullo a cavalcare Mangalavite, amena località dove superba, sorgeva l'antica masseria sede estiva feudale del barone Averardo Montemylè. Nell'ebrezza della cavalcata, il fanciullo che vive in lui, viene pervaso dalla musa e scrive su fogli che il tempo non ha ingiallito: "Riempiono le valli di odorose resine / quei monti verdi cingenti la declive pianura / da cui s'alzano rocce alpine." E' da quest'incanto della natura, che l'Autore ci fa conoscere i personaggi che calcheranno le scene negli intrigati fatti del racconto il quale va avanti piacevolmente per 244 pagine, dove baroni, marchesi, baronessine, marchesini, farmacisti, sindaci, preti, carabinieri e, intraprendenti fattori tra feste, festini, "scappatelle" e magnum sbafatorie a base di maccheroni fatti in casa al sugo di suino dei Nebrodi, di gustoso castrato cotto sulle braci e libagioni di "rosso" nostrano, Zingales ci "racconta" di una borghesia non "matrigna", bensì accondiscendente e godereccia, circondata da "sevitù" tutto-fare e, all'occorrenza, devota amante di virili virtù. Infatti, Zingales, nel divenire della storia di "Quell'estate..." non paventa un "ritorno" di quel feudalesimo sempre pronto a rinascere nelle forme più audaci ed oppressive che le sono proprie, al contrario mette sulle labbra dei protagonisti "struggenti dialoghi amorosi" che non conoscono soluzione di continuità, quell'amore che l'Autore "ricama" dipingendolo quale sentimento essenziale nella vita dell'uomo. Ed è proprio nel raccontare l'ultimo "amore" della storia, che Zingales si manifesta quale "puro cantore di vicende umane", sviluppatesi tra amore platonico pronto ad esplodere e struggenti desideri volutamente non appagati giacché frenati da sentimenti religiosi e timori di ripercussioni familiari. Ma, una volta rotti gli argini, l'amore prende il sopravvento e i due protagonisti - una bellissima ragazza calabrese Beatrice, studentessa di lingue orientali presso l'università di Napoli, di famiglia dalle origini albanesi, e Alberto, siciliano di nobili discendenze, giornalista di un quotidiano romano che si trovava in Calabria, per una cura idropinica nelle vicine terme del paese della ragazza - è tutto un divenire di vicende e di dialoghi, pregnanti di teneri sentimenti e di amplessi che nella descrizione dell'Autore-poeta, se non "raggiungevano" il paradiso, di sicuro lo "graffiavano". In conclusione, ho ragione di pensare, che in Gaetano Zingales, autore e poeta, in "Quell'estate a Mangalavite" il tema ricorrente è quello dell'amore. Difatti, in chiusura della bella favola che vive e si consuma in ben 100 pagine, fa dire a Beatrice rivolgendosi al "suo" Alberto, un "non credente": "Di te non credente m'illumino / quando cogli sul mio capo / i fiori d'un'inesistente primavera; / quando poni le rondini / nei miei occhi d'infantile marea; / quando calpesti i roveti / insieme ai miei piedi che sanguinano / di te io m'illumino". NINO VICARIO
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Il vero significato della Pasqua: la storia, gli auguri e l'uovo di Pasqua
Di Cinzia Zadro
Qual è il vero significato della Pasqua, l'etimologia, la storia e le origini. Perché si fanno gli auguri di Pasqua e si usa l'uovo di Pasqua
La Pasqua è una delle feste più importanti del calendario, affonda le sue origini nell'antichità, ha una lunga storia ed è senz'altro la festività fondamentale per i Cristiani. Gli auguri di Pasqua sono dei messaggi, che fuori dalla retorica, sono davvero carichi di buone speranze. Il vero significato della Pasqua è infatti di speranza e gioia. E' una festa fatta di sole, aria aperta, buon cibo, cioccolato e golosità. E' la prima festa di Primavera (sebbene la sua data sia mobile), la prima pausa dal lavoro e dalla scuola dopo l'inverno.Ma nonostante tutto ciò la Pasqua non è attorniata da tutto quel calore e suggestione che ha invece il Natale. Le ragioni di questa differenza sono molteplici: dal continuo cambio di data, dal periodo dell'anno in cui cade - dicembre porta con sé anche i festeggiamenti del nuovo anno; e poi soprattutto perché la Pasqua sebbene abbia un grande messaggio di speranza - la Resurrezione - ha al suo interno un dramma - la morte di Cristo. Ma anche al di fuori del credo Cristiano la Pasqua porta comunque con sé il concetto della Rinascita. Un messaggio bellissimo, ma che custodisce il dolore. Per rinascere è evidente infatti che bisogna prima morire.
Cosa significa la Pasqua: dall'etimologia alle tradizioni
Sin dalle primissime religioni pagane il periodo dell'anno della primavera è sempre stato vissuto come un periodo di rinascita dopo il duro inverno. I culti legati alla terra hanno da sempre festeggiato infatti il momento in cui i fiori tornano a sbocciare, l'agricoltura torna a dare frutti, il calore del sole torna a scaldare. Torna insomma la vita. Ed è questo il vero significato della Pasqua: la rinascita. Questo concetto rimane profondamente legato alla Pasqua in ogni religione e nelle sue tante tradizioni che traggono origine dalle antiche celebrazioni di questa festa. Ed è per questo che gli auguri di Pasqua sono particolarmente importanti.
Significato della parola Pasqua
Il vero significato della Pasqua dal punto di vista dell'etimologia deriva deriva dalla parola aramaica 'pasah' che significa 'passare oltre'. Per gli Ebrei questa festa ricorda la fine della schiavitù in Egitto, la liberazione del popolo ebraico per volere di Dio, il passaggio attraverso il mar Rosso e l'esodo verso la Terra Promessa. Lo stesso concetto di 'passaggio' è ripreso dai Cristiani per i quali la festa è il passaggio dalla morte alla Resurrezione. Nel giorno di Pasqua, il terzo dopo la crocefissione, Cristo risorse e ascese al cielo.
La parola italiana Pasqua deriva da un erronea trascrizione greca di 'pascha' che fa riferimento al 'patire', ossia alla sofferenza e quindi alla Passione di Cristo.Quali sono le origini e la storia: il vero significato della Pasqua
Come abbiamo detto le origini di questa festa vanno ricercate nelle feste della terra. Anche presso gli ebrei in origine la festività era legata ai primi raccolti, quelli del frumento. Successivamente divenne la data in cui si celebra la liberazione del popolo ebraico dalla schiavitù in Egitto. Per gli ebrei in quell'occasione Dio annuncia la punizione degli egiziani e avverte il popolo eletto di macchiare con il sangue di agnello gli stipiti delle loro porte. Così quando l'Angelo Sterminatore passerà per punire gli egiziani passerà oltre le case degli ebrei, risparmiandoli.
Ai tempi di Gesù gli ebrei si recavano in occasione della Pasqua in pellegrinaggio a Gerusalemme. E lo stesso Gesù andava a Gerusalemme. La morte e la resurrezione di Cristo avvennero durante la Pasqua ebraica.
Perché si mangia l'agnello a Pasqua?
La religione Cristiana ha preso alcune delle tradizioni e dei simboli della Pasqua ebraica e li ha fatti propri, rafforzando così simbolismi e concetti. L'agnello per i Cristiani è il simbolo della salvezza, l'agnello risparmia dalla morte, simboleggia la resurrezione. Per questo è tradizione mangiarlo nel giorno di Pasqua. Ciò trae origine da quanto Dio disse agli ebrei per liberarli dalla schiavitù in Egitto. Egli disse che per punire gli egiziani avrebbe ucciso ogni primogenito fra le genti e il bestiame e ordinò al popolo ebraico di segnare con il sangue di agnello le proprie porte così che Dio potesse riconoscere chi colpire. Ma perché proprio il sangue di agnello? Ciò fa riferimento alla precedente tradizione della Pasqua ebraica in cui si doveva offrire in dono il sacrificio di un agnello.
L'agnello nel Cristianesimo diventa così il simbolo di chi viene immolato per la salvezza di tutti, il simbolo di Cristo, del suo sacrificio e redenzione.
Perché si mangia l'uovo di Pasqua?
In tutte le tradizioni e i simboli di Pasqua ricorre il concetto di rinascita e di nuova vita. Anche l'uovo ha quindi questo significato: al suo interno c'è infatti una vita che sta per nascere. Il perché fu scelto proprio l'uovo lo si deve alle usanze della Quaresima. In questo periodo che precede la Pasqua è fatto invito ai fedeli a non mangiare carne e anticamente era fatto divieto di mangiare anche le uova. Le galline però ovviamente continuavano a deporle così che al termine della Quaresima, ossia a Pasqua, i contadini si ritrovavano con tantissime uova. Da qui venne la tradizione di bollirle per farle diventarle dure e poi decorarle. Anticamente i primi Cristiani coloravano di rosso le uova per ricordare il sacrificio di Cristo che con la sua morte ha salvato gli uomini. Poi si è passati a colorare le uova con tutte le tonalità. In molti Paesi si è conservata la tradizione delle uova da dipingere affiancandosi a quella molto più recente e commerciale dell'uovo di cioccolata.
Perché la data di Pasqua cambia?
Decidere la data in cui celebrare la Pasqua non fu un'impresa semplice e fu motivo di grande controversie. Bisogna aspettare il Concilio di Nicea del 325 per vedere un criterio comune e adottato da tutta la Cristianità per stabilire la data della Pasqua. Venne deciso che la Pasqua sarebbe stata la domenica successiva al primo plenilunio di primavera. Seguendo quindi i ritmi lunari la data della Pasqua cambia ogni anno e può cadere dal 22 marzo al 25 aprile. E in base a quando cade si definisce bassa, media o alta.
Perché fare gli auguri di Pasqua e cosa scrivere
Per i Cristiani il sacrificio di Cristo e la sua Resurrezione sono eventi fondamentali e sono quindi motivo di celebrazioni e di augurio. E la stessa importanza all'interno della religione ce l'ha la Pasqua per gli ebrei. Ma al di là del credo religioso questo giorno festeggia la rinascita, il saper andare oltre le avversità, superare i dolori e da questi acquisire forza e vigore, con la Pasqua si sconfigge la morte con la Vita Eterna.
Fare gli auguri di Pasqua significa quindi augurare una nuova vita felice, vuole dire sperare in un domani migliore, auspicare di superare ogni dolore. Con la Pasqua e la primavera la vita rinasce e si spera rinasca anche nel cuore di chi amiamo. Una sorta di resilienza, uno dei auguri migliore che si può fare a chi vogliamo bene.
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I NOVANTA GIORNI DI GARIBALDI IN SICILIA
Ultima parte
LA BATTAGLIA DI MILAZZO
Nonostante i ripetuti ordini del Re di inviare truppe verso Barcellona (Messina), dove si erano concentrati 4.000 piemontesi e circa 600 ribelli, il Clary adduceva inutili pretesti per tenere fermi i reggimenti. A Barcellona e a Milazzo la maggior parte degli abitanti abbandonò le proprie case. Alla colpevole inerzia del Clary si oppose Beneventano del Bosco, nel frattempo promosso colonnello, che riuscí ad ottenere un minimo di tre battaglioni del 1°, 8° e 9° Cacciatori per un totale di circa 2.600 uomini per proteggere Milazzo, ma con l'ordine di non attaccare per primo. Il Bosco uscí da Messina il 14 luglio con le sue truppe, dirigendosi verso Milazzo. A Napoli nel frattempo giunsero il 16 luglio molti agenti provocatori inviati da Cavour allo scopo di fomentare sommosse. Fu cosí che la camorra iniziò a scatenarsi, protetta e addirittura inquadrata nella polizia da Liborio Romano. Il giorno 17, in Sicilia, vi fu un primo scontro sulla strada costiera per Barcellona, dove furono catturati circa cento piemontesi, trovati con il foglio di congedo in tasca. Ad Archi vi fu un altro scontro vittorioso contro i garibaldini del Medici, che furono dispersi. Radunati tutti i suoi uomini, il Bosco si accinse alla difesa di Milazzo. La decisa azione del Bosco, che aveva respinto una richiesta d'abboccamento, spaventò il Medici che il giorno 18 chiese soccorso a Garibaldi. Costui arrivò il giorno 19 con oltre 4.000 piemontesi, sbarcando a Patti, mentre il Clary, che teneva inutilizzate oltre 22.000 uomini in Messina, rispose negativamente alle pressanti richieste di truppe da parte del Bosco, che era sicuro di poter sgominare facilmente le bande garibaldine. Il 20 luglio vi fu una cruenta battaglia, dopo la quale i valorosi soldati duosiciliani, che ebbero solo 120 caduti, mentre i piemontesi ne ebbero 780, furono costretti per il mancato invio dei rinforzi, dato il numero preponderante degli assalitori, a ritirarsi nel forte di Milazzo. Eroici, e da ricordare, furono i valorosi comportamenti del Tenente di artiglieria Gabriele, del Tenente dei cacciatori a cavallo Faraone e del Capitano Giuliano, che morí durante un assalto. Il forte, intanto, era mitragliato dalle navi garibaldine, che tuttavia furono tenute distanti per le efficaci cannonate dell'artiglieria organizzata rapidamente dal Bosco. Un'altra incredibile occasione persa, per la incredibile incapacità militare (o tradimento) del Clary, di sgominare definitivamente le orde garibaldine che si erano tutte concentrate a Milazzo e che, quindi, sarebbero potute essere circondate e certamente battute dalle numerosissime truppe lasciate inoperose a Messina. Questo episodio è la dimostrazione concreta che Garibaldi aveva assaltato Milazzo sicuro che nessuno lo avrebbe assalito alle spalle. Il giorno 22 fu intimato al Bosco di cedere il forte, ma alla sua sprezzante risposta, Garibaldi si rivolse direttamente al comando dell'Armata di Mare a Napoli. Cosí furono inviate da Napoli tre fregate col colonnello di Stato Maggiore Anzani, che, dopo aver concordato rapidamente una capitolazione del Forte, fece imbarcare le eroiche truppe del colonnello Bosco per trasferirle a Napoli.
DEPRETIS NOMINATO PRODITTATORE
Il 22 luglio, su richiesta dello stesso Garibaldi, sbarcò in Sicilia il deputato piemontese Agostino Depretis, spedito da Cavour in sostituzione del La Farina, con il quale Garibaldi era entrato in forte contrasto. Il giorno dopo, incontratosi con Garibaldi, questi lo nomina Prodittatore con un decreto.
L'ARMATA ABBANDONA LA SICILIA
Il 24 luglio, senza nemmeno aver accennato a combattere, il Clary dichiarava impossibile la "difesa" della città e concordava con il Garibaldi la resa delle truppe, che avrebbero evacuata la Sicilia, tranne per la cittadella militare di Messina. Appresa la strabiliante notizia, vi furono episodi di sommossa di alcuni soldati contro il Clary, che dovette nascostamente fuggire a Napoli. Il giorno 27, la flotta del siciliano Vincenzo Florio si pose al servizio di Garibaldi per il trasporto delle sue bande lungo la costa siciliana e d'altri "volontari" da Genova. Intanto nel Napoletano avvenivano numerose manifestazioni contro le nuove istituzioni nate dalla concessa costituzione: guardie nazionali e i nuovi esponenti dell'amministrazione. Furono sgombrate il 28 luglio anche le fortezze di Augusta e Siracusa, dove si recò per l'esecuzione il generale Briganti. La Cittadella di Messina fu affidata al valorosissimo e fedele generale Gennaro Fergola. La guarnigione della Cittadella era formata da oltre 4.000 soldati e 200 ufficiali, che occupavano anche i forti S. Salvatore, La Lanterna ed il Lazzaretto.
I TRADITORI SI RIVELANO APERTAMENTE
Nel frattempo, il 29 luglio, Cavour, dopo aver organizzato con Ricasoli una spedizione di armi e denaro nel Napoletano, ricevette a Torino l'avvocato napoletano Nicola Nisco. Costui gli annunciò che poteva fare pieno affidamento su Liborio Romano, che mediante il controllo sulla polizia avrebbe facilmente fatto sollevare la popolazione al momento opportuno e instaurato un governo provvisorio. Al Cavour consegnò anche una lettera del generale Alessandro Nunziante, che, avendo grande influenza sull'esercito, si dichiarava disponibile a mettere la sua spada ai piedi del sovrano sabaudo. Cavour, ormai sicuro di poter agire all'interno stesso del governo borbonico, diede opportune disposizioni all'ammiraglio Persano. Costui doveva partire da Palermo con la nave Maria Adelaide e recarsi a Napoli, con la scusa di proteggere la principessa sabauda moglie del conte di Siracusa, ma in realtà per mettersi in contatto con il marchese Villamarina, ambasciatore piemontese in Napoli, che aveva costituito una buona rete di agenti incaricati di sollevare disordini al momento opportuno.
ALTRI MASSACRI IN SICILIA
Nell'interno della Sicilia, ormai abbandonata a se stessa, col pretesto di perseguitare i funzionari del governo, molti sovversivi, a cui si erano aggiunti numerosi delinquenti liberati dalle carceri, commisero le piú truci nefandezze. In Trecastagni, S. Filippo d'Argirò e Castiglione, nella provincia di Catania, vi furono efferati omicidi e saccheggi. Cosí pure nella provincia di Messina, a Mirto, Alcara e Caronia, dove i garibaldini e i piemontesi si scatenarono in violenze, omicidi e saccheggi. Furono saccheggiati anche tutti i monasteri, vennero imposte taglie e rapinato ogni genere di vettovaglie.
L'ECCIDIO DI BRONTE
In Bronte, il 1° agosto vi fu il primo esempio di come agivano i "liberatori" piemontesi. A Bronte esisteva la Ducea di Nelson, una specie di feudo di 25.000 ettari concesso da Ferdinando I all'ammiraglio Nelson, come ricompensa per gli aiuti forniti al Reame nel 1799. Alle notizie delle avanzate garibaldine, i contadini insorsero contro i padroni delle terre, aizzati dai settari che, dovendo sollevare comunque dei tumulti, promettevano loro le terre secondo i proclami garibaldini. Essi insorsero il 2 agosto, commettendo violenze nei confronti dei notabili, saccheggiando e bruciandone le case. Furono uccisi una decina di "galantuomini". Cosicché il 4 agosto furono inviati a Bronte ottanta uomini della guardia nazionale, comandati dal questore Gaetano de Angelis, i quali però fraternizzarono con gli insorti, addirittura consentendo che venissero uccisi nella località detta Scialandro altri quattro "galantuomini". Garibaldi fu immediatamente sollecitato, con numerosi dispacci, dal console inglese che gli intimava di far rispettare la proprietà britannica della Ducea, e anche perché erano iniziate delle rivolte simili a Linguaglossa, Randazzo, Centuripe e Castiglione, confinanti con le proprietà inglesi. Fu cosí che per non danneggiare gli inglesi, Garibaldi preoccupatissimo inviò il 6 agosto sei compagnie di soldati piemontesi e due battaglioni cacciatori, l'Etna e l'Alpi, al comando di Nino Bixio. Queste orde circondarono il paese, ma poiché i rivoltosi erano già scappati, Bixio fece arrestare l'avvocato Nicolò Lombardo, ritenendolo arbitrariamente il capo dei rivoltosi e poi facendolo passare anche per reazionario borbonico, mentre invece era stato l'unico che aveva cercato di pacificare gli animi di tutti. Lo stesso giorno 6 agosto Bixio emise un decreto con il quale intimava la consegna di tutte le armi, l'esautorazione delle autorità comunali, la condanna a morte dei responsabili delle rivolte e una tassa di guerra per ogni ora trascorsa fino alla "pacificazione" della cittadina. Bixio si rivelò in questa vicenda un feroce assassino. Per terrorizzare ulteriormente i cittadini, uccise personalmente a sangue freddo un notabile che stava protestando per i suoi metodi. Nei giorni successivi raccolse piú di 350 tipi di armi e incriminò altre quattro persone, tra le quali un insano di mente. Il giorno 9 vi fu un processo farsa che condannò a morte i cinque imprigionati, che erano del tutto innocenti e che fece fucilare spietatamente il giorno successivo. Per ammonizione, all'uso piemontese, i cadaveri furono lasciati esposti al pubblico insepolti. Bixio ripartí il giorno dopo portando con sé un centinaio di prigionieri presi indiscriminatamente tra gli abitanti. La Sicilia, nel frattempo, venne posta praticamente in stato d'assedio dalla flotta piemontese, con l'aiuto delle navi francesi ed inglesi, che effettuarono un blocco dei porti e delle coste, causando il crollo dei commerci marittimi e di ogni altra attività produttiva dell'isola.
NAVI PIEMONTESI A NAPOLI
Nel frattempo, il 3 agosto, una squadra navale piemontese con a bordo circa tremila soldati, agli ordini dell'ammiraglio Carlo Pellion di Persano, era entrata nella rada di Napoli - ove si trovavano già navi francesi, inglesi e spagnole - con la scusa di proteggere la contessa di Siracusa, nata Savoia-Carignano, come ordinato da Cavour. A Napoli era arrivato anche il Nisco che fece appena in tempo a parlare con Nunziante, il quale, essendo stato scoperto del suo tradimento, la sera stessa abbandonò Napoli, facendo perdere le sue tracce. Il Nisco, tuttavia, con l'appoggio del Liborio Romano, riuscí a far sbarcare dal piroscafo Tanaro alcune casse contenenti tremila fucili e relative munizioni, necessarie per la rivolta.
LA SICILIA VIENE ANNESSA AL PIEMONTE
Lo stesso 3 agosto in Sicilia il Depretis, fatto prodittatore da Garibaldi, emanò un decreto con il quale impose lo Statuto piemontese quale legge fondamentale per tutta l'isola. Venne imposto a tutti i pubblici funzionari di giurare fedeltà a Vittorio Emanuele, pena il licenziamento. Nell'isola intanto la forza occupante era arrivata ad ammontare a circa 36.000 uomini. La maggior parte di essi erano stranieri (vi erano addirittura indiani), circa 18.000 erano "volontari o disertori" piemontesi, qualche migliaio di traditori siciliani. Insomma la feccia dei popoli. Il 5 agosto il conte di Siracusa, zio di Francesco II, si recò a bordo della Maria Adelaide, dove apertamente (con disgusto degli stessi ufficiali savoiardi) si pronunziò a favore dei Savoia.
PREPARATIVI PER LO SBARCO IN CALABRIA
Nei giorni precedenti lo sbarco di Garibaldi sul continente , nelle Calabrie erano stanziati circa ventimila soldati borbonici divisi in quattro brigate: il generale Ghio in Monteleone (Vibo Valentia), il generale Cardarelli in Cosenza, il generale Marra in Reggio ed il generale Melendez con vari reparti scaglionati nella provincia di Reggio. Comandante di tutte le forze era il generale Giambattista Vial, barone di Santa Rosalia, che senza alcuna ragione militare aveva disseminate le truppe in ampie zone. Successivamente, a seguito di contrasti tra il generale Marra, comandante della 3ª Brigata, che accusava il Vial di incapacità, il Ministro della guerra, il massone Pianell, fece sostituire il Marra con il generale Fileno Briganti, anch'egli massone. Nel frattempo tutte le autorità civili delle Calabrie erano state destituite dal Liborio Romano, che al loro posto aveva nominati esponenti carbonari. Il 6 agosto Garibaldi lanciò un proclama e incominciò a prepararsi per lo sbarco nelle Calabrie, facendo approntare circa 200 barcacce dietro il Capo di Milazzo per il trasbordo delle sue orde. Il generale Melendez avvisò di questi preparativi il ministro Pianell, che non prese alcun provvedimento. L'8 agosto circa 150 garibaldini sbarcarono a Cannitello, dove, scambiata qualche fucilata con alcuni soldati borbonici, riuscirono a rifugiarsi nei boschi, protetti da elementi della Guardia nazionale, rivelatisi cosí già ostili. Il giorno 9 in Sicilia furono imposte le leggi sarde sulla marina mercantile. Il 12 agosto Garibaldi s'imbarcò sul Washington per recarsi in Sardegna allo scopo di farsi assegnare circa 9.000 uomini, che erano agli ordini del Pianciani, il quale li aveva destinati ad invadere i territori pontifici. Intanto, avvenivano altri modesti sbarchi a Bianco e a Bovalino, mentre le fregate Fulminante e Ettore Fieramosca, che incrociavano quel tratto di mare, 'non videro' alcun movimento di battelli. Il comportamento del comandante del Fieramosca, capitano Guillamat, indignò profondamente l'equipaggio, che lo chiuse nella stiva insieme ad altri ufficiali, dirigendo poi la nave verso Napoli. Ma qui gli ufficiali traditori furono liberati, mentre i fedeli marinai furono rinchiusi nel Castel S. Elmo come insubordinati. Nelle Puglie si ebbero dei moti popolari. Particolarmente gravi furono quelli a Ginosa e a Laterza contro esponenti liberali, verso cui i contadini reclamavano la restituzione delle terre demaniali e l'abolizione della Costituzione.
ASSALTO FALLITO NEL PORTO DI NAPOLI
La notte del 13 agosto, su ordine di Persano, la nave Tüköry, piena di 150 garibaldini al comando di Piola Caselli, partita da Palermo il giorno prima, entrò furtivamente nel golfo di Napoli. Il Caselli, in accordo col capitano massone Vacca, comandante del vascello Monarca, tentò di abbordare quest'ultimo con alcune barche per impossessarsene. Scoperto il movimento dalle sentinelle, che reagirono con un fuoco infernale, una sola barca riuscí a stento a rientrare sul Tüköry che si allontanò approfittando del buio della notte, ma lasciando numerosi assalitori morti. Il traditore Vacca trovò rifugio sulla nave piemontese Maria Adelaide ferma nella rada. A Napoli, in quei giorni, furono stampati e diffusi apertamente numerosi fogli antiborbonici con evidenti inviti alla rivolta, senza che dalla polizia fosse preso alcun provvedimento. Il 15 agosto un battaglione di bersaglieri piemontesi fu fatto arrivare segretamente nel porto di Napoli e tenuto sotto coperta per essere impiegato al momento opportuno. Il 16 agosto in Basilicata, a Corleto Perticara, alcuni settari manifestarono a favore dell'unità d'Italia, contemporaneamente anche a Catanzaro furono organizzate manifestazioni a favore dei garibaldini. In Potenza, il comandante dei gendarmi, capitano Salvatore Castagna, ebbe da un prete, don Rocco Brienza, l'offerta di duemila piastre e il grado di maggiore se avesse riconosciuto un governo provvisorio rivoluzionario. Per il suo diniego fu poi perseguitato e dovette rifugiarsi tra i monti, unitamente ai suoi gendarmi.
NASCE LA PRIMA RESISTENZA ORGANIZZATA
Il 17 agosto in Sicilia furono emanati dei decreti, come quello del corso legale della moneta piemontese, che in pratica significavano l'annessione dell'isola al Piemonte. In quel giorno fu ucciso a Pantelleria il collaborazionista Antonio Ribera, comandante della guardia nazionale, della cui morte i garibaldini accusarono i giovanissimi nipoti perché filoborbonici. Questi riuscirono tuttavia a sfuggire ai traditori e formarono da quel momento, unitamente ad altri legittimisti, la banda insorgente dei fratelli Ribera. A causa dei continui rastrellamenti, tuttavia, la banda Ribera dopo qualche tempo dovette lasciare l'isola per rifugiarsi a Malta.
SBARCO IN CALABRIA
Rientrato a Palermo, la sera del 18 Garibaldi fece rotta per Giardini, vicino Messina, sul piccolo piroscafo Franklin, mentre Bixio era sul piroscafo piú grande, il Torino. Le due navi trasportavano circa duemila uomini provenienti da Genova e che furono fatti sbarcare la mattina dopo sulla spiaggia di Rombolo, presso Melito di Porto Salvo. La località era stata scelta perché alcuni traditori del luogo, i massoni Tommaso Nardella, giudice, ed il sedicente colonnello Antonino Plutino, avevano provveduto a far occupare l'ufficio telegrafico e gli uffici comunali, dove nei giorni precedenti erano state depredate le casse comunali, con alcuni garibaldini sbarcati il giorno 8 agosto. Il comando di quei predoni era stato sistemato nel Casino Ramirez, già approntato dai traditori il giorno prima. Dopo lo sbarco arrivarono le navi duosiciliane Fulminante e l'Aquila, comandate dal Capitano Salazar. Questi, incontrato il Franklin (battente bandiera americana) che si recava al Faro per chiedere aiuto per il Torino, arenatosi accidentalmente sulla spiaggia, lo lasciò passare, vedendolo vuota (ma a bordo c'era il Garibaldi). In seguito, visto sulla spiaggia il vuoto Torino, si limitò a incendiarlo ed a cannoneggiare i garibaldini che si erano accampati nella pianura di Rombolo. Garibaldi, avendo udito i colpi da lontano, si diresse nuovamente verso Melito, dove sbarcò per ricongiungersi ai suoi.
Da < http://www.brigantaggio.net/Brigantaggio/Storia/Altre/Prima.htm>
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