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informazione della rsu Filctem CGIL del sito di Latina

Creato da lizrael1 il 10/07/2010

Sito ufficiale Filctem Haupt-Pharma di Latina

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Chi sa gestire cosa?................come dire è la giusta organizzazione?

Post n°167 pubblicato il 09 Giugno 2012 da lizrael1

I conflitti in azienda
Una rilettura sistemica mirata alle soluzioni
(articolo pubblicato su AIF Learning News Aprile 2008, anno II - N.4)

di Marco Matera

Mi sono occupato varie volte, nell'ambito della formazione, di gestione dei conflitti (in corsi di leadership, di comunicazione, di sicurezza, eccetera) integrando nella formazione esperienziale i principi sistemici che guidano la mia attività di coach e consulente di direzione. Tratterò quindi il tema del conflitto da questa prospettiva.
Quando mi è stato chiesto di scrivere un articolo sul conflitto ho guardato a questo come una opportunità per proporre il mio punto di vista con la speranza di aprire un dialogo nella nostra comunità di formatori.

Il conflitto di per sé non è, a mio avviso, né negativo né positivo.
È piuttosto la gestione del conflitto stesso che porta ad effetti utili o dannosi sulla base dei quali giudichiamo un conflitto  proficuo, svantaggioso o pericoloso. La risoluzione di un conflitto interiore può ad esempio portare a effetti positivi per la persona.
Di per sé il conflitto è inevitabile in quanto espressione di processi di evoluzione e quindi di ricerca di equilibri.
Compito del formatore è spesso quello di facilitare i processi di comunicazione e fornire strumenti utili al miglioramento e al superamento dei conflitti ossia alla loro migliore gestione.
Un'altissima percentuale dei problemi aziendali è legata a problemi di comunicazione. Possiamo identificare nella comunicazione due componenti:

  1. una componente di relazione
  2. una componente di contenuto

In entrambe possiamo riconoscere una componente positiva ed una negativa.

Rappresentando le relazioni tra queste due componenti nel diagramma in figura 1

 

possiamo evidenziare due colonne relative rispettivamente ad una buona ed una cattiva relazione.

La colonna di destra è quella dove non si registrano conflitti:

  1. il quadrante in alto è ovviamente quello esente da conflitto, essendoci accordo sul contenuto e una buona relazione tra gli interlocutori;
  2. il quadrante in basso, presentando una buona relazione ma anche un disaccordo tra gli interlocutori rappresenta lo spazio della discussione, del confronto. In questo spazio si possono considerare quei conflitti "benefici" ai risultati aziendali

Nella colonna di sinistra a fronte di una cattiva relazione si possono generare due differenti modalità.

  1. Nel primo quadrante, in alto, sebbene ci sia accordo sui contenuti la cattiva relazione non permette di lavorare insieme se non a rischio di scivolare, al minimo disaccordo, sul contenuto;
  2.  nel quadrante in basso il disaccordo tra contenuti, senso di valori reciproci etc., porta a tensioni e scontri.

In quest’ottica possiamo quindi affermare che il conflitto trova le sue radici in un problema di relazione. Il tema diventa allora: come migliorare le relazioni, come facilitare la comprensione reciproca?
 La relazione più importante è quella che abbiamo con noi stessi e il conflitto spesso non fa altro che mettere in evidenza le parti di noi che non vogliamo accettare o accogliere. Visto in quest'ottica il conflitto può essere letto come un viaggio intorno a noi stessi, trasformandosi così in un'opportunità di crescita personale.

Ovviamente, sebbene sia comprensibile sul piano teorico, spesso è di difficile applicazione sul piano pratico proprio perché, nel momento del conflitto, siamo dentro al sistema e non riusciamo a vedere né i confini né le dimensioni ed è per questo che difficilmente riusciamo ad uscirne.
Sulla base di esperienze maturate in aula e nel corso di sessioni di coaching aziendale, voglio offrire un quadro di lettura che si è rivelato molto utile sia come portatore di elementi di chiarezza, sia come base teorica per un approccio metodologico legato a processi di sviluppo organizzativo.
I due approcci metodologici, a cui faccio riferimento e che trovano entrambi radici in approcci terapeutici rivisitati in chiave aziendale, sono rispettivamente una rilettura sistemica delle dinamiche di relazione e il lavoro focalizzato alle soluzioni sviluppato a Milwaukee (USA) da Steve De Shazer.
Il primo farà da substrato teorico su cui organizzare una strategia in accordo con il secondo approccio.
Si possono definire dei principi “regolatori” che aiutino a semplificare e comprendere la natura delle relazioni?

Marco Matera: Laureato in chimica industriale, Referente Qualità del Dipartimento ARPAL della Spezia. È consulente di direzione ed organizzazione aziendale. Esperto in PNL e coaching sistemico, progetta e conduce: sessioni di coaching individuale e di gruppo, interventi di sviluppo organizzativo, progetti di formazione. Consigliere Regionale AIF Liguria.

 
 
 
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Indifferenti

“Odio gli indifferenti. Credo che vivere voglia dire essere partigiani. Chi vive veramente non può non essere cittadino e partigiano. L’indifferenza è abulia, è parassitismo, è vigliaccheria, non è vita. Perciò odio gli indifferenti.

L’indifferenza è il peso morto della storia. L’indifferenza opera potentemente nella storia. Opera passivamente, ma opera. È la fatalità; è ciò su cui non si può contare; è ciò che sconvolge i programmi, che rovescia i piani meglio costruiti; è la materia bruta che strozza l’intelligenza. Ciò che succede, il male che si abbatte su tutti, avviene perché la massa degli uomini abdica alla sua volontà, lascia promulgare le leggi che solo la rivolta potrà abrogare, lascia salire al potere uomini che poi solo un ammutinamento potrà rovesciare. Tra l’assenteismo e l’indifferenza poche mani, non sorvegliate da alcun controllo, tessono la tela della vita collettiva, e la massa ignora, perché non se ne preoccupa; e allora sembra sia la fatalità a travolgere tutto e tutti, sembra che la storia non sia altro che un enorme fenomeno naturale, un’eruzione, un terremoto del quale rimangono vittime tutti, chi ha voluto e chi non ha voluto, chi sapeva e chi non sapeva, chi era stato attivo e chi indifferente. Alcuni piagnucolano pietosamente, altri bestemmiano oscenamente, ma nessuno o pochi si domandano: se avessi fatto anch’io il mio dovere, se avessi cercato di far valere la mia volontà, sarebbe successo ciò che è successo?

Odio gli indifferenti anche per questo: perché mi dà fastidio il loro piagnisteo da eterni innocenti. Chiedo conto a ognuno di loro del come ha svolto il compito che la vita gli ha posto e gli pone quotidianamente, di ciò che ha fatto e specialmente di ciò che non ha fatto. E sento di poter essere inesorabile, di non dover sprecare la mia pietà, di non dover spartire con loro le mie lacrime.

Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti”.

11 febbraio 1917

 

 
 

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