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Un blog creato da Jiga0 il 21/11/2010

Schwed Racconta

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JIGA MELIK E IL SIG. SCHWED

 

Jiga Melik è l'alter ego intermittente dello scrittore Alessandro Schwed. Il signor Melik nasce nel 1978 nella prima e provvisoria redazione del Male, un ex odoroso caseificio in via dei Magazzini Generali a Roma. Essendo un falso sembiante di Alessandro Schwed, Jiga Melik si specializza con grande naturalezza nella produzione di falsi e scritti di fatti verosimili. A ciò vanno aggiunti happening con Donato Sannini, come la consegna dei 16 Comandamenti sul Monte dei Cocci; la fondazione dell'Spa, Socialista partito aristocratico o Società per azioni, e la formidabile trombatura dello Spa, felicemente non ammesso alle regionali Lazio 1981; alcuni spettacoli nel teatro Off romano, tra cui "Chi ha paura di Jiga Melik?", con Donato Sannini e "Cinque piccoli musical" con le musiche di Arturo Annecchino; la partecipazione autoriale a programmi radio e Tv, tra cui la serie satirica "Teste di Gomma" a Tmc. Dopo vari anni di collaborazione coi Quotidiani Locali del Gruppo Espresso, Jiga Melik finalmente torna a casa, al Male di Vauro e Vincino. Il signor Schwed non si ritiene in alcun modo responsabile delle particolari iniziative del signor Melik.

 

 

 

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ISRAELE. VIOLENZA E DIRITTO di Jiga Melik. Mi risponde Furio Colombo

Post n°40 pubblicato il 30 Aprile 2012 da Jiga0

 Il Fatto 25.4.12
Israele, violenza e diritto /1
L'accusa. La misura è colma
di Jiga Melik


"LA MISURA è colma" è un'espressione che, io dico, ritrae fedelmente quanto si prova di vergogna davanti alle immagini televisive del tenente colonnello Shalom Eisner, che con indosso quel nome, Pace, colpisce a freddo il volto del giovane attivista dei diritti umani (il 14 aprile impegnato in un'escursione di solidarietà con la causa palestinese nei territori occupati, ndr). Il calcio della mitraglietta ha fatto male a lui e a noi. L'immagine di come sono ridotti Shalom e il soldato Shalom fa tremendamente male. La misura è colma. Non importa che la democrazia nella regione stia molto peggio, che in Siria ne uccidano a migliaia, che a Teheran gli omosessuali siano uccisi per strada senza che alcuno possa obiettare e senza che nel mondo se ne parli davvero. Ognuno risponda per sé: e in Israele la misura è colma. Per le vicende di Palestina, Gaza, Hezbollah, solo a Israele posso rivolgermi, non a Siria, Iran e al Qaeda. Perché è come quando un vaso trabocca per una goccia dopo che è diventato più che pieno: la misura è colma.
PER LE PARTI di questa infinita contesa: per i nervi di Israele, spezzati da un assedio più mediatico che militare, più pericoloso degli anni dei kamikaze; la misura è colma per i nervi, i corpi, le pance e le tasche vuote, le case scoperchiate i sentimenti del popolo palestinese, quella irrealizzata vocazione di una patria per la quale può essere democraticamente responsabile solo Israele, certo non il regime di Hamas - ma Israele rende assente la democrazia, e il tenente colonnello Eisner è ottuso come il governo Netanyahu.
Gli ebrei nel mondo devono, devono! criticare questo governo israeliano, una destra religiosa primordiale che costringe la moderna società ebraica ad essere assorbita dal paragone coll'integralismo islamico; gli ebrei nel mondo devono cessare di esercitarsi a differire le responsabilità israeliane, di rispondere alle domande con altre domande, invece di rispondere a quelle domande: meno le domande del mondo ricevono risposta, più divengono sacrosante. Questo governo israeliano, la sua rozzezza fanno molti più danni dei missili di Hamas. La misura è colma. E di fronte a quel fucile sbattuto sulla faccia di uno che non la pensa come il governo di Israele e lo vorrebbe dire in quel solitario stato democratico, l'unico della regione come da anni ci si sgola a dire, io dico: la misura è colma. Non ci sono scuse: l'esistenza dell'Iran, della Siria, di Hamas, i Fratelli Musulmani, al Qaeda che si stende sul mondo come una ragnatela. Un fucile in faccia, questo atto di arroganza, non è accettabile; né è accettabile quanto è accaduto in questi giorni in Israele, o da parte di Israele: persone fermate e detenute in assenza di qualsiasi regola, gente tenuta a terra negli aeroporti di mezza Europa senza poter partire per Israele (solo passaggio-corridoio per la Palestina). Israele non può e non deve sospendere la democrazia, nazionale o internazionale. È uno sciagurato segno di miopia politica, un suicidio apocalittico, speriamo non irreversibile, speriamo non in corso, che invece i cosiddetti amici di Israele sostengono con un egocentrismo che lascia sgomenti. La misura è colma.
IL CALCIO di quella mitraglietta è il segno di un'anarchia reazionaria da rispedire al mittente: un governo che dovrebbe essere espressione di un Parlamento democraticamente eletto; un primo ministro che si rivolge agli attivisti filo-palestinesi, ai non allineati, a chi, a torto o a ragione, ma a mani nude, arriva da tutto il mondo, e chiede loro perché non vadano a protestare in Siria, in Iran per quello che accade in quei paesi. Israele è solo. Meno democrazia ci sarà in Israele, meno sensibilità eserciterà lo Stato ebraico mettendo la testa sotto la sabbia e facendola mettere agli altri, nascondendo le regole scomode della democrazia, più la guerra si avvicinerà a rapidi passi felpati.
I veri amici dello Stato ebraico e della pace devono alzarsi in piedi e dire al governo Netanyahu che una grande democrazia deve essere potentemente debole. Israele deve scommettere sulla pace.
*scrittore e autore di "Can express. Rotocalco delle bestialità del nostro tempo"

il Fatto 25.4.12
Israele, violenza e diritto /2
...e la difesa. Ognuno risponda per sé
di Furio Colombo


LEGGO con disagio la lettera che lo scrittore Jiga Malik (pseudonimo di Alessandro Schwed, scrittore israeliano che scrive in italiano e che finora non ho avuto occasione di conoscere) dedica all'accoglienza sgarbata, al respingimento malevolo (e, nel caso che lui racconta, brutale) di volontari europei che stavano recandosi (o tentavano i farlo) in Palestina. Il disagio è per la veemenza dello scritto che accusa con furore, ma lascia tutto in sospeso. Probabilmente lo scrittore non sapeva, al momento di questa lettera, che il colonnello israeliano Eisner, che ha colpito in faccia l'attivista danese Andreas Lassa è stato sospeso dall'esercito israeliano per due anni (sospeso senza stipendio, come precisa la autorità militare di quel Paese). Non si tratta di giudicare se la punizione è giusta, ma di prendere atto che fatti del genere non vengono considerati normali. In altre parole, in un Paese con i nervi tesi e sotto assedio è meno facile che in Italia vi siano caserme Diaz. Però la lettera va più lontano e tenterò di farlo anch'io. Ci sono tre punti importanti che meritano di essere raccolti, valutati, capiti. Il primo punto è espresso così: "Quella irrealizzata vocazione di una patria per la quale può essere democraticamente responsabile solo Israele, certo non il regime di Hamas". Che io sappia e ricordi, Hamas ha sempre negato ogni riconoscimento all'esistenza non solo storica o politica, ma anche fisica dello Stato di Israele. Hamas indica nella sua Carta costitutiva il dovere di ogni palestinese di cancellare Israele, di rimuoverlo come si estirpa una parte infetta e malata. Hamas è in rapporto stretto con tutti i nemici di Israele. E nonostante abbia rappresentanti seri e credibili presso i governi europei, non ha mai dato mandato a quei rappresentanti di tentare strade o legami che consentano a Paesi terzi interventi ragionevoli.
VORREI FAR notare (poiché il mio rapporto con Israele, non il governo ma il Paese, è noto) che nelle frasi appena scritte non ho detto nulla in favore o contro una delle due entità nazionali. Immagino, mentre scrivo, di essere un diplomatico che ha il compito di avvicinare i due popoli. So che troverò molte difficoltà non nei cittadini ma in un governo (quello israeliano) di destra, che crede soprattutto nello strumento militare. Ma so anche che non troverò alcun appiglio, in area palestinese, tra chi crede solo nella rimozione di Israele (di nuovo, parlo della guida politica, non del popolo) e non vuole fare quel primo passo del reciproco riconoscimento da cui tutto comincia.
La appassionata e veemente critica al governo israeliano è libera e legittima, ma non tiene conto della Storia. Non credo sia così facile dimenticare il modo in cui tanti diversi governi e regimi europei hanno giocato con i loro cittadini ebrei per poi abbandonarli e anzi offrirli ai nazisti per lo sterminio. È vero, adesso Israele è un forte Paese con un forte esercito. Si dice che potrebbe essere più generoso, ed esporsi per primo. Conosciamo qualcuno che lo ha fatto, Europa e isole Malvinas (Falkland) incluse? Il secondo è un passaggio che mi pare molto interessante: "Ognuno risponda per sé". Mi sembra il cuore del discorso. Perché, se sei israeliano o - da ebreo - ti senti legato (anche in senso polemico) a Israele, hai molte cose da dire e il diritto di farlo. Se sei, per esempio, italiano, prima di dare delle lezioni agli israeliani le devi dare a te, al tuo Paese. "Ognuno risponda per sé", vuol dire non cercare alibi nei problemi degli altri. Non andrò lontano. Resto sul posto. Noi italiani abbiamo il diritto di chiedere che si faccia finalmente, a Ramallah, il processo per l'assassinio di Vittorio Arrigoni. Ricordate? Arrigoni, carismatico volontario italiano al lavoro fra i palestinesi, è stato ucciso un anno fa, da un gruppo che - a quel che è stato detto - fanno o facevano capo ad Hamas. Invano la madre di Arrigoni, un anno dopo, si è recata in Palestina a cercare giustizia per il figlio. Il tribunale è chiuso, non sono previste sedute, gli assassini, che incontrano amici e parenti per tutto il giorno nel cortile della prigione, hanno ritrattato. E nessuno sembra preoccupato di fare giustizia.
 "OGNUNO risponda per sé". Giusto. Il governo italiano tace. Il 24 aprile la deputata Pd Codurelli ha presentato un'interrogazione urgente al governo nella Commissione Esteri. Il governo in quel momento era Stephen De Mistura, un espertissimo funzionario dell'Onu diventato appena adesso sottosegretario agli Esteri. Era sorpreso dall'evidenza offerta dalla on. Codurelli. Ma è vero, Arrigoni è stato ucciso e non importa a nessuno, né a Ramallah né a Roma. "Ognuno risponda per sé" ammonisce Jiga Melik. De Mistura ha promesso. Ma il fatto è un bel simbolo del come riconoscere, prima di tutto, le proprie responsabilità. Ed ecco il terzo punto. "Non importa che la democrazia nella regione stia molto peggio". La storia europea insegna che importa moltissimo. Sono state le democrazie intorno alla Germania e all'Italia, benché invase, benché colpite nel modo più grave, a combattere fino all'ultimo, fino all'arrivo delle due grandi potenze Usa e Urss che hanno stroncato, assieme ai partigiani, il nazifascismo. Ma qui vorrei riprendere quel "ognuno risponda per sé". Se le democrazie, a cominciare dall'Europa, smettono di essere finti tribunali che prima si indignano e poi si astengono, se imparano a essere presenti e vicini all'uno e all'altro dei due popoli, esigendo democrazia e riconoscimento reciproco, forse comincia la pace.

 

NB

Faccio cortesemente presente a Furio Colombo che Jiga Melik (Alessandro Schwed) non è israeliano, ma italiano.

 
 
 
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