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Post N° 60

Post n°60 pubblicato il 27 Agosto 2006 da Sibillias

L’alba dei network organizzati

A un primo sguardo il concetto di "network organizzati" sembra un ossimoro. In termini tecnici, tutti i network sono organizzati. Ci sono fondatori, amministratori, moderatori e membri attivi che svolgono dei ruoli. Si pensi anche ai primi lavori sulla cibernetica e alla cibernetica di "secondo ordine" e altri.
I network sono costituiti da relazioni mobili la cui organizzazione in ciascun momento specifico viene prodotta dall’ "esterno costitutivo" del feedback o del rumore.
L'ordine dei network è costituito da un continuum di relazioni governate da interessi, passioni, affetti e dalle necessità pragmatiche dei diversi attori. La rete delle relazioni non è mai statica, ma non si deve confondere con qualche tipo di fluidità perpetua. La vacuità  non è una condizione da esaltare per quanti desiderano agire come agenti politici.

Perché i network dovrebbero avere organizzazione? La loro natura caotica e disorganizzata non è forse una buona cosa che bisogna preservare? Perché si dovrebbe disturbare l'atmosfera informale dei network? Non preoccupatevi. I network organizzati ancora non esistono. Il concetto presentato qui deve essere letto come una proposta, l’abbozzo di un processo in divenire che avrà bisogno una guida attiva attraverso il contraddittorio e l'elaborazione collettiva. Ciò di cui invece non ha bisogno è di una decostruzione immediata Chiunque può effettuarla. Inutile dire che i network organizzati sono esistiti per secoli. Basti pensare ai gesuiti. La storia dei network organizzati può essere ripercorsa, e probabilmente lo sarà, ma questo non serve a molto per quelli che sono gli obiettivi della nostra indagine. I network di cui stiamo parlando qui sono specificamente quelli collocati nell'ambito dei media digitali. Sono caratterizzati dalla loro irrilevanza e invisibilità tanto per gli "old media" quanto per i p-in-p (persone del potere). La teoria generale dei network può essere utile per chiarire determinati obiettivi, ma non risponde alle domande che pongono i new media basati su network sociali. È di qualche utilità per voi il fatto di sapere che le molecole o i modelli del DNA sono anche dei network?

Non esistono network al di fuori della società. Come tutte le entità tecnoumane, essi sono contagiati dal potere. I network sono le macchine ideali di Foucault. Minacciano il potere almeno quanto lo generano. Il loro diagramma del potere può operare su una gamma di scale, attraversando reti locali e incontrandosi con proteste trans-nazionali. Per quanto innocui possano sembrare, i network fanno esplodere le differenze. Vale a riguardo la massima di Foucault: il potere produce. Traducete questo concetto sui network organizzati e otterrete la potenza dell'invenzione. La traduzione è infatti la condizione dell’invenzione. La mediologia, come l'ha definita Régis Debray (1996), è la pratica dell'invenzione all'interno dei sistemi tecno-sociali dei networks. Come un metodo  collaborativo di critica immanente, la mediologia assembla una moltitudine di componenti su una rete di relazioni che si addensano intorno a problemi specifici e libere passioni. In questo senso, i network sfuggono costantemente ai tentativi di comando o di controllo. È questa  l'entropia variabile delle reti.

Il contrario dei network organizzati non è il caos. I network organizzati intervengono continuamente nella temporalità radicale della mediasfera di oggi. Il breve-terminismo è la condizione permanente che viene inflitta dai governi, dalle corporation e dalla quotidianità. La psicofarmacologia è la forma di gestione biotecnica di questa condizione (Bifo, 2005). I network organizzati offrono una diversa possibilità - la possibilità della creatività, dell'invenzione e di propositi che non sono determinati in prima istanza dagli scricchiolanti e spesso disorientati tentativi di mantenere il controllo, come testimoniano una serie di istituzioni che sono emerse all'epoca dello stato moderno e sono sopravvissute fin a questi giorni all'interno del complesso dello stato-corporation, che continua a mantenere il monopolio sulla legittimazione della violenza.

http://www.filosofia.it/pagine/05_12_lovink_rossiter.htm
articolo del mese di giugno 2006

 
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