Scatto delle foto con il cellulare, a volte.
Cosi, senza scopo, per fermare il passare.
Inventare ossessioni per rinchiudere il tempo
Dargli valore nell'esplorare sensazioni inespresse
Una foglia per terra, i riflessi dell'acqua in un fosso.
L'idea che sprechiamo un sacco di materiale sensitivo
Esploratori di universi fatti di cose inutili,
detriti del vivere quotidiano, percezioni marginali
squarci imprevedibili sulla dimensione metafisica
Questi sono appunti che ho scritto sul taccuino bellunese
dopo quella foto:
Passava un tipo davanti la vetrata
Chissà dove andava, quale la sua vita?
Il cellulare attaccato al vetro. Scatti una foto quando passa.
Passa nei pensieri una sensazione di parole
che non sai ancora dire, ma sai potrebbero esserci,
le lasci li dentro a fare da sole, se vuoi prenderle sù
fargli un'asola in qualche modo che quando tiri si apre
e non parlano perchè non le badi. Le lasci solo scivolar via.
C'è uno spazio abbandonato come quello dietro ai capannoni
Ho sempre avuto passione di rumare nelle discariche umane
Un luogo dei pensieri in cui ti avventi sbandierando un vessillo
fai una foto e puoi star la a guardarla e farti attraversare
da quei pensieri che di solito non lasciano impronte e, come acqua scorrono via.
Le immagini sollecitano una narrazione
L'ambiguità avvolge le persone,
la casualità dei destini, la frammentarietà dell'esperienza
E pare la vita la somma di infiniti istanti che non hai tempo di fermare.
Ti da delle sensazioni. Fugaci pensieri, in genere
Con le parole puoi fermarla, dargli un nome
Incupimento
( senza mento, una barbetta sparuta, una bocca tesa, piegata all'in giù, cattiva, la mascella che digrigna, lo sguardo basso, le mani in tasca, il passo svelto)
Come se il reale fosse solo il visibile, e non il buio della caverna interiore con le sue risonanze. Quel vuoto in cui, per quanto si scavi, pare inesauribile.
Sfilamento
di passi che neanche non senti, e lo sfilamento è come qualcosa che ti si leva, come un guanto che mi ero infilato, quel tipo la che va via, passando davanti la vetrata, che va via da qualcos'altro o che oppure ci sta tornando, la parola sfilamento ha per me un rinvio interno, di distacco, separazione, un taglio. Una assimilazione per contatto ottico, che rimane impresso dietro la pupilla, anche se passando resta quell'istante della foto, uno scorrimento abitato da un'addio. Come qualcosa di me che mi passava davanti, sfilando. Uno sfinimento poi, i millemile fili che l'intrecciano
Vuoto
il nulla che rimane
una scia di dubbi portati via da dei passi svelti, un vuoto di un mondo pieno che si trascina via, un vetro che separa, la pioggia, il fiato rimasto la, e quali pensieri precisi aveva in quell'istante? Come essere di fronte all'impossibile certezza che incombe
Quella del nulla, della vacuità e della perdita. Del vuoto cercarne la sua pienezza.
Punto zero
l'inizio di un'oscura gerarchia, l'occultamento di un'esistenza, della percezione del vivere, questa pietra nera a cui non si presta orecchio alle sue profezie, i minuscoli segnali, le rivelazioni disattese, una topologia dell'invisibile.
Giorgio De Chirico per esempio, ha scritto:
"Il guantone di zinco colorito,
dalle terribili unghie dorate,
altalenato sulla porta della bottega
dai soffi tristissimi dei pomeriggi cittadini,
m'indicava coll'indice rivolto ai lastroni del marciapiede
i segni ermetici di una nuova malinconia"
Thoreau, che era un grande osservatore
nel suo diario aveva scritto:
"Il problema non è ciò che si guarda
ma ciò che si vede"
Inviato da: emma01
il 28/11/2024 alle 13:05
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il 06/12/2019 alle 16:11
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il 13/10/2017 alle 01:18
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il 18/04/2017 alle 16:53
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il 08/04/2017 alle 21:28