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Post N° 151

Post n°151 pubblicato il 12 Agosto 2006 da sughrue
 
Foto di sughrue

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Nel corso dell’ultimo decennio si è modificato radicalmente l’impegno che il tifoso di calcio deve profondere per acquisire il livello di preparazione utile per fregiarsi dello status di ultrà.
Le conoscenze e le metodiche di guerriglia urbana, i rudimenti di lotta corpo a corpo e gli studi di coreografia definiscono, ora, solo marginalmente il bagaglio culturale dei gruppi più accesi dei supporters.
Anche le occupazioni complementari, gli esercizi di aggiornamento e approfondimento, come la lettura della Gazzetta e del Corriere dello Sport o la raccolta delle figurine Panini, risultano poco adeguate a scandagliare il fondo della complessità di uno sport le cui partite cominciano sui rettangoli in erba e, invariabilmente, tra uno spot e l’altro, si concludono nelle aule giudiziarie dei tribunali penali o fallimentari.
Adeguarsi alla novità dello sbarco in Piazza Affari delle società di calcio (per agevolare la Lazio di Cragnotti furono addirittura modificate le regole di ammissione al listino), assistere alla commercializzazione selvaggia dei diritti televisivi innescata dalla competizione delle pay-tv, apprendere dai media della diffusa tendenza degli atleti a consumare farmaci per ottimizzare le prestazioni, ha richiesto all’ultrà una revisione totale dell’approccio, immediato e sanguigno, con cui viveva la passione per la squadra del cuore costringendolo a un amore diverso, raziocinante ed edotto, frutto dello studio intenso di materie e normative che sono oggetto di percorsi formativi di livello universitario.
Al Bar Sport si è sostituita l’Accademia dello Sport.
E i direttivi ultras hanno visto crescere esponenzialmente al loro interno la presenza di commercialisti, medici e avvocati, i quali contribuiscono a chiarire su muscoli sospetti e urine contaminate, passaporti falsi e bilanci truccati, fidejussioni irregolari e incontri combinati.
Si può, dunque, comprendere perché l’ultras abbia deciso, con poche eccezioni, di non riconoscere più il calciatore "bandiera" (il Falcao, il Platini, il Maradona degli anni addietro) -calciatore che è sempre più impegnato a sfilare sulle passerelle delle sfilate di moda o a girare spot televisivi in giocosa competizione con la sua velina-patinata-patatina- e di osannare, invece, i simboli del proprio club, in cui si identifica.
I Colori. La Maglia.
In questo senso l’ultras ha sviluppato una curiosa coscienza di se.
Si autodetermina e si autotutela.
I moderni cori che si innalzano dalle gradinate ne sono una prova.
L’ultrà canta instancabilmente "Vincere! Dobbiamo Vincere!" esprimendo un imperioso comando piuttosto che una raccomandabile esortazione.
Si dissocia dal deludente comportamento tenuto della squadra in campionato sostenendo “Non siamo da B (o da C)!"
Giustifica la propria presenza sugli spalti declamando appassionatamente “Solo per la maglia”.
Non mancherà molto che gli ultras, durante una partita decisiva di questo “gioco malato più bello del mondo”, esporranno uno striscione in cui sarà scritto “Si diffidano i calciatori e il giudice di gara dall’intraprendere qualsiasi attività che possa essere pregiudizievole ai fini del risultato. In difetto, provvederemo a tutelarci, come parte lesa, nelle sedi opportune”.
Figlia di questi tempi di Calciopoli, l’ultrà ha, dunque, sviluppato una precisa coscienza di classe.
Del resto, determinato a boicottare le pay-tv, viaggia in ogni angolo dello Stivale con ogni mezzo di trasporto e chiede, giustamente, un premio per i suoi sforzi.
Una squadra, un colore e una maglia che sia battagliera e vincente sul prato di gioco.
Perché battagliero e vincente, sugli spalti, lui lo è sempre.

 
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