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tra sbuffi e sbalzi di vento

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Post N° 207

Post n°207 pubblicato il 17 Agosto 2007 da sughrue
 
Foto di sughrue

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.SEGUE

Ma qualche volta aprivo lo scaffale per prendere delle conserve di pomodori e in un paio di occasioni il barattolo di Haggis stuzzicò il mio gusto per l’orrido.

Lo afferrai per leggere le scritte riportate sull’etichetta: ROYAL HAGGIS with Venison

“Che sarà mai questo Venison?” borbottai pensieroso.

Venison .. Venom .. “che avessero tagliuzzato qualche etto del nemico giurato dell’Uomo Ragno?” O si trattava di un’idea pubblicitaria volta ad accendere l’interesse e l’appettito dei fan del Tessiragnatele verso la cucina scozzese?

Anche le mie deficienze di lingua inglese contribuivano, quindi, ad alimentare il clima di diffidenza e di sospetto verso questa succulenta pietanza.

Sembrava che il destino dell’Haggis fosse segnato!

Mancavano pochi mesi alla sua scadenza di conservazione e, di certo, dopo quella data, i ripetuti inviti di mio padre a disfarsi di “quelle frattaglie” non avrebbero potuto essere più ignorati dalla consorte.

La spazzatura sembrava essere il luogo del definitivo riposo del Mugliatiello degli Highlanders, quando qualcosa di inesplicabile accadde.

Si tratta di quei momenti, di quelle occasioni, rare ma possibili, in cui il coraggio si confonde con la follia e spinge al compimento di atti estremi.

Fu in un frammento di un pomeriggio che, come posseduto da una forza occulta, proposi: “Vogliamo cucinare l’Haggis stasera?”.

La follia, a volte, è contagiosa e lo fu anche in quell’attimo.

Mia madre e i miei due cognati mi guardarono negli occhi e si dichiararono d’accordo con tono grave ma deciso mentre mio padre si defilò affrettandosi a prenotare un tavolo al ristorante.

Sopraggiunta la sera ci colse il dubbio su come preparare il manicaretto.

Lo avremmo gustato crudo?

Alla maniera degli indiani d’America che quando ammazzavano il bisonte nella prateria e lo sventravano, ne distaccavano il fegato per cominciare a mangiarlo avidamente a gran bocconi?

Oppure sarebbe stato il caso di trovare qualche ricetta che esaltasse (o mitigasse) il sapore di questa delizia d’oltremanica?

Rosi dal dubbio non sapevamo come procedere, finché mio cognato non si accorse che sul retro dell’etichetta erano stati posti dei consigli su come preparare e servire la pietanza. Essi, in definitiva, si riducevano a suggerire di riscaldare l’Haggis e servirlo tagliandolo a fette dopo averlo spruzzato con un goccio di whisky, probabilmente per anestetizzare le papille gustative prima del trauma.

Così facemmo, anche se in un momento di debolezza, accarezzammo l’idea di avvicinarlo a una fiamma e provarlo flambè.

Fu la mia soave nipotina, che mi tolse il piatto di mano e chiese con l’acquolina in bocca, se poteva avere una fetta di quello strano “cotechino”.

Non provai a negargliela, anche se sarebbe stato per il suo bene, perché la bambina ha un carattere decisamente volitivo quando si tratta di cibo, e, col consenso del padre, la utilizzammo come cavia per il primo boccone.

Alla fine, tutt’insieme, mangiammo l’Haggis e la generosa annaffiata di whisky con cui lo avevamo condito fece egregiamente il suo dovere, assieme a un paio di bottiglie di vino intervenute a rinforzo.

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Sono qui, oggi, per descrivere l’accaduto, ma gli effetti a lungo termine del “cotechino scozzese” sugli italiani sono ancora oggetto di studio.

 
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