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Post N° 96

Post n°96 pubblicato il 09 Luglio 2005 da sughrue
 


CATULLO

.

.

Gioia di vivere e di amare in questo poeta latino, dalla vena poetica fresca e vivace, la cui linfa nasce dalla vita di ogni giorno, nella finezza di una squisita esecuzione artistica.
Raffinata ed elegante nella composizione, la poesia di Catullo pulsa in un complesso vivo di sentimenti comuni a ogni uomo nella vita di tutti i giorni: gioie e delusioni, odi ed amori.
Vita breve, la sua, ma intensamente vissuta nella scìa di un amore travolgente.
Nel mondo della Roma aristocratica che si trovò a frequentare, conobbe e s’innamorò di quella che nei suoi versi egli chiamò Lesbia.
Ed è questa Lesbia che il giovane poeta innamorato ricopre col manto della sua poesia, fatta di volta in volta di tenerezza e furore, affetto e odio, devozione e disprezzo.
Poeta vivo, Catullo, uomo fra gli uomini, amante fra gli amanti. Così come viva e appassionata è la sua poesia, avviluppata in un amore che tenne avvinto il giovane come una malattia (e che cos’è l’amore, se non una malattia?), in un concatenarsi di intense gioie e delusioni cocenti, fino all’estremo abbandono dell’ingrata amante.
Uomo passionale che si fa cogliere da reazioni violente, da odi, rancori e sofferenze che tuttavia non sanno prevalere sull’amore.
E artista di delicati sentimenti e sensibilissime immagini poetiche, come quando parla in tenui versi del passero amato da Lesbia e del dolore di lei per la morte del piccolo uccello; o quando, con gioia intensa ed esclusiva, esprime la passione dell’intimità amorosa in un tripudio di baci...
 

tratto dal sito Sala di lettura



Ho riportato un commento che si avvicina, in buona sintesi, a quanto studiai negli anni del liceo della poetica di Gaio (o Caio) Valerio Catullo.
Pessimo traduttore di latino, per cavarmi d'impaccio nelle traduzioni delle sue rime pensai bene di acquistare un tascabile che le contenesse già tradotte e con testo a fronte.
Fu leggendo questo libro di poesie che scoprii come il Vate di origini venete, vissuto tra l'85 e il 55 a.c., avesse una personalità ben più complessa di quella che si poteva dedurre dallo studio di un testo scolastico o dalla lezione di un professore e sotto certi aspetti insospettata e sorprendente.

I "carmina" di Catullo che ci facevano tradurre erano e sono vivi e pulsanti.
A volte zampillano plasmati dal dolore per la morte del passero della sua amatissima donna


III
"Pianga Venere, piangano Amore
e tutti gli uomini gentili:
è morto il passero del mio amore,
morto il passero che il mio amore
amava più degli occhi suoi.
Dolcissimo, la riconosceva
come una bambina la madre,
non si staccava dal suo grembo,
le saltellava intorno
e soltanto per lei cinguettava.
Ora se ne va per quella strada oscura
da cui, dicono, non torna nessuno.
Siate maledette maledette tenebre
dell'Orco che ogni cosa bella divorate.
Anche questo passero m'avete strappato.
Maledette, povero passerotto:
ora per te gli occhi, perle del mio amore,
si arrossano un poco, gonfi di pianto."


A volte splendono di lucente vitalità come quando invitano Lesbia ad abbandonarsi alle fiamme inestinguibili della passione

 
V
"Godiamoci la vita, mia Lesbia, l'amore,
ed ogni mormorio dei vecchi più acidi
consideriamolo un soldo bucato.
I giorni che muoiono possono tornare,
ma se questa nostra breve luce muore
noi dormiremo un'unica notte senza fine.
Dammi mille baci e ancora cento,
dammene altri mille e ancora cento,
sempre, sempre mille e ancora cento.
E quando alla fine saranno migliaia
per scordare tutto ne imbroglieremo il conto,
perché nessuno possa stringere in malie
un numero di baci così grande."


A volte le poesie sono fragilmente coraggiose, disincantate o amare perché fluiscono dalle piaghe inferte da un amore che gli è stato promesso e poi rinnegato


VIII
Povero Catullo, basta con le illusioni:
Se muore, credimi, ogni cosa è perduta.
I tuoi giorni felici li hai consumati
quando correvi dove voleva il tuo amore,
amato come amata non sarà nessuna:
nascevano allora tutti i giuochi d'amore
che tu volevi e lei non si legava.
I tuoi giorni felici ormai consumati.
Ora non vuole più: e tu non volere, controllati,
non inseguirla, come un miserabile, se fugge,
ma con tutta la tua volontà resisti, non cedere.
Addio, amore mio. Catullo non cede più,
non verrà a cercarti, non ti vorrà per forza:
ma tu soffrirai di non essere desiderata.
Guardati, dunque: cosa può darti la vita?
Chi ti vorrà? Per chi ti farai bella?
Chi amerai? Da chi sarai amata?
E chi bacerai? A chi morderai le labbra?
Ma tu, Catullo, resisti, non cedere."
 


LXXXV
Odio e amo. Me ne chiedi la ragione?
Non so, così accade e mi tormento


LXX
Solo con te farei l'amore, dice la donna mia,
solo con te, anche se mi volesse Giove.
Dice: ma ciò che dice una donna a un amante impazzito
devi scriverlo sul vento, sull'acqua che scorre



Ma Catullo può essere davvero definito solo e semplicemente il poeta dell'Amore, dell'"Odi et Amo" come rispose la mia dolce cugina, diplomata al classico, con un sorriso estasiato alla mia domanda se lo conoscesse? Forse. Ma mi chiesi se fosse rimasta dello stesso parere dopo aver letto quei versi che le stavo per proporre.

Versi in cui il poeta appare essere tirchio o un "abile commerciante" se è vero che chi disprezza vuol comprare

 
XLI
"Diecimila sesterzi tondi m'ha chiesto
Ameana, quella puttanella fottuta,
quella puttanella dal naso deforme
mammola del gran fallito di Formia.
Parenti che l'avete in tutela
convocate i medici e gli amici:
quella è matta. Non si guarda mai
in uno specchio? Farnetica"

 

Ma anche un compagnone e uno zuzzurullone

 
LVI
"Scherzo così divertente, Catone,
è giusto che tu lo sappia e ne rida.
Ridine per l'amore che mi porti:
credi, è uno scherzo troppo divertente.
Sorpreso un ragazzino che si fotte
una fanciulla, io, Venere mia,
col cazzo ritto, un fulmine, l'inculo."


Una persona sensibile che è pronta a rivedere i propri atteggiamenti e a fare ammenda

 
XCIX
"Mentre tu giocavi, dolcissimo Giovenzio,
io t'ho rubato un bacio più dolce del miele.
Ma l'ho pagato caro: crocifisso
per più di un'ora sono rimasto, ricordo,
a scusarmi con te senza che le mie lacrime
potessero spegnere la tua collera.
Subito ti sei asciugato le labbra umide
d'ogni goccia con tutte e due le mani,
perchè non restasse traccia della mia bocca
quasi fosse la sborrata d'una puttana.
E m'hai fatto subire tutte le torture
d'amore, ogni supplizio possibile:
così quel bacio che m'era sembrato tanto
dolce, si è rivelato più amaro del fiele.
Se questa è la pena a cui condanni un amore
infelice, mai più ti ruberò un bacio."
 



Un uomo con gli attributi che le sa cantare chiare

 

XXXVII
"Puttanieri di quell'ignobile taverna
nove colonne oltre il tempio dei Dioscuri,
credete d'aver l'uccello solo voi,
di poter fottere le donne solo voi,
considerandoci tutti cornuti?
O forse perchè sedete cento o duecento
in fila come tanti idioti, non credete
che potrei incularvi tutti e duecento?
Credetelo, credetelo: su ogni muro
qui fuori scriverò che avete il culo rotto.
Fuggitami dalle braccia, la donna mia,
amata come amata non sarà nessuna,
anche lei che mi costrinse a tante battaglie,
siede tra voi. E come se non foste degni
la chiavate tutti e non siete, maledetti,
che mezze canaglie, puttanieri da strada:
tu più di tutti, tu Egnazio, capellone
modello, nato fra i conigli della Spagna,
che ti fai bello d'una barba incolta
e di denti sciacquati con la tua urina."


 
Orgoglioso e vendicativo nei confronti dei "critici d'arte" di allora

 

XVI
"In bocca e in culo ve lo ficcherò,
Furio ed Aurelio, checche bocchinare
che per due poesiole libertine
quasi un degenerato mi considerate.
Che debba esser pudico il poeta è giusto,
ma perchè lo dovrebbero i suoi versi?
Hanno una loro grazia ed eleganza
solo se son lascivi, spudorati
e riescono a svegliare un poco di prurito,
non dico nei fanciulli, ma in qualche caprone
con le reni inchiodate dall'artrite.
E voi, perchè leggete nei miei versi baci
su baci, mi ritenete un effeminato?
In bocca e in culo ve lo ficcherò."


 
Dalla poetica virile, sintetica ed essenziale


XCIV
"Cazzo chiava, chiava cazzo: così
dev'essere: ad ogni erba la sua pentola"




Mentre osservavo il volto di mia cugina cambiare espressioni e assumere colori di tonalità intense e accese man mano che i suoi occhi scorrevano le rime di queste poesie capii di averle offerto più di uno spunto di riflessione.

E rilessione dopo riflessione ..
Voi che pensate?
Dobbiamo  davvero credere che fosse un passero l'uccello che Lesbia pianse e Catullo ha celebrato con la sua tenera poesia?



N.B. Le traduzioni sono di Mario Ramous in "Catullo. Le poesie. Editore Garzanti, 1982".
P.S. L'immagine è un particolare di "Lesbia" di J.R.Weguelin (1878)

 

 
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Rispondi al commento:
standupdgltheorigina
standupdgltheorigina il 11/07/05 alle 13:07 via WEB
catullo abitava dentro a un trullo, con leccios e albano, aveva sempre i cxxxx in mano. ;-)))))Lo scriverò sull'entrata del circolo. Ciao Sug!!!!!!!! ;-)))))))))))
 
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