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Un blog creato da nichy1955 il 30/06/2008

In Compagnia del tè

Piccole gemme e foglioline verdi, una storia antica

 
 

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Ahimè....sta per arrivare il 2012

Post n°103 pubblicato il 26 Dicembre 2011 da nichy1955
 

Solo gli illusi, purtroppo ancora tanti e inguaribili, potevano sperare che il recente inserimento delle punte di diamante di Goldman Sachs nel cuore della sfera pubblica europea – Draghi, Monti e Papademos - non si sarebbe tradotto in una cuccagna per le banche e in una rovina per le classi medie.

Nessuno però arrivava a pensare che i protagonisti potessero essere così spudorati.

Ma finché avremo presidenti come Napolitano e copertine dell’Espresso che fanno di Napolitano “l’uomo dell’anno”, lo scandalo sarà sopito e troncato. Cos’è successo?

Mettiamola così. Ci viene imposto uno “stato di eccezione” che – dicono – deve “cambiare tutto”: niente di quanto abbiamo è acquisito, e ogni nostra sicurezza sociale deve poter precipitare dalla sera al mattino, per salvarci.

Viceversa, nessuna urgenza può scalfire le regole immutabili della Banca Centrale Europea. Ci descrivono il sacro.

E il sacerdote Mario Draghi lo ripete: non può prestare soldi agli Stati, non può comprare i buoni del Tesoro. Il debito non può essere ingoiato in modo diretto dalla sua moneta creata dal nulla. Può esserlo però in un modo indiretto, ad esempio prestando mezzo trilione di euro alle banche, affinché queste corrano ad acquistare i buoni dei PIIGS, maledetti maiali-cicala. Con l’idea che le banche paghino alla BCE un tasso dell’1%. E che gli Stati paghino alle banche interessi ben più corposi, fino al 7% e oltre: lucro per le banche, tagli per lo stato sociale, insostenibilità economica. L’Italia di Monti e Napolitano, insomma. L'Europa di Draghi.

Ma è possibile che nessuno si ribelli a questo controsenso? Cioè all’assurdità di essere impiccati al profitto preteso da chi dovrebbe solo fallire (se il famoso mercato esistesse davvero)?

Nel mondo alla rovescia ci dicono invece che non può esistere una cosa che funzionerebbe in modo più semplice e ci toglierebbe il cappio dal collo: da Francoforte potrebbero prestare quel mezzo trilione direttamente agli Stati, a tassi di interesse bassissimi. Agli Stati sarebbe risparmiato l’affanno di procacciarsi quella provvista sui mercati offrendo tassi d’interesse elevatissimi (insostenibili anche per un’economia in boom, figuriamoci per una in recessione). Lo spettro del default imminente e lo spettro dei rating sarebbero così debellati, e senza chiamare i ghostbusters. Specie se questi ghostbusters, i banchieri, sono essi stessi dei morti viventi, in termini di credito. Alle casseforti di Francoforte – per loro prodighe - le banche non hanno infatti da offrire granché in garanzia, se non “collaterals” buoni per pulirsi il culo. Ma Draghi non solleva nemmeno un sopracciglio.

E nemmeno Monti, che si è premurato di controgarantire la loro papiraglia - scoperta come una cabriolet - con un impegno del governo italiano.

È come la guerra: mentre nell’ordinamento civile la regola è non uccidere, in guerra è l’opposto. Allo stesso modo, la guerra dei signori banchieri mette in pratica comportamenti che normalmente sarebbero sanzionati con leggi penali. Per lorsignori, niente manette della guardia di finanza, il rischio è semmai di diventare uomini dell’anno.

E se tanto mi dà tanto, il quadro delle garanzie messo in moto dal governo Monti, lungi dal far calare il debito, lo ha incrementato, perché quel che dovevano garantire le banche lo garantiamo noi, in aggiunta a quanto già ci strozzava. Congratulazioni.

È il capolavoro di un’ideologia apparentemente anti-statalista, che arriva all’assurda intransigenza di non prestare a basso interesse agli Stati (le regole sacre della BCE), perché troppo comodo, troppo poco liberista. Ma che prevede che lo Stato copra tutte le acrobazie speculative terminali dei superfalliti.

Poi è successo che dall’Eurotower un fiume di liquidità si è dovuto ugualmente riversare a comprare titoli di stato lungo la sponda sud dell’Euro: le banche non si stanno scapicollando per acquistarli. Se il lupo non perde il vizio, punteranno ancora a qualche alchimia derivata per imbellettare i propri attivi, mostrarsi apparentemente più solvibili, e chiedere ancora più soldi, perché mezzo trilione di euro è ancora poco per le loro voragini.

Come a dire: i mercati non sono mercati. Siamo allo statalismo più assistenziale e classista che si sia mai visto, riverniciato con un’ideologia liberista. Centinaia di milioni di individui e famiglie, milioni di storie, intere classi, interi insediamenti sociali costruiti nel corso di generazioni, dovrebbero essere sacrificati al più costoso, inutile e disordinato programma assistenzialistico della storia, volto a salvare l’attuale assetto della finanza.

Le banche, il cui mestiere sarebbe assistere con prestiti e affidamenti chi investe sul futuro, non sganciano più nulla e anzi sono foraggiate. Una mostruosità.

L’obiezione che il denaro facile ha spinto gli Stati a indebitarsi troppo può essere abbattuta da una contro-obiezione: e il denaro facile elargito alle banche non le spinge forse a debiti che sono perfino multipli di quelli degli Stati? E c’è di peggio. Gli Stati, ormai colonizzati dai banchieri, coprono esattamente quel superdebito con garanzie che nessuno giustificherebbe a cuor leggero, se non Letta Letta.

Nel 2012 le scommesse impossibili appariranno nude: come calcola Aldo Giannuli, «nell’anno prossimo, fra titoli sovrani, obbligazioni di enti pubblici minori, corporate bond (debiti d’impresa), obbligazioni bancarie, scadono titoli per 11.000.000.000.000 (undicimila miliardi) di dollari. Faccio grazia degli spiccioli. Ve l’ho scritto con tutti i 12 zeri per farvi apprezzare la cifra in tutta la sua imponenza: si tratta di poco meno di un sesto del Pil mondiale e di circa l’11% dell’intero debito mondiale.»

Non saranno i giochetti degli ometti di Goldman Sachs che potranno salvarci dal debito. Prima ricollocheremo i loro comportamenti nell’ambito del penale, prima avremo speranza di risorgere

 
 
 
 
 

Bisogna stringere la cinghia...il momento è grave, l'ha detto anche il principe benedicendo Monti

Post n°101 pubblicato il 12 Novembre 2011 da nichy1955

Dividendi e premi ai manager - Per Banca Intesa la crisi non c’è

 L'istituto ha firmato un accordo sindacale che prevede la fuoriuscita di 5mila esuberi, ma non lesina sulla distribuzione di dividendi per 1,3 miliardi. Per l'amministratore delegato un assegno da 3,8 milioni di euro, anche se gli utili sono in calo.

La crisi colpisce duro dappertutto, ma non tocca la prima banca italiana, Intesa Sanpaolo. Dove tutto va bene, tanto da consentire all’amministratore delegato Corrado Passera di annunciare con largo anticipo che anche quest’anno per gli azionisti ci sarà un ricco dividendo: 8 centesimi di euro per ogni azione, come l’anno scorso. Visto che ieri il titolo di Intesa Sanpaolo ha chiuso in Borsa a 1, 15 euro, il dividendo garantisce un rendimento del 7 per cento. Niente male, per un’azienda che ha deciso di sostenere la sua redditività con un vantaggioso accordo sindacale che le permetterà, nei prossimi mesi, di cancellare 5mila posti di lavoro.

STAPPANO spumante i grandi azionisti della banca, le Fondazioni. La Compagnia di San Paolo, primo socio con il 9, 7 per cento, si prepara a incassare la prossima primavera circa 120 milioni di euro. In tutto la banca staccherà un assegno di oltre 1, 3 miliardi di euro, circa metà degli utili previsti nel 2011, lasciando inascoltato il monito della Banca d’Italia che da tempo chiede agli istituti di credito di destinare “gran parte dei profitti ad accrescere la dotazione patrimoniale”, cioè a mettere fieno in cascina anziché distribuire ai soci una ricchezza solo apparente. Intesa San Paolo, sicuramente una delle banche italiane messe meglio, visto che è l’unica tra le grandi a non dover chiedere nuovo capitale ai soci, ha chiuso i conti dei primi nove mesi con gli utili in calo, esattamente del 5,6 per cento rispetto ai primi nove mesi del 2010. Ma anche l’anno scorso, ignorando le sollecitazioni dell’allora governatore Mario Draghi, ha distribuito il dividendo di 8 centesimi per azione a conclusione di un anno con i profitti in calo del 3,6 per cento. Poi ha dovuto chiedere agli stessi azionisti 5 miliardi di euro di aumento di capitale, perché le cose evidentemente non andavano così bene.

ANCHE i conti dei primi nove mesi qualche interrogativo lo suscitano. I crediti incagliati o in sofferenza, cioè i prestiti alla clientela che non si riescono a far tornare indietro, sono cresciuti di circa 10 miliardi di euro. Gli interessi netti incassati dalla Banca dei Territori (la divisione che lavora sulle famiglie e la cosiddetta economia reale) sono cresciuti del 10 per cento a fronte di prestiti aumentati dell’ 1,2 per cento. La banca dunque si fa pagare di più il denaro e guadagna di più, ciononostante il risultato netto della divisione sul territorio arretra nei primi nove mesi del 2011 del 38 per cento rispetto all’anno precedente. Insieme al sacro dividendo, l’altra variabile indipendente nelle strategie di Intesa San-paolo sono stipendi e premi ai manager. Nel 2010, che ha visto l’utile in calo del 3,6 per cento e il valore del titolo in Borsa perdere il 34 per cento, l’amministratore delegato Passera ha incassato 3 milioni 811 mila euro, di cui 1, 5 milioni di bonus: 10 mila euro al giorno, domeniche comprese. Il direttore generale Gaetano Miccichè ha intascato 2 milioni 445 mila euro, metà dei quali come premio di risultato. L’altro direttore generale, Marco Morelli, ha guadagnato 2 milioni 46 mila euro, meta dei quali come premio di risultato. Con gli utili in calo e il valore del titolo a precipizio anche nel 2011, i bonus di quest’anno sono al sicuro. Lo decideranno i 28 membri dei due consigli, di gestione e di sorveglianza, pagati 150 mila euro l’anno a testa, pari a oltre 10 mila euro a riunione, visto che il consiglio di sorveglianza nel 2010 è stato convocato 14 volte.

Insomma, la crisi morde, soprattutto per i 5 mila dipendenti che stanno avviandosi all’uscita, ma non per azionisti e manager: per loro la parola sacrifici non vale.

da il Fatto Quotidiano del 10 novembre 2011

 
 
 

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Post n°100 pubblicato il 30 Settembre 2011 da nichy1955
 

Il sole scalderà anche di notte
Di Elisabetta Iovine

 

Il sole scalderà anche di notte

Sarà inaugurata il 4 ottobre la centrale solare gigante Gemasolar, nella regione spagnola dell'Andalusia. Una struttura all'avanguardia. Al punto che gli esperti dicono che a Siviglia il sole scalderà anche nelle ore notturne. La struttura sarà in grado di produrre energia elettrica 24 ore su 24 per 25 mila famiglie, grazie ai sali fusi che saranno scaldati a più di 500 gradi.Gemasolar si estende su una superficie grande quanto 260 campi di calcio e si trova lungo l'autostrada che collega Siviglia a Cordoba. Santiago Arias, direttore tecnico della centrale, sottolinea che si tratta di una centrale solare unica al mondo, che lavora anche quando il sole è tramontato. Tecnicamente viene definita una centrale termica a concentrazione. Niente pannelli fotovoltaici che convertono i watt del sole in watt elettrici. E, tuttavia, una foresta di pannelli giganti circonda la torre che si trova esattamente al centro della struttura. Sono in funzione 2.650 specchi che inviano i raggi del sole verso la cima del faro, se così si può definire. Per massimizzare la concentrazione dell'energia solare, ognuno degli eliostati di 110 metri quadrati è programmato per seguire la corsa del sole. Bombardato da migliaia di fasci solari, in cima alla torre, del sale fuso (o, all'occorrenza, un cocktail di nitrato di potassio e nitrato di sodio) è portato a 565 gradi centigradi. All'interno di uno scambiatore dove circola acqua, come dentro una centrale nucleare, il calore estremo del sale produce vapore che fa muovere una classica turbina, fornita da Siemens. In questo periodo, a partire dalle 19,30, il sole non riscalda più la torre. Ma questo non impedisce a Gemasolar di continuare ad avere la turbina funzionante per altre 15 ore. L'energia concentrata dagli specchi è tale che il sale potrebbe in teoria scaldare ancora di più, ma allora ci vorrebbero materiali più resistenti alle alte temperature, che tuttavia sono più costosi.Per questa struttura l'investimento è ammontato a 250 milioni di euro. Torresol, la società che l'ha ideata e la gestisce, appartiene per il 60% all'azienda spagnola di ingegneria Sener. Il resto del capitale (40%) è nelle mani dell'emirato di Abu Dhabi attraverso la società Masdar, che investe massicciamente nelle energie rinnovabili. Grazie al suo continuo funzionamento, Gemasolar, dotata di una potenza nominale di 20 megawatt, dovrebbe produrre 400 megawattora al giorno. Vale a dire quattro volte più della futura maggiore centrale fotovoltaica della Francia, che sorgerà a Curbans, in Provenza. Quest'ultima però, sarà soggetta all'alternanza giorno-notte e sensibile al passaggio delle nuvole.

 
 
 

Brutta storia

Post n°99 pubblicato il 26 Agosto 2011 da nichy1955
 

La grande caccia è aperta

E' partita la grande caccia ma lui, il vinto Gheddafi, è duro a morire. Pur di prendere il Colonnello, vivo o morto (cosa è meglio: presentarlo dietro le sbarre con la divisa a righe o metterlo definitivamente a tacere?), la coalizione degli «umanitari» ha gettato ogni residuo pudore per il rispetto almeno formale della risoluzione 1973 del 17 marzo - quella che conferiva all'Onu il mandato di «proteggere i civili» di entrambe le parti «con tutti i mezzi». Eccetto che con le truppe sul terreno (un terreno che storicamente fa paura). Ora la Nato ha ammesso - e lo rivendica - la presenza di «truppe speciali» al fianco (alla testa?) degli insorti nella loro conquista di Tripoli.
E «special forces» sono impegnate nella grande caccia a Gheddati e ai figli partita da un paio di giorni in una Tripli ancora sconvolta dagli scontri e dalle «sacche di resistenza» dei lealisti (con morti per le strade, fosse comuni, ospedali in situazione «critica»). Sono inglesi, americani, francesi, qatarioti (e chi altri?) che vestono come arabi, imbracciano le stesse armi dei ribelli (ovvio, gliele hanno vendute o regalate loro). Aiutati dal cielo da un sofisticatissimo aereo-spia Usa soprannominato «the Hog», il maiale, e da un drone canadese, le teste di cuoio di paesi Nato danno in queste ore una caccia senza quartiere al raìs libico.

 

Ufficialmente per la Nato Gheddafi non è mai «stato un bersaglio» ma nessuno a Londra, Washington o Parigi si nasconde l'importanza della sua cattura dopo che mercoledì sarebbe sfuggito per un pelo a un raid dei ribelli in una casa del centro di Tripoli e ieri veniva dato infilato, da solo o con alcuni dei figli, in «un buco» nel blocco di edifici circostanti il compound preso e saccheggiato di Bab al-Aziziya o in un quartiere di Tripli, Abu Salim, considerato una delle sue roccaforti. Così, via anche l'ultima foglia di fico: ieri il ministro degli esteri inglese William Hague ha ammesso che le famose/famigerate Sas britanniche, Special air service, sono «sul terreno» su ordine del premier Cameron (lo citava il Daily Telegraph).
Anche inesorabilmente sconfitto Gheddafi fa ancora paura, come se fosse tornato «il cavallo pazzo» degli anni '70-'80. Per l'occasione si reincarnano anche vecchi fantasmi come Jalloud, l'ex numero due, fuori dalla politica da 20 anni e scelto dall'Italietta berlusconiana come sua carta (un due di coppe quando briscola è denari) per cercare di non restare tagliata fuori dalla divisione della torta. Jalloud, che dice di voler formare «un partito laico e liberale», ha detto al Times che Gheddafi è «talmente ubriaco di potere che si illude di poterlo riprendere una volta uscita di scena la Nato», e ha messo in guardia i ribelli che se non stanno attenti «si vestirà da donna e scapperà verso l'Algeria o verso il Ciad».


Il destino del Colonnello è segnato ma lui è duro a morire e Tripoli è ancora lontana dalle apparenze di una città «pacificata». Ierimattina una tv satellitare, al Urubah e qualche stazione radio vicine al regime hanno ripreso a trasmettere, dopo essere state messe a tacere il giorno prima. E hanno trasmesso un nuovo appello di Gheddafi, dal tono di sfida: un appello «alla resistenza» contro «i crociati e i traditori» e l'avviso che «la Libia non sarà mai né della Francia né dell'Italia».
Secondo gli insorti non è solo a Tripli che sono in azioni forze speciali britanniche e francesi, ma anche a Misurata, sistemate in una base nei pressi del porto di Kasa Ahmed, per preparare l'assalto finale su Sirte, la città natale la roccaforte popolare di Gheddafi. A un centinaio di km da Sirte erano segnalati scontri a colpi di missile, sulla città si stranno concentrando le residue forze lealiste (1500-2000 uomini), la Nato ha compiuto nuovi raid «per proteggere i civili», sembra che siano in corso negoziati fra i ribelli e i leader locali invitati alla resa.


La sorte della guerra è decisa ma la guerra non è finita e queste, a Tripoli e altrove, sono le ore più pericolose (come dimostra la vicenda dei 4 giornalisti italiani). Le ore della resa dei conti, delle vendette. Le ore del vuoto di potere. Ieri, nella conferenza stampa congiunta con Berlusconi a Milano, Mahmoud Jibril, il primo ministro (e unico visto che il presidente del Cnt, Mustafa Jalil, ha sciolto il governo dopo l'assassinio del «ministro della difesa, Younes), ha dato la soprendente notizia che il misterioso Consiglio nazionale di transizione si è già trasferito da Bengasi a Tripoli fin da mercoledì. Sarà. Però ieri pomeriggio Jalil ha dato una conferenza stampa, ma a Bengasi.
Ieri Cnt è stato riconosciuto anche dalla Lega araba (che fin dall'inizio aveva invocato l'intervento della Nato), mentre l'Unione africana (i cui tentativi di mediazione sono stati sprezzantemente frustrati dalla Nato, dall'Onu e dall'Occidente) doveva riunirsi a Addis Abeba per decidere il da farsi. Anche il Sudafrica è furioso. Ieri all'Onu ha bloccato lo scongelamento di 1.5 miliardi di dollari degli asset libici in favore del Cnt (ne sono passati solo 500 milioni), il vice-presidente della repubblica Motlanthe ha chiesto che la Corte penale internazionale indaghi non solo su Gheddafi ma anche sui crimini di guerra sui civili commessi dalla Nato e 200 prominenti figure sudafricane hanno firmato una lettere di condanna contro la falsa «guerra umanitaria». Maurizio Matteuzzi

 
 
 
 

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