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L'utopia è come l'orizzonte: cammino due passi e si allontana di due passi. Cammino dieci passi e si allontana di dieci passi. E allora a cosa serve l'utopia ? A questo: serve per continuare a camminare.

 

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ADESSO LA MIA MACCHINA è COSì

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LA MIA MACCHINA... FINO AL 26 GENNAIO 2007

immagineIn realtà, è una foto presa in rete, raffigurante una macchina dello stesso modello e colore. 
 

LA MACCHINA CHE AVEVO...

18 novembre 2004, un cretinetti alla guida di una Golf ci si è andato a schiantare contro, sfasciandola completamente. Per quanto potesse essere bella, era del 1992. L'assicurazione del deficiente mi ha risarcito con pochi spiccioli, quanto mi è bastato per prendere una vecchia Passat SW, sempre del 1992 (senza riscaldamento), con la quale mi sono mosso fino al 26 gennaio.immagineimmagine
 

IL MITICO ESORCISTA DI DANIELE CALURI

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« Odeon... tutto quanto fa...Un'idea geniale... »

La stagione del piccone demolitorenon è tramontata...

Post n°345 pubblicato il 26 Settembre 2007 da kleombroto

Eravamo ormai convinti che la stagione del “piccone demolitore” fosse ormai definitivamente tramontata. Eppure leggendo, proprio sulle pagine di questo giornale, la notizia dell’imminente demolizione del cinema Odeon, forse dobbiamo pensare che ancora nella nostra città la furia della demolizione, della cancellazione delle memoria storica sia ancora attuale. E questo, quando appare ancora calda la questione delle “Acque della Salute”.

Una sala imponente
Nel 1946 la Società Immobili Teatri e Cinematografi, proprietaria della maggior parte delle sale di spettacolo livornesi, incarica l’architetto Virigilio Marchi di realizzare un cinema teatro di grande capienza. Avviati nel 1948, i lavori di costruzione si concludono nel 1952: con i suoi 2500 posti il cinema Odeon - nel frattempo, a causa degli esigui mezzi economici la destinazione teatrale era decaduta - si poteva a giusto titolo definire la più grande sala cinematografica italiana. Così, proprio nel 1952, l’“Araldo dello Spettacolo” poteva lodare la giusta impostazione dei servizi e l’ampiezza inusitata dei locali accessori” che rendevano l’Odeon uno dei cinema più importanti d’Italia.

Architettura futurista
Con la costruzione dell’Odeon torna a Livorno Virgilio Marchi, protagonista di eccellenza dell’architettura futurista tra le due guerre. Marchi sapeva in quest’occasione coniugare la funzionalità dell’impianto, l’ottimo assetto acustico, con la raffinatezza della soluzioni architettoniche, particolarmente apprezzabili nel foyer ellittico. E proprio nella soluzione del vestibolo d’ingresso ritroviamo, sapientemente dispiegato, quel classicismo novecentista al quale Marchi si era avvicinato agli inizi degli anni Trenta. Ma non meno significative e cariche di novità appaiono le soluzioni studiate per la struttura parabolica di copertura, per l’acustica, per l’illuminotecnica. Un’ultima notazione di carattere storico: il cinema Odeon rappresenta una testimonianza dell’impegno e dello sforzo profuso all’indomani della fine del secondo conflitto mondiale nella ricostruzione del centro cittadino. Non è certo questa la sede per addentrarci in un complesso e difficile giudizio sugli esiti di tale impegno - valga per tutti il caso del Palazzo Grande - limitiamoci a sottolineare che tali architetture si offrono, oggi, alla nostra attenzione per un evidente valore storico, che è poi quello della modernità, e come tali meritano di essere non solo studiati e compresi, ma anche tutelati.

Ma un parcheggio no...
Veniamo a sapere dalle notizie di cronaca che il progetto adottato dalla Spil, propone la realizzazione di un parcheggio e di un complesso commerciale, demolendo la sala e lasciando intatto il foyer d’ingresso. Non abbiamo dubbi che la previsione di tali attrezzature sia confortato da attente simulazioni sui flussi di traffico di tale area, così come da altrettanto ponderate valutazioni sulle richieste commerciali del centro cittadino. Ma altre sono le considerazioni che ci portano inevitabilmente ad opporci con determinazione a tale sconsiderato progetto demolitorio. La prima è il carattere unitario di tale attrezzatura cinematografica: è davvero impensabile, tenuto conto delle grandi novità introdotte nella nostra cultura architettonica degli ultimi anni, che si possa credere di poter sezionare un edificio senza che questo ne comprometta inesorabilmente la sua unitarietà spaziale e formale. Immaginiamo quindi l’elegante foyer disegnato da Virgilio Marchi diventare non più filtro per gli spettatori tra la città e il mondo fantastico della celluloide, ma piuttosto triste ingresso a gallerie e rampe stradali. E d’altra parte non ci conforta certo la prospettiva del grande parcheggio che dovrebbe sostituire il cinema: massiccia struttura in cemento armato, certamente poco adatta a confrontarsi con un contesto così carico di memorie. E infatti come dimenticare che a pochi metri di distanza si apre uno dei luoghi più ameni e ricchi di fascino della Livorno del primo ’800: il cimitero degli inglesi, luogo sublime, vagamente piranesiano per l’affastellarsi delle tombe centenarie. Ci riesce difficile immaginare come quella che un tempo era meta di viaggiatori illustri, del calibro di Charles Dickens, possa armonizzarsi con un parcheggio le cui forme sembrano richiamare certe esperienze dell’architettura brutalista degli anni ’60, o forse, in questo caso, sarebbe meglio dire “bruttalista”, per riprendere l’arguto gioco di parole dello storico canadese Peter Collins.

Manca una strategia
Troppi sconfortanti episodi sembrano indicare senza mezzi termini come Livorno sia ormai priva di una fondata strategia rivolta a preservare il proprio patrimonio architettonico. Sulle pagine di questo giornale abbiamo letto autorevoli e fortemente condivisibili, interventi, rivolti, giustamente, a stigmatizzare pesanti interventi edilizi che minacciano il nostro territorio. Credo che il destino architettonico delle nostre città sia parte della stessa questione: demolire architetture di accertato valore storico, sostituirle, all’interno di un’area fortemente connotatata culturalmente ed artisticamente, con attrezzature edilizie di così forte impatto, e di dubbia rilevanza estetica, impone percorsi amministrativi votati ad un imprenscindibile senso di responsabilità, oltre che valutazioni, sul piano della tutela e della conservazione del paesaggio urbano, di ben altra complessità e ponderatezza. E non si invochi - noi almeno ce lo auguriamo - un presunto progetto di funzionalità urbanistica, perché tutti, o quasi, gli scempi architettonici a Livorno, come già abbiamo ampiamente indicato, si sono fondati e continuano a fondarsi su argomentazioni del tutto simili.

Dario Matteoni* 17 settembre 2007, Il Tirreno

(*)ex assessore alla Cultura del Comune di Livorno

 
 
 
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