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il Vernacoliere, editoriale di Mario Cardinali‏

Post n°49 pubblicato il 05 Giugno 2010 da universopensiero

 

Senza peli sulla lingua
Dell'informazione

L'importanza delle parole. Dei concetti che esse trasmettono. E di come vengono trasmessi. L'importanza cioè dell'informazione. Delle parole in cui essa si sostanzia e dei concetti che ne sono a monte. Cosa ci vien fatto sapere e in che modo. Con quale linguaggio precostituito.

Se per esempio io leggo d'un atto di terrorismo, sono già stato abituato a pensare - con una categoria mentale d'uso abituale - al terrorismo come atto di terrore su dei civili inermi. E collego immediatamente, per abitudine d'informazione così indirizzata, la parola terrorismo all'immagine del kamikaze, del terrorista che comunque esercita l'assassinio indiscriminato come metodo di lotta fuori da ogni norma.

Mentre la strage di civili inermi operata da un atto di guerra (per esempio un bombardamento aereo o un cannoneggiamento terrestre) non viene classificata e recepita come atto di terrorismo perché ci è stato insegnato - dalla cultura ufficiale e dall'informazione correlata - che gli atti stragisti di una guerra regolare (ufficialmente sostenuta da uno Stato o da più Stati) non costituiscono terrorismo ma vengon definiti conseguenze - effetti collaterali - della guerra stessa. Che anzi può essere concettualmente inculcata come guerra "indiscutibile" e "sacra", quando addirittura non sia definita "missione di pace".

L'informazione cioè mi abitua a collegare certe parole a determinati concetti, cosicché il controllo dei mezzi d'informazione serve non soltanto a formare/condizionare l'opinione pubblica per il tipo d'informazione data, ma serve anche al mantenimento dei moduli espressivi e concettuali che già di per sé formano un ordine costituito e precostituito.

Nel sistema politico e sociale - dal suo "potere" - si ha insomma una comunicazione di messaggi finalizzati alla formazione e al controllo dell'opinione pubblica, e un‘informazione tramite stilemi espressivi che mantengano la precostituzione di concetti - quelli che servono a mantenere "l'ordine" anche logico dei pensieri di massa.

Fino a poterci far definire l'informazione come ciò che il potere vuole che si sappia e in che modo si sappia, con quale linguaggio funzionalmente prefabbricato.

E ciò che non deve essere saputo - finora affidato al vario controllo di fatto sui mezzi d'informazione ed alle compiacenze/complicità istituzionali - viene oggi definito addirittura per legge. La cosiddetta legge sulle intercettazioni.

La quale - col pretesto di proteggere i cittadini qualunque dagli abusi di stampa su rivelazioni di faccende assolutamente private, e per la cui necessarissima tutela bastebbero già le leggi in vigore o comunque alcune innovazioni finalizzate effettivamente a tale scopo - non solo priva i giudici di indispensabili mezzi d'indagine ma arriva addirittura a proibire di fatto e di diritto la libertà d'informazione e di essere informati. E mica sulle vicende dei vari talk-show o sulle avventure di attori e calciatori.

No, oggi il velo si fa calare per legge su notizie di fatti criminosi anche i più gravi, e sulle inchieste in specie sopra fatti di corruzione di uomini e d'istituzioni, come proprio oggi se ne riscopre il dilagare in un sistema di cricche istituzionali garantite dalla politica vincente.

E risiamo alle parole. La parola corruzione, questa volta. Che subito associamo, a sentirla pronunciare e a vederla scritta nei modi dell'informazione abituale, alle tangenti in denaro a favore dei partiti come se ne conobbe l'acme con la Tangentopoli del '92, o alle ruberie personali come se ne parla nell'Appaltopoli d'oggi.

La corruzione economica, insomma, o comunque per arricchimenti d'ogni tipo. Ché a quel concetto ci hanno abituati, e solo ad esso veniamo indirizzati. Anche col dire soltanto quanto ci costa in quattrini ogni anno, quella corruzione.

Di un'altra corruzione invece non si parla. Quella che è terreno di coltura per la tangentopoli di ieri e per l'appaltopoli d'oggi, per le ruberie istituzionali di sempre. La corruzione del concetto di democrazia, e della sua sostanza. La corruzione della Costituzione repubblicana. La degenerazione del significato di democrazia parlamentare, del controllo reciproco effettivo fra i poteri che ne costituisce fondamento, la degenerazione del sistema democratico in regime autoritario. Che anche tante leggi ad personam hanno preparato e consolidato. Corruttrici anch'esse del senso di democrazia.

No, di questa corruzione non si parla. Non ci hanno abituati a parlarne. Anzi, neppure a concepirla. E l'hanno fatta addirittura divenire, quella corruzione morale dei valori sanciti sulla Carta, l'esibita rivendicazione d'un diritto di maggioranza. Una maggioranza popolare indottrinata di parole e rimbecillita di televisioni, alla quale oggi far credere che la legge sulle intercettazioni, che spudoratamente favorisce la delinquenza istituzionale e protegge qualla mafiosa, l'hanno varata d'urgenza per non far pubblicare dalla stampa scandalistica ciò che di riservato si telefonano fra loro il qualunque cittadino Tizio e il qualunque cittadino Caio.

Mentre è così evidentemente tesa a coprire - col bavaglio al diritto d'informare e di sapere che sostanzia una democrazia - la corruzione d'un sistema che della democrazia è l'esatto opposto. Un sistema sempre più avviato ad essere regime.


Mario Cardinali
(da il Vernacoliere di giugno 2010)

 

 
 
 
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