La Sconosciuta

Successe tutto nella primavera del 2010. 
Erano gli anni del “cammin di nostra vita”, per dirla alla Dante, e la mia vita era leggermente più caotica della normalità, sennonchè mi rendo conto tutt’ora che per me il leggermente caotico è la normalità.
In quel periodo non mi ero mai sentito più sano di mente o più felice, mi ero trasferito già dall’inverno precedente in un piccolo centro tra le colline bolognesi, e la mia vita scivolava in una disciplinata armonia in quattro tempi.
La mattina era dedicata all’attività con cui pagare vitto e alloggio ed il lavoro mi teneva occupato ben oltre l’orario da pranzo. Mangiavo qualcosina sempre al solito ristorantino all’angolo quasi sempre fuori orario, rientravo in ufficio spesso saltando anche il caffè, e ci rimanevo fino alle diciotto, se era la mia giornata fortunata.
La seconda attività era quella che chiamavo: la quiete dopo la tempesta. Me ne tornavo a casa, quasi sempre a piedi, camminando lentamente per quasi un’ora, incontrando di tanto in tanto qualche faccia già nota, e guardando le vetrine dei pochi negozi, soffermandomi poi nell’unica libreria del centro che fungeva anche come edicola. Sfogliavo qualche libro e compravo il solito quotidiano, ecco, adesso come all’ora, penso di essere uno dei pochi che legge il quotidiano, quando le notizie sono già scadute, o quanto meno già aggiornate.
Il terzo atto invece, ero quello dedicato alla casa e alla cucina, con cui avrei dato un senso alla parola “mangiare” facendolo in assoluta tranquillità, gustandomi ogni pietanza senza dover rispondere continuamente a chiamate e messaggi, e senza occhi accusatori del cameriere di turno, che mi implorava con lo sguardo di finire in fretta per andare a godersi il suo meritato riposo.
Ma il cuore della giornata era senz’altro, il quarto e ultimo tempo che dedicavo a quello che ritengo essere uno dei più grandi piaceri della vita, un semplice, caldo, morbido, quasi amaro, caffè.
Dalle 21 fino a quasi mezzanotte, erano le poche ore che potevo dedicare completamente a me stesso, e pur avendo tutta l’attrezzatura necessaria per produrre un caffè decente a casa, il richiamo seducente della notte, dei suoi colori, dei suoi profumi e l’insegna del bar che scorgevo dalla mia finestra, erano fin troppo irresistibili anche per un quasi pantofolaio come me.
E quella sera, nelle ultime tre ore di un qualunque giorno di aprile, un semplice caffè divenne un ricordo che tutt’ora continua a pulsare nei meandri della mia mente.

Era un bar assolutamente anonimo, anche se abbastanza grande.
Un bar di quelli aperti probabilmente negli anni 80, senza grosse pretese, ne tv a led che trasmettono musica rumorosa ad altissimo volume, ne di quelli pieni di ragazzi con l’entusiasmo a mille e improbabili ordinazioni di cocktail dal tasso alcolico fuori dal comune.
Facevano però un ottimo caffè e tanto bastava per essere sempre pieno di persone del posto, lavoratori, gente comune e di tanto in tanto qualche avventore.
Quando era libero, il mio tavolino preferito era quello rivolto verso l’entrata, in un certo senso il sedermi li mi dava un’idea malsana di avere tutto sotto controllo, anche se poi, il mio sguardo era sempre quasi rivolto verso il quotidiano nel mentre leggevo notizie che oramai già ero a conoscenza.
Avevo già preso il caffè, quando ad un tratto il suono della campanellina collegata alla porta in vetro del bar, attirò la mia attenzione.
Lei entrò affrettata, quasi danzando in un abito nero che le fasciava i fianchi, cominciò a parlare con il barista, ordinò qualcosa, e si sedette appena qualche fila di tavolini poco distante da me, ci guardammo, con uno sguardo fugace che subito torno al proprio posto, dopo appena qualche secondo.
Il giornale continuava a raccontarmi notizie già vecchie, ma i miei occhi, già poco interessati, facevano fatica a restare su quelle pagine. Lei non era bellissima, eppure qualcosa aveva attirato tutto il mio interesse, forse i suoi capelli appena lunghi sulle spalle, il suo modo di “entrare in scena”, le sue movenze. Forse il modo con cui beveva la sua bevanda, credo fosse un succo d’arancia, ma soprattutto il suo modo di incrociare il mio sguardo, quasi sapesse l’istante in cui, i miei occhi si fossero sporti a guardarla.
In quel momento il tempo sembrava fosse dilatato, più lento. Il quotidiano oramai, serviva soltanto a coprire il mio viso quasi imbarazzato, e tutti i miei pensieri erano concentrati sul come trovare un modo quanto meno non ridicolo e goffo per avvicinarla, quando ad un tratto lei si alzò.
Si avvicinò verso di me con il suo passo danzante, si sedette proprio di fronte a me al mio tavolo, mi avvicinò un pezzettino di carta e disse con voce sinuosa ma decisa “Leggilo, appena sarò uscita”.
Si alzo con un gesto finale, poi andò via senza voltarsi indietro, mentre l’aria che respiravo aveva il sapore impossibile di confusione e immagini.
Appena la porta in vetro si chiuse alle sue spalle, aprii quel pezzettino di carta frettolosamente, convinto di trovarci il classico numero di telefono, ma la sorpresa di leggere quell’unica parola, dilatò ancora di più il tempo e la mia confusione. C’era scritto un’unica parola: “Seguimi”
Mi alzai di scatto, in maniera cosi repentina che quasi rischiavo di buttar giù il tavolo, pagai velocemente il conto, uscii dal Bar e la intravidi poco distante, nel suo abito nero, ancora più scuro nel bagliore della notte. Incominciò ad incamminarsi lentamente ma con passo deciso, ed io, tra un misto di eccitazione e timore, iniziai a seguirla, con la salivazione che oramai rasentava lo zero.
Dopo qualche centinaio di metri, si fermo all’angolo di una stradina buia, si girò a malapena lanciandomi un ultimo sguardo quasi a dirmi, ci siamo, poi si voltò e spari avvolta nel buio.
Ad un tratto mi resi conto, che tutto intorno a me era deserto, ero cosi concentrato a seguire la sua scia e ad elaborare pensieri, che non sapevo neppure dove mi trovato, e se qualcuno ci avesse visto camminare poco distanti. In quell’istante fu come destarsi da un sogno, ma ormai ogni tentativo di razionalità aveva lasciato la mia mente, volevo solo raggiungerla, non sapendo nemmeno il perchè.

Entrai nel vicoletto buio e mi resi conto che era senza uscita. Alcune auto erano parcheggiate in fila sul fianco destro della strada, e subito dopo l’ultima auto, c’era Lei, ferma, rivolta verso di me, ad aspettarmi. Mi avvicinai, accelerando leggermente il passo, e nello stesso istante in cui mossi le labbra per dire qualcosa, le sue mani si aggrapparono alla mia camicia, mi trascinò verso di lei, e mi baciò. Non c’erano più pensieri nella mia testa in quel momento, sentivo solo le sue braccia intorno al mio collo e le sue labbra sulle mie. Ad un tratto lei iniziò a accarezzare le mie labbra con la punta della sua lingua, con la mano schiuse le mie labbra e iniziò a morsicare la mia, gli accarezzai la schiena e sentii il calore del suo corpo contro la mia mano. Era bello sentire le nostre labbra giocare, era fantastico sentire le nostre lingue sfiorarsi gentilmente, era come se tutto in quegli istanti fosse dannatamente perfetto.
Senza mai staccare le sue labbra dalle mie, le sue mani iniziarono a sbottonarmi la camicia, e lentamente i suoi baci passarono dalla mia bocca, al mio mento, e poi sul mio petto. Si abbassò delicatamente, accarezzando i mie fianchi, e con un gesto deciso, sbottonò i miei pantaloni.
Era da quando avevo letto quel pezzettino di carta che ero già abbastanza eccitato, ed erano bastati appena qualche secondo delle sue labbra, per rendere il mio pene decisamente turgido. Lei non sembrò affatto stranita da tutto ciò, alzo leggermente lo sguardo guardandomi dritto negli occhi, e senza mai abbassare lo sguardo, mi calò giù gli slip, e iniziò e leccarlo. Sentivo il piacere inondare ogni angolo del mio corpo, mentre lei continuava alternando momenti di delicatezza ad altri decisamente più intensi, fino a quando ad un tratto si fermò.
Si rialzò, mi bacio di nuovo sulle labbra, e con quella sua voce ora molto più ansimante mi disse: “non porto mai gli slip, in certe occasioni, ora voglio che entri dentro di me”
La feci appoggiare al muro, le alzai quanto basta il vestito, e lasciai che le sue gambe avvolgessero i miei fianchi, Lei avvolse di nuovo le sue braccia intorno al mio collo, e questo gesto, mi eccitò ancora di più. Fui sorpreso io quando al primo contratto mi resi conto che anche Lei era completamente bagnata, entrai dentro di lei molto lentamente e tenni un ritmo lento ma deciso per abbastanza tempo, godendo del piacevole suono del suo ansimare. Appena decisi di alzare il ritmo mi resi conto che facevo molta fatica nel contenere l’eccitazione ma non volevo assolutamente mettere da parte il piacere che in quel momento stavo provando nell’essere dentro di lei.
Avrei voluto lasciarmi andare in una lunga esplosione di piacere, ma questo era inevitabilmente fuori discussione, ma ormai non potevo resistere al suono del suo godere, volevo in qualunque modo arrecarle piacere, e tenendola in piedi davanti a me, mi abbassai posando la mia calda lingua sul suo ventre e iniziai a sfiorarle lentamente il suo sesso. Il suo piacere cadde sulla mia bocca caldo, intenso, lento come scivola il miele, e quel suo leggero gridolino, non fece altro che donarmi altrettanto piacere, tant’è che lei mi rispose: “adesso mi vendico nella stessa maniera”. Le sue labbra di nuovo sul mio sesso, mi fecero letteralmente impazzire fino a raggiungere un esplosione di piacere immenso.

Restammo qualche istante abbracciati, io ero ancora mezzo nudo, lei a malapena più ricomposta.
Fermi, immobili, stretti l’uno all’altro, giusto il tempo almeno per me, di riordinare le idee, lei ancora avvinghiata a me.
Con uno scatto deciso si staccò, si ricompose e mi guardò, senza dire nulla.
Fu giusto un istante, e poi mi resi conto che nemmeno io sapevo cosa dire in quel momento, a ripensarci bene, credo che nemmeno sapessi se stessi sognando oppure no, ma proprio in quel frangente lei mi anticipò e disse: “Ora devo scappare”.
Una moltitudine di parole, di frasi sconnesse e di domande, mi balzarono in mente, tutte in fretta: avrei voluto chiedere chi fosse, dove abitasse, se e quando avremmo potuto rivederci, ma dalla mia bocca non uscivano parole. L’unica cosa che riuscii a profilare fu: “ma non so nemmeno come ti chiami”, Lei mi guardò un ultima volta, si avvicinò baciandomi delicatamente le labbra, con la sua voce sinuosa che ancora oggi risuona nella mia mente e rispose: “Chiamami La Sconosciuta”. Mi accarezzò una guancia, e poi, con passo lento, si allontanò.

Successe tutto nella primavera del 2010.
In quel periodo non mi ero mai sentito più sano di mente o più felice, e la mia vita scivolava in una disciplinata armonia in quattro tempi.
Non ho mai saputo chi fosse “La Sconosciuta”, ne mai l’ho più rivista. Non so cosa faccia, dove sia, non so nemmeno se anch’essa ricordi tutto ciò.
Io di Lei, porto ancora un segno, indelebile, nella mia testa e nella mia anima.

Notturno alle Tre…

La Sconosciutaultima modifica: 2021-04-29T21:57:29+02:00da LaFormaDellAnima

2 pensieri riguardo “La Sconosciuta”

  1. Ma che, davero? Cioè ste cose succedono? E ma l’aids? La sifilide? L’epatite? I bambini? 😮
    Ok, io e le mie paranoie ti lasciamo un saluto.
    Comunque non sei l’unico a leggere il quotidiano stagionato. Prima di sta cavolo di pandemia ne compravo uno e me lo facevo durare beata per tutta la settimana per avere compagnia durante la colazione.

    1. Scommetto che quando avrai visto “Attrazione Fatale”, ti sarai chiesta: Oh Dio e se si blocca l’ascensore!! 🙂
      Non compro quasi più il quotidiano. L’app di Tgcom mi rovina tutte le notizie dandomele quasi in tempo reale, e spesso sono il primo a divulgarle in ufficio. A volte ho la sgradevole sensazione di sapere le cose prima che accadono!

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