SE L’È ANDATA A CERCARE…

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Se l’è andata a cercare, riferito a donne vittima di stupro è ormai diventato uno slogan, tanto più orribile quanto più riferito a donne da donne stesse che in una sorta di regressione o forse mai avvenuta emancipazione restano inchiodate a un ruolo di passività e sottomissione. Donne che deplorano il burka fisico e mentale della condizione femminile islamica ma che spesso sono le prime a puntare il dito e a fare illazioni ingenerose e mortificanti verso il loro stesso sesso.
La cronaca ci riporta puntualmente casi di violenza sessuale nei confronti di donne, sempre più frequenti, sempre più serrati, tanto da poterli considerare una vera e propria emergenza.
I media poi, fungono come cassa di risonanza in negativo, perché se da una parte gli stupri ci vengono raccontati con dovizia di particolari, serpeggia un palpabile scetticismo quanto alle responsabilità dell’uomo, spesso malcelate e ridimensionate.
L’ultimo è il caso dell’imprenditore milanese, Alberto Genovese che sulla terrazza del suo attico di Milano, chiamata cinicamente Sentimento, organizzava feste esclusive tra sesso, alcol e droga che girava sui piatti di portata, in una sorta di allucinazione continua dove lui era il re indiscusso, dotato di un potere enorme datogli dalla ricchezza utilizzata come lasciapassare per ogni genere di nefandezza. La ragazza di 18 anni stuprata per oltre 24 ore e che è riuscita a liberarsi del suo carnefice soltanto il giorno dopo, attualmente è in cura psichiatrica e chissà se e quando potrà superare il trauma devastante della violenza. Lui è in stato di fermo, ma i suoi avvocati hanno già preparato la linea difensiva in cui in un ribaltamento dei ruoli, il carnefice diventa vittima.
La ragazza è già stata inclusa nel quadro di quelle che se la sono andata a cercare, confondendo la leggerezza di un’incauta partecipazione a una festa con una consenziente accettazione di qualsiasi forma di perversione.
Tutti ricordiamo la sentenza che oltre 20 anni fa portò all’assoluzione dal reato di stupro il violentatore della ragazza che indossando i jeans non poteva non essere consenziente perché lo stretto indumento era la prova di una sua fattiva collaborazione.
Fino a quando la donna per non passare per “santarellina”, dunque colpevole, dovrà evitare di esprimere la propria libertà che prevede anche errori, senza che questo la penalizzi e diventi un boomerang contro di lei?
Libero arbitrio si chiama la libertà di scegliere e non c’è moralismo che possa intaccare questo diritto inalienabile per uomo e donna.
SE L’È ANDATA A CERCARE…ultima modifica: 2020-11-25T19:21:47+01:00da lorifu