28 APRILE 2019 II DOMENICA DI PASQUA O DELLA DIVINA MISERICORDIA ANNO C Gv 20,19-31

Gv 20,19-31
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TESTO:-
Dal Vangelo secondo Giovanni. (Gv 20,19-31)
La sera di quel giorno, il primo della settimana, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, stette in mezzo e disse loro: «Pace a voi!». Detto questo, mostrò loro le mani e il fianco. E i discepoli gioirono al vedere il Signore.
Gesù disse loro di nuovo: «Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi». Detto questo, soffiò e disse loro: «Ricevete lo Spirito Santo. A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati».
Tommaso, uno dei Dodici, chiamato Dìdimo, non era con loro quando venne Gesù. Gli dicevano gli altri discepoli: «Abbiamo visto il Signore!». Ma egli disse loro: «Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il mio dito nel segno dei chiodi e non metto la mia mano nel suo fianco, io non credo».
Otto giorni dopo i discepoli erano di nuovo in casa e c’era con loro anche Tommaso. Venne Gesù, a porte chiuse, stette in mezzo e disse: «Pace a voi!». Poi disse a Tommaso: «Metti qui il tuo dito e guarda le mie mani; tendi la tua mano e mettila nel mio fianco; e non essere incredulo, ma credente!». Gli rispose Tommaso: «Mio Signore e mio Dio!». Gesù gli disse: «Perché mi hai veduto, tu hai creduto; beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!».
Gesù, in presenza dei suoi discepoli, fece molti altri segni che non sono stati scritti in questo libro. Ma questi sono stati scritti perché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio, e perché, credendo, abbiate la vita nel suo nome. Parola del Signore.

RIFLESSIONI

Partecipando al sacrificio della Messa, noi ascoltiamo ogni volta le parole di Cristo che si rivolge agli apostoli: “Vi lascio la pace, vi do la mia pace”. Inoltre, imploriamo il Signore di concederci “unità e pace secondo la sua volontà” e di donare “la pace ai nostri giorni”.
Ogni volta che apparve agli apostoli Cristo, dopo aver vinto la morte, augurò la pace, sapendo quanto tutti loro la desiderassero. Nel conferire agli apostoli il potere di rimettere i peccati, Cristo ha portato la pace nell’anima inquieta dell’uomo. L’anima creata da Dio ha nostalgia di Dio. La pace con Dio è il fondamento della pace tra gli uomini. Liberato dalla schiavitù del peccato, l’uomo è in pace, ha l’anima in festa, in pace. La pace regna sui cuori puri. È partendo dalla pace interiore, quella del cuore, appoggiandosi ad essa, che si può stabilire la pace esteriore: in famiglia, fra vicini, in seno alla Chiesa, tra i popoli. Dio chiama tutti gli uomini ad unirsi al suo popolo unico. Il suo desiderio, che è di riunire tutti gli uomini in seno ad un’unica comunità per salvarli, è già espresso nell’Antico Testamento.
Gli Ebrei capirono di essere un popolo unico nella lontana notte di Pasqua in cui Dio li separò dagli Egiziani ed indicò loro la Terra promessa.
La Pasqua viene per ricordare questo avvenimento alle generazioni successive: in questo giorno ogni ebreo ha il sentimento di essere di nuovo condotto fuori dall’Egitto per essere salvato. Allo stesso modo, il nuovo popolo di Dio è nato il giorno di Pasqua, quando la concordia eterna fu rinnovata e suggellata dal sangue del Figlio di Dio. Questo popolo creato da Cristo è precisamente la Chiesa.
Gli uomini assomigliano a piccoli universi, chiusi e segreti. Dio li ha creati così. Ciò nonostante, il Creatore ha dato agli uomini anche il gusto di riunirsi in gruppi, di vivere, di lavorare, di creare in comune. Dio ha voluto allo stesso tempo assicurare loro la salvezza in quanto comunità, la salvezza del suo popolo. Accettare la salvezza promessa da Dio significa nello stesso tempo integrarsi al nuovo popolo riunito da Cristo, in seno al quale tutti usano i medesimi strumenti della grazia, cioè i sacramenti, scaturiti dalla Passione di Cristo.
In diversi momenti, il Nuovo Testamento designa Cristo come il volto visibile di Dio, l’immagine del Padre, il suo segno (Col 1,15; Gv 1,18). Cristo è come un sacramento che significa e trasmette l’amore del Padre. È un segno carico di significato e di forza di salvezza; in lui si trovano riuniti il perdono del Padre e la filiazione. In questo senso, Cristo appare come il primo sacramento nato dall’amore di Dio, la fonte di tutti i sacramenti. I sacramenti possono esistere solamente perché in loro Cristo stesso è presente ed agisce.
Come una madre premurosa, la Chiesa si sforza di spiritualizzare tutta la vita dei suoi figli e delle sue figlie. Vivere la spiritualità, provare la pace dell’anima è tentare di dare un carattere divino al quotidiano attraverso il flusso di grazie, di sapienza, di sentimenti, di consolazione che viene da Dio. Per ottenere la salvezza, egli ci fa pervenire, in un modo o nell’altro, a raggiungere Cristo. Ci fa camminare la mano nella mano con i figli del popolo di Dio, ci dirige verso un destino comune sotto l’egida di Cristo che si occupa di noi, ci perdona, ci santifica e ci concede la pace.

Rivelazione di Gesù a Maria Valtorta

Corrispondenza nell’“Evangelo come mi è stato rivelato” di Maria Valtorta Capitoli 628.1-6 e 629.1-13

I dieci sono nel cortile della casa del Cenacolo. Parlano fra loro e poi pregano. E poi tornano a parlare.

Dice Simone Zelote: «Sono veramente afflitto della sparizione di Tommaso. Non so più dove cercarlo».

«Ed io neppure», dice Giovanni.

«Dai parenti non c’è. E non è stato visto da nessuno. Che lo abbiano preso?».

«Se così fosse, il Maestro non avrebbe detto: “Dirò il resto quando ci sarà l’assente”».

«È vero. Io però voglio ancora andare a Betania. Forse si aggira per quelle montagne senza osare mostrarsi».

«Vai, vai, Simone. Tu ci hai tutti riuniti e… salvati col riunirci, perché ci hai portati da Lazzaro. Avete sentito che parole ebbe il Maestro per lui? Ha detto: “Il primo che in mio Nome ha perdonato e guidato”. Perché non lo mette al posto dell’Iscariota?», chiede Matteo.

«Perché non vorrà dare al perfetto amico il posto del traditore», risponde Filippo.

«Ho sentito poco fa, quando ho fatto un giro per i mercati e ho parlato ai venditori di pesce, che… -sì, mi posso fidare di loro- che quelli del Tempio non sanno che fare del corpo di Giuda. Non so chi fu… ma questa mattina all’alba i guardiani del Tempio hanno trovato dentro al sacro recinto il suo corpo putrido, con ancora la fune al collo. Io penso siano stati dei pagani a staccarlo e a gettarlo là dentro chissà come», dice Pietro.

«A me invece hanno detto ieri sera alla fonte, ho sentito dire, anzi, che da ieri sera hanno frombolato le viscere del Traditore fin contro la casa di Anna. Pagani, certo. Perché nessun ebreo avrebbe toccato, dopo più di cinque giorni, quel corpo. Chissà come era putrido!», dice Giacomo d’Alfeo.

«Oh! un orrore fin dal sabato!». Giovanni impallidisce al ricordo.

«Ma come finì in quel posto? Era suo?».

«E chi ha mai saputo niente di esatto da Giuda Iscariota? Vi ricordate come era chiuso, complicato…».

«Puoi dire: bugiardo, Bartolomeo. Mai era sincero. Per tre anni fu con noi, e noi che tutto avevamo in comune, davanti a lui eravamo come davanti all’alto muro di una fortezza».

«Di una fortezza? Oh! Simone! Dì di un labirinto!», esclama Giuda d’Alfeo.

«Oh! Sentite! Non parliamo di lui! Mi pare di averlo a evocare e che debba venire a darci disturbo. Io vorrei cancellare il suo ricordo da me e da ogni cuore. Ebreo o gentile che sia. Ebreo, per non arrossire di avere partorito dalla nostra razza questo mostro. Gentile, perché fra loro non ci sia chi ci può dire un giorno: “Fu uno di Israele il suo traditore”.

Io sono un ragazzo. E non dovrei parlare davanti a voi per primo. Sono l’ultimo e tu, Pietro, sei il primo. E qui c’è lo Zelote e Bartolomeo, istruiti, e ci sono i fratelli del Signore. Ma, ecco, io vorrei presto mettere uno al dodicesimo posto, uno che santo fosse, perché, finché vedrò quel posto vuoto nel gruppo nostro, io vedrò la bocca dell’inferno coi suoi fetori fra noi. E ho paura che ci travii…».

«Ma no, Giovanni! Sei rimasto impressionato dalla bruttezza del suo delitto e del suo corpo appeso…».

«No, no. Anche la Madre ha detto: “Ho visto satana vedendo Giuda di Keriot”. Oh! facciamo presto a cercare un santo da mettere a quel posto!».

«Senti, io non scelgo nessuno. Se Lui, che era Dio, ha scelto un Iscariota, che sceglierà mai il povero Pietro?».

«Eppure dovrai bene…».

«No, caro. Io non scelgo nulla. Lo chiederò al Signore. Basta di peccati fatti da Pietro!».

«Tante cose dobbiamo chiedere. L’altra sera siamo rimasti come ebeti. Ma dobbiamo farci insegnare. Perché… Come faremo a capire se una cosa è peccato proprio? O se non lo è? Vedi come il Signore parla diverso da noi sui pagani. Vedi come scusa più una viltà e un rinnegamento di quanto non scusi il dubbio sul possibile perdono… Oh! io ho paura di fare male», dice sconsolato Giacomo d’Alfeo.

«Veramente ci ha tanto parlato. Eppure mi pare di sapere niente. Sono ebete da una settimana», confessa sconsolato l’altro Giacomo.

«Io pure».

«Io pure».

«E anche io».

Sono tutti nelle stesse condizioni e, stupiti, si guardano l’un l’altro. Ricorrono alla ormai abituale soluzione: «Andremo da Lazzaro», dicono. «Forze là troveremo il Signore e… Lazzaro ci aiuterà».

Bussano al portone. Tacciono tutti ascoltando. E hanno un «oh!» di stupore vedendo entrare nel vestibolo Elia insieme a Tommaso. Un Tommaso così stranito che non pare più lui.

I compagni gli si affollano intorno gridando il loro giubilo: «Lo sai che è risorto e che è venuto? E aspetta te per tornare!».

«Sì. Me lo ha detto anche Elia. Ma non ci credo. Io credo a ciò che vedo. E vedo che per noi è finita. Vedo che siamo tutti dispersi. Vedo che non c’è più neppure un sepolcro noto dove piangerlo. Vedo che il Sinedrio si vuole disfare, e del complice di cui decreta il seppellimento, come fosse un animale sozzo, ai piedi dell’ulivo dove si è impiccato, e dei seguaci del Nazareno. Io sono stato fermato nel venerdì, alle porte, e mi hanno detto: “Anche tu eri uno dei suoi? È morto, ormai, Torna a battere l’oro”. E sono scappato…».

«Ma dove? Ti abbiamo cercato da per tutto!».

«Dove? Sono andato verso la casa di mia sorella a Rama. Poi non ho osato entrare perché… per non essere rimproverato da una donna. Allora ho vagato per le montagne giudee e ieri sono finito a Betlemme, nella sua grotta. Quanto ho pianto… Mi sono addormentato fra le macerie e là mi ha trovato Elia, che era venuto… non so perché».

«Perché? Ma perché nelle ore di gioia o di dolore troppo grande si va dove più si sente Dio. Io molte volte, in questi anni, ero andato là, di notte, come un ladro, per sentirmi carezzare l’anima dal ricordo del suo vagito. E poi scappavo al primo sole per non essere lapidato. Ma ero già consolato. Ora sono andato là per dire a quel luogo: “Io sono felice” e per prendere quanto posso di esso. Abbiamo deciso così. Noi vogliamo predicare la sua Fede. Ma ce ne darà forza un pezzo di quel muro, un pugno di quella terra, una scheggia di quei pali. Non siamo santi tanto da osare di prendere la terra del Calvario…».

«Hai ragione, Elia. Lo dovremo fare noi pure. E lo faremo. Ma Tommaso?…».

«Tommaso dormiva e piangeva. Gli ho detto: “Svegliati e non piangere più. È risorto”: Non mi voleva credere. Ma tanto ho insistito che l’ho persuaso. Eccolo. Ora è fra voi ed io mi ritiro. Raggiungo i compagni diretti in Galilea. La pace a voi».

Elia se ne va.

«Tommaso, è risorto. Io te lo dico. Fu con noi. Mangiò. Parlò. Ci benedisse. Ci perdonò. Ci ha dato potestà di perdonare. Oh! perché non sei venuto prima?».

Tommaso non si scuote dal suo abbattimento.

Crolla il capo, testardo. «Io non credo. Avete visto un fantasma. Siete tutti folli. Le donne per prime. Un uomo morto, da sé non risorge».

«Un uomo no. Ma Egli è Dio. Non lo credi?».

«Sì. Lo credo che è Dio. Ma, appunto perché lo credo, penso e dico che, per quanto sia tanto buono, non può esserlo al punto di venire fra chi Lo ha così poco amato. E dico che, per quanto sia tanto umile, deve averne abbastanza di avvilirsi nella nostra carnaccia. No. Sarà, certo lo è, trionfante in Cielo e, forse, apparirà come Spirito. Dico: forse. Non meritiamo neppure questo! Ma Risorto in carne e ossa, no. Non lo credo».

«Ma se Lo abbiamo baciato, visto mangiare, udito la voce, sentito la sua mano, visto le ferite!».

«Niente. Io non credo. Non posso credere. Dovrei vedere per credere. Se non vedo nelle sue mani il foro dei chiodi e non vi metto dentro un dito, se non tocco le ferite dei piedi e se non metto la mano dove la lancia ha aperto il costato, io non credo.

Non sono un bambino o una donna. Io voglio l’evidenza. Quello che la mia ragione non può accettare lo rifiuto. E io non posso accettare questa vostra parola».

«Ma Tommaso! Ti pare che ti si voglia ingannare?».

«No. Poverini. Anzi! Beati voi che siete tanto buoni da volermi portare ad avere la pace che siete riusciti a darvi con questa vostra illusione. Ma… io non credo alla sua Risurrezione».

«Non temi di essere punito da Lui? Sente e vede tutto, sai?».

«Chiedo che mi persuada. Ho una ragione, e l’uso. Lui, Padrone della ragione umana, raddrizzi la mia se è deviata».

«Ma la ragione, Lui lo diceva, è libera».

«Ragion di più perché io non la faccia schiava di una suggestione collettiva. Io vi voglio bene e voglio bene al Signore. Lo servirò come posso e starò con voi per aiutarvi a servirlo. Predicherò la sua dottrina. Ma non posso credere altro che vedendo».

E Tommaso, cocciuto, non intende altro che se stesso. Gli parlano di tutti quelli che Lo hanno visto, e come Lo hanno visto. Lo consigliano a parlare con la Madre. Ma lui crolla il capo, seduto su un sedile di pietra, più pietra lui del sedile. Testardo come un bambino ripete: «Crederò se vedrò».

La grande parola degli infelici che negano ciò che è tanto dolce e santo credere ammettendo che Dio può tutto.

Passano delle ore e gli apostoli sono raccolti nel Cenacolo. Intorno alla tavola dove fu consumata la Pasqua. Però, per rispetto, il posto centrale, quello di Gesù, è stato lasciato vuoto.

Anche gli apostoli, ora che non c’è più chi li accentra e distribuisce per volere proprio e per elezione d’amore, si sono messi diversamente. Pietro è ancora al suo posto. Ma al posto di Giovanni è ora Giuda Taddeo. Poi viene il più anziano degli apostoli, che non so ancora chi sia, poi Giacomo, fratello di Giovanni, quasi all’angolo del tavolo dalla parte destra, secondo me che guardo. Vicino a Giacomo, ma sul lato corto del tavolo, è seduto Giovanni. Dopo Pietro, invece, viene Matteo e, dopo questo, Tommaso, poi uno di cui non so il nome, poi Andrea, poi Giacomo fratello di Giuda Taddeo e un altro, che non conosco di nome, dagli altri lati. Il lato lungo di fronte a Pietro è vuoto, essendo gli apostoli più vicini sui sedili di quanto non fossero per Pasqua.

Le finestre sono sprangate e le porte pure. Il lume, acceso con due soli becchi, sparge una luce tenue sulla sola tavola. Il resto del vasto stanzone è nella penombra.

Giovanni, che ha alle spalle una credenza, ha l’incarico di porgere ai compagni ciò che desiderano del loro parco cibo, composto di pesce, che è sulla tavola, pane, miele e formaggini freschi. È nel girarsi di nuovo verso il tavolo, per dare al fratello il formaggio che egli ha richiesto, che Giovanni vede il Signore.

Gesù è apparso in maniera molto curiosa.

La parete dietro le spalle dei commensali, tutta di un pezzo meno che nell’angolo della porticina, si è illuminata al centro, ad un’altezza di un metro circa dal suolo, di una luce tenue e fosforica come è quella che emanano certi quadretti che sono luminosi solo nel buio della notte. La luce, alta quasi due metri, ha forma ovale, come fosse una nicchia. Nella luminosità, come avanzasse da dietro veli di nebbia luminosa, emerge sempre più netto Gesù.

Non so se riesco a spiegarmi bene. Pare che il suo Corpo fluisca attraverso lo spessore della parete. Questa non si apre. Resta compatta, ma il Corpo passa ugualmente. La luce pare la prima emanazione del suo Corpo, l’annuncio del suo avvicinarsi. Il Corpo dapprima è a lievi linee di luce, così come io vedo in Cielo il Padre e gli Angeli Santi: immateriale.

Poi si materializza sempre più, prendendo in tutto l’aspetto di un corpo reale. Del suo divino Corpo glorificato.

Io ho messo molto a descrivere, ma la cosa è avvenuta in pochi secondi.

Gesù è vestito di bianco, come quando risorse e apparve alla Madre. Bellissimo, amoroso e sorridente.

Sta con le braccia lungo i lati del Corpo, un poco staccate da esso, con le Mani verso terra e dalla palma volta verso gli apostoli. Le due Piaghe delle Mani paiono due stelle di diamanti, da cui escono due raggi vivissimi. Non vedo i Piedi, coperti dalla veste, né il Costato. Ma dalla stoffa del suo abito non terreno trapela luce, là dove essa cela le divine Ferite.

In principio sembra che Gesù non sia che Corpo di candore lunare, poi, quando si è concretizzato, apparendo fuori dell’alone di luce, ha i colori naturali dei suoi capelli, occhi, pelle. È Gesù, insomma, Gesù-Uomo-Dio, ma fatto più solenne ora che è risorto.

Giovanni Lo vede quando Egli è già così. Nessun altro si era accorto dell’apparizione. Giovanni scatta in piedi lasciando cadere sulla tavola il piatto delle formaggelle tonde e, appoggiando le mani all’orlo della tavola, si piega un poco verso questa e obliquamente, come per calamita che lo attiri verso se stessa, e getta un «Oh!» sommesso e pur intenso.

Gli altri, che avevano alzato il capo dai loro piatti al cadere rumoroso del piatto delle formaggelle e allo scatto di Giovanni e l’avevano guardato stupiti, vedendo la sua posa estatica seguono il suo sguardo. Torcono il capo o si girano su se stessi, a seconda di come si trovano rispetto al Maestro, e vedono Gesù. Si alzano tutti in piedi, commossi e beati, e corrono a Lui, che accentuando il sorriso avanza verso di loro, camminando, ora, sul suolo come tutti i mortali.

Gesù, che prima fissava unicamente Giovanni, e credo che questi si sia voltato attratto da quello sguardo che l’accarezzava, guarda tutti e dice: «Pace a voi».

Tutti ora gli sono intorno, chi in ginocchio ai suoi piedi, e fra questi sono Pietro e Giovanni -anzi Giovanni bacia un lembo della veste e se la posa sul viso come per esserne carezzato- chi più indietro, in piedi, ma molto curvo in atto di ossequio.

Pietro, per fare più presto ad arrivare, ha fatto un vero salto al disopra del sedile, scavalcandolo, senza attendere che Matteo, uscendo per primo, lasciasse libero il posto. Bisogna ricordare che i sedili servivano a due persone per volta.

L’unico che resta un poco lontano, impacciato, è Tommaso. Si è inginocchiato presso la tavola. Ma non osa venire avanti e pare, anzi, tenti nascondersi dietro all’angolo di essa.

Gesù, dando le sue Mani a baciare -gli apostoli gliele cercano con bramosia santa e amorosa- gira lo sguardo sulle teste chine come cercasse l’undicesimo. Ma lo ha visto dal primo momento e fa così solo per dare tempo a Tommaso di rinfrancarsi e venire.

Vedendo che l’incredulo, vergognoso del suo non credere, non osa farlo, lo chiama: «Tommaso. Vieni qui».

Tommaso alza il capo, confuso, quasi piangente, ma non osa venire. Abbassa di nuovo il capo.

Gesù fa qualche passo nella sua direzione e torna a dire: «Vieni qui, Tommaso». La voce di Gesù è più imperiosa della prima volta.

Tommaso si alza riluttante e confuso e va verso Gesù.

«Ecco colui che non crede se non vede!» esclama Gesù. Ma nella sua voce è un sorriso di perdono.

Tommaso lo sente, osa guardare Gesù e vede che sorride proprio, allora prende coraggio e va più in fretta.

«Vieni qui, ben vicino. Guarda. Metti un dito, se non ti basta guardare, nelle ferite del tuo Maestro».

Gesù ha porto le Mani e poi si è aperto la veste sul petto scoprendo lo squarcio del Costato. Ora la luce non emana più dalle Ferite. Non emana più da quando, uscendo dal suo alone di luce lunare, si è messo a camminare come Uomo mortale, e le Ferite appaiono nella loro cruenta realtà: due fori irregolari, di cui il sinistro va fino al pollice, che trapassano un polso e un palmo alla sua base, e un lungo taglio, che nel lato superiore è lievemente ad accento circonflesso, al Costato.

Tommaso trema, guarda e non tocca. Muove le labbra, ma non riesce a parlare chiaramente.

«Dammi la tua mano, Tommaso» dice Gesù con tanta dolcezza. E prende con la sua destra la mano destra dell’apostolo e ne afferra l’indice e lo conduce nello squarcio della sua Mano sinistra, ve lo ficca ben dentro, per fargli sentire che il palmo è trapassato, e poi dalla Mano lo porta al Costato. Anzi, afferra ora le quattro dita di Tommaso, alla loro base, al metacarpo, e pone queste quattro grosse dita nello squarcio del Petto, facendole entrare, non limitandosi ad appoggiarle all’orlo, e ve le tiene guardando fisso Tommaso. Uno sguardo severo e pur dolce, mentre continua: «… Metti qua il tuo dito, poni le dita e anche la mano, se vuoi, nel mio Costato, e non essere incredulo ma fedele». Questo dice mentre fa quanto ho detto prima.

Tommaso -pare che la vicinanza del Cuore divino, che egli quasi tocca, gli abbia comunicato coraggio- riesce finalmente a parlare e a spiccare le parole, e dice, cadendo a ginocchio con le braccia alzate e uno scoppio di pianto di pentimento: «Signore mio e Dio mio!». Non sa dire altro.

Gesù lo perdona. Gli pone la destra sul capo e risponde: «Tommaso, Tommaso! Ora credi perché hai veduto… Ma beati coloro che crederanno in Me senza aver visto! Quale premio dovrò dare loro se devo premiare voi, la cui Fede è stata soccorsa dalla forza del vedere?…».

Poi Gesù pone il braccio sulla spalla di Giovanni, prendendo Pietro per mano, e si accosta al tavolo. Siede al suo posto. Ora sono seduti come la sera di Pasqua. Però Gesù vuole che Tommaso si sieda dopo Giovanni.

«Mangiate, amici» dice Gesù.

Ma nessuno ha più fame. La gioia li sazia. La gioia del contemplare.

Allora Gesù prende le sparse formaggelle, le riunisce sul piatto, le taglia, le distribuisce e il primo pezzo lo dà proprio a Tommaso, posandolo su un pezzo di pane e passandolo dietro le spalle di Giovanni; mesce dalle anfore il vino nel calice e lo passa ai suoi amici: questa volta è Pietro il primo servito. Poi si fa dare dei favi di miele, li spezza e ne dà per primo un pezzo a Giovanni, con un sorriso che è più dolce del filante e biondo miele. E di questo, per rincuorarli, ne mangia Lui pure. Non gusta che il miele.

Giovanni, con la mossa solita, appoggia il suo capo contro la spalla di Gesù, e Gesù se lo attira sul suo Cuore e parla tenendolo così.

«Non dovete turbarvi, amici, quando Io vi appaio. Sono sempre il vostro Maestro, che ha condiviso con voi cibo e sonno e che vi ha eletti perché vi ha amati. Anche ora vi amo».

Gesù appoggia molto su queste ultime parole.

«Voi», prosegue, «siete stati meco nelle prove… Sarete meco anche nella gloria. Non abbassate il capo. La sera della domenica, quando venni a voi per la prima volta dopo la mia Risurrezione, Io vi ho infuso lo Spirito Santo… anche a te che non eri presente venga lo Spirito… Non sapete che l’infusione dello Spirito è come un battesimo di fuoco, poiché lo Spirito è Amore e l’amore annulla le colpe? Il vostro peccato, perciò, di diserzione mentre Io morivo vi è condonato».

Nel dire questo, Gesù bacia sulla testa Giovanni, che non disertò, e Giovanni lacrima di gioia.

«Vi ho dato la potestà di rimettere i peccati. Ma non si può dare ciò che non si possiede. Voi dovete dunque esser certi che questa potestà Io la posseggo perfetta e la uso per voi, che dovete esser mondi al sommo per mondare chi verrà a voi, sporco di peccato.

Come potrebbe uno giudicare e mondare se fosse meritevole di condanna e fosse immondezza di suo?

Come potrebbe uno giudicare un altro se fosse con i travi nel suo occhio e i pesi infernali nel suo cuore?

Come potrebbe dire: “Io ti assolvo nel Nome di Dio” se, per i suoi peccati, non avesse Dio con sé?

Amici, pensate alla vostra dignità di Sacerdoti.

Prima Io ero fra gli uomini per giudicare e perdonare. Ora Io me ne vado al Padre. Torno al mio Regno. Non mi è levata facoltà di giudizio. Anzi essa è tutta nelle mie mani, poiché il Padre a Me l’ha deferita. Ma tremendo giudizio. Poiché avverrà quando non sarà più possibile all’uomo di farsi perdonare con anni di espiazione sulla Terra.

Ogni creatura verrà a Me con il suo spirito quando lascerà per morte materiale la carne come spoglia inutile. Ed Io la giudicherò per una prima volta. Poi l’Umanità tornerà con la sua veste di carne, ripresa per comando celeste, per esser separata in due parti. Gli agnelli col Pastore, i capri selvatici col loro Torturatore.

Ma quanti sarebbero gli uomini che sarebbero col loro Pastore se dopo il lavacro del Battesimo non avessero più chi perdona in Nome mio?

Ecco perché Io creo i Sacerdoti. Per salvare i salvati dal mio Sangue. Il mio sangue salva. Ma gli uomini continuano a cadere nella morte. A ricadere nella Morte. Occorre che chi ne ha potestà li lavi continuamente in Esso, settanta e settanta volte sette, perché della morte non siano preda. Voi e i vostri successori lo farete.

Per questo vi assolvo da tutti i vostri peccati. Perché avete bisogno di vedere, e la colpa acceca perché leva allo spirito la Luce che è Dio. Perché avete bisogno di comprendere, e la colpa inebetisce perché leva allo spirito l’Intelligenza che è Dio. Perché avete ministero di purificare, e la colpa insozza perché leva allo spirito la Purezza che è Dio.

Gran ministero il vostro di giudicare e assolvere in Nome mio!

Quando consacrerete per voi il Pane e il Vino e ne farete il Corpo e il Sangue mio, farete una grande, soprannaturalmente grande e sublime cosa. Per compierla degnamente dovrete esser puri, poiché toccherete Colui che è il Puro e vi nutrirete della Carne di un Dio.

Puri di cuore, di mente, di membra e di lingua dovrete essere, perché col cuore dovrete amare l’Eucarestia, e non dovranno esser mescolati a questo amore celeste profani amori che sarebbero sacrilegio.

Puri di mente, perché dovrete credere e comprendere questo mistero d’amore, e l’impurità di pensiero uccide la Fede e l’Intelletto. Resta la scienza del mondo, ma muore in voi la Sapienza di Dio. Puri di membra dovrete essere, perché nel vostro seno scenderà il Verbo così come scese nel seno di Maria per opera dell’Amore.

Avete l’esempio vivente di come deve essere un seno che accoglie il Verbo che si fa carne. L’esempio è la Donna senza colpa d’origine e senza colpa individuale che mi ha portato.

Osservate come è pura la vetta d’Ermon ancor fasciata nel velo della neve invernale. Dall’Oliveto essa pare un cumulo di gigli sfogliati o di spuma marina che si elevi come un’offerta contro l’altro candore delle nuvole, portate dal vento d’aprile per i campi azzurri del cielo. Osservate un giglio che apra ora la bocca della sua corolla ad un riso di profumo. Eppure, l’una e l’altra purezza sono men vive di quella del Seno che mi fu materno. Polvere portata dai venti è caduta sulle nevi del monte e sulla seta del fiore. L’occhio umano non la percepisce, tanto essa è leggera. Ma essa c’è, e corrompe il candore.

Più ancora, guardate la perla più pura che venga strappata al mare, alla conchiglia natìa, per adornare lo scettro di un re. È perfetta nella sua iridescenza compatta che ignora il contatto profanatore di ogni carne, formatosi come si è nell’incavo madreperlaceo dell’ostrica, isolata nello zaffiro fluido delle profondità marine. Eppure è men pura del Seno che mi ebbe.

Al suo centro è il granellino di rena: un corpuscolo minutissimo, ma sempre terrestre. In Colei che è la Perla del Mare non esiste granello di peccato, neppur di fomite di peccato. Perla nata nell’Oceano della Trinità per portare sulla Terra la Seconda Persona, Ella è compatta intorno al suo fulcro, che non è seme di terrena concupiscenza ma scintilla dell’Amore eterno. Scintilla che, trovando in Lei rispondenza, ha generato i vortici della divina Meteora che ora a Sé chiama e attira i figli di Dio: Io, il Cristo, Stella del Mattino.

Questa Purezza inviolata Io vi do a esempio.

Ma quando poi, come vendemmiatori ad un tino, voi tuffate le mani nel mare del mio Sangue e ne attingete di che mondare le stole corrotte dei miseri che peccarono, siate, oltre che puri, perfetti per non macchiarvi di un peccato maggiore, anzi, di più peccati, spargendo e toccando con sacrilegio il Sangue di un Dio mancando a carità e giustizia, negandolo o dandolo con un rigore che non è del Cristo -che fu buono coi malvagi per attirarli al suo Cuore e tre volte buono coi deboli per confortarli alla fiducia- usando questo rigore tre volte indegnamente, perché contro la mia Volontà, la mia Dottrina e la Giustizia.

Come esser rigorosi con gli agnelli quando si è pastori idoli?

O miei diletti, amici che Io mando per le vie del mondo per continuare l’opera che Io ho iniziata e che sarà proseguita finché il Tempio sarà, ricordate queste mie parole. Ve le dico perché le diciate a coloro che voi consacrerete al ministero nel quale Io vi ho consacrati.

Io vedo… Guardo nei secoli… Il tempo e le turbe infinite degli uomini che saranno mi sono tutti davanti… Vedo… stragi e guerre, paci bugiarde e orrende carneficine, odio e ladrocinio, senso e orgoglio. Ogni tanto un’oasi di verde: un periodo di ritorno alla Croce. Come obelisco che segna un’onda pura fra le aride arene del deserto, la mia Croce sarà alzata con amore, dopo che il veleno del male avrà reso malati di rabbia gli uomini, e intorno ad essa, piantate sui bordi delle acque salutari, fioriranno le palme di un periodo di pace e bene nel mondo.

Gli spiriti, come cervi e gazzelle, come rondini e colombi, accorreranno a quel riposante, fresco, nutriente rifugio, per guarire dai loro dolori e sperare nuovamente. Ed esso rinserrerà i suoi rami come una cupola per proteggere da tempeste e solleoni, e terrà lontano serpenti e fiere col Segno che mette in fuga il Male. Così, finché gli uomini vorranno.

Io vedo… Uomini e uomini… donne, vecchi, bambini, guerrieri, studiosi, dottori, contadini… Tutti vengono e passano col loro peso di speranze e di dolori. E molti vedo che vacillano, perché il dolore è troppo e la speranza è scivolata dalla soma per prima, dalla soma troppo grave, e si è sbriciolata al suolo… E molti vedo che cadono ai bordi della via perché altri più forti li sospingono, più forti o più fortunati nel peso che è lieve. E molti vedo che, sentendosi abbandonati da chi passa, calpestati anche, che sentendosi morire, giungono ad odiare e maledire.

Poveri figli! Fra tutti questi, percossi dalla vita, che passano o cadono, il mio Amore ha, intenzionalmente, sparso i samaritani pietosi, i medici buoni, le luci della notte, le voci nel silenzio, perché i deboli che cadono trovino un aiuto, rivedano la Luce, riodano la Voce che dice: “Spera. Non sei solo. Su te è Dio. Con te è Gesù”.

Ho messo, intenzionalmente, queste carità operanti, perché i miei poveri figli non mi morissero nello spirito, perdendo la dimora paterna, e continuassero a credere in Me-Carità vedendo nei miei ministri il mio riflesso.

Ma, o dolore che mi fai sanguinare la Ferita del Cuore come quando fu aperta sul Golgota! Ma che vedono i miei Occhi divini? Non ci sono forse sacerdoti fra le turbe infinite che passano? Per questo sanguina il mio Cuore? Sono vuoti i seminari? Il mio divino invito non suona più, dunque, nei cuori? Il cuore dell’uomo non è più capace di udirlo? No.

Nei secoli vi saranno seminari e in essi leviti. Da essi usciranno Sacerdoti, perché nell’ora dell’adolescenza il mio invito avrà suonato con voce celeste in molti cuori ed essi l’avranno seguito. Ma altre, altre, altre voci saranno poi venute con la giovinezza e la maturità, e la mia Voce sarà rimasta soverchiata in quei cuori.

La mia Voce che parla nei secoli ai suoi ministri perché essi siano sempre quello che voi ora siete: gli apostoli alla scuola di Cristo. La veste è rimasta. Ma il Sacerdote è morto. In troppi, nei secoli, accadrà questo fatto.

Ombre inutili e scure, non saranno una leva che alza, una corda che tira, una fonte che disseta, un grano che sfama, un cuore che è guanciale, una luce nelle tenebre, una voce che ripete ciò che il Maestro gli dice. Ma saranno, per la povera umanità, un peso di scandalo, un peso di morte, un parassita, una putrefazione… Orrore!

I Giuda più grandi del futuro Io li avrò ancora e sempre nei miei Sacerdoti!

Amici, Io sono nella gloria e pure Io piango. Ho pietà di queste turbe infinite, greggi senza pastori o con troppi rari pastori. Una pietà infinita! Ebbene, Io lo giuro per la mia Divinità, Io darò loro il pane, l’acqua, la luce, la voce che gli eletti a quest’opere non vogliono dare. Ripeterò nei secoli il miracolo dei pani e dei pesci. Con pochi, spregevoli pesciolini, e con dei tozzi scarsi di pane –anime umili e laiche- Io darò da mangiare a molti, e ne saranno saziati, e ve ne sarà per i futuri, perché “ho compassione di questo popolo” e non voglio che perisca.

Benedetti coloro che meriteranno d’esser tali. Non benedetti perché sono tali. Ma perché l’avranno meritato col loro amore e sacrificio! E benedettissimi quei Sacerdoti che sapranno rimanere apostoli: pane, acqua, luce, voce, riposo e medicina dei miei poveri figli. Di luce speciale splenderanno in Cielo. Io ve lo giuro, Io che sono la Verità.

Alziamoci, amici, e venite meco, che Io vi insegni ancora a pregare. L’orazione è quella che alimenta le forze dell’apostolo, perché lo fonde con Dio».

E qui Gesù si alza e va verso la scaletta.

Ma, quando è alla sua base, si volge e mi guarda. Oh! Padre! Mi guarda! Pensa a me! Cerca la sua piccola «voce» e la gioia d’esser coi suoi amici non Lo smemora di me! Mi guarda, al disopra delle teste dei discepoli, e mi sorride. Alza la mano benedicendomi e dice: «La pace sia con te».

E la visione finisce.

Estratto di “l’Evangelo come mi è stato rivelato” di Maria Valtorta

 

21 APRILE 2019 DOMENICA DI PASQUA – RISURREZIONE DEL SIGNORE ANNO C Gv 20,1-9

TESTO:-
Dal Vangelo secondo Giovanni. (Gv 20,1-9)
21 APRILE 2019 DOMENICA DI PASQUA ANNO C
Il primo giorno della settimana, Maria di Màgdala si recò al sepolcro di mattino, quando era ancora buio, e vide che la pietra era stata tolta dal sepolcro.
Corse allora e andò da Simon Pietro e dall’altro discepolo, quello che Gesù amava, e disse loro: «Hanno portato via il Signore dal sepolcro e non sappiamo dove l’hanno posto!».
Pietro allora uscì insieme all’altro discepolo e si recarono al sepolcro. Correvano insieme tutti e due, ma l’altro discepolo corse più veloce di Pietro e giunse per primo al sepolcro. Si chinò, vide i teli posati là, ma non entrò.
Giunse intanto anche Simon Pietro, che lo seguiva, ed entrò nel sepolcro e osservò i teli posati là, e il sudario – che era stato sul suo capo – non posato là con i teli, ma avvolto in un luogo a parte.
Allora entrò anche l’altro discepolo, che era giunto per primo al sepolcro, e vide e credette. Infatti non avevano ancora compreso la Scrittura, che cioè egli doveva risorgere dai morti. Parola del Signore.

Sequenza
Alla vittima pasquale,
s’innalzi oggi il sacrificio di lode.
L’Agnello ha redento il suo gregge,
l’Innocente ha riconciliato
noi peccatori col Padre.Morte e Vita si sono affrontate
in un prodigioso duello.
Il Signore della vita era morto;
ma ora, vivo, trionfa.«Raccontaci, Maria:
che hai visto sulla via?».
«La tomba del Cristo vivente,
la gloria del Cristo risorto,
e gli angeli suoi testimoni,
il sudario e le sue vesti.
Cristo, mia speranza, è risorto:
precede i suoi in Galilea».Sì, ne siamo certi:
Cristo è davvero risorto.
Tu, Re vittorioso,
abbi pietà di noi.

RIFLESSIONI
La Risurrezione gloriosa del Signore è la chiave per interpretare tutta la sua vita, ed è il fondamento della nostra Fede.
Senza questa vittoria sulla morte, qualsiasi predicazione sarebbe vana e la nostra Fede priva di fondamento. Inoltre, è sulla Risurrezione di Gesù che appoggia la nostra futura risurrezione. La Pasqua è la festa della nostra Redenzione e, quindi, festa di ringraziamento e di gioia.
La Risurrezione del Signore è una realtà centrale della Fede cristiana, e come tale è stata predicata fin dagli inizi del Cristianesimo.
Ma cosa significa risorgere da morte?
Forse non si riflette abbastanza sulla Risurrezione di Gesù perché è assente la meditazione della sua Passione e Morte. Una minima percentuale di cristiani si sofferma ogni giorno a meditare la vita di Gesù e, quindi, la maggioranza non si pone il quesito del profondo significato della Risurrezione.
Se ne parla della Risurrezione, si predica, è il fondamento della nostra Fede, ma quanto abbiamo veramente compreso in questi anni della vittoria di Gesù sulla morte? È una ottima riflessione leggere e approfondire periodicamente le risurrezioni compiute dal Signore durate la sua vita pubblica.
La più straordinaria rimane quella di Lazzaro, morto da quattro giorni ed era già iniziato il processo di decomposizione del suo corpo, infatti tra i tre e i sei giorni, che rappresentano il primo stadio, i tessuti molli cominciano a decomporsi. Quando cessa la respirazione e la circolazione, le cellule restano prive dell’abituale rifornimento di ossigeno e possono sopravvivere da un minuto a qualche giorno. Inevitabilmente la morte fa parte del ciclo naturale della vita. Quando arriva, in ogni essere umano inizia un complesso processo con cui il corpo umano ritorna gradualmente alla polvere. Inizia la decomposizione che trasforma le nostre strutture biologiche in semplici elementi costitutivi organici e inorganici.
In ogni persona si verificherà questo processo, era già iniziato in Lazzaro e lo disse Marta a Gesù non appena arrivò a Betania: “Signore, già manda cattivo odore, poiché è di quattro giorni” (Gv 11,39). Questa precisazione di Marta era la risposta all’ordine perentorio dato da Gesù: “Togliete la pietra!” (Gv 11,39).
È molto bello il dialogo tra Gesù e Marta quando ella gli và incontro fuori casa e dice un atto di Fede profondo: “Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto! Ma anche ora so che qualunque cosa chiederai a Dio, Egli Te la concederà” (Gv 11,22). Gesù si commuove sentendo queste parole, aveva pianto per la morte di Lazzaro ma precisa: “Tuo fratello risusciterà” (Gv 11,23).
Marta risponde con l’insegnamento del Maestro e in buonafede dice: “So che risusciterà nell’ultimo giorno” (Gv 11,24).
Così infatti avverrà per tutti gli esseri umani, ma per Lazzaro e in altre circostanze simili, come per la figlia di Giairo e il fanciullo, figlio unico di una madre vedova, che Gesù incontrò davanti mentre si dirigeva in un villaggio, la risurrezione è avvenuta dopo alcune ore o quattro giorni, ma poi sono tutti morti. Diciamo nuovamente.
Gesù aveva ritardato apposta il viaggio a Betania per omaggiare il corpo di Lazzaro, voleva dare a tutti una ulteriore prova della sua Divinità, infatti non tutti erano ben formati anche se ascoltavano spesso i suoi insegnamenti. Pone a Marta una domanda: “Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà; chiunque vive e crede in me, non morrà in eterno. Credi tu questo?” (Gv 11,25-26).
Marta non può che rispondere affermativamente, ma con il fratello morto da quattro giorni la Fede di molti altri sarebbe crollata.
Non è scontata una risposta affermativa di una sorella che ha sepolto il corpo del familiare e che era morto quattro giorni prima. Marta aveva veramente una Fede pura e sicura: “Sì, o Signore, io credo che Tu sei il Cristo, il Figlio di Dio che deve venire nel mondo” (Gv 11,27).
Tranne questi casi evangelici, ogni persona che muore cambia condizione di vita ma senza il corpo, il quale si decompone e risusciterà nel giorno del Giudizio universale. La risurrezione dei morti sarà l’atto conclusivo della storia umana, chiamato appunto il Giudizio universale.
Tutti proclamiamo nel Credo che Gesù Cristo, salito al Cielo, ritornerà un giorno “per giudicare i vivi e i morti”.
La Risurrezione di Gesù indica che il suo Corpo non si è assolutamente decomposto e che Lui è vivo con il suo Corpo.
In chi non si è verificato il processo di decomposizione del Corpo? Oltre Gesù.
Il miracolo che festeggiamo a Pasqua è di tale rilevanza che gli Apostoli sono, prima di tutto, testimoni della sua Risurrezione. Il nucleo di tutta la loro predicazione è l’annuncio che Cristo vive. È il vivente. Ed è quanto, dopo venti secoli, anche noi annunciamo al mondo: Gesù vive!
La Risurrezione è la prova suprema della Divinità del Signore Gesù!
Ma per circa 6 miliardi di persone Gesù non è Dio, anche per molti cristiani non è vivo perché non Lo pregano, non lo mettono al centro o comunque presente nella loro vita. Solo per centinaia di milioni di cristiani che Lo adorano, Gesù è vivo.
Da quanto si legge e si ascolta, anche per molti uomini di Chiesa non è vivo, e parlano di Lui senza metterci amore, senza cuore, e questo i credenti lo comprendono molto bene. Allora per compensare la mancanza di vero amore si parla di tutt’altro che forse non forma i cristiani, e si sorvola sulla gravissima crisi di Fede.
Per chi è Risorto veramente oggi il Signore?
“Non chiunque mi dice: Signore, Signore… ma colui che fa la volontà del Padre mio che è nei cieli” (Mt 7,21).
Oggi dobbiamo meditare sull’amore che proviamo per Gesù, se è sincero e lo avvertiamo intimamente, se è ancora debole e bisogna impegnarsi di più per renderlo forte, se c’è ancora indifferenza nelle nostre pratiche di pietà o se c’è pigrizia nel pregare.
La Risurrezione di Gesù è un forte richiamo a vivere da risorti, a compiere premuroso apostolato. La Pasqua ci dice che dobbiamo essere luce e portare luce agli altri. Per questo, dobbiamo restare uniti al Signore con una preghiera frequente nella giornata per non far spegnere la fiamma viva di amore.
Pietro e Giovanni corsero al Sepolcro per vedere cosa era avvenuto dopo l’apparizione avuta dalla Maddalena, la loro corsa è l’inizio del nuovo cammino degli Apostoli, anche se graduale. La tomba vuota è anche silenziosa, non c’è nulla ma rimane la prova della Risurrezione di Gesù.
Anche noi dobbiamo avere questa premura amorevole nel cercare Gesù, ogni giorno e in ogni circostanza anche con brevi atti di amore. Non rimanga mai la nostra anima vuota della presenza di Dio, solo la tomba del Sepolcro deve rimanere vuota.
La Madonna oggi è raggiante di gioia per la Risurrezione di Gesù, e La ricordiamo così, anche se il suo Cuore soffre per tutti noi!

20 APRILE 2019 SABATO SANTO

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Oggi è il Sabato Santo
un giorno che si differenzia notevolmente da tutti gli altri per la drammatica vicenda che vede Gesù morto e il silenzio che riesce pure a fare rumore. Un silenzio assordante vige in tutta Gerusalemme, Colui che era la Parola e che aveva parlato per tre anni in tutta la Palestina, adesso tace umanamente e rimane nel Sepolcro.
Il suo silenzio spaventa più degli insegnamenti, i suoi seguaci sono smarriti e i suoi nemici tremolanti perché non sanno cosa potrebbe avvenire. Risorgerà veramente come aveva promesso? Il suo Corpo si decomporrà?
Allora i furbi… del tempio, mettono delle guardie davanti al Sepolcro, perché Gesù potrebbe svegliarsi… però troverebbe sia la grossa pietra che blocca l’uscita sia le guardie pronte ad arrestarlo nuovamente. Allo stesso tempo nessuno può trafugare il suo Corpo. Le comiche dei perfidi, la malizia dei corrotti. Così agiscono i cattivi.
Ogni persona onesta, con un filo di logica, con una veduta oggettiva, avrebbe dovuto porsi come minimo il dubbio sulla morte di Gesù, perché se Lui aveva risuscitato persone morte anche da quattro giorni, adesso non può fare nulla per sé? Se prima era riuscito a dominare la morte e a ridare la vita ai defunti, oggi non può il suo Spirito agire in Lui?
Erano convinti che con la sua morte il Corpo chiuso nel Sepolcro non avrebbe più potuto agire. E lo Spirito?
Non c’è dubbio sulla morte fisica di Gesù e sul dolore lancinante di una Madre, così intenso e pungente come mai tutte le mamme del mondo messe insieme potranno provare, ma è davvero la fine di Gesù deposto nel Sepolcro?
Gesù ha conosciuto la morte come tutti gli uomini e li ha raggiunti con la sua Anima nella dimora dei morti. Negli inferi.
In quel Sepolcro che il ricco Giuseppe d’Arimatea ha messo a disposizione e che ha visto il prodigarsi delle persone innamorate del Signore, pulirlo e ungerlo, rimarrà un Corpo Innocente e si decomporrà come quello degli uomini?
Il Sabato Santo per noi cristiani è il giorno della contemplazione e del silenzio, non siamo veri seguaci di Gesù se lo trascorriamo come un giorno qualsiasi, se facciamo le stesse cose di sempre. Il nostro culto celebra il mistero della discesa agli inferi del Signore Gesù dopo la sua morte, avvenuta il Venerdì Santo alle tre del pomeriggio.
Gesù discese dopo la sua morte agli inferi con la sua Divinità e con la sua Anima umana, ma non con il suo Corpo, rimasto incorrotto per azione dello Spirito Santo e che riposava nella tomba. Gesù vi è disceso come Dio per liberare gli spiriti che vi si trovavano prigionieri aprendo loro il Paradiso.
La discesa agli inferi di Gesù può non essere compresa per la mancata conoscenza del significato. Leggiamo dal Catechismo della Chiesa:
«La Scrittura chiama inferi, Shéol il soggiorno dei morti dove Cristo morto è disceso, perché quelli che vi si trovano sono privati della visione di Dio. Tale infatti è, nell’attesa del Redentore, la sorte di tutti i morti, cattivi o giusti; il che non vuol dire che la loro sorte sia identica, come dimostra Gesù nella parabola del povero Lazzaro accolto nel “seno di Abramo”.
Furono appunto le anime di questi giusti in attesa del Cristo a essere liberate da Gesù.
Tutti quelli che si trovavano negli inferi erano privati della visione di Dio per l’attesa del redentore, quindi fu necessario liberare i giusti con la sua presenza. L’attesa del Redentore era la sorte di tutti i morti, cattivi o giusti. Ma con la discesa agli inferi Gesù ottiene la vittoria definitiva sulla morte e sul diavolo.
Compiuta questa missione Gesù si ricongiunge con il suo Corpo nel Sepolcro, non si può stabilire l’ora ma il dato del Vangelo ci dice che le donne recatisi di buon mattino trovarono la pietra rotolata e il Sepolcro vuoto. La missione Divina compiuta da Gesù costituisce il mistero della Resurrezione, è il centro della nostra Fede, perché se Gesù Cristo non fosse risorto, vana sarebbe la nostra Fede.
In questo Sabato Santo dobbiamo rimanere come mai prima accanto alla Madre Addolorata, consolarla con i nostri atti di amore, mostrarle che siamo suoi figli ancora di più in queste ore in cui Ella non vede il Figlio di Sangue perché chiuso nel Sepolcro.
In queste ore la Madre rivede nella mente le immagini che mai avrebbe voluto vedere, ma le profezie annunciavano che avrebbero ridotto a brandelli il Messia e Lei già conosceva la condizione ultima del Figlio diletto. Se una madre con un piccolo cuore e corrotto, il più delle volte riesce ad amare fino allo sfinimento il proprio figlio, quale amore avrà avuto la Madonna verso Gesù?
Un amore che sfiora l’infinito, impossibile immaginarlo perché per comprenderlo dovremmo essere noi la Madonna!
Nella Messa di questa sera concentriamoci sulla Passione e Resurrezione del Signore. Da queste disposizioni interiori raccoglieremo moltissima Grazia, pochissima o nulla. Non curiamoci solo del cibo che perisce, ci sono centinaia di giorni per mangiare quello che vogliamo, dedichiamo maggiore tempo alla preghiera interiore e alla meditazione degli avvenimenti di Gesù.
Lo scrivo per il nostro bene, perché possiamo incontrare il Cristo Risorto che trasforma la nostra vita.

 

19 Aprile 2019 Venerdì Santo Anno C (Gv 18,1-19,42)

Gv 18,1-19,42
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Gv 18,1-19,42

TESTO:-
Passione di nostro Signore Gesù Cristo secondo Giovanni. (Gv 18,1-19,42)
19 Aprile 2019 Venerdì Santo Anno C (Gv 18,1-19,42)
In quel tempo, Gesù uscì con i suoi discepoli al di là del torrente Cèdron, dove c’era un giardino, nel quale entrò con i suoi discepoli. Anche Giuda, il traditore, conosceva quel luogo, perché Gesù spesso si era trovato là con i suoi discepoli. Giuda dunque vi andò, dopo aver preso un gruppo di soldati e alcune guardie fornite dai capi dei sacerdoti e dai farisei, con lanterne, fiaccole e armi. Gesù allora, sapendo tutto quello che doveva accadergli, si fece innanzi e disse loro: «Chi cercate?». Gli risposero: «Gesù, il Nazareno». Disse loro Gesù: «Sono io!». Vi era con loro anche Giuda, il traditore. Appena disse loro «Sono io», indietreggiarono e caddero a terra. Domandò loro di nuovo: «Chi cercate?». Risposero: «Gesù, il Nazareno». Gesù replicò: «Vi ho detto: sono io. Se dunque cercate me, lasciate che questi se ne vadano», perché si compisse la parola che egli aveva detto: «Non ho perduto nessuno di quelli che mi hai dato». Allora Simon Pietro, che aveva una spada, la trasse fuori, colpì il servo del sommo sacerdote e gli tagliò l’orecchio destro. Quel servo si chiamava Malco. Gesù allora disse a Pietro: «Rimetti la spada nel fodero: il calice che il Padre mi ha dato, non dovrò berlo?».- Lo condussero prima da Anna
Allora i soldati, con il comandante e le guardie dei Giudei, catturarono Gesù, lo legarono e lo condussero prima da Anna: egli infatti era suocero di Caifa, che era sommo sacerdote quell’anno. Caifa era quello che aveva consigliato ai Giudei: «È conveniente che un solo uomo muoia per il popolo».Intanto Simon Pietro seguiva Gesù insieme a un altro discepolo. Questo discepolo era conosciuto dal sommo sacerdote ed entrò con Gesù nel cortile del sommo sacerdote. Pietro invece si fermò fuori, vicino alla porta. Allora quell’altro discepolo, noto al sommo sacerdote, tornò fuori, parlò alla portinaia e fece entrare Pietro. E la giovane portinaia disse a Pietro: «Non sei anche tu uno dei discepoli di quest’uomo?». Egli rispose: «Non lo sono». Intanto i servi e le guardie avevano acceso un fuoco, perché faceva freddo, e si scaldavano; anche Pietro stava con loro e si scaldava.Il sommo sacerdote, dunque, interrogò Gesù riguardo ai suoi discepoli e al suo insegnamento. Gesù gli rispose: «Io ho parlato al mondo apertamente; ho sempre insegnato nella sinagoga e nel tempio, dove tutti i Giudei si riuniscono, e non ho mai detto nulla di nascosto. Perché interroghi me? Interroga quelli che hanno udito ciò che ho detto loro; ecco, essi sanno che cosa ho detto». Appena detto questo, una delle guardie presenti diede uno schiaffo a Gesù, dicendo: «Così rispondi al sommo sacerdote?». Gli rispose Gesù: «Se ho parlato male, dimostrami dov’è il male. Ma se ho parlato bene, perché mi percuoti?». Allora Anna lo mandò, con le mani legate, a Caifa, il sommo sacerdote.- Non sei anche tu uno dei suoi discepoli? Non lo sono!
Intanto Simon Pietro stava lì a scaldarsi. Gli dissero: «Non sei anche tu uno dei suoi discepoli?». Egli lo negò e disse: «Non lo sono». Ma uno dei servi del sommo sacerdote, parente di quello a cui Pietro aveva tagliato l’orecchio, disse: «Non ti ho forse visto con lui nel giardino?». Pietro negò di nuovo, e subito un gallo cantò.- Il mio regno non è di questo mondo
Condussero poi Gesù dalla casa di Caifa nel pretorio. Era l’alba ed essi non vollero entrare nel pretorio, per non contaminarsi e poter mangiare la Pasqua. Pilato dunque uscì verso di loro e domandò: «Che accusa portate contro quest’uomo?». Gli risposero: «Se costui non fosse un malfattore, non te l’avremmo consegnato». Allora Pilato disse loro: «Prendetelo voi e giudicatelo secondo la vostra Legge!». Gli risposero i Giudei: «A noi non è consentito mettere a morte nessuno». Così si compivano le parole che Gesù aveva detto, indicando di quale morte doveva morire.Pilato allora rientrò nel pretorio, fece chiamare Gesù e gli disse: «Sei tu il re dei Giudei?». Gesù rispose: «Dici questo da te, oppure altri ti hanno parlato di me?». Pilato disse: «Sono forse io Giudeo? La tua gente e i capi dei sacerdoti ti hanno consegnato a me. Che cosa hai fatto?». Rispose Gesù: «Il mio regno non è di questo mondo; se il mio regno fosse di questo mondo, i miei servitori avrebbero combattuto perché non fossi consegnato ai Giudei; ma il mio regno non è di quaggiù». Allora Pilato gli disse: «Dunque tu sei re?». Rispose Gesù: «Tu lo dici: io sono re. Per questo io sono nato e per questo sono venuto nel mondo: per dare testimonianza alla verità. Chiunque è dalla verità, ascolta la mia voce». Gli dice Pilato: «Che cos’è la verità?».E, detto questo, uscì di nuovo verso i Giudei e disse loro: «Io non trovo in lui colpa alcuna. Vi è tra voi l’usanza che, in occasione della Pasqua, io rimetta uno in libertà per voi: volete dunque che io rimetta in libertà per voi il re dei Giudei?». Allora essi gridarono di nuovo: «Non costui, ma Barabba!». Barabba era un brigante.- Salve, re dei Giudei!
Allora Pilato fece prendere Gesù e lo fece flagellare. E i soldati, intrecciata una corona di spine, gliela posero sul capo e gli misero addosso un mantello di porpora. Poi gli si avvicinavano e dicevano: «Salve, re dei Giudei!». E gli davano schiaffi.Pilato uscì fuori di nuovo e disse loro: «Ecco, io ve lo conduco fuori, perché sappiate che non trovo in lui colpa alcuna». Allora Gesù uscì, portando la corona di spine e il mantello di porpora. E Pilato disse loro: «Ecco l’uomo!».Come lo videro, i capi dei sacerdoti e le guardie gridarono: «Crocifiggilo! Crocifiggilo!». Disse loro Pilato: «Prendetelo voi e crocifiggetelo; io in lui non trovo colpa». Gli risposero i Giudei: «Noi abbiamo una Legge e secondo la Legge deve morire, perché si è fatto Figlio di Dio».All’udire queste parole, Pilato ebbe ancor più paura. Entrò di nuovo nel pretorio e disse a Gesù: «Di dove sei tu?». Ma Gesù non gli diede risposta. Gli disse allora Pilato: «Non mi parli? Non sai che ho il potere di metterti in libertà e il potere di metterti in croce?». Gli rispose Gesù: «Tu non avresti alcun potere su di me, se ciò non ti fosse stato dato dall’alto. Per questo chi mi ha consegnato a te ha un peccato più grande».- Via! Via! Crocifiggilo!
Da quel momento Pilato cercava di metterlo in libertà. Ma i Giudei gridarono: «Se liberi costui, non sei amico di Cesare! Chiunque si fa re si mette contro Cesare». Udite queste parole, Pilato fece condurre fuori Gesù e sedette in tribunale, nel luogo chiamato Litòstroto, in ebraico Gabbatà. Era la Parascève della Pasqua, verso mezzogiorno. Pilato disse ai Giudei: «Ecco il vostro re!». Ma quelli gridarono: «Via! Via! Crocifiggilo!». Disse loro Pilato: «Metterò in croce il vostro re?». Risposero i capi dei sacerdoti: «Non abbiamo altro re che Cesare». Allora lo consegnò loro perché fosse crocifisso.- Lo crocifissero e con lui altri due
Essi presero Gesù ed egli, portando la croce, si avviò verso il luogo detto del Cranio, in ebraico Gòlgota, dove lo crocifissero e con lui altri due, uno da una parte e uno dall’altra, e Gesù in mezzo. Pilato compose anche l’iscrizione e la fece porre sulla croce; vi era scritto: «Gesù il Nazareno, il re dei Giudei». Molti Giudei lessero questa iscrizione, perché il luogo dove Gesù fu crocifisso era vicino alla città; era scritta in ebraico, in latino e in greco. I capi dei sacerdoti dei Giudei dissero allora a Pilato: «Non scrivere: “Il re dei Giudei”, ma: “Costui ha detto: Io sono il re dei Giudei”». Rispose Pilato: «Quel che ho scritto, ho scritto».- Si sono divisi tra loro le mie vesti
I soldati poi, quando ebbero crocifisso Gesù, presero le sue vesti, ne fecero quattro parti – una per ciascun soldato -, e la tunica. Ma quella tunica era senza cuciture, tessuta tutta d’un pezzo da cima a fondo. Perciò dissero tra loro: «Non stracciamola, ma tiriamo a sorte a chi tocca». Così si compiva la Scrittura, che dice: «Si sono divisi tra loro le mie vesti e sulla mia tunica hanno gettato la sorte». E i soldati fecero così.- Ecco tuo figlio! Ecco tua madre!
Stavano presso la croce di Gesù sua madre, la sorella di sua madre, Maria madre di Clèopa e Maria di Màgdala. Gesù allora, vedendo la madre e accanto a lei il discepolo che egli amava, disse alla madre: «Donna, ecco tuo figlio!». Poi disse al discepolo: «Ecco tua madre!». E da quell’ora il discepolo l’accolse con sé.
Dopo questo, Gesù, sapendo che ormai tutto era compiuto, affinché si compisse la Scrittura, disse: «Ho sete». Vi era lì un vaso pieno di aceto; posero perciò una spugna, imbevuta di aceto, in cima a una canna e gliela accostarono alla bocca. Dopo aver preso l’aceto, Gesù disse: «È compiuto!». E, chinato il capo, consegnò lo spirito.

(Qui si genuflette e di fa una breve pausa)

E subito ne uscì sangue e acqua
Era il giorno della Parascève e i Giudei, perché i corpi non rimanessero sulla croce durante il sabato – era infatti un giorno solenne quel sabato -, chiesero a Pilato che fossero spezzate loro le gambe e fossero portati via. Vennero dunque i soldati e spezzarono le gambe all’uno e all’altro che erano stati crocifissi insieme con lui. Venuti però da Gesù, vedendo che era già morto, non gli spezzarono le gambe, ma uno dei soldati con una lancia gli colpì il fianco, e subito ne uscì sangue e acqua. Chi ha visto ne dà testimonianza e la sua testimonianza è vera; egli sa che dice il vero, perché anche voi crediate. Questo infatti avvenne perché si compisse la Scrittura: «Non gli sarà spezzato alcun osso». E un altro passo della Scrittura dice ancora: «Volgeranno lo sguardo a colui che hanno trafitto».- Presero il corpo di Gesù e lo avvolsero con teli insieme ad aromi
Dopo questi fatti Giuseppe di Arimatèa, che era discepolo di Gesù, ma di nascosto, per timore dei Giudei, chiese a Pilato di prendere il corpo di Gesù. Pilato lo concesse. Allora egli andò e prese il corpo di Gesù. Vi andò anche Nicodèmo – quello che in precedenza era andato da lui di notte – e portò circa trenta chili di una mistura di mirra e di áloe. Essi presero allora il corpo di Gesù e lo avvolsero con teli, insieme ad aromi, come usano fare i Giudei per preparare la sepoltura. Ora, nel luogo dove era stato crocifisso, vi era un giardino e nel giardino un sepolcro nuovo, nel quale nessuno era stato ancora posto. Là dunque, poiché era il giorno della Parascève dei Giudei e dato che il sepolcro era vicino, posero Gesù. Parola del Signore.

RIFLESSIONI

Ore d’amore
Nella versione di Luca vi è un riferimento importante che si rileva nelle parole di Gesù al momento del suo arresto notturno: Come contro un brigante siete usciti con spade e bastoni! Tutti i giorni ero con voi nel tempio e non avete steso le mani su di me; ma questa è la vostra ora, è l’impero delle tenebre. (Lc 22, 52 – 53). Anziani, sommi sacerdoti e capi delle guardie de tempio, con la complicità di Giuda apostolo traditore intendono effettivamente cogliere Gesù alla sprovvista e catturarlo come ai nostri giorni si bracca nottetempo un latitante. La loro intraprendenza non dimostra alcuna competenza o professionalità, poiché per mettere le mani addosso a Gesù non occorrerebbe neppure avvalersi di una talpa come Giuda; come egli stesso fa notare, poi, il suo arresto sarebbe potuto avvenire benissimo alla luce del sole, mentre parlando nel tempio tutti i giorni era sempre stato facile preda per tutti.
Ciononostante Gesù non sta rimproverando la viltà o l’incompetenza dei suoi aggressori, ma li mette solamente al corrente che il suo arresto si sta realizzando non per la loro presunta abilità o per l’astuzia di chi lo ha tradito, ma semplicemente perché è l’impero delle tenebre. Il maligno, che si era impossessato in precedenza del cuore di Giuda, adesso ha ancora facoltà di agire indisturbato ed è in realtà per la sua intraprendenza libera che può perpetrarsi questo arresto. Il diavolo, a suo tempo mortificato e messo in fuga da Gesù nell’episodio delle tentazioni nel deserto, adesso torna alla carica perché è giunto il suo momento opportuno, la sua ora, il tempo cioè nel quale può agire liberamente perché gli uomini possano assoggettare e asservire Gesù. Ancora più esattamente, è l’ora in cui il Padre permette al principe delle tenebre di avere la meglio su Gesù perché si porti a termine quando su di lui è stato prestabilito fin dall’inizio: che il Figlio dell’Uomo debba molto soffrire, essere riprovato dagli anziani, dai sommi sacerdoti e dagli scribi, poi venire ucciso e dopo tre giorni risuscitare (Mc 8, 31). E’ giunta l’ora insomma in cui si realizza il progetto di salvezza per il quale è indispensabile che il Figlio di Dio affronti la ripugnanza e la croce e che tutto si muova contro di lui per opera del maligno. L’ora in questo caso non indica una posizione sul quadrante dell’orologio, ma il tempo propizio della salvezza, il momento opportuno per cui sta succedendo ciò a cui assistiamo. Secondo un brano dei Camaleonti questa è l’ora dell’amore. Per il quale si sottomette perfino alle insidie del maligno pur di raggiungere l’uomo fino in fondo, per procurare ogni mezzo per salvarlo e ricondurlo a Dio.
In effetti l’unico motivo che spinge Gesù ad affrontare prima lo spasimo solitario, poi il flagello unito ad insulti, quindi le percosse e lo strazio sulla croce non può essere che l’amore spassionato e disinteressato per l’umanità, che solo per mezzo di questo espediente è in grado di conoscere la verità intorno a se stessa e ambire al proprio futuro. Per l’uomo Gesù non si risparmia, fino a rifiutare ogni protezione da parte di Pietro e addirittura fino a prestare soccorso a uno dei suoi avversari che viene da questi ferito. L’amore per l’umanità si palesa già adesso come attenzione anche nei riguardi dei nemici, come logica della non violenza e della serena accettazione delle avversità. In virtù di esso occorre omettere ogni ritorsione e far valere i propri diritti con argomenti convincenti, considerando che nessun avversario è mai un nemico, mentre la forza porta solo ad accrescere i problemi esistenti. Vi sono altre vie migliori per farsi ascoltare. E tuttavia in Gesù l’amore per l’uomo è ancora più paradossale, perché addirittura misconosce o ignora perfino il suo diritto di essere ascoltato in un processo più giusto e di evitare una morte illegittima, anche dal punto di vista legale: non contento di subire percosse, schernimenti, derisioni e di sottostare al terribile flagrum (flagello a corde grosse particolarmente atroce sulla pelle), Gesù non lesina ad accettare la morte dopo la terribile agonie di tante ore appeso sul patibolo, inerte e senza volontà di replica o di ritorsione, ben consapevole di essere diventato maledizione agli occhi di tutti, poiché sta scritto “maledetto chi pende dal legno”(Gal 3, 14).
L’umanità ha bisogno di amore e Gesù in queste ore dimostra di riversarlo nel cuore di tutti gli uomini mostrando amore dimesso, umile e generoso, che non si risparmia e che non si sottrae ad alcuno dei patimenti previsti. Gesù pur essendo Figlio di Dio è pur sempre vero Uomo e in quanto tale conosce benissimo la realtà della sofferenza e della morte: la prima è sempre ostile, nemica e perversa. Fa paura e la si vorrebbe evitare ad ogni costo e tuttavia lui vuole farne esperienza in prima persona. La seconda, a prescindere dalla nostra fede e dalla speranza con cui vi siamo protratti, è pur sempre un’incognita, una realtà terrificante soprattutto quando stiamo per esserne i diretti interessati e non si può che guardarla con ansia e trepidazione e tuttavia Gesù ad essa non si sottrae sebbene lo strumento per andarvi incontro è fra i più cruenti che esistano. Nell’uno e nell’altro caso l’amore è contrassegnato dall’umiltà che lo rende più certo e più indubbio perché avvalorata e accresciuta dalle umiliazioni accettate.
Sotto questo aspetto davvero esaltante, la croce è anche per noi un luogo privilegiato, nel quale siamo incoraggiati a vedere nell’avversità la radice del successo e a cercare nell’umiltà la radice dello stesso amore con cui costruire un tessuto di relazioni pacifiche con noi stessi e con gli altri, prendendo a modello lo stesso Signore che della croce ha fatto le sue ore d’amore.

18 APRILE 2019 GIOVEDI SANTO (DALLA MESSA IN CENA DOMINI) ANNO C Gv 13,1-15

Gv 13,1-15
18 APRILE 2019 GIOVEDI SANTO ANNO C Gv 13,1-15

Gv 13,1-15

TESTO:-
Dal Vangelo secondo Giovanni. (Gv 13,1-15)
18 APRILE 2019 GIOVEDI SANTO ANNO C Gv 13,1-15
Prima della festa di Pasqua, Gesù, sapendo che era venuta la sua ora di passare da questo mondo al Padre, avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine.
Durante la cena, quando il diavolo aveva già messo in cuore a Giuda, figlio di Simone Iscariota, di tradirlo, Gesù, sapendo che il Padre gli aveva dato tutto nelle mani e che era venuto da Dio e a Dio ritornava, si alzò da tavola, depose le vesti, prese un asciugamano e se lo cinse attorno alla vita. Poi versò dell’acqua nel catino e cominciò a lavare i piedi dei discepoli e ad asciugarli con l’asciugamano di cui si era cinto.
Venne dunque da Simon Pietro e questi gli disse: «Signore, tu lavi i piedi a me?». Rispose Gesù: «Quello che io faccio, tu ora non lo capisci; lo capirai dopo». Gli disse Pietro: «Tu non mi laverai i piedi in eterno!». Gli rispose Gesù: «Se non ti laverò, non avrai parte con me». Gli disse Simon Pietro: «Signore, non solo i miei piedi, ma anche le mani e il capo!». Soggiunse Gesù: «Chi ha fatto il bagno, non ha bisogno di lavarsi se non i piedi ed è tutto puro; e voi siete puri, ma non tutti». Sapeva infatti chi lo tradiva; per questo disse: «Non tutti siete puri».
Quando ebbe lavato loro i piedi, riprese le sue vesti, sedette di nuovo e disse loro: «Capite quello che ho fatto per voi? Voi mi chiamate il Maestro e il Signore, e dite bene, perché lo sono. Se dunque io, il Signore e il Maestro, ho lavato i piedi a voi, anche voi dovete lavare i piedi gli uni agli altri. Vi ho dato un esempio, infatti, perché anche voi facciate come io ho fatto a voi». Parola del Signore.

RIFLESSIONI
Fate questo in memoria di me
Il Triduo pasquale inizia con la commemorazione dell’Ultima Cena. Gesù, la vigilia della sua passione, offrì al Padre il suo corpo e il suo sangue sotto le specie del pane e del vino e, donandoli in nutrimento agli Apostoli, comandò loro di perpetuarne l’offerta in sua memoria.
Questa sera la Chiesa ci raduna attorno all’altare, come quella sera del giovedì santo in cui gli apostoli insieme al loro Maestro si riunirono attorno alla tavola, per celebrare e vivere il mistero della cena.
San Paolo, nella lettera che scrive alla comunità di Corinto, racconta l’istituzione dell’Eucaristia dicendo che: «il Signore Gesù, nella notte in cui veniva tradito, prese del pane e, dopo aver reso grazie, lo spezzò e disse: Questo è il mio corpo, che è per voi; fate questo in memoria di me. Allo stesso modo, dopo aver cenato, prese anche il calice, dicendo: Questo calice è la Nuova Alleanza nel mio sangue; fate questo, ogni volta che ne bevete, in memoria di me» (II Lettura). Queste sono le stesse parole che si ripetono ogni volta che si celebra la santa messa. Secondo il linguaggio biblico, il termine «corpo» sta ad indicare tutta la persona di Gesù, tutta la sua esistenza, così come il termine «sangue» sta ad indicare la sua morte. Ciò significa che Gesù offre tutta la sua vita e la sua morte al Padre per la nostra salvezza.
Il racconto della lavanda dei piedi dell’evangelista Giovanni, che ci presenta il Signore che si spoglia delle sue vesti; che si piega ai piedi dei discepoli, compreso Giuda Iscariota, il traditore; che si cinge dell’asciugamano; sono gesti che indicano il servizio e l’umiltà. Questo brano vuole ricordare a tutti i cristiani che Eucaristia e amore fraterno sono inseparabili, e cioè: «Se uno dice: Io amo Dio e odia suo fratello, è un bugiardo. Chi infatti non ama il proprio fratello che vede, non può amare Dio che non vede» (1Gv 4, 20).
Il gesto della lavanda dei piedi, ripetuto nella liturgia, diventa, dunque, simbolo della fraternità cristiana e anticipa e concretizza il comandamento dell’amore: «Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri. Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri» (Gv 13, 34-35). Giovanni, infatti, annota scrivendo che il Signore e il Maestro dopo aver lavato i piedi ai suoi dodici apostoli, dice loro: «anche voi dovete lavare i piedi gli uni agli altri. Vi ho dato un esempio, infatti, perché anche voi facciate come io ho fatto a voi». Questa affermazione di Gesù sta a significare l’amore che dobbiamo avere verso i più deboli, i malati, gli anziani, i poveri gli indifesi. Senza amore generoso, gratuito, non ci può essere vero servizio. La celebrazione della messa, senza fraternità vissuta, senza amore, senza servizio, non ha senso. A cosa serve andare in Chiesa se il nostro cuore è chiuso all’amore e alla misericordia? A cosa serve ricevere il Corpo del Signore se non siamo capaci di perdonare?
«Fate questo in memoria di me» significa, quindi, che se vogliamo essere dei veri cristiani dobbiamo essere sinceramente disposti a lavarci i piedi gli uni gli altri e a riconoscere nei fratelli il Cristo servo, il Cristo umile, il Cristo povero, il Cristo obbediente. Solo così la celebrazione eucaristica diventa il sacramento della condivisione della vita di Cristo tra fratelli che si amano e si servono reciprocamente.

7 APRILE 2019 V DOMENICA DI QUARESIMA ANNO C Gv 8,1-11

Gv 8,1-11
7 APRILE 2019 V DOMENICA DI QUARESIMA C Gv 8,1-11

TESTO:-
Dal Vangelo secondo Giovanni. (Gv 8,1-11)
7 APRILE 2019 V DOMENICA DI QUARESIMA C Gv 8,1-11
In quel tempo, Gesù si avviò verso il monte degli Ulivi. Ma al mattino si recò di nuovo nel tempio e tutto il popolo andava da lui. Ed egli sedette e si mise a insegnare loro.
Allora gli scribi e i farisei gli condussero una donna sorpresa in adultèrio, la posero in mezzo e gli dissero: «Maestro, questa donna è stata sorpresa in flagrante adultèrio. Ora Mosè, nella Legge, ci ha comandato di lapidare donne come questa. Tu che ne dici?». Dicevano questo per metterlo alla prova e per avere motivo di accusarlo.
Ma Gesù si chinò e si mise a scrivere col dito per terra. Tuttavia, poiché insistevano nell’interrogarlo, si alzò e disse loro: «Chi di voi è senza peccato, getti per primo la pietra contro di lei». E, chinatosi di nuovo, scriveva per terra. Quelli, udito ciò, se ne andarono uno per uno, cominciando dai più anziani.
Lo lasciarono solo, e la donna era là in mezzo. Allora Gesù si alzò e le disse: «Donna, dove sono? Nessuno ti ha condannata?». Ed ella rispose: «Nessuno, Signore». E Gesù disse: «Neanch’io ti condanno; va’ e d’ora in poi non peccare più». Parola del Signore.

RIFLESSIONII
7 APRILE 2019 V DOMENICA DI QUARESIMA C Gv 8,1-11
E’ vicino il momento in cui Cristo farà la rivelazione più radicale – e la più incomprensibile per l’uomo – della sua potenza: morire sulla croce. È uno “scandalo per gli Ebrei, follia per i popoli pagani” (1Cor 1,23).
Già prima Gesù aveva parlato ai suoi discepoli della croce, che li stupì e confuse. Quello che osservavano, nel comportamento sociale, è che l’uomo utilizza la debolezza degli altri per affermare il proprio potere. Ma Gesù diceva loro: “I re delle nazioni… e coloro che hanno il potere su di esse si fanno chiamare benefattori. Per voi però non sia così” (Lc 22,25). E i farisei che pretendono di usare una povera donna, colta in flagrante delitto di adulterio, per compromettere Gesù, gli danno in effetti l’occasione di insegnare con un esempio i suoi nuovi metodi.
In primo luogo Gesù mette in evidenza l’ipocrisia dei farisei: “Chi di voi è senza peccato scagli per primo la pietra. Dopo, toglie loro qualsiasi argomentazione. Mette in evidenza la loro ignoranza colpevole della legge che insegna che Dio, essendo potente sovrano, giudica con moderazione e governa con indulgenza, perché egli opera tutto ciò che vuole (Sal 115,3). Infine – e questo è il punto più importante del Vangelo -, Gesù insegna alle folle che non esiste più grande manifestazione di potere che il perdono. La morte stessa non ha un così grande potere. In effetti, solo il potere di Cristo, che muore crocifisso per amore, è capace di dare la vita. E soltanto il potere che serve a dare la vita è vero potere.
7 APRILE 2019 V DOMENICA DI QUARESIMA C Gv 8,1-11