II DOMENICA DI QUARESIMA ANNO A (Mt 17,1-9). 8 Marzo 2020

TESTO:-
Dal Vangelo secondo Matteo. (Mt 17,1-9)
In quel tempo, Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni suo fratello e li condusse in disparte, su un alto monte. E fu trasfigurato davanti a loro: il suo volto brillò come il sole e le sue vesti divennero candide come la luce. Ed ecco apparvero loro Mosè ed Elia, che conversavano con lui.
Prendendo la parola, Pietro disse a Gesù: «Signore, è bello per noi essere qui! Se vuoi, farò qui tre capanne, una per te, una per Mosè e una per Elia». Egli stava ancora parlando, quando una nube luminosa li coprì con la sua ombra. Ed ecco una voce dalla nube che diceva: «Questi è il Figlio mio, l’amato: in lui ho posto il mio compiacimento. Ascoltatelo».
All’udire ciò, i discepoli caddero con la faccia a terra e furono presi da grande timore. Ma Gesù si avvicinò, li toccò e disse: «Alzatevi e non temete». Alzando gli occhi non videro nessuno, se non Gesù solo.
Mentre scendevano dal monte, Gesù ordinò loro: «Non parlate a nessuno di questa visione, prima che il Figlio dell’uomo non sia risorto dai morti». Parola del Signore.

RIFLESSIONI

Nelle Scritture, la montagna è sempre il luogo della rivelazione. Sono gli uomini come Mosè (Es 19) e Elia (1Re 19) che Dio incontra. Si racconta anche che il volto di Mosè venne trasfigurato da quell’incontro: “Quando Mosè scese dal monte Sinai – le due tavole della Testimonianza si trovavano nelle mani di Mosè mentre egli scendeva dal monte – non sapeva che la pelle del suo viso era diventata raggiante, poiché aveva conversato con il Signore” (Es 34,29). La magnificenza della rivelazione divina si comunica anche a coloro che la ricevono e diventano i mediatori della parola di Dio.
Gesù si mette a brillare come il sole sotto gli occhi di tre discepoli: questo lo individua come colui che è l’ultimo a rivelare Dio, come colui che oltrepassa tutti i suoi predecessori. Ciò è sottolineato ancor più dal fatto che Mosè ed Elia appaiono e si intrattengono con lui.
Essi rappresentano la legge e i profeti, cioè la rivelazione divina prima di Gesù. Gesù è l’ultima manifestazione di Dio. È quello che dimostra la nube luminosa – luogo della presenza divina (come in Es 19) – da dove una voce designa Gesù come il servitore regale di Dio (combinazione del salmo 2, 7 e di Isaia 42, 1). A ciò si aggiunge, in riferimento a Deuteronomio 18, 15, l’esortazione ad ascoltare Gesù, ad ascoltare soprattutto il suo insegnamento morale.

II DOMENICA DI QUARESIMA ANNO A (Mt 17,1-9).

Rivelazione di Gesù a Maria Valtorta
Corrispondenza nell’“Evangelo come mi è stato rivelato” di Maria Valtorta. Capitolo 349.

 

Sono col mio Gesù su un alto monte. Con Gesù sono Pietro, Giacomo e Giovanni. Salgono ancor più in alto e l’occhio spazia per aperti orizzonti che un bel giorno sereno rende netti nei particolari fino nelle lontananze.

Il monte non fa parte di un sistema montano come è quello della Giudea; sorge isolato avendo, rispetto al luogo dove ci troviamo, l’oriente in faccia, il nord alla sinistra, il sud a destra e dietro, a ovest, la vetta che si alza di ancora qualche centinaio di passi. È molto elevato e l’occhio è libero di vedere per un largo raggio.

Il lago di Genezaret pare un lembo di cielo sceso a incastonarsi fra il verde della terra, una turchese ovale chiusa da smeraldi di diverse gradazioni, uno specchio che tremula e si increspa a un vento lieve e sul quale scivolano, con agilità di gabbiani, le barche dalle vele spiegate, leggermente curvate verso l’onda azzurrina, proprio con la grazia del volo candido di un alcione, scorrente l’onda in cerca di preda.

Poi ecco che dalla vasta turchese esce una vena, di un azzurro più pallido là dove il greto è più ampio, e più scuro là dove le rive si stringono e l’acqua è più profonda e cupa per l’ombra che vi gettano gli alberi che crescono vigorosi presso il fiume, nutriti dal suo umore. Il Giordano pare una pennellata quasi rettilinea nel verde della pianura.

Dei paeselli sono sparsi per la pianura al di qua e al di là del fiume. Alcuni sono proprio un pugno di case, altri sono più vasti, già arieggianti a cittadine. Le vie maestre sono rughe giallognole fra il verde. Ma qua, dalla parte del monte, la pianura è molto più coltivata e fertile, molto bella. Si vedono le diverse colture coi loro diversi colori ridere al bel sole che scende dal cielo sereno.

Deve essere primavera, forse marzo, se calcolo la latitudine della Palestina, perché vedo i grani già più alti, ma ancora verdi, ondulare come un mare glauco, e vedo i pennacchi dei più precoci fra gli alberi da frutto mettere come delle nuvolette bianche e rosee su questo piccolo mare vegetale, poi prati tutti in fiore per gli alti fieni sui quali pecorelle pascolanti paiono mucchietti di neve ammucchiata qua e là sul verde.

Proprio vicino al monte, sulle colline che ne sono la base, basse e brevi colline, sono due cittadine, una verso sud, una verso nord. La pianura fertilissima si estende specialmente e più ampiamente verso il sud.

Gesù, dopo una breve sosta al fresco di un ciuffo di alberi, certo concessa per pietà di Pietro che nelle salite fatica palesemente, riprende a salire. Va fin quasi sulla vetta, là dove è un pianoro erboso che ha un semicerchio di alberi verso la costa.

«Riposate, amici. Io vado là a pregare». E accenna con la mano ad un ampio sasso, una roccia che affiora dal monte e che si trova perciò non verso la costa ma verso l’interno, la vetta.

Gesù si inginocchia sulla terra erbosa appoggia le mani e il capo al masso, nella posa che prenderà anche nella preghiera del Getsemani. Il sole non lo colpisce perché la vetta lo ripara. Ma il resto dello spiazzo erboso è tutto lieto di sole, sino al limite d’ombra dello scrimolo alberato sotto il quale si sono seduti gli apostoli.

Pietro si leva i sandali e ne scuote via la polvere e sassolini e sta così, scalzo, coi piedi stanchi fra l’erba fresca, quasi steso, col capo su un ciuffo smeraldino che sporge più degli altri sulla sua zolla come un guanciale. Giacomo lo imita, ma per stare comodo cerca un tronco d’albero al quale appoggia il suo mantello e su questo le spalle. Giovanni resta seduto e osserva il Maestro. Ma la calma del luogo, il venticello fresco, il silenzio e la stanchezza vincono anche lui, e la testa gli si abbassa sul petto e così le palpebre sugli occhi. Non dormono profondamente nessuno dei tre, ma sono in quella sonnolenza estiva che intontisce.

Li scuote una luminosità così viva che annulla quella del sole e dilaga e penetra fin sotto il verde dei cespugli e alberi sotto cui si sono messi.

Aprono gli occhi stupiti e vedono Gesù trasfigurato. Egli è ora tale e quale come Lo vedo nelle visioni del Paradiso.

Naturalmente senza le Piaghe e senza il vessillo della Croce. Ma la maestà del Volto e del Corpo è uguale, uguale ne è la luminosità, e uguale la veste che da un rosso cupo si è mutata nel diamantifero e perlifero tessuto immateriale che Lo veste in Cielo. Il suo Viso è un sole dalla luce siderale ma intensissima, nel quale raggiano gli occhi di zaffiro.

Sembra più alto ancora, come la sua glorificazione ne avesse aumentato la statura. Non saprei dire se la luminosità, che rende persino fosforescente il pianoro, provenga tutta da Lui o se alla sua propria si mesca quella che ha concentrata sul suo Signore tutta la luce che è nell’universo e nei cieli. So che è qualche cosa di indescrivibile.

Gesù è ora in piedi, direi anzi che è alzato da terra, perché fra Lui e il verde del prato vi è come un vaporare di luce, uno spazio dato unicamente da una luce sul quale pare Egli si eriga. Ma è tanto viva che potrei anche ingannarmi, e il non vedere più il verde dell’erba sotto le piante di Gesù potrebbe esser provocato da questa luce intensa che vibra e fa onde come si vede talora nei grandi fuochi. Onde, qui, di un colore bianco, incandescente. Gesù sta col Volto alzato verso il cielo e sorride ad una sua visione che Lo sublima.

Gli apostoli ne hanno quasi paura e Lo chiamano, perché non pare più a loro che sia il loro Maestro tanto è trasfigurato.

«Maestro, Maestro», chiamano piano ma con ansia. Egli non sente.

«È in estasi» dice Pietro tremante. «Che vedrà mai?».

I tre si sono alzati in piedi. Vorrebbero accostarsi a Gesù, ma non osano.

La luce aumenta ancora per due fiamme che scendono dal cielo e si collocano ai lati di Gesù.

Quando sono stabilite sul pianoro, il loro velo si apre e ne appaiono due maestosi e luminosi personaggi. L’uno più anziano, dallo sguardo acuto e severo e da una lunga barba bipartita. Dalla sua fronte partono corni di luce che me lo indicano per Mosè.

L’altro è più giovane, scarno, barbuto e peloso, su per giù come il Battista, al quale direi assomiglia per statura, magrezza, conformazione e severità. Mentre la luce di Mosè è candida come è quella di Gesù, specie nei raggi della fronte, quella che emana Elia è solare, di fiamma viva.

I due Profeti prendono una posa di riverenza davanti al loro Dio Incarnato e, sebbene Questi parli loro con famigliarità, essi non abbandonano la loro posa riverente. Non comprendo neppure una delle parole dette.

I tre apostoli cadono a ginocchio tremanti, col volto fra le mani. Vorrebbero vedere, ma hanno paura.

Finalmente Pietro parla: «Maestro, Maestro. Odimi». Gesù gira lo sguardo con un sorriso verso il suo Pietro, che si rinfranca e dice: «È bello lo stare qui con Te, Mosè e Elia. Se vuoi facciamo tre tende per Te, per Mosè e per Elia, e noi stiamo qui a servirvi…».

Gesù lo guarda ancora e sorride più vivamente. Guarda anche Giovanni e Giacomo. Uno sguardo che li abbraccia con amore. Anche Mosè e Elia guardano i tre fissamente. I loro occhi balenano. Devono essere come raggi che penetrano i cuori.

Gli apostoli non osano dire altro. Intimoriti, tacciono. Sembrano un poco ebbri come chi è sbalordito. Ma quando un velo che non è nebbia, che non è nuvola, che non è raggio, avvolge e separa i Tre gloriosi dietro una schermo ancor più lucido di quello che già li circondava e li nasconde alla vista dei tre, e una Voce potente e armonica vibra ed empie di sé lo spazio, i tre cadono col volto contro l’erba.

«Questo è il mio Figliuolo diletto, nel quale mi sono compiaciuto. Ascoltatelo».

Pietro nel gettarsi bocconi esclama: «Misericordia di me, peccatore! È la Gloria di Dio che scende!». Giacomo non fiata. Giovanni mormora con un sospiro, come fosse prossimo a svenire: «Il Signore parla!».

Nessuno osa alzare la testa anche quando il silenzio si è rifatto assoluto. Non vedono perciò neppure il tornare della luce alla sua naturalezza di luce solare e mostrare Gesù rimasto solo e tornato il Gesù solito nella sua veste rossa.

Egli cammina verso loro sorridendo e li scuote e tocca e chiama per nome.

«Alzatevi. Sono Io. Non temete» dice, perché i tre non osano alzare il volto e invocano misericordia sui loro peccati, temendo che sia l’Angelo di Dio che vuol mostrarli all’Altissimo.

«Levatevi, dunque. Ve lo comando» ripete Gesù con imperio. Essi alzano il volto e vedono Gesù che sorride.

«Oh! Maestro, Dio mio!» esclama Pietro. «Come faremo a viverti accanto ora che abbiamo visto la tua gloria? Come faremo a vivere fra gli uomini, e noi, uomini peccatori, ora che abbiamo udito la voce di Dio?».

«Dovrete vivermi accanto e vedere la mia gloria sino alla fine. Siatene degni perché il tempo è vicino. Ubbidite al Padre mio e vostro.

Torniamo ora fra gli uomini, perché sono venuto per stare fra essi e per portare essi a Dio. Andiamo. Siate santi per ricordo di quest’ora, forti, fedeli. Avrete parte alla mia più completa gloria. Ma non parlate ora di questo che avete visto ad alcuno. Neppure ai compagni. Quando il Figlio dell’Uomo sarà risuscitato dai morti e tornato nella gloria del Padre, allora parlerete. Perché allora occorrerà credere per avere parte nel mio Regno».

«Ma non deve venire Elia per preparare il tuo Regno? I rabbi dicono così».

«Elia è già venuto ed ha preparato le vie del Signore. Tutto avviene come è stato rivelato. Ma coloro che insegnano la Rivelazione non la conoscono e non la comprendono, e non vedono e riconoscono i segni dei tempi e i messi di Dio. Elia è tornato una volta. La seconda verrà quando il tempo ultimo sarà vicino per preparare gli ultimi a Dio. Ma ora è venuto per preparare i primi al Cristo, e gli uomini non lo hanno voluto riconoscere e lo hanno tormentato e messo a morte. Lo stesso faranno col Figlio dell’Uomo, perché gli uomini non vogliono riconoscere ciò che è loro bene».

I tre chinano la testa pensosi e tristi, e scendono per la via dalla quale sono saliti insieme a Gesù.

Ed è ancora Pietro che dice, in una sosta a mezza via:

«Ah! Signore! Dico anche io come tua Madre ieri: “Perché ci hai fatto questo?”; e anche dico: “Perché ci hai detto questo?”. Le tue ultime parole hanno cancellato la gioia della gloriosa vista dai nostri cuori! Gran giorno di paure questo! Prima ci ha fatto paura la grande luce che ci ha destati, più forte che se il monte ardesse o che se la luna fosse scesa a raggiare sul ripiano, sotto i nostri occhi; poi il tuo aspetto e il tuo staccarti dal suolo come fossi per volare via.

Ho avuto paura che Tu, disgustato dalle nequizie di Israele, te ne tornassi ai Cieli, magari per ordine dell’Altissimo. Poi ho avuto paura di vedere apparire Mosè, che i suoi del suo tempo non potevano più vedere senza velo tanto splendeva sul suo volto il riflesso di Dio, e ancora era uomo, mentre ora è spirito beato e acceso di Dio, e Elia… Misericordia divina!

Ho creduto essere giunto al mio ultimo momento, e tutti i peccati della mia vita, da quando rubavo le frutta nella dispensa da piccino, all’ultimo di averti mal consigliato giorni fa, mi sono venuti alla mente. Con che tremore me ne sono pentito! Poi mi parve che mi amassero quei due giusti… e ho osato parlare.

Ma anche il loro amore mi faceva paura, perché io non merito l’amore di simili spiriti. E dopo… e dopo! … La paura delle paure! La voce di Dio! … Geovè che ha parlato! A noi! Ci ha detto: “Ascoltatelo!”. Tu. E ti ha proclamato “suo Figlio diletto nel quale Egli si compiace”.

Che paura! Geovè!… a noi!… Certo solo la tua forza ci ha tenuti in vita! … Quando Tu ci hai toccato, le tue dita ardevano come punte di fuoco, io ho avuto l’ultimo spavento. Ho creduto che fosse l’ora di essere giudicato e che l’Angelo mi toccasse per prendermi l’anima e portarla all’Altissimo…

Ma come ha fatto tua Madre a vedere… a sentire… a vivere, insomma, quell’ora che Tu hai detto ieri, senza morire, Lei che era sola, giovanetta, senza di Te?».

«Maria, la Senza Macchia, non poteva avere paura di Dio. Eva non ne aveva paura finché fu innocente.  Ed Io c’ero. Io, il Padre e lo Spirito, Noi, che siamo in Cielo e in Terra e in ogni luogo, e che avevamo il nostro Tabernacolo nel cuore di Maria» dice dolcemente Gesù.

«Che cosa! Che cosa! … Ma dopo Tu hai parlato di morte… E ogni gioia è finita… Ma perché proprio a noi tre tutto questo? Non era bene darla a tutti questa visione della tua gloria?».

«Appunto perché tramortite udendo parlare di morte, e morte per supplizio, del Figlio dell’Uomo, l’Uomo-Dio vi ha voluto fortificare per quell’ora e per sempre con la precognizione di ciò che Io sarò dopo la Morte. Ricordatevi tutto questo, per dirlo a suo tempo… Avete capito?».

«Oh! sì, Signore. Non è possibile dimenticare. E sarebbe inutile raccontare. Ci direbbero “ebbri”».

Dice Gesù:

«Non ti eleggo soltanto a conoscere le tristezze del tuo Maestro e i suoi dolori. Chi sa stare meco nel dolore deve avere parte meco nella gloria”. E tu riposa, fedele, piccolo Giovanni, ché il tuo riposo è ben meritato. La mia pace sia gioia in te».

«Ti ho preparata a meditare la mia Gloria. Domani la Chiesa la celebra. Ma Io voglio che il mio piccolo Giovanni la veda nella sua verità per comprenderla meglio. Non ti eleggo soltanto a conoscere le tristezze del tuo Maestro e i suoi dolori. Chi sa stare meco nel dolore deve aver parte meco nella gioia.

Voglio che tu, davanti al tuo Gesù che ti si mostra, abbia gli stessi sentimenti di umiltà e pentimento dei miei apostoli.

Mai superbia. Saresti punita perdendomi.

Continuo ricordo di Chi sono Io e di chi sei tu.

Continuo pensiero alle tue manchevolezze e alla mia perfezione per avere un cuore lavato dalla contrizione.

Ma insieme anche tanta fiducia in Me.

Io ho detto: “Non temete. Alzatevi. Andiamo. Andiamo fra gli uomini perché sono venuto per stare con essi. Siate santi, forti e fedeli per ricordo di quest’ora”. Lo dico anche a te e a  tutti i miei prediletti fra gli uomini, a quelli che mi hanno in maniera speciale.

Non temete di Me. Mi mostro per elevarvi, non per incenerirvi.

Alzatevi: la gioia del dono vi dia vigoria e non vi ottunda nel sapore del quietismo, credendovi già salvi perché vi ho mostrato il Cielo.

Andiamo insieme fra gli uomini. Vi ho invitati a sovrumane opere con sovrumane visioni e lezioni perché possiate essermi di maggiore aiuto. Vi associo alla mia opera. Ma Io non ho conosciuto e non conosco riposo.

Perché il Male non riposa mai e il Bene deve essere sempre attivo per annullare il più che si può l’opera del Nemico. Riposeremo quando il Tempo sarà compiuto. Ora occorre andare instancabilmente, operare continuamente, consumarsi indefessamente per la messe di Dio.

Il mio contatto continuo vi santifichi, la mia lezione continua vi fortifichi, il mio amore di predilezione vi faccia fedeli contro ogni insidia.

Non siate come gli antichi rabbini che insegnavano la Rivelazione e poi non le credevano al punto da non riconoscere i segni dei tempi e i messi di Dio. Riconoscete i precursori del Cristo nel suo secondo avvento, poiché le forze dell’Anticristo sono in marcia, e, facendo eccezione alla misura che mi sono imposta, perché conosco che bevete a certe verità non per spirito soprannaturale ma per sete di curiosità umana, vi dico in verità che quello che molti crederanno vittoria sull’Anticristo, la pace ormai prossima, non sarà che sosta per dare tempo al nemico del Cristo di ritemprarsi, medicarsi le ferite, riunire il suo esercito per una più crudele lotta.

Riconoscete, voi che siete le “voci” di questo vostro Gesù, del Re dei Re, del Fedele e Verace che giudica e combatte con giustizia e sarà il Vincitore della Bestia e dei suoi servi e profeti, riconoscete il vostro Bene e seguitelo sempre.

Nessun bugiardo aspetto vi seduca e nessuna persecuzione vi atterri. La vostra “voce” dica le mie parole. La vostra vita sia per quest’opera. E se avrete sorte, sulla terra, comune al Cristo, al suo Precursore e ad Elia, sorte cruenta o sorte tormentata da sevizie morali, sorridete alla vostra sorte futura e sicura che avrete comune con Cristo, con il suo Precursore, col suo Profeta.

Pari nel lavoro, nel dolore e nella gloria. Qui Io Maestro ed Esempio. Là Io Premio e Re.

Avermi sarà la vostra beatitudine. Sarà dimenticare il dolore. Sarà quanto ogni rivelazione è ancora insufficiente a farvi capire, perché troppo superiore è la gioia della vita futura alla possibilità di immaginare della creatura ancora unita alla carne».

Estratto di “l’Evangelo come mi è stato rivelato” di Maria Valtorta

SALVE

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I DOMENICA DI QUARESIMA ANNO A (Mt 4,1-11). 1 MARZO 2020

TESTO:-
Dal Vangelo secondo Matteo. (Mt 4,1-11)
In quel tempo, Gesù fu condotto dallo Spirito nel deserto, per essere tentato dal diavolo. Dopo aver digiunato quaranta giorni e quaranta notti, alla fine ebbe fame. Il tentatore gli si avvicinò e gli disse: «Se tu sei Figlio di Dio, di’ che queste pietre diventino pane». Ma egli rispose: «Sta scritto: “Non di solo pane vivrà l’uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio”».
Allora il diavolo lo portò nella città santa, lo pose sul punto più alto del tempio e gli disse: «Se tu sei Figlio di Dio, gèttati giù; sta scritto infatti: “Ai suoi angeli darà ordini a tuo riguardo ed essi ti porteranno sulle loro mani perché il tuo piede non inciampi in una pietra”». Gesù gli rispose: «Sta scritto anche: “Non metterai alla prova il Signore Dio tuo”».
Di nuovo il diavolo lo portò sopra un monte altissimo e gli mostrò tutti i regni del mondo e la loro gloria e gli disse: «Tutte queste cose io ti darò se, gettandoti ai miei piedi, mi adorerai». Allora Gesù gli rispose: «Vàttene, satana! Sta scritto infatti: “Il Signore, Dio tuo, adorerai: a lui solo renderai culto”».
Allora il diavolo lo lasciò, ed ecco degli angeli gli si avvicinarono e lo servivano. Parola del Signore.

RIFLESSIONI

Gesù viene presentato come il nuovo Adamo che, contrariamente al primo, resiste alla tentazione. Ma egli è anche il rappresentante del nuovo Israele che, contrariamente al popolo di Dio durante la traversata del deserto che durò quarant’anni, rimette radicalmente la sua vita nelle mani di Dio – mentre il popolo regolarmente rifiutava di essere condotto da Dio.
In ognuno dei tre tentativi di seduzione, si tratta della fiducia in Dio. Si dice, nel Deuteronomio (Dt 6,4): “Ascolta, Israele: Il Signore è il nostro Dio, il Signore è uno solo. Tu amerai il Signore tuo Dio con tutto il cuore, con tutta l’anima e con tutte le forze”. Significa esigere che Dio sia il solo ad essere amato da Israele, il solo di cui fidarsi. Ciò significa anche rinunciare alla propria potenza, a “diventare come Dio” (Gen 3,5).
A tre riprese, Satana tenta Gesù a servirsi del suo potere: della sua facoltà di fare miracoli (v. 3), della potenza della sua fede che pretenderebbe obbligare Dio (v. 6), della dominazione del mondo sottomettendosi a Satana e al suo governo di violenza (v. 9). Gesù resiste perché Dio è nel cuore della sua esistenza, perché egli vive grazie alla sua parola (v. 4), perché egli ha talmente fiducia in lui che non vuole attentare alla sua sovranità né alla sua libertà (v. 7), perché egli sa di essere impegnato esclusivamente a servirlo (v. 10).

Rivelazione di Gesù a Maria Valtorta
Corrispondenza nell’“Evangelo come mi è stato rivelato”
di Maria Valtorta.
Capitolo 46

Vedo la solitudine petrosa già vista alla mia sinistra nella visione del Battesimo di Gesù al Giorda­no. Però devo essere molto addentrata in essa, perché non vedo affatto il bel fiume lento e azzurro, né la vena di verde che lo costeggia alle sue due rive, come alimentata da quell’arteria d’acqua. Qui solo solitudine, pietroni, terra talmente arsa da esser ridotta a polvere giallastra, che ogni tan­to il vento solleva con piccoli vortici, che paion fiato di bocca febbrile tanto sono asciutti e caldi. E tormentosi per la polvere che penetra con essi nelle narici e nelle fauci.

Molto rari, qualche piccolo cespuglio spinoso, non si sa come resistente in quella desolazione. Sembrano ciuffetti di superstiti capelli sulla testa di un calvo. Sopra, un cielo spietatamente azzurro; sotto, il suolo arido; intorno, massi e silenzio. Ecco quanto vedo come natura.

Addossato ad un enorme pietrone, che per la sua forma, fatta su per giù così come mi sforzo a di­segnarla, fa un embrione di grotta, e seduto su un sasso trascinato nell’incavo, sta Gesù. Si ripara così dal sole cocente. E l’interno ammonitore mi avverte che quel sasso, su cui ora siede, è anche il suo inginocchiatoio e il suo guanciale quando prende le brevi ore di riposo avvolto nel suo mantello, al lume delle stelle e all’aria fredda della notte.

Infatti là presso è la sacca che gli ho visto prendere prima di partire da Nazareth. Tutto il suo avere. E, dal come si piega floscia, comprendo che è vuota del poco cibo che vi aveva messo Maria.

Gesù è molto magro e pallido. Sta seduto con i gomiti appoggiati ai ginocchi e gli avambracci sporti in avanti, con le mani unite ed intrecciate nelle dita. Medita. Ogni tanto solleva lo sguardo e lo gira attorno e guarda il sole alto, quasi a perpendicolo, nel cielo azzurro. Ogni tanto, e specie dopo aver girato lo sguardo attorno e averlo alzato verso la luce solare, chiude gli occhi e si appoggia al masso, che gli fa da riparo, come preso da vertigine.

Vedo apparire il brutto ceffo di Satana. Non che si presenti nella forma che noi ce lo raffiguriamo, con corna, coda, ecc. ecc. Pare un beduino avvolto nel suo vestito e nel suo mantellone, che pare un domino da maschera.

Sul capo il turbante, le cui falde bianche scendono a far riparo sulle spalle e lungo i lati del viso. Di modo che di questo appare un breve triangolo molto bruno, dalle labbra sot­tili e sinuose, dagli occhi nerissimi e incavati, pieni di bagliori magnetici.

Due pupille che ti leggono in fondo al cuore, ma nelle quali non leggi nulla, o una sola parola: mistero.

L’opposto dell’occhio di Gesù, tanto magnetico e fascinatore anche esso, che ti legge in cuore, ma nel quale leggi anche che nel suo Cuore è amore e bontà per te. L’occhio di Gesù è una carezza sull’anima. Questo è come un doppio pugnale che ti perfora e brucia. Si avvicina a Gesù:

«Sei solo?».

Gesù lo guarda e non risponde.

«Come sei capitato qui? Ti sei sperduto?».

Gesù lo guarda da capo e tace.

«Se avessi dell’acqua nella borraccia, te la darei. Ma ne sono senza anche io. M’è morto il cavallo e mi dirigo a piedi al guado. Là berrò e troverò chi mi dà un pane. So la via. Vieni con me. Ti guide­rò».

Gesù non alza più neppure gli occhi.

«Non rispondi? Sai che, se resti qui, muori? Già si leva il vento. Sarà bufera. Vieni».

Gesù stringe le mani in muta preghiera.

«Ah! sei proprio Tu, dunque? È tanto che ti cerco! Ed ora è tanto che ti osservo. Dal momento che sei stato battezzato. Chiami l’Eterno? È lontano. Ora sei sulla Terra ed in mezzo agli uomini. E negli uomini regno io.

Pure mi fai pietà e ti voglio soccorrere, perché sei buono e sei venuto a sacrificarti per nulla. Gli uomini ti odieranno per la tua bontà. Non capiscono che oro e cibo e senso. Sacrificio, dolore, ubbidienza, sono parole morte per loro più di questa terra che ci è d’intorno. Essi sono aridi più ancora di questa polvere. Solo il serpe può nascondersi qui, attendendo di mordere, e lo sciacallo di sbranare. Vieni via. Non merita soffrire per loro. Li conosco più di Te».

Satana si è seduto di fronte a Gesù e Lo fruga col suo sguardo tremendo e sorride con la sua boc­ca di serpe. Gesù tace sempre e prega mentalmente.

«Tu diffidi di me. Fai male. Io sono la sapienza della Terra. Ti posso esser maestro per insegnarti a trionfare.

Vedi: l’importante è trionfare.

Poi, quando ci si è imposti e si è affascinato il mondo,

allora lo si conduce anche dove si vuole noi.

Ma prima bisogna essere come piace a loro.

Come loro.

Sedurli facendo loro credere che li ammiriamo e li seguiamo nel loro pensiero.

Sei giovane e bello. Comincia dalla donna. È sempre da essa che si deve incominciare. Io ho sba­gliato inducendo la donna alla disubbidienza. Dovevo consigliarla per altro modo. Ne avrei fatto uno strumento migliore e avrei vinto Dio. Ho avuto fretta. Ma Tu! Io t’insegno, perché c’è stato un giorno che ho guardato a Te con giubilo angelico, e un resto di quell’amore è rimasto, ma Tu ascoltami ed usa della mia esperienza. Fatti una compagna. Dove non riuscirai Tu, essa riuscirà. Sei il nuovo Ada­mo: devi avere la tua Eva.

E poi, come puoi comprendere e guarire le malattie del senso se non sai che cosa sono? Non sai che è lì il nocciolo da cui nasce la pianta della cupidità e della prepotenza? Perché l’uomo vuo­le regnare? Perché vuole essere ricco, potente? Per possedere la donna. Questa è come l’allodola. Ha bisogno del luccichio per essere attirata.

L’oro e la potenza sono le due facce dello specchio che attirano le donne e le cause del male nel mondo.

Guarda: dietro a mille delitti dai volti diversi ce ne sono novecento almeno che hanno radice nella fame del possesso della donna o nella volontà di una donna, arsa da un desiderio che l’uomo non soddisfa ancora o non soddisfa più. Vai dalla donna se vuoi sapere cosa è la vita. E solo dopo saprai curare e guarire i morbi della umanità.

È bella, sai, la donna! Non c’è nulla di più bello nel mondo. L’uomo ha il pensiero e la forza. Ma la donna!

Il suo pensiero è un profumo, il suo contatto è carezza di fiori, la sua grazia è come vino che scende, la sua debolezza è come matassa di seta o ricciolo di bambino nelle mani dell’uomo, la sua carezza è forza che si rovescia sulla nostra e la accende.

Si annulla il dolore, la fatica, il cruccio quando si posa presso una donna, ed essa è fra le nostre braccia come un fascio di fiori.

Ma che stolto che sono! Tu hai fame e ti parlo della donna. La tua vigoria è esausta. Per questo, questa fragranza della terra, questo fiore del creato, questo frutto che dà e suscita amore, ti pare senza valore.

Ma guarda queste pietre. Come sono tonde e levigate, dorate sotto al sole che scende. Non sembrano pani? Tu, Figlio di Dio, non hai che dire: “Voglio”, perché esse divengano pane fra­grante come quello che ora le massaie levano dal forno per la cena dei loro familiari. E queste acacie così aride, se Tu vuoi, non possono empirsi di dolci pomi, di datteri di miele? Saziati, o Figlio di Dio! Tu sei il Padrone della Terra. Essa si inchina per mettere ai tuoi piedi se stessa e sfamare la tua fame.

Lo vedi che impallidisci e vacilli solo a sentir nominare il pane? Povero Gesù! Sei tanto debole da non potere più neppure comandare al miracolo? Vuoi che lo faccia io per Te? Non ti sono a pari. Ma qualcosa posso. Starò privo per un anno della mia forza, la radunerò tutta, ma ti voglio servire, per­ché Tu sei buono ed io sempre mi ricordo che sei il mio Dio, anche se ora ho demeritato di chiamarti tale. Aiutami con la tua preghiera perché io possa…».

«Taci. “Non di solo pane vive l’uomo, ma di ogni parola che viene da Dio”».

Il demonio ha un sussulto di rabbia. Digrigna i denti e stringe i pugni. Ma si contiene e volge il di­grigno in sorriso.

«Comprendo. Tu sei sopra le necessità della Terra e hai ri­brezzo a servirti di me. L’ho meritato. Ma vieni, allora, e vedi cosa è nella Casa di Dio. Vedi come anche i sacerdoti non ricusano di venire a transazioni fra lo spirito e la carne. Perché infine sono uo­mini e non Angeli.

Compi un miracolo spirituale. Io ti porto sul pinnacolo del Tempio e Tu trasfigurati in bellezza lassù, e poi chiama le coorti di Angeli e dì che facciano delle loro ali intrecciate pedana al tuo piede e ti calino così nel cortile principale. Che ti vedano e si ricordino che Dio è.

Ogni tanto è ne­cessario manifestarsi, perché l’uomo ha una memoria tanto labile, specie in ciò che è spirituale. Sai come gli Angeli saranno beati di far riparo al tuo piede e scala a Te che scendi!».

«“Non tentare il Signore Iddio tuo”, è detto».

«Comprendi che anche la tua apparizione non muterebbe le cose, e il Tempio continuerebbe ad esser mercato e corruzione. La tua divina sapienza lo sa che i cuori dei ministri del Tempio sono un nido di vipere, che si sbranano e sbranano pur di predominare. Non sono domati che dalla potenza umana.

E allora, vieni. Adorami. Io ti darò la Terra.

Alessandro, Ciro, Cesare, tutti i più grandi dominatori passati o viventi saranno simili a capi di meschine carovane rispetto a Te, che avrai tutti i regni della Terra sotto il tuo scettro. E, coi regni, tutte le ricchezze, tutte le bellezze della Terra, e donne, e cavalli, e armati e templi.

Potrai alzare dovunque il tuo Segno, quando sarai Re dei re e Signore del mondo. Allora sarai ubbidito e venerato dal popolo e dal sacerdozio. Tutte le caste ti onoreranno e ti serviran­no, perché sarai il Potente, l’Unico, il Signore.

Adorami un attimo solo! Levami questa sete che ho d’esser adorato! È quella che mi ha perduto. Ma è rimasta in me e mi brucia.

Le vampe dell’inferno sono fresca aria del mattino rispetto a questo ardore che mi brucia l’interno. È il mio inferno, questa sete. Un attimo, un attimo solo, o Cristo, Tu che sei buono! Un attimo di gioia all’eterno Tormentato! Fammi sentire cosa voglia dire essere dio e mi avrai devoto, ubbidiente come servo per tutta la vita, per tutte le tue imprese. Un attimo! Un solo attimo, e non ti tormenterò più!».

E Satana si butta in ginocchio, supplicando.

Gesù si è alzato, invece. Divenuto più magro in questi giorni di digiuno, sembra ancora più alto. Il suo volto è terribile di severità e potenza. I suoi occhi sono due zaffiri che bruciano. La sua voce è un tuono, che si ripercuote contro l’incavo del masso e si sparge sulla sassaia e la piana desolata, quando dice:

«Và via, Satana. È scritto: “Adorerai il Signore Iddio tuo e servirai Lui solo”!».

Satana, con un urlo di strazio dannato e di odio indescrivibile, scatta in piedi, tremendo a vedersi nella sua furente, fumante persona. E poi scompare con un nuovo urlo di maledizione.

Gesù si siede stanco, appoggiando indietro il capo contro il masso. Pare esausto. Suda.

Ma esseri Angelici vengono ad alitare con le loro ali nell’afa dello speco, purificandola e rinfrescandola. Gesù apre gli occhi e sorride. Io non Lo vedo mangiare. Direi che Egli si nutre dell’aroma del Paradiso e ne esce rinvigorito.

Il sole scompare a ponente. Egli prende la vuota bisaccia e, accompagnato dagli Angeli, che fanno una mite luce sospesi sul suo capo mentre la notte cala rapidissima, si avvia verso est, meglio verso nord-est. Ha ripreso la sua espressione abituale, il passo sicuro. Solo resta, a ricordo del lungo di­giuno, un aspetto più ascetico nel volto magro e pallido e negli occhi, rapiti in una gioia non di que­sta Terra.

Dice Gesù:

«Ieri eri senza la tua forza, che è la mia volontà, ed eri perciò un essere semivivo. Ho fatto ri­posare le tue membra e ti ho fatto fare l’unico digiuno che ti pesi: quello della mia Parola. Povera Maria! Hai fatto il mercoledì delle Ceneri. In tutto sentivi il sapor della cenere, poiché eri senza il tuo Maestro. Non mi facevo sentire. Ma c’ero.

Questa mattina, poiché l’ansia è reciproca, ti ho mormorato nel tuo dormiveglia: “Agnus Dei qui tollis peccata mundi, dona nobis pacem”, e te l’ho fatto ripetere molte volte, e tante te le ho ripetu­te. Hai creduto che parlassi su questo. No. Prima c’era il punto che ti ho mostrato e che ti commen­terò. Poi questa sera ti illustrerò quest’altro.

Satana, lo hai visto, si presenta sempre con veste benevola. Con aspetto comune. Se le anime sono attente, e soprattutto in spirituali contatti con Dio, avvertono quell’avviso che le rende guardin­ghe e pronte a combattere le insidie demoniache.

Ma se le anime sono disattente al divino, separate da una carnalità che soverchia e assorda, non aiutate dalla preghiera che congiunge a Dio e riversa la sua forza come da un canale nel cuore dell’uomo, allora difficilmente esse si avvedono del tranello nascosto sotto l’apparenza innocua e vi cadono. Liberarsene è, poi, molto difficile.

Le due vie più comuni prese da Satana per giungere alle anime sono il senso e la gola.

Comincia sempre dalla materia. Smantellata e asservita questa, dà l’attacco alla parte superiore.

Prima il mo­rale: il pensiero con le sue superbie e cupidigie; poi lo spirito, levandogli non solo l’amore -quello non esiste già più quando l’uomo ha sostituito l’amore divino con altri amori umani- ma anche il timore di Dio.

È allora che l’uomo si abbandona in anima e corpo a Satana, pur di arrivare a godere ciò che vuole, godere sempre più.

Come Io mi sia comportato, lo hai visto. Silenzio e orazione. Silenzio. Perché, se Satana fa la sua opera di seduttore e ci viene intorno, lo si deve subire senza stolte impazienze e vili paure. Ma reagi­re con la sostenutezza alla sua presenza, e con la preghiera alla sua seduzione.

È inutile discutere con Satana. Vincerebbe lui, perché è forte nella sua dialettica. Non c’è che Dio che lo vinca. E allora ricorrere a Dio, che parli per noi, attraverso a noi. Mostrare a Satana quel No­me e quel Segno, non tanto scritti su una carta o incisi su un legno, quanto scritti e incisi nel cuore. Il mio Nome, il mio Segno.

Ribattere a Satana, unicamente quando insinua che egli è come Dio, usando la Parola di Dio. Egli non la sopporta.

Poi, dopo la lotta, viene la vittoria, e gli Angeli servono e difendono il vincitore dall’odio di Satana. Lo ristorano con le rugiade celesti, con la Grazia che riversano a piene mani nel cuore del figlio fede­le, con la benedizione che accarezza lo spirito.

Occorre avere volontà di vincere Satana e Fede in Dio e nel suo aiuto. Fede nella potenza della preghiera e nella bontà del Signore. Allora Satana non può fare del male.

Và in pace. Questa sera ti parlerò del resto».

Estratto di “l’Evangelo come mi è stato rivelato” di Maria Valtorta

VII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO ANNO A (Mt 5,38-48) 23 FEBBRAIO 2020

Mt 5,38-48

TESTO:-
Dal Vangelo secondo Matteo. (Mt 5,38-48)
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«Avete inteso che fu detto: “Occhio per occhio e dente per dente”. Ma io vi dico di non opporvi al malvagio; anzi, se uno ti dà uno schiaffo sulla guancia destra, tu porgigli anche l’altra, e a chi vuole portarti in tribunale e toglierti la tunica, tu lascia anche il mantello. E se uno ti costringerà ad accompagnarlo per un miglio, tu con lui fanne due. Da’ a chi ti chiede, e a chi desidera da te un prestito non voltare le spalle.
Avete inteso che fu detto: “Amerai il tuo prossimo e odierai il tuo nemico”. Ma io vi dico: amate i vostri nemici e pregate per quelli che vi perseguitano, affinché siate figli del Padre vostro che è nei cieli; egli fa sorgere il suo sole sui cattivi e sui buoni, e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti. Infatti, se amate quelli che vi amano, quale ricompensa ne avete? Non fanno così anche i pubblicani? E se date il saluto soltanto ai vostri fratelli, che cosa fate di straordinario? Non fanno così anche i pagani? Voi, dunque, siate perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste». Parola del Signore.

RIFLESSIONI

Gesù Cristo, Dio-con-noi e umanità nuova, insegna ai suoi discepoli il comandamento dell’amore, la nuova legge del Vangelo che sostituisce per sempre la legge pagana del vecchio uomo: “Amerai il tuo prossimo e odierai il tuo nemico”.
Il nostro spirito trema sentendo le esigenze di questo nuovo comandamento. Non è forse più facile aggredire chi ci aggredisce e amare chi ci ama? Forse è a questo che ci spingerebbero i nostri sensi, è questa la voce dell’anima umiliata non ancora raggiunta dalla luce del Dio di Gesù Cristo, del solo vero Dio. Ecco perché l’amore di carità è un precetto insolito, che apre ad un nuovo orizzonte antropologico la civiltà antica e ogni civiltà umana possibile.
Visto da questo orizzonte, l’uomo, ogni uomo, appare creato a immagine e somiglianza di Dio e non più formato secondo una natura disuguale e arbitraria, come invece credevano i pagani. Liberato dai suoi peccati grazie all’azione redentrice di Cristo e rinnovato dall’azione dello Spirito, l’uomo, ogni uomo, è il tempio in cui risplende lo Spirito di Dio. Dio ama l’uomo per se stesso, a tal punto che consegna alla morte suo Figlio.
Dal momento che Dio ci ama in questo modo e ci ha fatti partecipi del suo amore, noi non possiamo che perdonare il nostro prossimo e aiutarlo perché viva e si sviluppi.

VI DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO ANNO A 16 Febbraio 2020 (Mt 5,17-37)

Mt 5,17-37
https://blog.libero.it/wp/ilvangelo/2020/02/16/419/

TESTO:-
Dal Vangelo secondo Matteo. (Mt 5,17-37)
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«Non crediate che io sia venuto ad abolire la Legge o i Profeti; non sono venuto ad abolire, ma a dare pieno compimento. In verità io vi dico: finché non siano passati il cielo e la terra, non passerà un solo iota o un solo trattino della Legge, senza che tutto sia avvenuto. Chi dunque trasgredirà uno solo di questi minimi precetti e insegnerà agli altri a fare altrettanto, sarà considerato minimo nel regno dei cieli. Chi invece li osserverà e li insegnerà, sarà considerato grande nel regno dei cieli.
Io vi dico infatti: se la vostra giustizia non supererà quella degli scribi e dei farisei, non entrerete nel regno dei cieli.
Avete inteso che fu detto agli antichi: “Non ucciderai; chi avrà ucciso dovrà essere sottoposto al giudizio”. Ma io vi dico: chiunque si adira con il proprio fratello dovrà essere sottoposto al giudizio. Chi poi dice al fratello: “Stupido”, dovrà essere sottoposto al sinedrio; e chi gli dice: “Pazzo”, sarà destinato al fuoco della Geènna.
Se dunque tu presenti la tua offerta all’altare e lì ti ricordi che tuo fratello ha qualche cosa contro di te, lascia lì il tuo dono davanti all’altare, va’ prima a riconciliarti con il tuo fratello e poi torna a offrire il tuo dono.
Mettiti presto d’accordo con il tuo avversario mentre sei in cammino con lui, perché l’avversario non ti consegni al giudice e il giudice alla guardia, e tu venga gettato in prigione. In verità io ti dico: non uscirai di là finché non avrai pagato fino all’ultimo spicciolo!
Avete inteso che fu detto: “Non commetterai adulterio”. Ma io vi dico: chiunque guarda una donna per desiderarla, ha già commesso adulterio con lei nel proprio cuore.
Se il tuo occhio destro ti è motivo di scandalo, cavalo e gettalo via da te: ti conviene infatti perdere una delle tue membra, piuttosto che tutto il tuo corpo venga gettato nella Geènna. E se la tua mano destra ti è motivo di scandalo, tagliala e gettala via da te: ti conviene infatti perdere una delle tue membra, piuttosto che tutto il tuo corpo vada a finire nella Geènna.
Fu pure detto: “Chi ripudia la propria moglie, le dia l’atto del ripudio”. Ma io vi dico: chiunque ripudia la propria moglie, eccetto il caso di unione illegittima, la espone all’adulterio, e chiunque sposa una ripudiata, commette adulterio.
Avete anche inteso che fu detto agli antichi: “Non giurerai il falso, ma adempirai verso il Signore i tuoi giuramenti”. Ma io vi dico: non giurate affatto, né per il cielo, perché è il trono di Dio, né per la terra, perché è lo sgabello dei suoi piedi, né per Gerusalemme, perché è la città del grande Re. Non giurare neppure per la tua testa, perché non hai il potere di rendere bianco o nero un solo capello. Sia invece il vostro parlare: “sì, sì”, “no, no”; il di più viene dal Maligno». Parola del Signore.Forma breve:TESTO:-
Dal Vangelo secondo Matteo (5, 20-22a.27-28.33-34a.37)
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Io vi dico: se la vostra giustizia non supererà quella degli scribi e dei farisei, non entrerete nel regno dei cieli.
Avete inteso che fu detto agli antichi: “Non ucciderai; chi avrà ucciso dovrà essere sottoposto al giudizio”. Ma io vi dico: chiunque si adira con il proprio fratello dovrà essere sottoposto al giudizio.
Avete inteso che fu detto: “Non commetterai adulterio”. Ma io vi dico: chiunque guarda una donna per desiderarla, ha già commesso adulterio con lei nel proprio cuore.
Avete anche inteso che fu detto agli antichi: “Non giurerai il falso, ma adempirai verso il Signore i tuoi giuramenti”. Ma io vi dico: non giurate affatto. Sia invece il vostro parlare: “sì, sì”, “no, no”; il di più viene dal Maligno». Parola del Signore.

RIFLESSIONI

L’ideale religioso degli Ebrei devoti consisteva nell’osservare la legge, attraverso la quale si realizzava la volontà di Dio. Meditare, adempiere la legge, era per l’Israelita la sua “eredità”, “una lampada per i suoi passi”, suo “rifugio”, la sua “pace” (cf. Sal 119).
Gesù è la pienezza della legge perché egli è la parola definitiva del Padre (Eb 1,1). Paolo ci dice che “chi ama il suo simile ha adempiuto la legge… Pieno compimento della legge è l’amore” (Rm 13,8-10).
Ed è anche in questo senso che Gesù è la pienezza di ogni parola che esce dalla bocca di Dio: “Perché Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito… perché il mondo si salvi per mezzo di lui” (Gv 3,16-17).
Il cristiano è prima di tutto il discepolo di Gesù, non colui che adempie la legge. I farisei erano ossessionati dalla realizzazione letterale e minuziosa della legge; ma ne avevano completamente perso lo spirito. Di qui la parola di Gesù: “Se la vostra giustizia non supera quella degli scribi e dei farisei…”.
L’amore non è prima di tutto un sentimento diffuso per fare sempre quello di cui abbiamo voglia, ma al contrario il motore del servizio del prossimo, secondo i disegni divini. Ed è per questo che Gesù enumera sei casi della vita quotidiana la riconciliazione con il prossimo, non adirarsi, non insultare nessuno, non commettere adulterio neanche nel desiderio, evitare il peccato anche se vi si è affezionati come al proprio occhio o alla propria mano destra, non divorziare da un matrimonio valido…
Il contrasto con i criteri che reggono il mondo attuale non potrebbe essere maggiore. Per quali valori i cristiani scommetterebbero? Ancora una volta siamo confortati dalla affermazione di Cristo: “Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno” (Mt 24,35).

Rivelazione di Gesù a Maria Valtorta
Corrispondenza nell’“Evangelo come mi è stato rivelato”
di Maria Valtorta
Capitolo 171

 

Il luogo e l’ora sono sempre gli stessi. La gente è ancora più aumentata. In un angolo, presso un sentiero, come volesse udire ma non eccitare ripugnanze tra la folla, è un romano. Lo distinguo per la veste corta e il mantello diverso. Ancora vi sono Stefano e Erma.

E Gesù va lentamente al suo posto e riprende a parlare.

«Con quanto vi ho detto ieri non dovete giungere al pensiero che Io sia venuto per abolire la Legge. No. Solo, poiché sono l’Uomo e comprendo le debolezze dell’uomo, Io ho voluto rincuorarvi a seguirla col dirigere il vostro occhio spirituale non all’abisso nero, ma all’Abisso luminoso. Perché, se la paura di un castigo può trattenere tre volte su dieci, la certezza di un premio slancia sette volte su dieci. Perciò più che la paura fa la fiducia. Ed io voglio che voi l’abbiate piena, sicura, per potere fare non sette parti di bene su dieci, ma dieci parti su dieci e conquistare questo premio santissimo del Cielo.

Io non muto un iota della Legge. E chi l’ha data fra i fulmini del Sinai? L’Altissimo. Chi è l’Altissimo? Il Dio uno e trino. Da dove l’ha tratta? Dal suo Pensiero. Come l’ha data? Con la sua Parola. Perché l’ha data? Per il suo Amore. Vedete dunque che la Trinità era presente. Ed il Verbo, ubbidiente come sempre al Pensiero e all’Amore, parlò per il Pensiero e per l’Amore.

Potrei smentire Me stesso? Non potrei. Ma posso, poiché tutto Io posso, completare la Legge, farla divinamente completa, non quale la fecero gli uomini che durante i secoli non la fecero completa ma soltanto indecifrabile, inadempibile, sovrapponendo leggi e precetti, e precetti e leggi, tratti dal loro pensiero, secondo il loro utile, e gettando tutta questa macia a lapidare e soffocare, a sottrarre e isterilire la Legge santissima data da Dio.

Può una pianta sopravvivere se la sommergono per sempre valanghe, macerie e inondazioni? No. La pianta muore. La Legge è morta in molti cuori, soffocata sotto le valanghe di troppe soprastrutture. Io sono venuto a levarle tutte e, disseppellita la Legge, risuscitata la Legge, ecco che Io la faccio non più legge ma regina.

Le regine promulgano le leggi.

Le leggi sono opera delle regine, ma non sono da più delle regine. Io invece faccio della Legge la regina: la completo, l’incorono, mettendo sul suo sommo il serto dei consigli evangelici. Prima era l’ordine. Ora è più dell’ordine. Prima era il necessario. Ora è più del necessario.

Ora è la perfezione. Chi la disposa, così come Io ve la dono, all’istante è re perché ha raggiunto il “perfetto”, perché non è stato soltanto ubbidiente ma eroico, ossia santo, essendo la santità la somma delle virtù portate al vertice più alto che possa esser raggiunto da creatura, eroicamente amate e servite col distacco completo da tutto quanto è appetito e riflessione umana verso qual che sia cosa.

Potrei dire che il santo è colui al quale l’amore e il desiderio fanno da ostacolo ad ogni altra vista che Dio non sia. Non distratto da viste inferiori, egli ha le pupille del cuore ferme nello Splendore Santissimo. che è Dio e nel quale vede, poiché tutto è in Dio, agitarsi i fratelli e tendere le mani supplici.

E senza staccare gli occhi da Dio, il santo si effonde ai fratelli supplicanti. Contro la carne, contro le ricchezze, contro le comodità, egli drizza il suo ideale: servire. Povero il santo? Menomato? No. È giunto a possedere la sapienza e la ricchezza vere. Possiede perciò tutto.

Né sente fatica perché, se è vero che è un produttore continuo, è pur anche vero che è un nutrito di continuo. Perché, se è vero che comprende il dolore del mondo, è anche vero che si pasce della letizia del Cielo. Di Dio si nutre, in Dio si allieta. È la creatura che ha compreso il senso della vita.

Come vedete, Io non muto e non mutilo la Legge, ma non la corrompo con le sovrapposizioni di fermentanti teorie umane. Ma la completo. Essa è quello che è, e tale sarà fino all’estremo giorno, senza che se ne muti una parola o se ne levi un precetto. Ma è incoronata del perfetto.

Per avere salute basta accettarla così come fu data. Per avere immediata unità con Dio occorre viverla come Io la consiglio.

Ma poiché gli eroi sono l’eccezione, Io parlerò per le anime comuni, per la massa delle anime, acciò non si dica che per volere il perfetto rendo ignoto il necessario. Perciò di quanto dico ritenete bene questo: colui che si permette di violare uno fra i minimi di questi Comandamenti sarà tenuto minimo nel Regno dei Cieli. E colui che indurrà altri a violarli sarà ritenuto minimo per lui e per colui che egli indusse alla violazione.

Mentre colui che con la vita e le opere, più ancora che con la parola, avrà persuaso altri all’ubbidienza, costui grande sarà nel Regno dei Cieli, e la sua grandezza si aumenterà per ognuno di quelli che egli avrà portato ad ubbidire e a santificarsi così.

Io so che ciò che sto per dire sarà agro alla lingua di molti. Ma Io non posso mentire anche se la verità che sto per dire mi farà dei nemici.

In verità vi dico che se la vostra giustizia non si ricreerà, distaccandosi completamente dalla povera e ingiustamente definita giustizia che vi hanno insegnata scribi e farisei; che se non sarete molto più, e veramente, giusti dei farisei e scribi, che credono esserlo con l’aumentare delle formule ma senza mutazione sostanziale degli spiriti, voi non entrerete nel Regno dei Cieli.

Guardatevi dai falsi profeti e dai dottori d’errore. Essi vengono a voi in veste e d’agnelli e lupi rapaci sono, vengono in veste di santità e sono derisori di Dio, dicono di amare la verità e si pascono di menzogne. Studiateli prima di seguirli.

L’uomo ha la lingua e con questa parla, ha gli occhi e con questi guarda, ha le mani e con queste accenna. Ma ha un’altra cosa che testimonia con più verità del suo vero essere: ha i suoi atti. E che volete che sia un paio di mani congiunte in preghiera se poi l’uomo è ladro e fornicatore? E che due occhi che volendo fare gli ispirati si stravolgono in ogni senso, se poi, cessata l’ora della commedia, si sanno fissare ben avidi sulla femmina, o sul nemico, per lussuria o per omicidio?

E che volete sia la lingua che sa zufolare la bugiarda canzone delle lodi e sedurvi con i suoi detti melati, mentre poi alle vostre spalle vi calunnia ed è capace di spergiurare pur di farvi passare per gente spregevole?

Che è la lingua che fa lunghe orazioni ipocrite e poi veloce uccide la stima del prossimo o seduce la sua buona fede? Schifo è! Schifo sono gli occhi e le mani menzognere. Ma gli atti dell’uomo, i veri atti, ossia il suo modo di comportarsi in famiglia, nel commercio, verso il prossimo ed i servi, ecco quello che testimoniano: “Costui è un servo del Signore”. Perché le azioni sante sono frutto di una vera religione.

Un albero buono non dà frutti malvagi e un albero malvagio non dà frutti buoni. Questi pungenti roveti potranno mai darvi uva saporita? E quegli ancora più tribolanti cardi potranno mai maturarvi morbidi fichi? No, che in verità poche e aspre more coglierete dai primi e immangiabili frutti verranno da quei fiori, spinosi già pur essendo ancora fiori.

L’uomo che non è giusto potrà incutere rispetto con l’aspetto, ma con quello solo. Anche quel piumoso cardo sembra un fiocco di sottili fili argentei che la rugiada ha decorato di diamanti. Ma se inavvertitamente lo toccate, vedete che fiocco non è, ma mazzo di aculei, penosi all’uomo, nocivi alle pecore, per cui i pastori lo sterpano dai loro pascoli e lo gettano a perire nel fuoco acceso nella notte perché neppure il seme si salvi. Giusta e previdente misura.

Io non vi dico: “Uccidete i falsi profeti e gli ipocriti fedeli”. Anzi vi dico: “Lasciatene a Dio il compito”. Ma vi dico: “Fate attenzione scostatevene per non intossicarvi dei loro succhi”.

Come debba essere amato Dio, ieri l’ho detto. Insisto a come debba essere amato il prossimo.

Un tempo era detto: “Amerai il tuo amico e odierai il tuo nemico”. No. Non così. Questo è buono per i tempi in cui l’uomo non aveva il conforto del sorriso di Dio. Ma ora vengono i tempi nuovi, quelli in cui Dio tanto ama l’uomo da mandargli il suo Verbo per redimerlo. Ora il Verbo parla.

Ed è già Grazia che si effonde. Poi il Verbo consumerà il sacrificio di pace e di redenzione e la Grazia non solo sarà effusa, ma sarà data ad ogni spirito credente nel Cristo. Perciò occorre innalzare l’amore di prossimo a perfezione che unifica l’amico al nemico.

Siete calunniati? Amate e perdonate.

Siete percossi? Amate e porgete l’altra guancia a chi vi schiaffeggia pensando che è meglio che l’ira si sfoghi su voi, che la sapete sopportare, anziché su un altro che si vendicherebbe dell’affronto.

Siete derubati? Non pensate: “Questo mio prossimo è un avido”, ma pensate caritativamente: “Questo mio povero fratello è bisognoso” e dategli anche la tunica se già vi ha levato il mantello. Lo metterete nella impossibilità di fare un doppio furto perché non avrà più bisogno di derubare un altro della tunica.

Voi dite: “Ma potrebbe essere vizio e non bisogno”. Ebbene, date ugualmente. Dio ve ne compenserà e l’iniquo ne sconterà. Ma molte volte, e ciò richiama quanto ho detto ieri sulla mansuetudine, vedendosi così trattato, cade dal cuore del peccatore il suo vizio, ed egli si redime giungendo a riparare il furto col rendere la preda.

Siate generosi con coloro che, più onesti, vi chiedono, anziché derubarvi, ciò di cui abbisognano. Se i ricchi fossero realmente poveri di spirito come ho insegnato ieri, non vi sarebbero le penose disuguaglianze sociali, cause di tante sventure umane e sovrumane. Pensate sempre: “Ma se io fossi nel bisogno, che effetto mi farebbe la ripulsa di un aiuto?”, e in base alla risposta del vostro io agite.

Fate agli altri ciò che vorreste vi fosse fatto e non fate agli altri ciò che non vorreste fatto a voi.

L’antica parola: “Occhio per occhio, dente per dente”, che non è nei dieci comandi ma che è stata messa perché l’uomo privo della Grazia è tal belva che non può che comprendere la vendetta, è annullata, questa sì che è annullata, dalla nuova parola: “Ama chi ti odia, prega per chi ti perseguita, giustifica chi ti calunnia, benedici chi ti maledice, benefica chi ti fa danno, sii pacifico col rissoso, condiscendente con chi ti è molesto, soccorri di buon grado chi a te ricorre e non fare usura, non criticare, non giudicare”.

Voi non sapete gli estremi delle azioni degli uomini. In tutti i generi di soccorso siate generosi, misericordiosi siate.

Più darete più vi sarà dato, e una misura colma e premuta sarà versata da Dio in grembo a chi fu generoso. Dio non solo vi darà per quanto avete dato, ma più e più ancora. Cercate di amare e di farvi amare. Le liti costano più di un accomodamento amichevole e la buona grazia è come un miele che a lungo resta col suo sapore sulla lingua.

Amate, amate! Amate amici e nemici per essere simili al Padre vostro che fa piovere sui buoni e sui cattivi e fa scendere il sole sui giusti e sugli ingiusti riservandosi di dare sole e rugiade eterne, e fuoco e grandine infernali, quando i buoni saranno scelti, come elette spighe, fra i covoni del raccolto.

Non basta amare coloro che vi amano e dai quali sperate un contraccambio. Questo non è un merito, è una gioia, e anche gli uomini naturalmente onesti lo sanno fare. Anche i pubblicani lo fanno e anche i gentili.

Ma voi amate a somiglianza di Dio e amate per rispetto a Dio, che è Creatore anche di quelli che vi sono nemici o poco amabili. Io voglio in voi la perfezione dell’amore e perciò vi dico: “Siate perfetti come perfetto è il Padre vostro che è nei Cieli”.

Tanto è grande il precetto d’amore verso il prossimo, il perfezionamento del precetto d’amore verso il prossimo, che Io più non vi dico come era detto: “Non uccidete”, perché colui che uccide sarà condannato dagli uomini. Ma vi dico: “Non vi adirate” perché un più alto giudizio è su voi e calcola anche le azioni immateriali. Chi avrà insultato il fratello sarà condannato dal Sinedrio. Ma chi lo avrà trattato da pazzo, e perciò danneggiato, sarà condannato da Dio.

Inutile fare offerte all’altare se prima non si è sacrificato nell’interno del cuore i propri rancori per amore di Dio e non si è compito il rito santissimo del saper perdonare. Perciò se quando stai per offrire a Dio tu ti sovvieni di avere mancato verso il tuo fratello o di avere in te rancore per una sua colpa, lascia la tua offerta davanti all’altare, fa prima l’immolazione del tuo amor proprio, riconciliandoti col tuo fratello, e poi vieni all’altare, e santo sarà allora, solo allora, il tuo sacrificio.

Il buon accordo è sempre il migliore degli affari. Precario è il giudizio dell’uomo, e chi ostinato lo sfida potrebbe perdere la causa e dovere pagare all’avversario fino all’ultima moneta o languire in prigione.

Alzate in tutte le cose lo sguardo a Dio. Interrogatevi dicendo: “Ho io il diritto di fare ciò che Dio non fa con me?”. Perché Dio non è così inesorabile e ostinato come voi siete. Guai a voi se lo fosse! Non uno si salverebbe. Questa riflessione vi induca a sentimenti miti, umili, pietosi. E allora non vi mancherà da parte di Dio, qui e oltre, la ricompensa.[…]

Qui, a Me davanti, è anche uno che mi odia e che non osa dirmi: “Guariscimi”, perché sa che Io so i suoi pensieri. Ma Io dico: “Sia fatto ciò che tu vuoi. E come ti cadono le scaglie dagli occhi così ti cadano dal cuore il rancore e le tenebre”.

Andate tutti con la mia pace. Domani ancora vi parlerò».

La gente sfolla lentamente, forse in attesa di un grido di miracolo che non viene.
Anche gli apostoli e i discepoli più antichi, che restano sul monte, chiedono: “Ma chi era? Non è guarito forse?”, e insistono presso il Maestro che è rimasto in piedi, a braccia conserte, a veder scendere la gente.

Ma Gesù sulle prime non risponde; poi dice: “Gli occhi sono guariti. L’anima no. Non può perché è carica di odio”.

“Ma chi è? Quel romano forse?”.

“No. Un disgraziato”.

“Ma perché lo hai guarito, allora?”, chiede Pietro.

“Dovrei fulminare tutti i suoi simili?”.

“Signore… io so che Tu non vuoi che dica: “sì”, e perciò non lo dico… ma lo penso… ed è lo stesso…”.

“È lo stesso, Simone di Giona. Ma sappi che allora… Oh! quanti cuori pieni di scaglie d’odio intorno a Me! Vieni. Andiamo proprio là in cima, a guardare dall’alto il nostro bel mare di Galilea. Io e te soli”.

Estratto di “l’Evangelo come mi è stato rivelato” di Maria Valtorta

V DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO ANNO A (Mt 5,13-16)

TESTO:-
  Dal Vangelo secondo Matteo. (Mt 5,13-16)
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«Voi siete il sale della terra; ma se il sale perde il sapore, con che cosa lo si renderà salato? A null’altro serve che ad essere gettato via e calpestato dalla gente.
Voi siete la luce del mondo; non può restare nascosta una città che sta sopra un monte, né si accende una lampada per metterla sotto il moggio, ma sul candelabro, e così fa luce a tutti quelli che sono nella casa. Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al Padre vostro che è nei cieli». Parola del Signore.

RIFLESSIONI

Se metto un grosso cucchiaio di sale nella zuppa, sarà immangiabile. Ce ne vuole solo un pizzico, che basta ad insaporirla. O, senza utilizzare un’immagine, anche se non ci sono che pochi uomini a sopportare con buon umore, bontà e indulgenza le debolezze del loro prossimo (e le loro, in più!), a non essere solo preoccupati di imporsi, di perseguire i propri scopi e i propri interessi, questo pugno di uomini ha la possibilità di cambiare il proprio ambiente, contribuendo a che il nostro mondo resti umano. Il nostro mondo sarebbe povero, inumano e freddo se non ci fossero uomini che danno prova di questa cordialità e di questa generosità spontanee.
Essere il sale della terra: siamo abbastanza fiduciosi per credere al carattere contagioso della bontà? O ci accontentiamo di temere il potere contagioso del male? Un pizzico di sale basta a dare gusto a tutto un piatto.
Ognuno di noi, anche se si sente isolato, ha la fortuna di poter cambiare il clima che lo circonda! Gesù ci crede capaci: voi siete il sale della terra, voi siete la luce del mondo! Lo siamo?

Rivelazione di Gesù a Maria Valtorta
Corrispondenza nell’“Evangelo come mi è stato rivelato”
di Maria Valtorta
Capitolo 98

Gesù con tutti i suoi -ormai sono in tredici, più Lui- sono, sette per barca, sul lago di Galilea. Gesù è nella barca di Pietro, la prima, insieme a Pietro, Andrea, Simone, Giuseppe e i due cugini. Nell’altra sono i due figli di Zebedeo con gli altri: ossia l’Iscariota, Filippo, Tommaso, Natanaele e Matteo.

Le barche non pescano, sono solo adibite a trasporto delle persone. Gesù è seduto a prua e gode visibilmente della bellezza che lo circonda, dal silenzio, di tutto quell’azzurro puro di cielo e di acque a cui fanno anello sponde verdi, disseminate di paesi tutti bianchi fra il verde.

Si astrae dai discorsi dei discepoli, molto in avanti sulla prora, quasi sdraiato su un fascio di vele, a capo sovente chino su quello specchio di zaffiro che è il lago, come studiasse il fondale e si interessasse di quanto vive in quelle acque limpidissime. Ma chissà a cosa pensa…

Gesù chiede a Pietro: «Quella è Tiberiade?».

«Sì, Maestro. Ora faccio l’accostata».

«Attendi. Puoi metterti in quel seno quieto? Vorrei parlare a voi soltanto».

«Misuro il fondo e te lo so dire».

E Pietro cala una lunga pertica e va lento verso riva.

«Si può, Maestro. Vado ancora contro sponda?».

«Il più che puoi. C’è ombra e solitudine. Mi piace».

Pietro va fin sotto riva. La terra è lontana al massimo un quindici metri.

«Ora toccherei».

«Ferma. E voi venite accosto più che potete e udite».

Gesù lascia il suo posto e viene a sedersi al centro della bar­ca, su una panchetta che va da sponda a sponda. Di fronte ha l’altra barca, intorno gli altri della sua.

«Udite. Vi parrà che Io mi astragga talora dai vostri discor­si e sia perciò un maestro infingardo che non sorveglia la pro­pria scolaresca. Sappiate che l’anima mia non vi lascia un mo­mento.

Avete mai visto un medico che studia uno malato di un male ancora incerto e di contrastanti sintomi? Lo tiene d’oc­chio dopo averlo visitato, lo sorveglia e nel sonno e nella ve­glia, al mattino e alla sera, e nel silenzio e nel parlare, perché tutto può esser sintomo e guida a decifrare il morbo nascosto e ad indicare una cura.

Lo stesso faccio Io con voi. Vi tengo con fili invisibili, ma sensibilissimi, che si innestano in Me e mi trasmettono le anche più lievi vibrazioni del vostro io. Vi la­scio credere di esser liberi, perché vi palesiate sempre più per quello che siete, cosa che avviene quando uno scolaro, o un maniaco, si crede perso di vista dal sorvegliante.

Voi siete un gruppo di persone, ma formate un nucleo, ossia una cosa sola. Perciò siete un complesso che si forma a ente e che va studiato nelle singole sue caratteristiche, più o meno buone, per formarlo, amalgamarlo, smussarlo, accrescerlo nei lati poliedrici e farne un unico “che” perfetto. Perciò Io vi stu­dio. E studio su voi anche mentre voi dormite.

Cosa siete voi? Cosa dovete divenire? Voi siete il sale della Terra. Tali dovete divenire: sale della Terra. Con il sale si pre­servano le carni dalla corruzione e con la carne molte altre derrate. Ma potrebbe il sale salare se non fosse salato?

Con voi Io voglio salare il mondo per renderlo insaporito di sapor cele­ste. Ma come potete salare se mi perdete voi sapore?

Cosa vi fa perdere sapore celeste? Ciò che è umano.

L’acqua del mare, del vero mare, non è buona a bere tanto è salata, non è vero? Eppure, se uno prende una coppa di acqua di mare e la getta in un’idria di acqua dolce, ecco che può bere, perché l’ac­qua di mare è tanto diluita che ha perso il suo mordente. L’umanità è come l’acqua dolce che si mescola alla vostra sal­sedine celeste.

Ancora, se per un supposto si potesse derivare un rio dal mare e immetterlo nell’acqua di questo lago, potre­ste poi voi ritrovare quel filo di acqua salata? No. Si sarebbe perso in tanta acqua dolce.

Così avviene di voi quando immer­gete la vostra missione, meglio: la sommergete, in tanta uma­nità. Siete uomini. Sì. Lo so. Ma, e Io chi sono? Io sono Colui che ha seco ogni forza. E che faccio Io? Io vi comunico questa forza poi che vi ho chiamati. Ma che giova che Io ve la comunichi se voi la disperdete sotto valanghe di senso e di sentimenti uma­ni?

Voi siete, dovete essere, la luce del mondo. Vi ho scelti, Io, Luce di Dio, fra gli uomini, per continuare ad illuminare il mondo dopo che Io sarò tornato al Padre. Ma potete voi dare luce se siete lanterne spente o fumose?

No, che anzi col vostro fumo -peggio è il fumo ambiguo all’assoluta morte di un lu­cignolo- voi offuschereste quel barlume di luce che ancora possono avere i cuori. Oh! miseri quelli che cercando Dio si ri­volgeranno agli apostoli e in luogo di luce avranno fumo! Scandalo e morte ne avranno. Ma maledizione e castigo ne avranno gli apostoli indegni.

Grande sorte la vostra! Ma anche grande, tremendo impegno! Ricordatevi che colui a cui più è dato, più è tenuto a dare. E a voi il massimo è dato, di istruzione e di dono. Siete istruiti da Me, Verbo di Dio, e ricevete da Dio il dono di essere “i di­scepoli”, ossia i continuatori del Figlio di Dio.

Io vorrei che voi meditaste sempre questa vostra elezione, e ancor vi scrutaste, e ancor vi pesaste… e se uno sente di esser atto ad esser fedele -non voglio neppur dire: se uno non si sente che peccatore e im­penitente; dico solo: se uno si sente atto ad esser solo un fedele- ma non sente in sé nerbo di apostolo, si ritiri.

Il mondo, per chi è amante di esso, è tanto vasto, bello, suffi­ciente, vario! Offre tutti i fiori e tutti i frutti atti al ventre e al senso. Io non offro che una cosa: la santità. Questa, sulla Terra, è la cosa più angusta, povera, erta, spinosa, perseguitata che esista. Nel Cielo la sua angustia si muta in immensità, la sua povertà in ricchezza, la sua spinosità in tappeto fiorito, il suo esser erta in sentiero liscio e soave, la sua persecuzione in pace e beatitudine. Ma qui è fatica da eroe esser santi. Io non vi offro che questo.

Volete voi rimanere con Me? Non vi sentite di farlo? Oh! non vi guardate stupiti o addolorati! Mi sentirete fare ancora molte volte questa domanda. E quando la sentirete, pensate che il mio Cuore nel farla piange, perché è ferito dalla vostra sordità alla vocazione.

Esaminatevi, allora, e poi giudicate con onestà e sincerità, e decidete. Per non essere dei reprobi, decidete. Di­te: “Maestro, amici, io conosco di non essere fatto per questa via. Vi do bacio di commiato e vi dico: pregate per me”. Meglio così che tradire. Meglio così…

Che dite? Chi tradire? Chi? Me. La mia causa, ossia la causa di Dio -perché Io sono uno col Padre- e voi. Sì. Vi tradire­ste. L’anima vi tradireste, dandola a Satana. Volete rimanere ebrei? Ed Io non vi forzo a cambiare. Ma non tradite. Non tra­dite la vostra anima, il Cristo e Dio. Io vi giuro che né Io, né i fedeli a Me vi criticheranno, né vi additeranno allo sprezzo delle turbe fedeli.

Poco fa un vostro fratello ha detto una gran­de parola: “Le nostre piaghe e quelle di coloro che amiamo si cerca di tenerle nascoste”. E colui che si separerebbe sarebbe una piaga, una cancrena che, nata nel nostro organismo apo­stolico, si staccherebbe per cancrena completa, lasciando un segno doloroso che con ogni cura terremmo nascosto.

No. Non piangete, o voi migliori. Non piangete. Io non vi porto rancore, né sono intransigente per vedervi così tardi. Sie­te appena presi e non posso pretendere che siate perfetti. Ma non lo pretenderò neppure fra anni, dopo aver detto cento e duecento volte le stesse cose inutilmente.

Anzi, udite, fra anni sarete, almeno alcuni, meno ardenti di ora che siete neofiti. La vita è così… l’umanità è così… Perde lo slancio dopo il primo balzo.

Ma (Gesù si alza di scatto) ma Io vi giuro che Io vincerò. Depurati per naturale selezione, fortificati da soprannaturale mistura, voi migliori diverrete i miei eroi. Gli eroi del Cristo. Gli eroi del Cielo. La potenza dei Cesari sarà polvere rispetto alla regalità del vostro sacerdozio.

Voi, poveri pescatori di Ga­lilea, voi ignoti giudei, voi, numeri fra la massa degli uomini presenti, sarete più noti, acclamati, venerati di Cesare e di tutti i Cesari che ebbe e avrà la Terra.

Voi noti, voi benedetti in un prossimo futuro e nel più remoto dei secoli, sino alla fine del mondo. A questa sublime sorte Io vi eleggo. Voi che siete onesti nella volontà.

E, perché di essa siate capaci, vi do le linee es­senziali del vostro carattere di apostoli. Esser sempre vigili e pronti. I vostri lombi siano cinti, sem­pre cinti, e le vostre lampade accese come è di coloro che da un attimo all’altro devono partire o correre incontro ad uno che ar­riva.

E infatti voi siete, voi sarete, sin che la morte vi fermi, gli instancabili pellegrini alla ricerca di chi è errante; e finché la morte la spenga, la vostra lampada deve esser tenuta alta e ac­cesa per indicare la via agli sviati che vengono verso l’ovile di Cristo. Fedeli dovete essere al Padrone che vi ha preposti a questo servizio. Sarà premiato quel servo che il Padrone trova sempre vigilante e che la morte sorprende in stato di Grazia.

Non pote­te, non dovete dire: “Io sono giovane. Ho tempo di fare questo e quello, e poi pensare al Padrone, alla morte, all’anima mia”. Muoiono i giovani come i vecchi, i forti come i deboli. E all’as­salto della tentazione sono vecchi e giovani, forti e deboli, ugualmente soggetti.

Guardate che l’anima può morire prima del corpo e voi potete portare, senza sapere, in giro un’anima putrida. È così insensibile il morire di un’anima! Come la mor­te di un fiore. Non ha grido, non ha convulsione… china solo la sua fiamma come corolla stanca, e si spegne.

Dopo, molto dopo talora, immediatamente dopo talaltra, il corpo si accorge di portare dentro un cadavere verminoso, e diviene folle di spa­vento, e si uccide per sfuggire a quel connubio…

Oh! non sfug­ge! Cade proprio con la sua anima verminosa su un brulicare di serpi nella Geenna.

Non siate disonesti come sensali o causidici che parteggiano per due opposti clienti, non siate falsi come i politicanti che dicono “amico” a questo e a quello, e poi sono di questo e di quello nemici.

Non pensate di agire in due modi. Dio non si ir­ride e non si inganna. Fate con gli uomini come fate con Dio, perché offesa fatta agli uomini è come fatta a Dio.

Vogliate che Dio veda voi quali volete esser veduti dagli uomini. Siate umili. Non potete rimproverare il vostro Maestro di non esserlo. Io vi do l’esempio. Fate come faccio. Umili, dolci, pazienti. Il mondo si conquista con questo. Non con violenza e forza. Forti e violenti siate contro i vostri vizi. Sradicateli, a costo di lacerarvi anche lembi di cuore.

Vi ho detto, giorni or sono, di vigilare gli sguardi. Ma non lo sapete fare. Io vi dico: meglio sarebbe diveniste ciechi con lo strapparvi gli occhi in­gordi, anziché divenire lussuriosi.

Siate sinceri. Io sono Verità. Nelle eccelse come nelle umane cose. Voglio siate schietti voi pure. Perché andare con inganno o con Me, o coi fratelli, o con il prossimo? Perché giocare di in­ganno?

Che? Tanto orgogliosi qual siete, e non avete l’orgoglio di dire: “Voglio non esser trovato bugiardo”? E schietti siate con Dio. Credete di ingannarlo con forme di orazione lunghe e palesi? Oh! poveri figli! Dio vede il cuore! Siate casti nel fare il bene. Anche nel fare elemosina. Un pubblicano ha saputo esserlo prima della sua conversione. E voi non lo sapreste?

Sì, ti lodo, Matteo, della casta offerta setti­manale che Io e il Padre solo conoscevamo tua, e ti cito ad esempio. È una castità anche questa, amici. Non scoprire la vostra bontà come non scoprireste una figlia giovinetta agli occhi di una folla.

Siate vergini nel fare il bene. È vergine l’at­to buono quando è esente da connubio di pensiero di lode e di stima o da fomite di superbia.

Siate sposi fedeli della vostra vocazione a Dio. Non potete servire due padroni. Il letto nuziale non può accogliere due spose contemporaneamente. Dio e Satana non possono divi­dersi i vostri amplessi. L’uomo non può, e non lo possono né Dio né Satana, condividere un triplice abbraccio in antitesi fra i tre che se lo danno.

Siate alieni da fame d’oro come da fame di carne, da fame di carne come da fame di potenza. Satana questo vi offre. Oh! le sue bugiarde ricchezze! Onori, riuscita, potere, dovizie: mer­cati osceni che hanno a moneta la vostra anima.

Siate contenti del poco. Dio vi dà il necessario. Basta. Que­sto ve lo garantisce come lo garantisce all’uccello dell’aria, e voi siete da ben più degli uccelli. Ma vuole da voi fiducia e mo­rigeratezza. Se avrete fiducia, Egli non vi deluderà. Se avrete morigeratezza, il suo dono giornaliero vi basterà. Non siate pagani, pur essendo, di nome, di Dio. Pagani so­no coloro che, più che Dio, amano l’oro e il potere per apparire dei semidei.

Siate santi e sarete simili a Dio nell’eternità. Non siate intransigenti. Tutti peccatori, vogliate essere con gli altri come vorreste che gli altri con voi fossero: ossia pieni di compatimento e perdono. Non giudicate. Oh! non giudicate! Da poco siete con Me, eppure vedete quante volte già Io, innocente, fui a torto mal giudicato e accusato di peccati inesistenti.

Il mal giudizio è of­fesa. E solo chi è santo vero non risponde offesa ad offesa. Per­ciò astenetevi da offendere per non essere offesi. Non manche­rete così né alla carità né alla santa, cara, soave umiltà, la ne­mica di Satana insieme alla castità.

Perdonate, perdonate sempre. Dite: “Perdono, o Padre, per essere da Te perdonato dei miei infiniti peccati”.

Miglioratevi d’ora in ora, con pazienza, con fermezza, con eroicità. E chi vi dice che divenire buoni non sia penoso? Anzi vi dico: è fatica più grande di tutte. Ma il premio è il Cielo e merita perciò consumarsi in questa fatica.

E amate. Oh! quale, quale parola devo dire per persuadervi all’amore? Nessuna ve ne è atta a convertirvi ad esso, poveri uomini che Satana aizza! E allora, ecco Io dico: “Padre, affret­ta l’ora del lavacro. Questa terra e questo tuo gregge è arido e malato. Ma vi è una rugiada che lo può addolcire e mondare. Apri, apri la fonte di essa. Me apri, Me. Ecco, Padre. Io ardo di fare il tuo desiderio che è il mio e quello dell’Amore eterno. Padre, Padre, Padre! Guarda il tuo Agnello e siine il Sacrifica­tore”».

Gesù è realmente ispirato. Ritto in piedi, a braccia aperte a croce, il volto verso il Cielo, coll’azzurro del lago di dietro, nel­la sua veste di lino, pare un Arcangelo orante. Mi si annulla il vedere su questo suo atto.

Estratto di “l’Evangelo come mi è stato rivelato” di Maria Valtorta

PRESENTAZIONE DEL SIGNORE DOMENICA DELLA IV SETTIMANA DEL TEMPO ORDINARIO ANNO A (Lc 2,22-40)

TESTO:-
Dal Vangelo secondo Luca. (Lc 2,22-40)
Quando furono compiuti i giorni della loro purificazione rituale, secondo la legge di Mosè, Maria e Giuseppe portarono il bambino a Gerusalemme per presentarlo al Signore – come è scritto nella legge del Signore: «Ogni maschio primogenito sarà sacro al Signore» – e per offrire in sacrificio una coppia di tortore o due giovani colombi, come prescrive la legge del Signore.
Ora a Gerusalemme c’era un uomo di nome Simeone, uomo giusto e pio, che aspettava la consolazione d’Israele, e lo Spirito Santo era su di lui. Lo Spirito Santo gli aveva preannunciato che non avrebbe visto la morte senza prima aver veduto il Cristo del Signore.
Mosso dallo Spirito, si recò al tempio e, mentre i genitori vi portavano il bambino Gesù per fare ciò che la Legge prescriveva a suo riguardo, anch’egli lo accolse tra le braccia e benedisse Dio, dicendo:
«Ora puoi lasciare, o Signore, che il tuo servo
vada in pace, secondo la tua parola,
perché i miei occhi hanno visto la tua salvezza,
preparata da te davanti a tutti i popoli:
luce per rivelarti alle genti
e gloria del tuo popolo, Israele».
Il padre e la madre di Gesù si stupivano delle cose che si dicevano di lui. Simeone li benedisse e a Maria, sua madre, disse: «Ecco, egli è qui per la caduta e la risurrezione di molti in Israele e come segno di contraddizione – e anche a te una spada trafiggerà l’anima -, affinché siano svelati i pensieri di molti cuori».
C’era anche una profetessa, Anna, figlia di Fanuèle, della tribù di Aser. Era molto avanzata in età, aveva vissuto con il marito sette anni dopo il suo matrimonio, era poi rimasta vedova e ora aveva ottantaquattro anni. Non si allontanava mai dal tempio, servendo Dio notte e giorno con digiuni e preghiere. Sopraggiunta in quel momento, si mise anche lei a lodare Dio e parlava del bambino a quanti aspettavano la redenzione di Gerusalemme.
Quando ebbero adempiuto ogni cosa secondo la legge del Signore, fecero ritorno in Galilea, alla loro città di Nàzaret. Il bambino cresceva e si fortificava, pieno di sapienza, e la grazia di Dio era su di lui. Parola del Signore.

Forma breve

TESTO:-
Dal Vangelo secondo Luca. (Lc 2,22-32):
Quando furono compiuti i giorni della loro purificazione rituale, secondo la legge di Mosè, Maria e Giuseppe portarono il bambino a Gerusalemme per presentarlo al Signore – come è scritto nella legge del Signore: «Ogni maschio primogenito sarà sacro al Signore» – e per offrire in sacrificio una coppia di tortore o due giovani colombi, come prescrive la legge del Signore.
Ora a Gerusalemme c’era un uomo di nome Simeone, uomo giusto e pio, che aspettava la consolazione d’Israele, e lo Spirito Santo era su di lui. Lo Spirito Santo gli aveva preannunciato che non avrebbe visto la morte senza prima aver veduto il Cristo del Signore.
Mosso dallo Spirito, si recò al tempio e, mentre i genitori vi portavano il bambino Gesù per fare ciò che la Legge prescriveva a suo riguardo, anch’egli lo accolse tra le braccia e benedisse Dio, dicendo:
«Ora puoi lasciare, o Signore, che il tuo servo
vada in pace, secondo la tua parola,
perché i miei occhi hanno visto la tua salvezza,
preparata da te davanti a tutti i popoli:
luce per rivelarti alle genti
e gloria del tuo popolo, Israele». Parola del Signore.

RIFLESSIONI

Il vecchio Simeone, certo della promessa ricevuta, riconosce Gesù e la salvezza di cui il Cristo è portatore e accetta il compiersi della sua esistenza.
Anche Anna, questa profetessa ormai avanti negli anni, che aveva però passato quasi tutta la sua vita in preghiera e penitenza riconosce Gesù e sa parlare di lui a quanti lo attendono. Anna e Simeone, a differenza di molti altri, capiscono che quel bimbo è il Messia perché i loro occhi sono puri, la loro fede è semplice e perché, vivendo nella preghiera e nell’adesione alla volontà del Padre, hanno conquistato la capacità di riconoscere la ricchezza dei tempi nuovi.
Prima ancora di Simeone e Anna è la fede di Maria che permette all’amore di Dio per noi di tramutarsi nel dono offertoci in Cristo Gesù.
Giovanni Paolo II nella “Redemptoris Mater” ci ricorda che “quello di Simeone appare come un secondo annuncio a Maria, poiché le indica la concreta dimensione storica nella quale il Figlio compirà la sua missione, cioè nell’incomprensione e nel dolore” (n. 16).

 

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Rivelazione di Gesù a Maria Valtorta
Corrispondenza nell’“Evangelo come mi è stato rivelato” di Maria Valtorta. Capitolo 32

(1 febbraio 1944)

Vedo partire da una casetta modestissima una coppia di persone. Da una scaletta esterna scende una giovanissima ma­dre con un bambino fra le braccia, avvolto in un panno bianco.

Riconosco questa Mamma nostra. È sempre Lei. Pallida e bionda, snella e tanto gentile in ogni suo atto. È vestita di bianco, col manto in cui si avvolge di un pallido azzurro. Sul capo un velo bianco. Porta con tanta cura il suo Bambino.

Ai piedi della scaletta l’attende Giuseppe presso ad un ciuchino bigio. Giuseppe è vestito tutto di color marrone chiaro, sia nella tunica che nel mantello. Guarda Maria e Le sorride. Quando Maria giunge presso il ciuchino, Giuseppe si passa la briglia dell’asinello sul braccio sinistro e prende per un mo­mento il Bambino, che dorme tranquillo, per permettere a Ma­ria di accomodarsi meglio sulla sella del ciuchino. Poi le rende Gesù e si incamminano.

Giuseppe cammina al fianco di Maria, tenendo sempre per la briglia il somarello e facendo attenzione che questo vada dritto e senza inciampi. Maria tiene in grembo Gesù e, come per tema che il freddo gli possa nuocere, gli stende addosso un lembo del suo mantello. Parlano pochissimo i due sposi, ma si sorridono sovente.

La strada, che non è un modello stradale, si snoda fra una campagna che la stagione fa nuda. Qualche altro viaggiatore si scontra coi due o li raggiunge, ma sono rari.

Poi ecco delle case che si mostrano e delle mura che serra­no una città. I due sposi entrano in essa da una porta e comin­cia il percorso sul selciato (molto sconnesso) cittadino. Il cam­mino diviene molto più difficile, sia perché vi è del traffico che fa fermare tutti i momenti il ciuchino, sia perché lo stesso sulle pietre e sulle buche che sostituiscono le pietre mancanti ha continue scosse, che disturbano Maria e il Bambino.

La strada non è piana. Sale, sebbene lievemente. È stretta fra case alte dalle porticine strette e basse e dalle rade finestre sulla via. In alto il cielo si affaccia con tante fettine di azzurro fra case e case, anzi fra terrazze e terrazze. In basso sulla via vi è gente e vocio, e si incrociano altre persone a piedi, o su somarelli, o conducenti somarelli carichi, e altre dietro ad una in­gombrante carovana di cammelli. Ad un certo punto passa con molto rumore di zoccoli e di armi una pattuglia di legionari ro­mani, che scompaiono oltre un arco posto a cavalcione di una via molto stretta e sassosa.

Giuseppe piega a sinistra e prende una via più larga e più bella. Vedo la cinta merlata, che già conosco, in fondo ad essa.

Maria smonta dal ciuchino presso la porta dove è una specie di posteggio per altri somarelli. Dico «posteggio» perché è una specie di capannone, meglio, di tettoia, dove è paglia sparsa e dei paletti con degli anelli per legare i quadrupedi.

Giuseppe dà alcune monete ad un ometto accorso e con esse acquista un poco di fieno, e attinge un secchio d’acqua da un pozzo rudimentale che è in un angolo, e li dà al ciuchino. Poi raggiunge Maria ed ambedue entrano nel recinto del Tempio.

Si dirigono prima verso un porticato, dove vi sono quelli che Gesù poi fustigò egregiamente: i venditori di tortore e agnelli e i cambiavalute. Giuseppe acquista due colombini bianchi. Non cambia il denaro. Si capisce che ha già quello che gli occorre.

Giuseppe e Maria si dirigono ad una porta laterale che ha otto gradini, come mi pare abbiano tutte le porte, quasi che il cubo del Tempio sia sopraelevato dal resto del suolo. Questa porta ha un grande atrio, come i portoni delle nostre case di città, per darle un’idea, ma più vasto e ornato. In esso vi sono a destra e a sinistra due specie di altari, ossia due costruzioni rettangolari, di cui sul principio non capisco bene lo scopo. Sembrano delle basse conche, perché l’interno è più basso dell’orlo esterno, che si sopraeleva di qualche centimetro.

Non so se chiamato da Giuseppe o se venuto di suo, accorre un sacerdote. Maria offre i due poveri colombi ed io, che capi­sco la loro sorte, volgo altrove lo sguardo. Osservo gli ornati del pesantissimo portale, del soffitto, dell’atrio. Mi pare però di vedere, con la coda dell’occhio, che il sacerdote asperga Ma­ria con dell’acqua. Deve essere acqua, perché non vedo mac­chie sul suo abito. Poi Maria, che insieme ai colombini aveva dato un mucchietto di monete al sacerdote (mi ero dimenticata di dirlo) entra con Giuseppe nel Tempio vero e proprio, accom­pagnata dal sacerdote.

Io guardo da tutte le parti. È un luogo ornatissimo. Sculture a teste d’angeli e palme e ornati corrono sulle colonne, le pareti e il soffitto. La luce penetra da curiose finestre lunghe, strette, naturalmente senza vetri, e tagliate diagonalmente alla parete. Suppongo che sia per impedire agli acquazzoni di entrare.

Maria si inoltra sino ad un certo punto. Poi si arresta. A qualche metro da Lei vi sono degli altri gradini e su questi sta un’altra specie di altare, oltre il quale vi è un’altra costruzione.

Mi accorgo che credevo essere nel Tempio e invece ero in ciò che contorna il Tempio vero e proprio, ossia il Santo, oltre il quale pare che nessuno, fuorché i sacerdoti, possano entrare. Quello che io credevo Tempio non è perciò che un chiuso vesti­bolo, che da tre parti cinge il Tempio, dove è chiuso il Taberna­colo. Non so se mi sono spiegata per bene. Ma non sono archi­tetto o ingegnere.

Maria offre il Bambino -che si è svegliato e gira i suoi oc­chietti innocenti intorno con lo sguardo stupito degli infanti di pochi giorni- al sacerdote. Questo Lo prende sulle braccia e Lo solleva a braccia tese, volto verso il Tempio, stando contro a quella specie di altare che sta su quei gradini. Il rito è compiu­to. Il Bambino viene restituito alla Mamma e il sacerdote se ne va.

Vi è della gente che guarda curiosa. Fra questa si fa largo un vecchietto curvo e arrancante, che si appoggia ad un basto­ne. Deve essere molto vecchio, direi certo oltre gli ottant’anni. Egli si accosta a Maria e Le chiede di dargli per un attimo il Piccino. Maria lo accontenta sorridendo.

Simeone, che io ho sempre creduto appartenesse alla casta sacerdotale e invece è un semplice fedele, almeno a giudicare dalla veste, Lo prende, Lo bacia. Gesù gli sorride con la smorfietta incerta dei poppanti. Sembra che lo osservi curioso, per­ché il vecchietto piange e ride insieme, e le lacrime fanno tutto un ricamo di luccichii insinuandosi fra le rughe e imperlando la barba lunga e bianca, verso la quale Gesù tende le manine.

È Gesù, ma è sempre un bambinello, e ciò che gli si muove da­vanti attira la sua attenzione e gli dà velleità di afferrare quel­la cosa per capire meglio cosa è. Maria e Giuseppe sorridono, e anche i presenti, che lodano la bellezza del Piccino.

Sento le parole del santo vecchio e vedo lo sguardo stupito di Giuseppe, quello commosso di Maria, e anche quelli della piccola folla, in parte stupita e commossa e in parte, alle paro­le del vecchio, presa da ilarità. Fra questi vi sono dei barbuti e tronfi sinedristi, che scuotono il capo, guardando Simeone con compatimento ironico. Lo devono pensare andato fuor di cer­vello per l’età.

Il sorriso di Maria si spegne in un più vivo pallore quando Simeone Le annuncia il dolore.

Per quanto Ella sappia, questa parola le trafigge lo spirito. Si avvicina di più a Giuseppe, Ma­ria, per confortarsi, si stringe con passione il suo Bambino al seno e beve, come anima assetata, le parole di Anna, a sua vol­ta sopraggiunta, la quale, donna come è, ha pietà del suo sof­frire e le promette che l’Eterno le addolcirà di una forza so­prannaturale l’ora del dolore.

«Donna, a Chi ha dato il Salva­tore al suo popolo non mancherà il potere di dare il suo Angelo a confortare il tuo pianto. Non è mai mancato l’aiuto del Si­gnore alle grandi donne d’Israele, e Tu sei ben più di Giuditta e di Giaele. Il nostro Dio ti darà cuore di oro purissimo per resi­stere al mare di dolore, per cui sarai la più grande Donna della creazione, la Madre. E Tu, Bambino, ricordati di me nell’ora della tua missione».

E qui mi cessa la visione.

 

(2 febbraio 1944)

Dice Gesù:

«Due insegnamenti per tutti sgorgano dalla descrizione che hai data.

Il primo: non al sacerdote immerso nei riti ma con lo spirito assente, sebbene ad un semplice fedele si svela la verità.

Il sacerdote, sempre a contatto con la Divinità, volto alla cura di quanto ha attinenza con Dio, dedicato a tutto quanto e più alto della carne, avrebbe dovuto intuire subito chi era il Bambino che veniva offerto al Tempio quella mattina.

Ma, perché potesse intuire, occorreva che avesse uno spirito vivo. Non unicamente una veste ricoprente uno spirito, se non morto, molto assonnato.

Lo Spirito di Dio può, se vuole, tuonare e scuotere come folgore e terremoto anche lo spirito più ottuso. Lo può ma generalmente, poiché è Spirito di ordine come è ordine Dio in ogni sua Persona e modo di agire, Esso si effonde e parla non dico dove è merito sufficiente a ricevere la sua effusione -allora ben poche volte si effonderebbe, e tu pure non ne conosceresti le luci- ma là dove vede la “buona volontà” di meritare la sua effusione.

Come si esplica questa buona volontà?

Con una vita fatta, per quanto vi è possibile, tutta di Dio. Nella fede, nell’ubbi­dienza, nella purezza, nella carità, nella generosità, nella pre­ghiera. Non nelle pratiche, nella preghiera. Vi è differenza minore fra la notte e il giorno che non fra le pratiche e la preghiera. Questa è comunione di spirito con Dio, dalla quale uscite rinvigoriti e decisi a sempre più essere di Dio. L’altra è una abitudine qualunque, fatta per scopi diversi ma sempre egoi­sti, la quale vi lascia quelli che siete, anzi vi aggrava di una colpa di menzogna e di accidia.

Simeone aveva questa buona volontà. La vita non gli aveva risparmiato affanni e prove. Ma egli non aveva perduto la sua buona volontà.

Gli anni e le vicende non avevano intaccato e scosso la sua Fede nel Signore, nelle sue promesse, e non aveva­no stancato la sua buona volontà d’esser sempre più degno di Dio. E Dio, prima che gli occhi del servo fedele si chiudessero alla luce del sole, in attesa di riaprirsi al Sole di Dio rutilante dai Cieli aperti al mio salire dopo il Martirio, gli mandò il rag­gio dello Spirito che lo guidasse al Tempio, per vedere la Luce venuta al mondo.

“Mosso da Spirito Santo”, dice il Vangelo. Oh! se gli uomini sapessero quale Amico perfetto è lo Spirito Santo, quale Gui­da, quale Maestro! Se Lo amassero e Lo invocassero, questo Amore della SS. Trinità, questa Luce della Luce, questo Fuoco del Fuoco, questa Intelligenza, questa Sapienza! Quanto più saprebbero di ciò che è necessario sapere!

Vedi, Maria; vedete, figli. Simeone ha atteso tutta una lunga vita di “vedere la Luce”, di sapere compiuta la promessa di Dio. Ma non ha mai dubitato. Non si è mai detto: “È inutile che io perseveri nello sperare e nel pregare”. Ha perseverato. E ha ottenuto di “vedere” ciò che non videro il sacerdote e i sine­dristi pieni di superbia e di opacità: il Figlio di Dio, il Messia, il Salvatore in quelle carni infantili che gli davano tepore e sorrisi.

Ha avuto il sorriso di Dio, primo premio della sua vita onesta e pia, attraverso le mie labbra di Bambino.

Seconda lezione: le parole di Anna. Anche ella, profetessa, vede in Me, neonato, il Messia. E questo, data la sua capacità di profezia, è naturale. Ma ascolta, ascoltate ciò che, spinta da Fede e da carità, dice a mia Madre. E fatevene luce al vostro spirito, che trema in questo tempo di tenebre e in questa festa della Luce. “A Chi ha dato un Salvatore non mancherà il pote­re di dare il suo Angelo a confortare il tuo, il vostro pianto”.

Pensate che Dio ha dato Se stesso per annullare l’opera di satana negli spiriti.

E non potrà vincere ora i satana che vi torturano? Non potrà asciugare il vostro pianto, sgominando questi satana e mandando da capo la pace del suo Cristo? Per­ché non glielo chiedete, con Fede? Fede vera, prepotente, una Fede davanti alla quale il rigore di Dio, sdegnato da tante vo­stre colpe, cada con un sorriso e venga il perdono che è aiuto, e venga la sua benedizione ad essere arcobaleno su questa Terra che si sommerge in un diluvio di sangue voluto da voi stessi?

Pensate: il Padre, dopo aver punito gli uomini col diluvio, disse a Se stesso e al suo patriarca: “Io non maledirò più la Terra a causa degli uomini, perché i sensi e i pensieri del cuore umano sono inclinati al male fin dall’adolescenza; quindi non colpirò più ogni vivente come ho fatto”.

Ed è stato fedele alla sua parola. Non ha più mandato il diluvio. Ma voi quante volte vi siete detti, e avete detto a Dio: “Se ci salviamo questa volta, se ci salvi, non faremo mai più guerre, mai più”, e poi ne avete sempre fatte di più tremende? Quante volte, o falsi e senza ri­spetto per il Signore e per la parola vostra? Eppure Dio vi aiu­terebbe ancora una volta, se la gran massa dei fedeli Lo chia­masse con Fede e amore prepotente.

Mettete -o voi tutti che, troppo pochi per controbilanciare i molti che mantengono vivo il rigore di Dio, rimanete però a Lui devoti nonostante l’ora tremenda che incombe e cresce di attimo in attimo- mettete il vostro affanno ai piedi di Dio. Egli saprà mandarvi il suo Angelo come ha mandato il Salvatore al mondo.

Non temete. State uniti alla Croce. Essa ha vinto sempre le insidie del demonio, che viene con la ferocia degli uomini e le tristezze della vita a cercare di piegare alla dispe­razione, ossia alla separazione da Dio, i cuori che non può prendere in altra maniera».

Estratto di “l’Evangelo come mi è stato rivelato” di Maria Valtorta

III DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO ANNO A Mt 4,12-17.23-25

TESTO:-
Dal Vangelo secondo Matteo. (Mt 4,12-17-2325)
Quando Gesù seppe che Giovanni era stato arrestato, si ritirò nella Galilea, lasciò Nàzaret e andò ad abitare a Cafàrnao, sulla riva del mare, nel territorio di Zàbulon e di Nèftali, perché si compisse ciò che era stato detto per mezzo del profeta Isaìa:
«Terra di Zàbulon e terra di Nèftali,
sulla via del mare, oltre il Giordano,
Galilea delle genti!
Il popolo che abitava nelle tenebre
vide una grande luce,
per quelli che abitavano in regione e ombra di morte
una luce è sorta».
Da allora Gesù cominciò a predicare e a dire: «Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino».
Mentre camminava lungo il mare di Galilea, vide due fratelli, Simone, chiamato Pietro, e Andrea suo fratello, che gettavano le reti in mare; erano infatti pescatori. E disse loro: «Venite dietro a me, vi farò pescatori di uomini». Ed essi subito lasciarono le reti e lo seguirono. Andando oltre, vide altri due fratelli, Giacomo, figlio di Zebedèo, e Giovanni suo fratello, che nella barca, insieme a Zebedeo loro padre, riparavano le loro reti, e li chiamò. Ed essi subito lasciarono la barca e il loro padre e lo seguirono.
Gesù percorreva tutta la Galilea, insegnando nelle loro sinagoghe, annunciando il vangelo del Regno e guarendo ogni sorta di malattie e di infermità nel popolo. La sua fama si diffuse per tutta la Siria e conducevano a lui tutti i malati, tormentati da varie malattie e dolori, indemoniati, epilettici e paralitici; ed egli li guarì. Grandi folle cominciarono a seguirlo dalla Galilea, dalla Decàpoli, da Gerusalemme, dalla Giudea e da oltre il Giordano. Parola del Signore.

Forma breve

TESTO:-
Dal Vangelo secondo Matteo. (Mt 4,12-17)
Quando Gesù seppe che Giovanni era stato arrestato, si ritirò nella Galilea, lasciò Nàzaret e andò ad abitare a Cafàrnao, sulla riva del mare, nel territorio di Zàbulon e di Nèftali, perché si compisse ciò che era stato detto per mezzo del profeta Isaìa:
«Terra di Zàbulon e terra di Nèftali,
sulla via del mare, oltre il Giordano,
Galilea delle genti!
Il popolo che abitava nelle tenebre
vide una grande luce,
per quelli che abitavano in regione e ombra di morte
una luce è sorta».
Da allora Gesù cominciò a predicare e a dire: «Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino». Parola del Signore.

RIFLESSIONI

La nostra esistenza cristiana assomiglia un po’ alla Galilea dei tempi di Gesù, una specie di crocevia di pagani. I pagani che ci circondano ma anche il pagano che sonnecchia in ognuno di noi. Coloro che negano il Verbo di Dio fatto carne e colui che agisce come se Cristo non fosse venuto.
Ascoltiamo Gesù dire dopo Giovanni il precursore: “Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino”. Convertirsi, uscire dalle proprie abitudini, dalle opinioni correnti, per discernere i segni del regno già presente e che viene. Apriamo le finestre del nostro cuore per lasciare entrare la luce di Dio.
La grande Epifania è seguita dalle molteplici epifanie della nostra vita, dalle diverse manifestazioni del Signore, che vanno dalla guarigione spirituale al riconoscimento della presenza, in ogni sacramento.
Siamo tra la folla che accorre al lieto messaggio, o rimaniamo sulla riva, indifferenti al suo passaggio?

III DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO ANNO A Mt 4,12-17.23-25

Rivelazione di Gesù a Maria Valtorta
Corrispondenza nell’“Evangelo come mi è stato rivelato” di Maria Valtorta. Capitolo 49

(13 ottobre 1944)

Gesù viene avanti per una piccola stradetta, un sentiero fra due campi. È solo. Giovanni procede verso di Lui da tutt’altro viottolo fra i campi, e Lo raggiunse alfine, passando per un vano fra la siepe. Giovanni, tanto nella visione di ieri come oggi, è tutt’affatto giovanetto.

Un volto roseo e imberbe di uomo appena fatto, e biondo per giunta. Perciò non un segno di barba o di baffi, ma solo il rosato delle guance lisce e delle labbra rosse e la luce ridente del suo bel sorriso e dello sguardo puro, non tanto per il suo colore di turchese cupa, quanto per la limpidità dell’anima vergine che vi traspare. I capelli biondo castani e soffici, ondeggiano nel passo veloce quasi quanto una corsa. Chiama, quando sta per passare la siepe:

“ Maestro!”.

Gesù si arresta e si volge con un sorriso.

“Maestro, ti ho tanto desiderato! Mi hanno detto, nella casa dove stai che eri venuto verso la campagna… Ma non dove. E temevo di non vederti”.

Giovanni parla lievemente curvo per il rispetto. Eppure è pieno di confidente affetto nella sua attitudine e nello sguardo che, stando col capo lievemente piegato sulla spalla, eleva verso Gesù.

“Ho visto che mi cercavi e sono venuto verso di te”.

“Mi hai visto? Dove eri, Maestro?”.

“Là ero”.

E Gesù accenna ad un ciuffo d’alberi lontani che, per la tinta della chioma, direi ulivi.

“Là ero. Pregavo e pensavo a quanto dirò questa sera nella sinagoga. Ma ho lasciato subito non appena ti ho visto”.

“Ma come hai fatto a vedermi se io appena vedo quel luogo, nascosto come è dietro quel ciglio?”.

“Eppure lo vedi? Ti sono venuto incontro perché ti ho visto. Ciò che non fa l’occhio, fa l’amore”.

“Sì, fa l’amore. Mi ami dunque, Maestro?”.

“E tu mi ami, Giovanni, figlio di Zebedèo?”.

“Tanto, Maestro. Mi pare di averti sempre amato. Prima di averti conosciuto, prima ancora, l’anima mia ti cercava, e quando ti ho visto essa mi ha detto: Ecco Quello che cerchi. Io credo che ti ho incontrato perché la mia anima ti ha sentito”.

“Tu lo dici, Giovanni, e dici giusto. Io pure ti sono venuto incontro perché l’anima mia ti ha sentito. Per quanto mi amerai?”.

“Per sempre, Maestro. Non voglio amare più altri che Tu non sia”.

“Hai padre, madre, fratelli e sorelle, hai la vita, e con la vita la donna e l’amore. Come farai a lasciare tutto per Me?”.

“Maestro… non so… ma mi pare, se non è superbia dirlo, che la tua predilezione mi terrà posto di padre, madre e fratelli e sorelle e anche della donna. Di tutto, sì, di tutto mi terrò sazio se Tu mi amerai”.

“E quel giorno che Io avessi a morire..”.

“No!, sei giovane, Maestro… Perché morire?”.

“Perché il Messia è venuto per predicare la Legge nella sua verità e per compier la Redenzione. E il mondo aborre la Legge né vuole la Redenzione. Perciò perseguita i messaggeri di Dio”.

“Oh! ciò non sia! Non lo dire a chi ti ama, questo pronostico di morte!… Ma se Tu avessi a morire, amerò ancora Te. Lascia che io ti ami”.

Giovanni ha lo sguardo supplice. Più chinato che mai, cammina a fianco a Gesù e pare che mendichi amore. Gesù si ferma. Lo guarda, lo trapana con lo sguardo del suo occhio profondo, e poi gli pone la mano sul capo chino.

“Voglio che tu mi ami”.

“Oh! Maestro!”.

Giovanni è felice. Per quanto la sua pupilla sia lucida di pianto, ride con la bocca ben disegnata, e prende la mano divina e la bacia sul dorso e se la stringe al cuore. Riprendono il cammino.

“Hai detto che mi cercavi…”.

“Sì, per dirti che i miei amici ti vogliono conoscere… e perché, oh! come avevo voglia di stare con Te ancora! Ti ho lasciato da poche ore… ma non potevo già più stare senza di Te”.

“Sei stato dunque un buon annunziatore del Verbo?”.

“Ma anche Giacomo, Maestro, ha parlato di Te in modo da… convincere”.

“In che modo che anche chi diffidava -né è colpevole, perché prudenza era causa del suo riserbo- si è persuaso. Andiamo a farlo del tutto sicuro”.

“Aveva un poco paura”.

“No! Non paura di Me! Sono venuto per i buoni e più per chi è in errore. Io voglio salvare. Non condannare. Con gli onesti sarò tutto misericordia”.

“E coi peccatori?”.

“Anche. Per disonesti intendo quelli che hanno la disonestà spirituale e ipocritamente si fingono buoni mentre fanno opere malvagie. E tali cose fanno e in tal modo per avere utile proprio e ricavare utile dal prossimo. Con questi sarò severo”.

“Oh! Simone, allora, può star sicuro. È schietto come nessun altro”.

“Così mi piace e voglio siate tutti”.

“Vuol dirti tante cose, Simone”.

“Lo ascolterò dopo aver parlato nella sinagoga. Ho fatto avvisare poveri e malati oltre che ricchi e sani. Tutti hanno bisogno della Buona Novella”.

Il paese si avvicina. Dei bambini giuocano sulla strada e uno, correndo, viene a sbattere fra le gambe di Gesù e cadrebbe, se Egli non fosse sollecito ad afferrarlo. Il bambino piange lo stesso, come se si fosse fatto male, e Gesù gli dice tenendolo in braccio:

“Un israelita che piange? Che avrebbero dovuto fare i mille e mille bambini che sono divenuti uomini valicando il deserto dietro a Mosè? Eppure più per loro che per gli altri -perché l’Altissimo ha amore degli innocenti e provvede ai passeri del bosco e della gronda- proprio per questi ha fatto scendere la manna tanto dolce. Ti piace il miele? Sì? Ebbene, se sarai buono mangerai un miele più dolce di quello delle tue api”.

“Dove? Quando?”.

“Quando, dopo una vita di fedeltà a Dio, andrai a Lui”.

“Io so che non vi andrò se non viene il Messia. La mamma mi dice che per ora noi di Israele siamo come tanti Mosè e moriamo in vista della Terra Promessa. Dice che stiamo lì ad aspettare di entrarvi e che solo il Messia ci farà entrare”.

“Ma che bravo piccolo israelita! Ebbene Io ti dico che quando tu morrai entrerai subito in Paradiso, perché il Messia avrà già aperto le porte del Cielo. Però devi essere buono”.

“Mamma! Mamma!”.

Il bambino scivola dalle braccia di Gesù e corre incontro ad una giovane sposa, che rientra con un’anfora di rame.

“Mamma! Il nuovo Rabbi mi ha detto che io andrò subito in Paradiso quando morirò e mangerò tanto miele… ma se sono buono. Sarò buono!”.

“Lo voglia Dio. Scusa. Maestro, se ti ha dato noia. È tanto vivace!”.

“L’innocenza non dà noia, donna. Dio ti benedica, perché sei una madre che alleva i figli nella conoscenza della Legge”.

La donna si fa rossa alla lode e risponde: “A Te pure la benedizione di Dio” e scompare col suo piccolo”.

“Ti piacciono i bambini, Maestro?”.

“Sì, perché sono puri… e sinceri… e amorosi”.

“Hai dei nipoti, Maestro?”.

“Non ho che una Madre… Ma in Lei c’è la purezza, la sincerità, l’amore dei pargoli più santi, insieme alla sapienza, giustizia e fortezza degli adulti. Ho tutto in mia Madre, Giovanni”.

“E l’hai lasciata?”.

“Dio è sopra anche alla più santa delle madri”.

“La conoscerò io?”.

“La conoscerai”.

“E mi amerà?”.

“Ti amerà perché Ella ama chi ama il suo Gesù”.

“Allora non hai fratelli?”.

“Ho dei cugini da parte del marito di mia Madre. Ma ogni uomo mi è fratello e per tutti sono venuto. Eccoci davanti alla sinagoga. Io entro, e tu mi raggiungerai coi tuoi amici”.

Giovanni se ne va e Gesù entra in una stanza quadrata col solito apparato di lumi a triangolo e di leggii con rotoli di pergamena. Vi è già folla in attesa e in preghiera. Anche Gesù prega. La folla bisbiglia e commenta dietro a Lui, che si curva a salutare il capo della sinagoga e poi si fa dare a caso un rotolo. Gesù inizia la lezione. Dice:

“Queste cose lo Spirito mi fa leggere per voi. Nel capo settimo del libro di Geremia si legge: Queste cose dice il Signore degli eserciti, Dio d’Israele: ‘Emendate i vostri costumi e i vostri affetti e allora abiterò con voi in questo luogo. Non vi cullate nelle parole vane da voi ripetute: c’è qui il Tempio del Signore, il Tempio del Signore, il Tempio del Signore.

Perché se voi migliorerete i vostri costumi e i vostri affetti, se renderete giustizia fra l’uomo e il suo prossimo, se non opprimerete lo straniero, l’orfano e la vedova, se non spargerete in questo luogo il sangue innocente, se non andrete dietro a dèi stranieri, per vostra sventura, allora Io abiterò con voi in questo luogo, nella terra che Io diedi ai vostri padri per secoli e secoli’.

“Udite, o voi d’Israele. Ecco che Io vengo ad illuminarvi le parole di luce che la vostra anima offuscata non sa più vedere e capire. Udite. Molto pianto scende sulla terra del Popolo di Dio e piangono i vecchi che ricordano le antiche glorie, piangono gli adulti piegati al giogo, piangono i fanciulli che non hanno avvenire di futura gloria. Ma la gloria sulla terra è nulla rispetto ad una gloria che nessun oppressore, che non sia Mammona e la mala volontà, possono strappare.

Perché piangete? Come l’Altissimo, che fu sempre buono per il popolo suo, ora ha girato altrove il suo sguardo e nega ai suoi figli di vederne il Volto? Non è più il Dio che aperse il mare e ne fece passare Israele e per arene condusse e nutrì, e contro nemici o difese e, perché non smarrisse la via del Cielo, come diede ai corpi la nuvola, diede alle anime la Legge?

Non è più il Dio che addolcì le acque e fece venire manna agli sfiniti? Non è il Dio che vi volle stabilire in questa terra e con voi strinse alleanza di Padre a figli? E allora perché ora lo straniero vi ha percossi? Molti fra voi mormorano: ‘Eppure qui è il Tempio!’.

Non basta avere il Tempio e in quello andare a pregare Iddio. Il primo tempio è nel cuore di ogni uomo, e in quello va fatta preghiera santa. Ma santa non può essere se prima il cuore non si emenda e col cuore non si emendano i costumi, gli affetti, le norme di giustizia verso i poveri, verso i servi, verso i parenti, verso Dio.

Ora guardate. Io vedo ricchi dal cuore duro che fanno ricche offerte al Tempio, ma non sanno dire al povero: ‘Fratello, ecco un pane e un denaro. Accettalo. Da cuore a cuore, e non t’avvilisca l’aiuto come a me non dia superbia il dartelo’.

Ecco: Io vedo oranti che si lamentano con Dio che non li ascolta prontamente, ma poi, al misero, e talora è loro sangue, che gli dice: ‘Ascoltami’, rispondono con cuore di selce: ‘No’.

Ecco, Io vedo che voi piangete perché la vostra borsa è spremuta dal dominatore. Ma poi voi spremete sangue a chi odiate, e di far vuoto un corpo di sangue e vita non avete orrore. O voi di Israele! Il tempo della Redenzione è giunto. Ma preparatene le vie in voi con la buona volontà.

Siate onesti, buoni, amatevi gli uni con gli altri. Ricchi, non sprezzate; mercanti, non frodate; poveri, non invidiate. Siete tutti di un sangue e di un Dio. Siete tutti chiamati ad un destino. Non chiudetevi il Cielo, che il Messia vi aprirà, con i vostri peccati.

Avete sin qui errato? Ora non più. Ogni errore cada. Semplice, buona, facile è la Legge che torna ai dieci comandi iniziali, ma tuffati in luce d’amore. Venite. Io ve li mostrerò quali sono: amore, amore, amore. Amore di Dio a voi, di voi a Dio. Amore fra prossimo. Sempre amore, perché Dio è Amore e i figli del Padre sono coloro che sanno vivere l’amore.

Io sono qui per tutti e per dare a tutti la luce di Dio. Ecco la Parola del Padre che si fa cibo in voi. Venite, gustate, cambiate il sangue dello spirito con questo cibo. Ogni veleno cada, ogni concupiscenza muoia. Una gloria nuova vi è posta: quella eterna, e a lei verranno coloro che faranno la Legge di Dio vero studio del loro cuore.

Iniziate dall’amore. Non vi è cosa più grande. Ma quando saprete amare, saprete già tutto, e Dio vi amerà, e amore di Dio vuol dire aiuto contro ogni tentazione. La benedizione di Dio sia su chi volge a Lui cuore pieno di buona volontà”.

Gesù tace. La gente bisbiglia. L’adunanza si scioglie dopo inni cantati molto salmodiandoli. Gesù esce sulla piazzetta. Sulla porta sono Giovanni e Giacomo con Pietro e Andrea.

“La pace sia con voi”. dice Gesù e aggiunge: “Ecco l’uomo che per essere giusto ha bisogno di non giudicare senza prima conoscere. Ma che però è onesto nel riconoscere il suo torto. Simone, hai voluto vedermi? Eccomi. E tu, Andrea, perché non sei venuto prima?”.

I due fratelli si guardano imbarazzati. Andrea mormora: “Non osavo..”.

Pietro, rosso, non dice nulla. Ma quando sente che Gesù dice al fratello: “Facevi del male a venire? Solo il male non si deve osare di farlo”, subito interviene schietto: “Sono stato io. Lui voleva condurmi subito da Te. Ma io…. io ho detto… Sì. Ho detto: “Non ci credo”, e non ho voluto. Oh! ora sto meglio!..”.

Gesù sorride. E poi dice: “E per la tua sincerità Io ti dico che ti amo”.

“Ma io… io non sono buono… non sono capace di fare quello che Tu hai detto nella sinagoga. Io sono iracondo, e se qualcuno mi offende… eh!… Io sono avido e mi piace aver denaro… e nel mio mercato di pesce… eh!… non sempre… non sempre sono stato senza frode. E sono ignorante. E ho poco tempo da seguirti per avere la luce. Come farò? Io vorrei diventare come Tu dici… ma…”.

“Non è difficile, Simone. Sai un poco la Scrittura? Sì? Ebbene, pensa al profeta Michea. Dio da te vuole quello che dice Michea. Non ti chiede di strapparti il cuore, né di sacrificare gli affetti più santi. Per ora non te lo chiede. Un giorno tu, senza richiesta da Dio, darai a Dio anche te stesso. Ma Egli attende che un sole e una rugiada, di te, filo d’erba, abbiano fatto palma robusta e gloriosa.

Per ora Egli ti chiede questo: praticare giustizia, amare la misericordia, mettere ogni cura nel seguire il tuo Dio. Sforzati a fare questo e il passato di Simone sarà cancellato e tu diverrai l’uomo nuovo, l’amico di Dio e del suo Cristo. Non più Simone. Ma Cefa. Pietra sicura a cui mi appoggio”.

“Questo mi piace! Questo lo capisco. La Legge è così… è così… ecco, io quella non la so più fare come l’hanno fatta i rabbini!… Ma questo che Tu dici, sì. Mi pare che ci riuscirò. E Tu mi aiuterai. Stai qui di casa? Conosco il padrone”.

“Qui sto. Ma ora andrò a Gerusalemme e poi predicherò per la Palestina. Sono venuto per questo. Ma verrò qui sovente”.

“Io verrò ad udirti ancora. Voglio essere tuo discepolo. Un poco di luce entrerà nella mia testa”.

“Nel cuore soprattutto, Simone. Nel cuore. E tu, Andrea, non parli?”.

“Ascolto, Maestro”.

“Mio fratello è timido”.

“Diverrà un leone. La sera scende. Dio vi benedica e vi dia buona pesca. Andate”.

“La pace a Te”.

Se ne vanno. Appena fuori, Pietro dice:

“Ma che avrà voluto dire prima, quando diceva che pescherò con altre reti e farò altre pesche?”.

“Perché non glielo hai chiesto? Volevi dire tanto e poi quasi non parlavi”.

“Mi… vergognavo. È così diverso da tutti i rabbi!”.

“Ora va a Gerusalemme…”.

Giovanni dice questo con tanto desiderio e nostalgia.

“Io volevo dirgli se mi lasciava andare con Lui… e non ho osato”.

“Vaglielo a dire, ragazzo”. dice Pietro.

“Lo abbiamo lasciato così… senza una parola di amore… Almeno sappia che Lo ammiriamo. Va’, va’. A tuo padre lo dico io”.

“Vado, Giacomo?”.

“Va’!”.

“Giovanni parte di corsa… e di corsa torna giubilante.

“Gli ho detto: ‘Mi vuoi con Te a Gerusalemme?’ Mi ha risposto: ‘Vieni, amico”. Amico, ha detto! Domani a quest’ora verrò qui. Ah! A Gerusalemme con Lui!”. La visione ha fine.

Estratto di “l’Evangelo come mi è stato rivelato” di Maria Valtorta

II DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO ANNO A (Gv 1,29-34)

TESTO:-
Dal Vangelo secondo Giovanni. (Gv 1,29-34)
In quel tempo, Giovanni, vedendo Gesù venire verso di lui, disse: «Ecco l’agnello di Dio, colui che toglie il peccato del mondo! Egli è colui del quale ho detto: “Dopo di me viene un uomo che è avanti a me, perché era prima di me”. Io non lo conoscevo, ma sono venuto a battezzare nell’acqua, perché egli fosse manifestato a Israele».
Giovanni testimoniò dicendo: «Ho contemplato lo Spirito discendere come una colomba dal cielo e rimanere su di lui. Io non lo conoscevo, ma proprio colui che mi ha inviato a battezzare nell’acqua mi disse: “Colui sul quale vedrai discendere e rimanere lo Spirito, è lui che battezza nello Spirito Santo”. E io ho visto e ho testimoniato che questi è il Figlio di Dio». Parola del Signore.

RIFLESSINI

Il Dio che viene ad incontrarci nella Bibbia non regna, indifferente alla sofferenza umana, in una lontananza beata. E’ un Dio che, al contrario, si prende a cuore tutta questa sofferenza. Lui la conosce (Es 3,7). La notizia di Dio che si fa uomo in Gesù non ci lascia di sasso: Dio viene nel cuore della nostra vita, si lascia toccare dalla nostra sofferenza umana, si pone con noi le nostre domande, si compenetra della nostra disperazione: “Mio Dio, perché mi hai abbandonato?” (Mc 15,34). Giovanni Battista dice di Gesù: “Ecco l’Agnello di Dio, che toglie il peccato del mondo”. Ecco questo Dio che si lascia ferire dalla cattiveria dell’uomo, che si lascia commuovere dalla sofferenza di questa terra.
Egli ha voluto avvicinarsi il più possibile a noi, è nel seno della nostra vita, con i suoi dolori e le sue contraddizioni, le sue falle e i suoi abissi.
È in questo che la nostra fede cristiana si distingue da qualsiasi altra religione. Gesù sulla croce – Dio nel mezzo della sofferenza umana: questa notizia è per noi un’incredibile consolazione. È vicino al mio dolore, egli mi capisce, sa come mi sento. Questa notizia implica allo stesso tempo un’esistenza scomoda: impegnati per coloro che, nel nostro mondo, stanno affondando, che naufragano nell’anonimato, che sono torturati, che vengono assassinati, che muoiono di fame o deperiscono… Sono tutti tuoi fratelli e tue sorelle!

 

Rivelazione di Gesù a Maria Valtorta
Corrispondenza nell’“Evangelo come mi è stato rivelato”
di Maria Valtorta. Capitolo 45

Vedo una pianura spopolata di paesi e di vegetazione. A sinistra vedo un fiume di sponde molto basse, che scorre lentamente esso pure da nord a sud. Dal moto lentissimo dell’acqua comprendo che non vi devono essere dislivelli nel suo letto e che questo fiume scorre in una pianura talmente piatta da costituire una depressione. Vi è un moto appena sufficiente acciò l’acqua non stagni in palude.

L’acqua è poco fonda, tanto che si vede il fondale. Giudico non più di un metro, al massimo un metro e mezzo. Largo come è l’Arno verso S. Miniato-Empoli: direi un venti metri. Ma io non ho occhio esatto nel calcolare. Pure è d’un azzurro lievemente verde verso le sponde, dove per l’umidore del suolo è una fascia di verde folta e rallegrante l’occhio, che rimane stanco dallo squallore petroso e renoso di quanto gli si stende avanti.

Quella voce intima che le ho spiegato di udire e che mi indica ciò che devo notare e sapere, mi avverte che io vedo la valle del Giordano. La chiamo valle, perché si dice così per indicare il posto dove scorre un fiume, ma qui è improprio di chiamarla così, perché una valle presuppone dei monti, ed io qui di monti non ne vedo vicini. Ma insomma sono presso il Giordano e lo spazio desolato, che osservo alla mia destra, è il deserto di Giuda.

Se dire deserto per dire un luogo dove non ci sono case e lavori dell’uomo è giusto, non lo è secondo il concetto che noi abbiamo del deserto. Qui non le arene ondulate del deserto come lo concepiamo noi, ma solo terra nuda, sparsa di pietre e detriti, come sono i terreni alluvionali dopo una piena. In lontananza, delle colline.

Pure, presso il Giordano, vi è una grande pace, un che di speciale, di superiore al comune, come è quello che si nota sulle sponde del Trasimeno. È un luogo che pare ricordarsi di voli d’Angeli e di voci celesti. Non so dire bene ciò che provo. Ma mi sento in un posto che parla allo spirito.

Mentre osservo queste cose, vedo che la scena si popola di gente lungo la riva destra (rispetto a me) del Giordano. Vi sono molti uomini vestiti in maniere diverse. Alcuni appaiono popolani, altri dei ricchi, non mancano alcuni che paiono farisei per la veste ornata di frange e galloni.

In mezzo ad essi, in piedi su un masso, un uomo che, per quanto è la prima volta che lo vedo, riconosco subito per il Battista. Parla alla folla, e le assicuro che non è una predica dolce. Gesù ha chiamato Giacomo e Giovanni ‘i figli del tuono’. Ma allora come chiamare questo veemente oratore?

Giovanni Battista merita il nome di fulmine, valanga, terremoto, tanto è impetuoso e severo nel suo parlare e nel suo gestire.

Parla annunciando il Messia ed esortando a preparare i cuori alla sua venuta estirpando da essi gli ingombri e raddrizzando i pensieri. Ma è un parlare vorticoso e rude. Il Precursore non ha la mano leggera di Gesù sulle piaghe dei cuori. È un medico che denuda e fruga e taglia senza pietà.

Mentre lo ascolto -e non ripeto le parole perché sono quelle riportate dagli Evangelisti, ma amplificate con irruenza- vedo avanzarsi lungo una stradicciola, che è ai bordi della linea erbosa e ombrosa che costeggia il Giordano, il mio Gesù. Questa rustica via, più sentiero che via, sembra disegnata dalle carovane e dalle persone che per anni e secoli l’hanno percorsa per giungere ad un punto dove, essendo il fondale del fiume più alto, è facile il guado.

Il sentiero continua dall’altro lato del fiume e si perde fra il verde dell’altra sponda.

Gesù è solo. Cammina lentamente, venendo avanti, alle spalle di Giovanni. Si avvicina senza rumore e ascolta intanto la voce tuonante del Penitente del deserto, come se anche Gesù fosse uno dei tanti che venivano a Giovanni per farsi battezzare o per prepararsi ad essere mondi per la venuta del Messia.

Nulla distingue Gesù dagli altri. Sembra un popolano nella veste, un signore nel tratto e nella bellezza, ma nessun segno divino Lo distingue dalla folla.

Però si direbbe che Giovanni senta una emanazione di spiritualità speciale. Si volge e individua subito la fonte di quell’emanazione. Scende con impeto dal masso che gli faceva da pulpito e va sveltamente verso Gesù, che si è fermato qualche metro lontano dal gruppo, appoggiandosi al fusto di un albero.

Gesù e Giovanni si fissano un momento. Gesù col suo sguardo azzurro tanto dolce. Giovanni col suo occhio severo, nerissimo, pieno di lampi. I due, visti vicino, sono l’antitesi l’uno dell’altro. Alti tutti e due -è l’unica somiglianza- sono diversissimi per tutto il resto.

Gesù biondo e dai lunghi capelli ravviati, dal volto di un bianco avoriato, dagli occhi azzurri, dall’abito semplice ma maestoso. Giovanni irsuto, nero di capelli che ricadono lisci sulle spalle, lisci e disuguali in lunghezza, nero dalla barba rada che gli copre quasi tutto il volto non impedendo col suo velo di permettere di notare le guance scavate dal digiuno.

Nero negli occhi febbrili, scuro nella pelle abbronzata dal sole e dalle intemperie e per la folta peluria che lo copre, seminudo nella sua veste di pelo di cammello, tenuta alla vita da una cinghia di pelle e che gli copre il torso scendendo appena sotto i fianchi magri e lasciando scoperte le coste a destra, le coste sulle quali è, unico strato di tessuti, la pelle conciata dall’aria.

Sembrano un selvaggio e un Angelo visti vicini.

Giovanni, dopo averlo scrutato col suo occhio penetrante esclama: “Ecco l’Agnello di Dio. Come è che a me viene il mio Signore?”.

Gesù risponde placido: “Per compiere il rito di penitenza”.

“Mai, mio Signore. Io sono che devo venire a Te per essere santificato, e Tu vieni a me?”.

E Gesù, mettendogli una mano sul capo, perché Giovanni s’era curvato davanti a Gesù, risponde:

“Lascia che si faccia come voglio, perché si compia ogni giustizia e il tuo rito divenga inizio ad un più alto mistero e sia annunciato agli uomini che la Vittima è nel mondo”.

Giovanni Lo guarda con occhio che una lacrima fa dolce e Lo precede verso la riva, dove Gesù si leva il manto e la tunica, rimanendo con una specie di corti calzoncini, per poi scendere nell’acqua dove è già Giovanni, che Lo battezza versandogli sul capo l’acqua del fiume, presa con una specie di tazza che il Battista tiene sospesa alla cintola e che mi pare una conchiglia o una mezza zucca essiccata e svuotata.

Gesù è proprio l’Agnello. Agnello nel candore della carne, nella modestia del tratto, nella mitezza dello sguardo.

Mentre Gesù risale la riva e dopo essersi vestito si raccoglie in preghiera, Giovanni Lo addita alle turbe, testimoniando di averlo conosciuto per il segno che lo Spirito di Dio gli aveva indicato quale indicazione infallibile del Redentore.

Ma io sono polarizzata nel guardare Gesù che prega, e non mi resta che questa figura di luce contro il verde della sponda.

Dice Gesù:

Giovanni non aveva bisogno del segno per se stesso. Il suo spirito, presantificato sin dal ventre di sua madre, era possessore di quella vista di intelligenza soprannaturale che sarebbe stata di tutti gli uomini senza la colpa di Adamo.

Se l’uomo fosse rimasto in Grazia, in innocenza, in fedeltà col suo Creatore, avrebbe visto Dio attraverso le apparenze esterne. Nella Genesi è detto che il Signore Iddio parlava familiarmente con l’uomo innocente e che l’uomo non tramortiva a quella voce, non si ingannava nel discernerla.

Così era la sorte dell’uomo: vedere e capire Iddio proprio come un figlio fa col genitore. Poi è venuta la colpa e l’uomo non ha più osato guardare Dio, non ha più saputo vedere e comprendere Iddio. E sempre meno lo sa.

Ma Giovanni, il mio cugino Giovanni, era stato mondato dalla Colpa quando la Piena di Grazia s’era curvata amorosa ad abbracciare la già sterile ed allora feconda Elisabetta. Il fanciullino nel suo seno era balzato di giubilo, sentendo cadere la scaglia della colpa dalla sua anima come crosta che cade da una piaga che guarisce.

Lo Spirito Santo, che aveva fatto di Maria la Madre del Salvatore, iniziò la sua opera di salvazione, attraverso Maria, Vivo Ciborio della Salvezza Incarnata, su questo nascituro destinato ad essere a Me unito non tanto per il sangue, quanto per la missione che fece di noi come le labbra che formano la parola.

Giovanni le labbra, Io la Parola. Egli il Precursore nell’Evangelo e nella sorte di martirio. Io, Colui che perfeziona della mia divina perfezione l’Evangelo iniziato da Giovanni ed il martirio per la difesa della Legge di Dio.

Giovanni non aveva bisogno di nessun segno. Ma alla ottusità degli altri il segno era necessario. Su cosa avrebbe fondato Giovanni la sua asserzione, se non su una prova innegabile che gli occhi di tardi e le orecchie dei pesanti avessero percepita?

Io pure non avevo bisogno di battesimo. Ma la sapienza del Signore aveva giudicato esser quello l’attimo e il modo dell’incontro. E traendo Giovanni dal suo speco nel deserto a me dalla mia casa, ci unì in quell’ora per aprire su Me il Cielo e farne scendere Se Stesso, Colomba Divina, su colui che avrebbe battezzato gli uomini con tal Colomba, e farne scendere l’annuncio, ancor più potente di quello angelico perché dal Padre mio:

“Ecco il mio Figlio diletto col quale mi sono compiaciuto”.

Perché gli uomini non avessero scuse o dubbi nel seguirmi e nel non seguirmi.

Le manifestazioni del Cristo sono state molte. La prima, dopo la Nascita, fu quella dei Magi, la seconda nel Tempio, la terza sulle rive del Giordano. Poi vennero le infinite altre che ti farò conoscere, poiché i miei miracoli sono manifestazioni della mia natura divina, sino alle ultime della Risurrezione e Ascensione al Cielo.

La mia patria fu piena delle mie manifestazioni. Come seme gettato ai quattro punti cardinali, esse avvennero in ogni strato e luogo della vita: ai pastori, ai potenti, ai dotti, agli increduli, ai peccatori, ai sacerdoti, ai dominatori, ai bambini, ai soldati, agli ebrei, ai gentili. Anche ora esse si ripetono. Ma, come allora. il mondo non le accoglie. Anzi non accoglie le attuali e dimentica le passate.

Ebbene, Io non desisto. Io mi ripeto per salvarvi. per portarvi alla Fede in Me.

Sai, Maria, quello che fai? Quello che faccio, anzi, nel mostrarti il Vangelo? Un tentativo più forte di portare gli uomini a Me. Tu lo hai desiderato con preghiere ardenti. Non mi limito più alla parola. Li stanca e li stacca. È una colpa, ma è così. Ricorro alla visione, e del mio Vangelo, e la spiego per renderla più chiara e attraente.

A te do il conforto del vedere. A tutti do il modo di desiderare di conoscermi.

E se ancora non servirà, e come crudeli bambini getteranno il dono senza capirne il valore, a te resterà il mio dono e ad essi il mio sdegno. Potrò ancora una volta fare l’antico rimprovero:

“Abbiamo suonato e non avete danzato; abbiamo intonato lamenti e non avete pianto”.

Ma non importa. Lasciamo che essi, gli inconvertibili, accumulino sul loro capo i carboni ardenti, e volgiamoci alle pecorelle che cercano di conoscere il Pastore. Io son quello, e tu sei la verga che le conduci a Me”.

Estratto di “l’Evangelo come mi è stato rivelato” di Maria Valtorta

I DOMENICA TEMPO ORDINARIO ANNO A BATTESIMO DEL SIGNORE. (Mt 3,13-17)

TESTO:-
Dal Vangelo secondo Matteo. (Mt 3,13-17)
In quel tempo, Gesù dalla Galilea venne al Giordano da Giovanni, per farsi battezzare da lui.
Giovanni però voleva impedirglielo, dicendo: «Sono io che ho bisogno di essere battezzato da te, e tu vieni da me?». Ma Gesù gli rispose: «Lascia fare per ora, perché conviene che adempiamo ogni giustizia». Allora egli lo lasciò fare.
Appena battezzato, Gesù uscì dall’acqua: ed ecco, si aprirono per lui i cieli ed egli vide lo Spirito di Dio discendere come una colomba e venire sopra di lui. Ed ecco una voce dal cielo che diceva: «Questi è il Figlio mio, l’amato: in lui ho posto il mio compiacimento». Parola del Signore.

RIFLESSIONI

Gesù chiede a Giovanni di battezzarlo, ma non ha bisogno alcuno di tale battesimo di penitenza perché, dall’inizio, tutto si realizzi e perché si manifesti la Santa Trinità che egli è venuto a rivelare. Giovanni invitava il popolo a prepararsi alla venuta imminente del Messia. A lui è concesso di contemplare ciò a cui aspira ogni uomo che prega e che contempla: Giovanni percepisce e insieme accoglie il mistero di Dio, quello del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. Giovanni vede il Figlio, il Verbo eterno di Dio, e lo indica già come il Salvatore. Sente il Padre, che nessuno riesce a vedere, testimoniare e attestare che quello è davvero suo Figlio (Gv 5,36-37). Percepisce poi la presenza dello Spirito che si posa sulla superficie dell’acqua, madre di ogni vita (Gen 1,2). È lo Spirito che è sceso su Maria, generando in lei la vita umana e divina (Lc 1,35). È lo Spirito che scenderà un giorno sugli apostoli perché fecondino la terra e le diano vita eterna (At 2,4). E, pur avendo avuto un altro battesimo, altrimenti efficace (Mc 10,39), anche noi siamo stati battezzati “nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo” (Mt 28,19). E, secondo la promessa, la Santa e Divina Trinità pone in noi la sua dimora (Gv 14,23). Essa trasforma la nostra vita, affidandola a Dio e attirandoci verso di lui con la forza di attrazione della risurrezione.

Rivelazione di Gesù a Maria Valtorta.
Corrispondenza nell’“Evangelo come mi è stato rivelato” di Maria Valtorta. Capitolo 45

(Lo stesso 3 febbraio 1944, a sera)

Vedo una pianura spopolata di paesi e di vegetazione. Non ci sono campi coltivati, e ben poche e rare piante riunite qua e là a ciuffi, come vegetali famiglie, dove il suolo è nelle profondità meno arso che non sia in genere. Faccia conto che questo terreno arsiccio e incolto sia alla mia destra, avendo io il nord alle spalle, e si prolunghi verso quello che è a sud rispetto a me. A sinistra invece vedo un fiume di sponde molto basse, che scorre lentamente esso pure da nord a sud. Dal moto lentissimo dell’acqua comprendo che non vi devono essere dislivelli nel suo letto e che questo fiume scorre in una pianura talmente piatta da costituire una depressione.

Vi è un moto appena sufficiente acciò l’acqua non stagni in palude. L’acqua è poco fonda, tanto che si vede il fondale. Giudico non più di un metro, al massimo un metro e mezzo. Largo come è l’Arno verso S. Miniato-Empoli: direi un venti metri. Ma io non ho occhio esatto nel calcolare. Pure è d’un azzurro lievemente verde verso le sponde, dove per l’umidore del suolo è una fascia di verde folta e rallegrante l’occhio, che rimane stanco dallo squallore petroso e renoso di quanto gli si stende avanti.

Quella voce intima che le ho spiegato di udire e che mi indica ciò che devo notare e sapere, mi avverte che io vedo la valle del Giordano. La chiamo valle, perché si dice così per indicare il posto dove scorre un fiume, ma qui è improprio di chiamarla così, perché una valle presuppone dei monti, ed io qui di monti non ne vedo vicini. Ma insomma sono presso il Giordano e lo spazio desolato, che osservo alla mia destra, è il deserto di Giuda. Se dire deserto per dire un luogo dove non ci sono case e lavori dell’uomo è giusto, non lo è secondo il concetto che noi abbiamo del deserto.

Qui non le arene ondulate del deserto come lo concepiamo noi, ma solo terra nuda, sparsa di pietre e detriti, come sono i terreni alluvionali dopo una piena. In lontananza, delle colline. Pure, presso il Giordano, vi è una grande pace, un che di speciale, di superiore al comune, come è quello che si nota sulle sponde del Trasimeno. È un luogo che pare ricordarsi di voli d’Angeli e di voci celesti. Non so dire bene ciò che provo. Ma mi sento in un posto che parla allo spirito.

Mentre osservo queste cose, vedo che la scena si popola di gente lungo la riva destra (rispetto a me) del Giordano. Vi sono molti uomini vestiti in maniere diverse. Alcuni appaiono popolani, altri dei ricchi, non mancano alcuni che paiono farisei per la veste ornata di frange e galloni.

In mezzo ad essi, in piedi su un masso, un uomo che, per quanto è la prima volta che lo vedo, riconosco subito per il Battista. Parla alla folla, e le assicuro che non è una predica dolce. Gesù ha chiamato Giacomo e Giovanni “i figli del tuono”. Ma allora come chiamare questo veemente oratore?

Giovanni Battista merita il nome di fulmine, valanga, terremoto, tanto è impetuoso e severo nel suo parlare e nel suo gestire.

Parla annunciando il Messia ed esortando a preparare i cuori alla sua venuta estirpando da essi gli ingombri e raddrizzando i pensieri. Ma è un parlare vorticoso e rude. Il Precursore non ha la mano leggera di Gesù sulle piaghe dei cuori. È un medico che denuda e fruga e taglia senza pietà. Mentre lo ascolto -e non ripeto le parole perché sono quelle riportate dagli Evangelisti, ma amplificate con irruenza- vedo avanzarsi lungo una stradicciola , che è ai bordi della linea erbosa e ombrosa che costeggia il Giordano, il mio Gesù.

Questa rustica via, più sentiero che via, sembra disegnata dalle carovane e dalle persone che per anni e secoli l’hanno percorsa per giungere ad un punto dove, essendo il fondale del fiume più alto, è facile il guado. Il sentiero continua dall’altro lato del fiume e si perde fra il verde dell’altra sponda. Gesù è solo. Cammina lentamente, venendo avanti, alle spalle di Giovanni. Si avvicina senza rumore e ascolta intanto la voce tuonante del Penitente del deserto, come se anche Gesù fosse uno dei tanti che venivano a Giovanni per farsi battezzare o per prepararsi ad essere mondi per la venuta del Messia.

Nulla distingue Gesù dagli altri. Sembra un popolano nella veste, un signore nel tratto e nella bellezza, ma nessun segno divino lo distingue dalla folla. Però si direbbe che Giovanni senta una emanazione di spiritualità speciale. Si volge e individua subito la fonte di quell’emanazione. Scende con impeto dal masso che gli faceva da pulpito e va sveltamente verso Gesù, che si è fermato qualche metro lontano dal gruppo, appoggiandosi al fusto di un albero.

Gesù e Giovanni si fissano un momento. Gesù col suo sguardo azzurro tanto dolce. Giovanni col suo occhio severo, nerissimo, pieno di lampi. I due, visti vicino, son l’antitesi l’uno dell’altro. Alti tutti e due -è l’unica somiglianza- sono diversissimi per tutto il resto.

Gesù biondo e dai lunghi capelli ravviati, dal volto di un bianco avoriato, dagli occhi azzurri, dall’abito semplice ma maestoso. Giovanni irsuto, nero di capelli che ricadono lisci sulle spalle, lisci e disuguali in lunghezza, nero dalla barba rada che gli copre quasi tutto il volto non impedendo col suo velo di permettere di notare le guance scavate dal digiuno, nero negli occhi febbrili, scuro nella pelle abbronzata dal sole e dalle intemperie e per la folta peluria che lo copre, seminudo nella sua veste di pelo di cammello, tenuta alla vita da una cinghia di pelle e che gli copre il torso scendendo appena sotto i fianchi magri e lasciando scoperte le coste a destra, le coste sulle quali è, unico strato di tessuti, la pelle conciata dall’aria.

Sembrano un selvaggio e un Angelo visti vicini.

Giovanni, dopo averlo scrutato col suo occhio penetrante esclama:

“Ecco l’Agnello di Dio. Come è che a me viene il mio Signore?”.

Gesù risponde placido: “Per compiere il rito di penitenza”.

“Mai, mio Signore. Io sono che devo venire a Te per essere santificato, e Tu vieni a me?”.

E Gesù, mettendogli una mano sul capo, perché Giovanni s’era curvato davanti a Gesù, risponde:

“Lascia che si faccia come voglio, perché si compia ogni giustizia e il tuo rito divenga inizio ad un più alto mistero e sia annunciato agli uomini che la Vittima è nel mondo”.

Giovanni Lo guarda con occhio che una lacrima fa dolce e Lo precede verso la riva, dove Gesù si leva il manto e la tunica, rimanendo con una specie di corti calzoncini, per poi scendere nell’acqua dove è già Giovanni, che Lo battezza versandogli sul capo l’acqua del fiume, presa con una specie di tazza che il Battista tiene sospesa alla cintola e che mi pare una conchiglia o una mezza zucca essiccata e svuotata.

Gesù è proprio l’Agnello.

Agnello nel candore della carne, nella modestia del tratto, nella mitezza dello sguardo.

Mentre Gesù risale la riva e dopo essersi vestito si raccoglie in preghiera, Giovanni Lo addita alle turbe, testimoniando di averlo conosciuto per il segno che lo Spirito di Dio gli aveva indicato quale indicazione infallibile del Redentore.

Ma io sono polarizzata nel guardare Gesù che prega, e non mi resta che questa figura di luce contro il verde della sponda.

(4 febbraio 1944)

Dice Gesù:

«Giovanni non aveva bisogno del segno per se stesso. Il suo spirito, presantificato sin dal ventre di sua madre, era possessore di quella vista di intelligenza soprannaturale che sarebbe stata di tutti gli uomini senza la colpa di Adamo.

Se l’uomo fosse rimasto in Grazia, in innocenza, in fedeltà col suo Creatore, avrebbe visto Dio at­traverso le apparenze esterne.

Nella Genesi è detto che il Signore Iddio parlava familiarmente con l’uomo innocente e che l’uomo non tramortiva a quella voce, non si ingannava nel discernerla. Così era la sorte dell’uomo: vedere e capire Iddio, proprio come un figlio fa col genitore.

Poi è venuta la colpa, e l’uomo non ha più osato guardare Dio, non ha più saputo vedere e comprendere Iddio. E sempre meno lo sa.

Ma Giovanni, il mio cugino Giovanni, era stato mondato dalla colpa quando la Piena di Grazia s’era curvata amorosa ad abbracciare la già sterile ed allora feconda Elisabetta. Il fanciullino nel suo seno era balzato di giubilo, sentendo cadere la scaglia della colpa dalla sua anima come crosta che cade da una piaga che guarisce.

Lo Spirito Santo, che aveva fatto di Maria la Madre del Salvatore, iniziò la sua opera di salvazione, attraverso Maria, vivo Ciborio della Salvezza incarnata, su questo nascituro, destinato ad esser a Me unito non tanto per il sangue quanto per la missione, che fece di noi come le labbra che formano la parola.

Giovanni le labbra, Io la Parola. Egli il Precursore nell’Evangelo e nella sorte di martirio. Io, Colui che perfeziona della mia divina perfezione l’Evangelo iniziato da Giovanni ed il martirio per la difesa della Legge di Dio.

Giovanni non aveva bisogno di nessun segno. Ma alla ottusità degli altri il segno era necessario. Su cosa avrebbe fondato Giovanni la sua asserzione, se non su una prova innegabile che gli occhi dei tardi e le orecchie dei pesanti avessero percepita?

Io pure non avevo bisogno di battesimo. Ma la sapienza del Signore aveva giudicato esser quello l’attimo e il modo dell’incontro. E, traendo Giovanni dal suo speco nel deserto e Me dalla mia casa, ci unì in quell’ora per aprire su Me i Cieli e farne scendere Se stesso, Colomba divina, su Colui che avrebbe battezzato gli uomini con tal Colomba, e farne scendere l’annuncio, ancor più potente di quello angelico perché del Padre mio: “Ecco il mio Figlio diletto col quale mi sono compiaciuto”. Per­ché gli uomini non avessero scuse o dubbi nel seguirmi e nel non seguirmi.

Le manifestazioni del Cristo sono state molte. La prima, dopo la Nascita, fu quella dei Magi, la se­conda nel Tempio, la terza sulle rive del Giordano. Poi vennero le infinite altre che ti farò conoscere, poiché i miei miracoli sono manifestazioni della mia natura divina, sino alle ultime della Risurrezione e Ascensione al Cielo.

La mia patria fu piena delle mie manifestazioni. Come seme gettato ai quattro punti cardinali, esse avvennero in ogni strato e luogo della vita: ai pastori, ai potenti, ai dotti, agli increduli, ai pec­catori, ai sacerdoti, ai dominatori, ai bambini, ai soldati, agli ebrei, ai gentili. Anche ora esse si ripe­tono. Ma, come allora, il mondo non le accoglie. Anzi non accoglie le attuali e dimentica le passate.

Ebbene, Io non desisto. Io mi ripeto per salvarvi, per portarvi alla fede in Me.

Sai, Maria, quello che fai? Quello che faccio, anzi, nel mostrarti il Vangelo? Un tentativo più forte di portare gli uomini a Me. Tu lo hai desiderato con preghiere ardenti. Non mi limito più alla parola. Li stanca e li stacca. È una colpa, ma è così. Ricorro alla visione, e del mio Vangelo, e la spiego per renderla più chiara e attraente.

A te do il conforto del vedere. A tutti do il modo di desiderare di conoscermi. E, se ancora non servirà e come crudeli bambini getteranno il dono senza capirne il valore, a te resterà il mio dono e ad essi il mio sdegno. Potrò una volta ancora fare l’antico rimprovero: “Abbiamo sonato e non avete ballato; abbiamo intonato lamenti e non avete pianto”.

Ma non importa. Lasciamo che essi, gli inconvertibili, accumulino sul loro capo i carboni ardenti, e volgiamoci alle pecorelle che cercano di conoscere il Pastore. Io son Quello, e tu sei la verga che le conduci a Me».

Estratto di “l’Evangelo come mi è stato rivelato” di Maria Valtorta

II DOMENICA DOPO NATALE Anno A (Gv 1,1-18)

II DOMENICA DOPO NATALE Anno A (Gv 1,1-18)
Sacra Familia

TESTO:-
Dal Vangelo secondo Giovanni. (Gv 1,1-18)
In principio era il Verbo,
e il Verbo era presso Dio
e il Verbo era Dio.
Egli era, in principio, presso Dio:
tutto è stato fatto per mezzo di lui
e senza di lui nulla è stato fatto di ciò che esiste.
In lui era la vita
e la vita era la luce degli uomini;
la luce splende nelle tenebre
e le tenebre non l’hanno vinta.
Venne un uomo mandato da Dio:
il suo nome era Giovanni.
Egli venne come testimone
per dare testimonianza alla luce,
perché tutti credessero per mezzo di lui.
Non era lui la luce,
ma doveva dare testimonianza alla luce.
Veniva nel mondo la luce vera,
quella che illumina ogni uomo.
Era nel mondo
e il mondo è stato fatto per mezzo di lui;
eppure il mondo non lo ha riconosciuto.
Venne fra i suoi,
e i suoi non lo hanno accolto.
A quanti però lo hanno accolto
ha dato potere di diventare figli di Dio:
a quelli che credono nel suo nome,
i quali, non da sangue
né da volere di carne
né da volere di uomo,
ma da Dio sono stati generati.
E il Verbo si fece carne
e venne ad abitare in mezzo a noi;
e noi abbiamo contemplato la sua gloria,
gloria come del Figlio unigenito
che viene dal Padre,
pieno di grazia e di verità.
Giovanni gli dà testimonianza e proclama:
«Era di lui che io dissi:
Colui che viene dopo di me
è avanti a me,
perché era prima di me».
Dalla sua pienezza
noi tutti abbiamo ricevuto:
grazia su grazia.
Perché la Legge fu data per mezzo di Mosè,
la grazia e la verità vennero per mezzo di Gesù Cristo.
Dio, nessuno lo ha mai visto:
il Figlio unigenito, che è Dio
ed è nel seno del Padre,
è lui che lo ha rivelato. Parola del Signore.

RIFLESSIONI

L’evento dell’incarnazione del Verbo è la rivelazione perfetta e insuperabile del mistero di Dio. È nella “storia del Verbo” (san Bernardo) che l’uomo può vedere la gloria di Dio e così la vita eterna è già donata all’uomo, mentre ancora vive nel tempo.
Il disegno misterioso di Dio sull’umanità ora è pienamente svelato: a chi accoglie il Verbo fatto carne viene donato il potere di diventare figlio di Dio. L’uomo è chiamato a divenire partecipe della stessa filiazione divina del Verbo: ad essere nel Verbo Incarnato figlio del Padre. E il Padre genera nel Verbo Incarnato anche ogni uomo e in lui vede e ama ogni persona umana. È la suprema rivelazione della dignità di ogni persona umana, della singolare preziosità di ogni uomo.

Rivelazione di Gesù a Maria Valtorta
Corrispondenza nell’“Evangelo come mi è stato rivelato” di Maria Valtorta Capitolo 244

Stanno tutti salendo per fresche scorciatoie che portano a Nazaret. Le coste delle colline galilee sembrano create in quella mattina, tanto la recente burrasca le ha lavate e la rugiada le mantiene lucide e fresche, tutte un brillio al primo sole. L’aria è così pura che discopre ogni particolarità dei monti più o meno vicini e dà un senso di leggerezza e di brio. Quando viene raggiunto lo scrimolo di un colle la vista si bea su uno scorcio del lago, bellissimo in questa luce mattinale. Tutti ammirano, imitando Gesù. Ma Maria di Magdala, presto storce lo sguardo da quel punto cercando in altra direzione qualche cosa. I suoi occhi si posano sulle creste montane che sono a nord-ovest dal punto ove si trova, e pare non trovare.

Susanna, perché è presente anche lei, le chiede: «Che cerchi?».

«Vorrei riconoscere il monte ove incontrai il Maestro».

«Chiedilo a Lui».

«Oh! non merita che io Lo disturbi. Sta parlando proprio con Giuda di Keriot».

«Che uomo quel Giuda!» sussurra Susanna. Non dice altro, ma si capisce il resto.

«Quel monte non è certo su questa via. Ma qualche volta ti ci condurrò, Marta. C’era un’aurora come questa e tanti fiori… E tanta gente… Oh! Marta! Ed io ho osato mostrarmi a tutti con quella veste di peccato e con quegli amici… No, non puoi essere offesa per le parole di Giuda. Me le sono meritate. Tutto mi sono meritato. E in questo soffrire è a mia espiazione. Tutti ricordano, tutti hanno il diritto di dirmi la verità. E io devo tacere. Oh! se si riflettesse prima di peccare! Chi mi offende ora è il mio più grande amico, perché mi aiuta ad espiare».

«Ma ciò non toglie che egli ha mancato. Madre, è proprio contento di quell’uomo, tuo Figlio?».

«Bisogna molto pregare per lui. Così Egli dice».

Giovanni lascia gli apostoli per venire ad aiutare le donne in un passaggio scabroso su cui i sandali scivolano, molto più che il sentiero è sparso di pietre lisce, come scaglie di ardesia rossastra, e di un’erbetta lucida e dura, molto traditrici per il piede che su esse non ha presa. Lo Zelote lo imita e appoggiandosi a loro le donne superano il punto pericoloso.

«È un poco faticosa questa via. Ma è senza polvere e senza folla. Ed è più breve» dice lo Zelote.

«La conosco, Simone» dice Maria.

«Venni a quel paesello a mezza costa, con i nipoti, quando Gesù fu cacciato da Nazaret» dice Maria SS. e sospira.

«Però è bello da qui il mondo. Ecco là il Tabor e l’Hermon, e a settentrione i monti d’Arbela, e là in fondo il grande Hermon. Peccato che non si veda il mare come si vede dal Tabor» dice Giovanni.

«Ci sei stato?».

«Sì, col Maestro».

«Giovanni, col suo amore per l’infinito, ci ha ottenuto una grande letizia, perché Gesù, là in cima, parlò di Dio con un rapimento mai udito. E poi, dopo aver avuto già tanto, ottenemmo una grande conversione. Lo conoscerai anche tu, Maria. E ti si fortificherà lo spirito più ancora che già non sia. Trovammo un uomo indurito nell’odio, abbrutito dai rimorsi, e Gesù ne fece uno che non esito a dire che sarà un grande discepolo. Come te, Maria. Perché, credi pure che è verità ciò che ti dico, noi peccatori siamo i più cedevoli al Bene che ci prende, perché sentiamo il bisogno di essere perdonati anche da noi stessi» dice lo Zelote.

«È vero. Ma tu sei molto buono, dicendo “noi peccatori”. Tu sei stato un disgraziato, non un peccatore».

«Tutti lo siamo, chi più chi meno, e chi crede di esserlo meno è il più soggetto a divenirlo se pure non lo è già. Tutti lo siamo. Ma i più grandi peccatori che si convertono sono quelli che sanno essere assoluti nel Bene come lo furono nel male».

«Il tuo conforto mi solleva. Sei sempre stato un padre per i figli di Teofilo, tu».

«E come un padre giubilo di avervi tutti e tre amici di Gesù».

«Dove lo avete trovato quel discepolo gran peccatore?».

«A Endor, Maria. Simone vuol dare al mio desiderio di vedere il mare il merito di tante cose belle e buone. Ma se Giovanni l’anziano è venuto a Gesù non è per merito di Giovanni lo stolto. È per merito di Giuda di Simone» dice sorridendo il figlio di Zebedeo.

«Lo ha convertito?» chiede dubbiosa Marta.

«No. Ma ha voluto andare ad Endor e…».

«Sì, per vedere l’antro della maga… È un uomo molto strano Giuda di Simone… Bisogna prenderlo come è… Già!… E Giovanni di Endor ci guidò alla caverna e poi rimase con noi. Ma, figlio mio, sempre tuo è il merito, perché senza il tuo desiderio di infinito non avremmo fatto quella via e non sarebbe venuto a Giuda di Simone il desiderio di andare a quella strana ricerca».

«Mi piacerebbe sapere cosa ha detto Gesù sul Tabor… come mi piacerebbe riconoscere il monte dove Lo vidi» sospira Maria Maddalena.

«Il monte è quello su cui pare ora accendersi un sole per quel piccolo stagno, usato dalle greggi, che raccoglie le acque sorgive. Noi eravamo più su, dove la cima pare spaccata come un largo bidente che voglia infilzare le nuvole e portarle altrove. Per il discorso di Gesù, credo che Giovanni te lo può dire».

«Oh! Simone! Può mai un ragazzo ripetere le parole di Dio?».

«Un ragazzo no. Tu sì. Provati. Per compiacenza alle tue sorelle e a me che ti voglio bene».

Giovanni è molto rosso quando inizia a ripetere il discorso di Gesù.

«Egli disse: “Ecco la pagina infinita su cui le correnti scrivono la parola ‘Credo’. Pensate il caos dell’Universo avanti che il Creatore volesse ordinare gli elementi e costituirli a meravigliosa società, che ha dato agli uomini la terra e quanto contiene e al firmamento gli astri e i pianeti. Tutto già non era. Né come caos informe né come cosa ordinata. Dio la fece. Fece dunque per primi gli elementi. Perché necessari sono, sebbene talora sembra che siano nocivi.

Ma, pensatevelo sempre, non c’è la più piccola stilla di rugiada che non abbia la sua ragione buona di essere; non c’è insetto, per piccolo e noioso che sia, che non abbia la sua ragione buona di essere. E così non c’è mostruosa montagna eruttante dalle viscere fuoco e incandescenti lapilli che non abbia la sua ragione buona di essere. E non vi è ciclone senza motivo. E non vi è -passando dalle cose alle persone- e non vi è evento, non pianto, non gioia, non nascita, non morte, non sterilità o maternità abbondante, non lungo coniugio né rapida vedovanza, non sventura di miserie e malattie, come non prosperità di mezzi e di salute, che non abbia la sua ragione buona di essere, anche se tale non appaia alla miopia e alla superbia umana, che vede e giudica con tutte le cataratte e tutte le nebbie proprie delle cose imperfette.

Ma l’occhio di Dio, ma il Pensiero senza limitazioni di Dio, vede e sa. Il segreto per vivere immuni da sterili dubbi che innervosiscono, esauriscono, avvelenano la giornata terrena, è nel saper credere che Dio fa tutto per ragione intelligente e buona, che Dio fa ciò che fa per amore, non nello stolido intento di crucciare per crucciare.

Dio aveva già creato gli Angeli. E parte di essi, per avere voluto non credere che fosse buono il livello di gloria al quale Dio li aveva collocati, si erano ribellati e con l’animo arso dalla mancanza di fede nel loro Signore avevano tentato di assalire il trono irraggiungibile di Dio.

Alle armoniose ragioni degli Angeli credenti avevano opposto il loro discorde, ingiusto e pessimistico pensiero, e il pessimismo, che è mancanza di fede, li aveva da spiriti di luce fatti divenire spiriti ottenebrati.

Viva in eterno coloro che in Cielo come in terra sanno basare ogni loro pensiero su un presupposto di ottimismo pieno di luce! Mai sbaglieranno completamente, anche se i fatti li smentiranno. Non sbaglieranno almeno per quanto riguarda il loro spirito, il quale continuerà a credere, a sperare, ad amare soprattutto Dio e il prossimo, rimanendo perciò in Dio fino ai secoli dei secoli!

Il Paradiso era già stato liberato da questi orgogliosi pessimisti, i quali vedevano nero anche nelle luminosissime opere di Dio, così come in terra i pessimisti vedono nero anche nelle più schiette e solari azioni dell’uomo, e per volersi separare in una torre d’avorio, credendosi gli unici perfetti, si autocondannano ad una oscura galera, la cui via termina nelle tenebre del regno infero, il regno della Negazione.

Perché il pessimismo è Negazione esso pure.

Dio fece dunque il Creato. E come per comprendere il mistero glorioso del nostro Essere uno e trino bisogna saper credere e vedere che fin dal principio il Verbo era, ed era presso Dio, uniti dall’Amore perfettissimo che solo possono effondere due che Dèi sono pur essendo Uno, così ugualmente, per vedere il creato per quello che è, occorre guardarlo con occhi di fede, perché nel suo essere, così come un figlio porta l’incancellabile riflesso del padre, così il creato ha in sé l’incancellabile riflesso del suo Creatore.

Vedremo allora che anche qui in principio fu il cielo e la terra, poi fu la luce, paragonabile all’amore. Perché la luce è letizia così come lo è l’amore. E la luce è l’atmosfera del Paradiso. E l’incorporeo Essere che è Dio, Luce è, ed è Padre di ogni luce intellettiva, affettiva, materiale, spirituale, così in Cielo come in terra. In principio fu il cielo e la terra, e per essi fu data la luce e per la luce tutte le cose furono fatte. E come nel Cielo altissimo furono separati gli spiriti di luce da quelli di tenebre, così nel Creato furono separate le tenebre dalla luce e fu fatto il Giorno e la Notte, e il primo giorno del creato fu, col suo mattino e la sua sera, col suo meriggio e la sua mezzanotte. E quando il sorriso di Dio, la Luce, tornò dopo la notte, ecco che la mano di Dio, il suo potente volere, si stese sulla terra informe e vuota, si stese sul cielo su cui vagavano le acque, uno degli elementi liberi nel caos, e volle che il firmamento separasse il disordinato errare delle acque fra cielo e terra, acciò fosse velario ai fulgori paradisiaci, misura alle acque superiori, perché sul ribollire dei metalli e degli atomi non scendessero i diluvi a dilavare e disgregare ciò che Dio riuniva.

L’ordine era stabilito nel cielo. E l’ordine fu sulla terra per il comando che Dio dette alle acque sparse sulla terra. E il mare fu. Eccolo. Su esso, come sul firmamento, è scritto. ‘Dio è’. Quale che sia l’intellettualità di un uomo e la sua fede o la sua non fede, davanti a questa pagina, in cui brilla una particella dell’infinità che è Dio, in cui è testimoniata la sua potenza -perché nessuna potenza umana né nessun assestamento naturale di elementi possono ripetere, seppure in minima misura, un simile prodigio- è obbligato a credere. A credere non solo alla potenza ma alla bontà del Signore, che per quel mare dà cibo e vie all’uomo, dà sali salutari, dà tempera al sole e spazio ai venti, dà semi alle terre l’una dall’altra lontane, dà voce di tempeste perché richiamino la formica che è l’uomo all’Infinito suo Padre, dà modo di elevarsi, contemplando più alte visioni, a più alte sfere.

Tre sono le cose che più parlano di Dio nel creato che è tutto testimonianza di Lui. La Luce, il firmamento, il mare.

L’ordine astrale e meteorologico, riflesso dell’Ordine divino; la luce che solo un Dio poteva fare; il mare, la potenza che solo Dio, dopo averla creata, poteva mettere in saldi confini, dandole moto e voce, senza che per questo, come turbolento elemento di disordine, sia danno alla terra che lo sopporta sulla sua superficie. Penetrate il mistero della luce che mai si consuma. Alzate lo sguardo al firmamento dove ridono le stelle e i pianeti. Abbassate lo sguardo al mare. Vedetelo per quello che è. Non separazione, ma ponte fra i popoli che sono sulle altre sponde, invisibili, ignote anche, ma che bisogna credere che ci siano solo perché è questo mare.

Dio non fa nulla di inutile. Non avrebbe perciò fatto questa infinità se essa non avesse a limite, là, oltre l’orizzonte che ci impedisce di vedere, altre terre, popolate da altri uomini, venuti tutti da un unico Dio, portati là per volere di Dio, a popolare continenti e regioni, da tempeste e correnti.

E questo mare porta nei suoi flutti, nelle voci delle sue onde e delle sue maree, appelli lontani. Tramite è, non separazione. Quell’ansia che dà dolce angoscia a Giovanni è questo appello di fratelli lontani.

Più lo spirito diviene dominatore della carne e più è capace di sentire le voci degli spiriti che sono uniti anche se divisi, così come i rami sgorgati da un’unica radice sono uniti anche se l’uno neppur vede più l’altro perché un ostacolo si frappone fra essi.

Guardate il mare con occhi di luce. Vi vedrete terre e terre sparse sulle sue spiagge, ai suoi limiti, e nell’interno terre e terre ancora, e da tutte giunge un grido: ‘Venite! Portateci la Luce che voi possedete. Portateci la Vita che vi viene data. Dite al nostro cuore la parola che ignoriamo ma che sappiamo essere la base dell’universo: amore. Insegnateci a leggere la parola che vediamo tracciata sulle pagine infinite del firmamento e del mare: Dio. Illuminateci perché sentiamo che una luce vi è più vera ancora di quella che arrossa i cieli e fa di gemme il mare.

Date alle nostre tenebre la Luce che Dio vi ha data dopo averla generata col suo amore, e l’ha data a voi ma per tutti, così come la dette agli astri ma perché la dessero alle terre. Voi gli astri, noi la polvere. Ma formateci così come il Creatore creò con la polvere la terra perché l’uomo la popolasse adorandolo ora e sempre, finché venga l’ora che più terra non sia, ma venga il Regno.

Il Regno della luce, dell’amore, della pace, così come a voi il Dio vivente ha detto che sarà, perché noi pure siamo figli di questo Dio e chiediamo di conoscere il Padre nostro’. E per vie di infinito sappiate andare. Senza timori e senza sdegni. Incontro a quelli che chiamano e piangono. Verso quelli che vi daranno anche dolore perché sentono Dio ma non sanno adorare Dio, ma che pure vi daranno la gloria perché grandi sarete quanto più possedendo l’amore, lo saprete dare, portando alla Verità i popoli che attendono”. Gesù ha detto così, molto meglio di come io ho detto. Ma almeno questo è il suo concetto».

«Giovanni, tu hai dato una esatta ripetizione del Maestro. Solo hai lasciato ciò che disse del tuo potere di capire Iddio per la tua generosità di donarti. Tu sei buono, Giovanni. Il migliore fra noi! Abbiamo fatto la via senza avvedercene. Ecco là Nazaret sulle sue colline. Il Maestro ci guarda e ci sorride. Raggiungiamolo solleciti per entrare in città uniti».

«Io ti ringrazio, Giovanni» dice la Madonna.

«Hai fatto un grande regalo alla Mamma».

«Io pure. Anche alla povera Maria tu hai aperto orizzonti infiniti…».

«Di che parlavate tanto?» chiede Gesù ai sopraggiungenti.

«Giovanni ci ha ripetuto il tuo discorso del Tabor. Perfettamente. E ne fummo beati».

«Sono contento che la Madre lo abbia udito, Lei che porta un Nome in cui il mare non è estraneo e possiede una carità vasta come il mare».

«Figlio mio, Tu la possiedi come Uomo, e nulla ancora è rispetto alla tua infinita carità di Verbo Divino. Mio dolce Gesù!».

«Vieni, Mamma, al mio fianco. Come quando tornavamo da Cana o da Gerusalemme quando ero Bambino, tu mi tenevi per mano».

E si guardano col loro sguardo d’amore.

Estratto di “l’Evangelo come mi è stato rivelato” di Maria Valtorta