18 NOVEMBRE 2018 XXXIII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO ANNO B Mc 13,24-32

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18 NOVEMBRE 2018 XXXIII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO ANNO B Mc 13,24-32

18 NOVEMBRE 2018 XXXIII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO ANNO B

TESTO:-
Dal Vangelo secondo Marco. (Mc 13,24-32)
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«In quei giorni, dopo quella tribolazione,
il sole si oscurerà,
la luna non darà più la sua luce,
le stelle cadranno dal cielo
e le potenze che sono nei cieli saranno sconvolte.
Allora vedranno il Figlio dell’uomo venire sulle nubi con grande potenza e gloria. Egli manderà gli angeli e radunerà i suoi eletti dai quattro venti, dall’estremità della terra fino all’estremità del cielo.
Dalla pianta di fico imparate la parabola: quando ormai il suo ramo diventa tenero e spuntano le foglie, sapete che l’estate è vicina. Così anche voi: quando vedrete accadere queste cose, sappiate che egli è vicino, è alle porte.
In verità io vi dico: non passerà questa generazione prima che tutto questo avvenga. Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno.
Quanto però a quel giorno o a quell’ora, nessuno lo sa, né gli angeli nel cielo né il Figlio, eccetto il Padre». Parola del Signore.

Rivelazione di Gesù a Maria Valtorta
Corrispondenza nell’“Evangelo come mi è stato rivelato” di Maria Valtorta
Capitolo 596

I discepoli, sparsi sul pendio, si avvicinano, fanno un mucchio compatto, stretto intorno a quello principale di Gesù coi suoi apostoli, e ascoltano.

«Badate che nessuno vi seduca in futuro. Io sono il Cristo e non vi saranno altri Cristi. Perciò, quando molti verranno a dirvi: “Io sono il Cristo” e sedurranno molti, voi non credete a quelle parole, neppure se saranno accompagnate da prodigi. Satana, padre di menzogna e protettore dei menzogneri, aiuta i suoi servi e seguaci con falsi prodigi, che però possono essere riconosciuti non buoni perché sempre uniti a paura, turbamento e menzogna.

I prodigi di Dio voi li conoscete: danno pace santa, letizia, salute, fede, conducono a desideri e opere sante. Gli altri no.

Perciò riflettete sulla forma e le conseguenze dei prodigi che potrete vedere in futuro ad opera dei falsi Cristi e di tutti coloro che si ammanteranno nelle vesti di salvatori di popoli e saranno invece le belve che rovinano gli stessi. Sentirete anche, e vedrete anche, parlare di guerre e di rumori di guerre e vi diranno: “Sono i segni della fine”.

Non turbatevi. Non sarà la fine. Bisogna che tutto questo avvenga prima della fine, ma non sarà ancora la fine.

Si solleverà popolo contro popolo, regno contro regno, nazione contro nazione, continente contro continente, e seguiranno pestilenze, carestie, terremoti in molti luoghi. Ma questo non sarà che il principio dei dolori. Allora vi getteranno nella tribolazione e vi uccideranno, accusandovi di essere i colpevoli del loro soffrire e sperando di uscirne col perseguitare e distruggere i miei servi.

Gli uomini fanno sempre accusa agli innocenti di esser causa del male che essi, peccatori, si creano. Accusano Dio stesso, perfetta Innocenza e Bontà suprema, di esser causa del loro soffrire, e così faranno con voi, e voi sarete odiati per causa del mio Nome. È satana che li aizza.

E molti si scandalizzeranno e si tradiranno e odieranno a vicenda. È ancor satana che li aizza. E sorgeranno falsi profeti che indurranno molti in errore. Ancora sarà satana il vero autore di tanto male.

E per il moltiplicarsi dell’iniquità si raffredderà la carità in molti. Ma chi avrà perseverato sino alla fine sarà salvo. E prima bisogna che questo Vangelo del Regno di Dio sia predicato in tutto il mondo, testimonianza a tutte le nazioni. Allora verrà la fine. Ritorno al Cristo di Israele che lo accoglie e predicazione della mia Dottrina in tutto il mondo.

E poi un altro segno. Un segno per la fine del Tempio e per la fine del mondo.

Quando vedrete l’abominazione della desolazione predetta da Daniele -chi mi ascolta bene intenda, e chi legge il Profeta sappia leggere fra le parole- allora chi sarà in Giudea fugga sui monti, chi sarà sulla terrazza non scenda a prendere quanto ha in casa, e chi è nel suo campo non torni in casa a prendere il suo mantello, ma fugga senza volgersi indietro, ché non gli accada di non poterlo più fare, e neppure si volga nel fuggire a guardare, per non conservare nel cuore lo spettacolo orrendo e insanire per esso.

Guai alle gravide e a quelle che allatteranno in quei giorni! E guai se la fuga dovesse compiersi in sabato! Non sarebbe sufficiente la fuga a salvarsi senza peccare. Pregate dunque perché non avvenga in inverno e in giorno di sabato, perché allora la tribolazione sarà grande quale mai non fu dal principio del mondo fino ad ora, né sarà mai più simile perché sarà la fine.

Se non fossero abbreviati quei giorni in Grazia degli eletti, nessuno si salverebbe, perché gli uomini-satana si alleeranno all’inferno per dare tormento agli uomini.

E anche allora, per corrompere e trarre fuori della via giusta coloro che resteranno fedeli al Signore, sorgeranno quelli che diranno: “Il Cristo è là, il Cristo è qua. È in quel luogo. Eccolo”. Non credete. Nessuno creda, perché sorgeranno falsi Cristi e falsi profeti che faranno prodigi e portenti tali da indurre in errore, se fosse possibile, anche gli eletti, e diranno dottrine in apparenza così confortevoli e buone a sedurre anche i migliori, se con loro non fosse lo Spirito di Dio che li illuminerà sulla verità e l’origine satanica di tali prodigi e dottrine.

Io ve lo dico. Io ve lo predico perché voi possiate regolarvi. Ma di cadere non temete. Se starete nel Signore non sarete tratti in tentazione e in rovina. Ricordate ciò che vi ho detto: “Vi ho dato il potere di camminare su serpenti e scorpioni, e di tutta la potenza del Nemico nulla vi nuocerà, perché tutto vi sarà soggetto”. Vi ricordo anche però che per ottenere questo dovete avere Dio in voi, e rallegrarvi dovete, non perché dominate le potenze del Male e le venefiche cose, ma perché il vostro nome è scritto in Cielo.

State nel Signore e nella sua verità. Io sono la Verità e insegno la verità. Perciò ancora vi ripeto: qualunque cosa vi dicano di Me, non credete. Io solo ho detto la verità. Io solo vi dico che il Cristo verrà, ma quando sarà la fine. Perciò, se vi dicono: “È nel deserto”, non andate. Se vi dicono: “È in quella casa”, non date retta.

Perché il Figlio dell’Uomo nella sua seconda venuta sarà simile al lampo che esce da levante e guizza fino a ponente, in un tempo più breve di quel che non sia il batter di una palpebra. E scorrerà sul grande Corpo, di subito fatto cadavere, seguito dai suoi fulgenti Angeli, e giudicherà. Là dovunque sarà corpo là si raduneranno le aquile. E subito dopo la tribolazione di quei giorni ultimi, che vi fu detta -parlo già della fine del tempo e del mondo e della risurrezione delle ossa, delle quali cose parlano i profeti- si oscurerà il sole, e la luna non darà più luce, e le stelle del cielo cadranno come acini da un grappolo troppo maturo che un vento di bufera scuote, e le potenze dei Cieli tremeranno.

E allora nel firmamento oscurato apparirà folgorante il segno del Figlio dell’Uomo, e piangeranno tutte le nazioni della Terra, e gli uomini vedranno il Figlio dell’Uomo venir sulle nubi del cielo con grande potenza e gloria. Ed Egli comanderà ai suoi Angeli di mietere e vendemmiare, e di separare i logli dal grano, e di gettare le uve nel tino, perché sarà venuto il tempo del grande raccolto del seme di Adamo, e non ci sarà più bisogno di serbare racimolo o semente, perché non ci sarà mai più perpetuazione della specie umana sulla Terra morta.

E comanderà ai suoi Angeli che a gran voce di trombe adunino gli eletti dai quattro venti, da un’estremità all’altra dei cieli, perché siano al fianco del Giudice divino per giudicare con Lui gli ultimi viventi ed i risorti.

Dal fico imparate la similitudine: quando vedete che il suo ramo si fa tenero e mette le foglie, voi sapete che vicina è l’estate. Così anche, quando vedrete tutte queste cose, sappiate che il Cristo sta per venire. In verità vi dico: non passerà questa generazione che non mi volle, prima che tutto ciò avvenga.

La mia parola non cade. Ciò che dico sarà. Il cuore e il pensiero degli uomini possono mutare, ma non muta la mia parola. Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno. Quanto poi al giorno e all’ora precisa, nessuno li conosce, neppure gli Angeli del Signore, ma soltanto il Padre li conosce.

Come ai tempi di Noè, così avverrà alla venuta del Figlio dell’Uomo. Nei giorni precedenti al diluvio, gli uomini mangiavano, bevevano, si sposavano, si accasavano, senza darsi pensiero del segno sino al giorno in cui Noè entrò nell’arca e si aprirono le cataratte dei cieli e il diluvio sommerse ogni vivente e ogni cosa. Anche così sarà per la venuta del Figlio dell’Uomo. Allora due uomini saranno accosto nel campo, e uno sarà preso e uno sarà lasciato, e due donne saranno intente a far andare la mola, e una sarà presa e una lasciata, dai nemici nella Patria e più ancora dagli Angeli separanti il buon seme dal loglio, e non avranno tempo di prepararsi al giudizio del Cristo.

Vegliate dunque perché non sapete a che ora verrà il vostro Signore. Ripensate a questo: se il capo di famiglia sapesse a che ora viene il ladro, veglierebbe e non lascerebbe spogliare la sua casa. Quindi vegliate e pregate, stando sempre preparati alla venuta, senza che i vostri cuori cadano in torpore, per abuso e intemperanza di ogni specie, e i vostri spiriti siano fatti distratti e ottusi alle cose del Cielo dalle eccessive cure per le cose della Terra, e il laccio della morte non vi colga improvviso quando siete impreparati. Perché, ricordate, tutti avete a morire. Tutti gli uomini, nati che siano, devono morire, ed è una singola venuta del Cristo questa morte e questo susseguente giudizio, che avrà il suo ripetersi universale alla venuta solenne del Figlio dell’uomo.

Che sarà mai di quel servo fedele e prudente, preposto dal padrone ad amministrare il cibo ai domestici in sua assenza? Beata sorte egli avrà se il suo padrone, tornando all’improvviso, lo trova a fare ciò che deve con solerzia, giustizia e amore. In verità vi dico che gli dirà: “Vieni, servo buono e fedele. Tu hai meritato il mio premio. Tieni, amministra tutti i miei beni”. Ma se egli pareva, e non era, buono e fedele, e nell’interno suo era cattivo come all’esterno era ipocrita, e partito il padrone dirà in cuor suo: “Il padrone tarderà a tornare! Diamoci al bel tempo”, e comincerà a battere e malmenare i conservi, facendo usura su loro nel cibo e in ogni altra cosa per avere maggior denaro da consumare coi gozzovigliatori e ubriaconi, che avverrà?

Che il padrone tornerà all’improvviso, quando il servo non se lo pensa vicino, e verrà scoperto il suo malfare, gli verrà levato posto e denaro, e sarà cacciato dove giustizia vuole. E ivi starà.

E così del peccatore impenitente, che non pensa come la morte può essere vicina e vicino il suo giudizio, e gode e abusa dicendo: “Poi mi pentirò”. In verità vi dico che egli non avrà tempo di farlo e sarà condannato a stare in eterno nel luogo del tremendo orrore, dove è solo bestemmia e pianto e tortura, e ne uscirà soltanto per il Giudizio finale, quando rivestirà la carne risorta per presentarsi completo al Giudizio ultimo come completo peccò nel tempo della vita terrena, e con corpo ed anima si presenterà al Giudice Gesù che egli non volle per Salvatore. Tutti là accolti davanti al Figlio dell’Uomo.

Una moltitudine infinita di corpi, restituiti dalla terra e dal mare e ricomposti dopo essere stati cenere per tanto tempo. E gli spiriti nei corpi. Ad ogni carne tornata sugli scheletri corrisponderà il proprio spirito, quello che l’animava un tempo. E staranno ritti davanti al Figlio dell’Uomo, splendido nella sua Maestà divina, seduto sul trono della sua gloria sorretto dai suoi Angeli.

Ed Egli separerà uomini da uomini, mettendo da un lato i buoni e dall’altro i cattivi, come un pastore separa le pecorelle dai capretti, e metterà le sue pecore a destra e i capri a sinistra. E dirà con dolce voce e benigno aspetto a quelli che, pacifici e belli di una bellezza gloriosa nello splendore del corpo santo, lo guarderanno con tutto l’amore del loro cuore: “Venite, o benedetti dal Padre mio, prendete possesso del Regno preparato per voi sino dall’origine del mondo. Perché ebbi fame e mi deste da mangiare, ebbi sete e mi deste da bere, fui pellegrino e mi ospitaste, fui nudo e mi rivestiste, malato e mi visitaste, prigioniero e veniste a portarmi conforto”.

E i giusti gli chiederanno: “Quando mai, Signore, ti vedemmo affamato e ti abbiamo dato da mangiare, assetato e ti abbiamo dato da bere? Quando mai ti vedemmo pellegrino e ti abbiamo accolto, nudo e ti abbiamo rivestito? Quando ti vedemmo infermo e carcerato e siamo venuti a visitarti?”.

E il Re dei re dirà loro: “In verità vi dico: quando avete fatto una di queste cose ad uno di questi minimi fra i miei fratelli, allora lo avete fatto a Me”.

E poi si volgerà a quelli che saranno alla sua sinistra e dirà loro, severo nel volto, e i suoi sguardi saranno come saette fulminanti i reprobi, e nella sua voce tuonerà l’ira di Dio: “Via di qua! Via da Me, o maledetti! Nel fuoco eterno preparato dal furore di Dio per il demonio e gli angeli tenebrosi e per coloro che li hanno ascoltati nelle loro voci di libidine triplice e oscena. Io ebbi fame e non mi sfamaste, sete e non mi dissetaste, fui nudo e non mi rivestiste, pellegrino e mi respingeste, infermo e carcerato e non mi visitaste. Perché non avevate che una legge: il piacere del vostro io”.

Ed essi gli diranno: “Quando ti abbiamo visto affamato, assetato, nudo, pellegrino, infermo, carcerato? In verità noi non ti abbiamo conosciuto. Non eravamo, quando Tu eri sulla Terra”.

Ed Egli risponderà loro: “È vero. Non mi avete conosciuto. Perché non eravate quando Io ero sulla Terra. Ma avete però conosciuto la mia Parola e avete avuto i poveri fra voi, gli affamati, i sitibondi, i nudi, i malati, i carcerati. Perché non avete fatto ad essi ciò che forse avreste fatto a Me? Perché non è già detto che coloro che mi ebbero fra loro fossero misericordiosi col Figlio dell’Uomo. Non sapete che nei miei fratelli Io sono, e dove è uno di essi che soffra là sono Io, e che ciò che non avete fatto ad uno di questi miei minori fratelli lo avete negato a Me, Primogenito degli uomini? Andate e ardete nel vostro egoismo. Andate, e vi fascino le tenebre e il gelo perché tenebra e gelo foste, pur conoscendo dove era la Luce e il Fuoco d’Amore”.

E costoro andranno all’eterno supplizio, mentre i giusti entreranno nella vita eterna. Queste le cose future…

Ora andate. E non dividetevi fra voi. Io vado con Giovanni e sarò a voi a metà della prima vigilia, per la cena e per andare poi alle nostre istruzioni».

«Anche questa sera? Tutte le sere faremo questo? Io sono tutto indolenzito dalle guazze. Non sarebbe meglio entrare ormai in qualche casa ospitale? Sempre sotto le tende! Sempre veglianti e nelle notti, che sono fresche e umide…», si lamenta Giuda.

«È l’ultima notte. Domani… sarà diverso».

«Ah! Credevo che volessi andare al Getsemani tutte le notti. Ma se è l’ultima…».

«Non ho detto questo, Giuda. Ho detto che sarà l’ultima notte da passare al campo dei Galilei tutti uniti. Domani prepareremo la Pasqua e consumeremo l’agnello, e poi andrò Io solo a pregare nel Getsemani. E voi potrete fare ciò che volete».

«Ma noi verremo con Te, Signore! Quando mai abbiamo voglia di lasciarti?», dice Pietro.

«Tu taci, che sei in colpa. Tu e lo Zelote non fate che svolazzare qua e là appena il Maestro non vi vede. Vi tengo d’occhio. Al Tempio… nel giorno… nelle tende lassù…», dice l’Iscariota, lieto di denunciare.

«Basta! Se essi lo fanno, bene fanno. Ma però non mi lasciate solo… Io ve ne prego…».

«Signore, non facciamo nulla di male. Credilo. Le nostre azioni sono note a Dio ed il suo occhio non si torce da esse con disgusto», dice lo Zelote.

«Lo so. Ma è inutile. E ciò che è inutile può sempre essere dannoso. State il più possibile uniti».

Poi si volge a Matteo: «Tu, mio buon cronista, ripeterai a costoro la parabola delle dieci vergini savie e delle dieci stolte, e quella del padrone che dà dei talenti ai suoi tre servi perché li facciano fruttare, e due ne guadagnano il doppio e l’infingardo lo sotterra. Ricordi?».

«Sì, Signor mio, esattamente».

«Allora ripetile a questi. Non tutti le conoscono. E anche quelli che le sanno avranno piacere a riascoltarle. Passate così in sapienti discorsi il tempo sino al mio ritorno. Vegliate! Vegliate! Tenete desto il vostro spirito. Quelle parabole sono appropriate anche a ciò che dissi. Addio. La pace sia con voi».

Prende Giovanni per mano e si allontana con lui verso la città… Gli altri si avviano verso il campo galileo.

 

Estratto di “l’Evangelo come mi è stato rivelato” di Maria Valtorta

1° NOVEMBRE TUTTI I SANTI

1° NOVEMBRE TUTTI I SANTI
1° NOVEMBRE TUTTI I SANTI

1° NOVEMBRE TUTTI I SANTI

Questa solennità ci fa guardare la vita dei Santi e quasi fa pensare all’impossibilità di seguirne le orme. Effettivamente è molto difficile imitare la vita fatta di lunghe penitenze e di digiuni di San Francesco d’Assisi, invece è alla portata di tutti imitare la sua preghiera.
Sicuramente non con la sua intensità, perché la preghiera è espressione di ciò che è l’anima, se è pura o ancora macchiata dalle conseguenze dei peccati.
L’anima purificata dalla preghiera costante e piena di amore verso Gesù, che si purifica con la rinuncia a tutto ciò che si oppone agli insegnamenti del Signore, è certamente molto gradita e davanti a Dio merita più attenzione e di ricevere maggiori Grazie.
Una persona viene apprezzata o respinta dalle opere che compie, se è sincera e affidabile è una grande gioia restare e dialogare insieme.
Dio apprezza le anime che meritano il suo Amore perché si sforzano di compiere la sua volontà. Come quando un figlio fa di tutto per osservare le indicazioni dei genitori e questi sono felici per il figlio o la figlia obbediente, sincero/a, affidabile.
Quindi rimane un po’ difficile imitare le opere penitenziali dei Santi, mentre è possibile vivere interiormente quasi come Loro, mettendo Gesù al centro della vita e tenendo ben presente nella mente che saremo giudicati dall’amore verso Dio e il prossimo.
La vita non è vissuta bene se ci sono solo divertimenti, anche se sono leciti, anche se questi devono esserci e tutto si può compiere di lecito, ma la vera vita è quando vogliamo realizzarci nell’Amore di Dio, mettendo al centro i suoi interessi, senza per questo eliminare una vita sociale normale insieme agli amici e alle persone che si gradiscono.
Ci sono molte anime che rifiutano pure i divertimenti per donarsi totalmente a Dio, e in questo tempo di tribolazioni è una Grazia.
La vita dei Santi sappiamo che è stata piena di grandi opere, hanno donato la Loro vita a Dio privandosi di tutto. I Santi vengono visti come persone irraggiungibili e questo è sbagliato, vuol dire che non si comprende bene il Vangelo.

28 OTTOBRE 2018 XXX DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO ANNO B Mc 10,46-52

7,31-37 Mc Effatá IL CIECO DI GERICO
28 OTTOBRE 2018 XXX DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO ANNO B Mc 10,46-52

Felice sera, un saluto e una lode al Signore. https://blog.libero.it/wp/ilvangelo/wp-content/uploads/sites/16141/2018/10/1020×765-300×206.gif

Dal Vangelo di Gesù Cristo secondo Marco 10,46-52
In quel tempo, mentre Gesù partiva da Gerico insieme ai discepoli e a molta folla, il figlio di Timèo, Bartimèo, cieco, sedeva lungo la strada a mendicare. Costui, al sentire che c’era Gesù Nazareno, cominciò a gridare e a dire: «Figlio di Davide, Gesù, abbi pietà di me!». Molti lo sgridavano per farlo tacere, ma egli gridava più forte: «Figlio di Davide, abbi pietà di me!». Allora Gesù si fermò e disse: «Chiamatelo!». E chiamarono il cieco dicendogli: «Coraggio! Alzati, ti chiama!». Egli, gettato via il mantello, balzò in piedi e venne da Gesù. Allora Gesù gli disse: «Che vuoi che Io ti faccia?». E il cieco a lui: «Rabbunì, che io riabbia la vista!». E Gesù gli disse: «Và, la tua Fede ti ha salvato». E subito riacquistò la vista e prese a seguirlo per la strada.

Rivelazione di Gesù a Maria Valtorta
Corrispondenza nell’“Evangelo come mi è stato rivelato” di Maria Valtorta
Volume 8 – Capitolo 41

È un’alba che appena sfuma il suo candore in un primo roseo d’aurora. Il silenzio fresco della campagna si rompe sempre più, ornandosi dei trilli degli uccelli ridesti. Gesù esce per il primo dalla casa di Niche, accosta silenziosamente la porta e si dirige al verde frutteto, dove si sgranano le note limpide dei capineri e flautano i merli il loro canto. Ma non vi è ancora giunto quando da esso vengono avanti quattro persone. Quattro di quelli che erano ieri nel gruppo sconosciuto e che non si erano mai scoperti il volto. Si prostrano sino a terra e, al comando e alla domanda che Gesù fa loro dopo averli salutati col suo saluto di pace:
«Alzatevi! Che volete da Me?», si alzano e gettano indietro i mantelli e i copricapo di lino, nei quali avevano tenuto celato il volto come tanti beduini. Riconosco il viso pallido e magro dello scriba Gioele di Abia, visto nella visione di Sabea. Gli altri mi sono sconosciuti, sinché non si nominano:
«Io, Giuda di Beteron, ultimo dei veri Assidei, amici di Matatia Asmoneo»;
«Io, Eliel, e mio fratello Elcana di Betlem di Giuda, fratelli di Giovanna, la tua discepola, e non c’è per noi titolo più grande di questo. Assenti quando eri forte, presenti ora che sei perseguitato»;
«Io, Gioele di Abia, dagli occhi ciechi per tanto tempo, ma ora aperti alla Luce».
«Vi avevo già congedati. Che volete da Me?».
«Dirti che… se stiamo coperti non è per Te, ma…», dice Eliel.
«Avanti! Parlate!».
«Ma… Parla tu, Gioele. Perché tu sei quello che più di tutti sai…».
«Signore… Ciò che io so è così… orrendo… Vorrei che neppure le zolle sapessero, sentissero ciò che sto per dire…».
«Le zolle in verità trasaliranno. Non Io. Perché so ciò che vuoi dire. Ma parla ugualmente…».
«Se lo sai… lascia che le mie labbra non fremano nel dire questa orrenda cosa. Non che io pensi che Tu menti dicendo che sai e che vuoi che io dica per sapere, ma proprio perché…».
«Sì. Perché è cosa che grida al Signore. Ma la dirò per persuadere tutti che Io conosco il cuore degli uomini. Tu, membro del Sinedrio e conquistato alla Verità, hai scoperto cosa che non hai saputo portare da te solo. Perché è troppo grande. E sei andato da questi, veri giudei nei quali è unicamente spirito buono, per consigliarti con essi. Bene hai fatto, anche se a nulla giova ciò che hai fatto. L’ultimo degli Assidei sarebbe pronto a ripetere il gesto dei suoi padri per servire il Liberatore vero. E non è solo. Anche suo parente Barzelai lo farebbe e molti con lui. E i fratelli di Giovanna, per amore di Me e della sorella loro, oltre che della Patria, sarebbero con lui. Ma Io non trionferò per lance né per spade. Entrate del tutto nella Verità. Io trionferò con trionfo celeste.
Tu, ecco ciò che ti fa ancor più pallido e smunto del consueto, sai chi è che ha presentato i testi di accusa contro di Me, i testi che, se falsi sono nel loro spirito, veri sono nella realtà delle loro parole, perché Io in verità ho violato il sabato quando dovetti fuggire, non essendo ancor venuta la mia ora, e quando strappai due innocenti ai ladroni, e potrei dire che la necessità giustifica l’atto così come necessità giustificò Davide per essersi nutrito dei pani della proposizione.
In verità Io mi sono rifugiato in Samaria, anche se, venuta la mia ora e propostomi dai samaritani di star presso loro come Pontefice, ho rifiutato onori e sicurezza per rimanere fedele alla Legge, anche se questo vuol dire consegnarmi ai nemici.
E vero è che amo i peccatori e le peccatrici sino a strapparli al peccato.
E vero è che predico la rovina del Tempio, anche se queste mie parole non sono che conferma del Messia alle parole dei suoi profeti.
Colui che fornisce queste e altre accuse, e anche i miracoli li volge ad atto di accusa, e di ogni cosa della Terra si è servito per cercare di trarmi in peccato e poter unire altre accuse alle prime, è un mio amico. Anche questo è detto dal re profeta da cui, per Madre, Io discendo:
“Colui che mangiava il mio pane alzò contro di Me il suo calcagno”.
Lo so. Morirei due volte, se potessi non impedire che egli compia il delitto -ormai… la sua volontà si è data alla morte, e Dio non violenta la libertà dell’uomo- ma che almeno… oh! che almeno lo schianto dell’orrore compiuto lo gettasse pentito ai piedi di Dio… Per questo tu, Giuda di Beteron, ammonivi ieri Mannaen di tacere. Perché il serpente era presente e poteva danneggiare il discepolo, oltre il Maestro. No. Solo il Maestro sarà colpito. Non temete. Non sarà per Me che avrete pene e sventure. Ma per il delitto di tutto un popolo avrete tutti ciò che hanno detto i profeti.
Misera, misera Patria mia! Misera terra che conoscerà il castigo di Dio! Miseri abitanti, e fanciulli che ora Io benedico e vorrei salvi e che, pur innocenti, conosceranno da adulti il morso della più grande sventura.
Guardatela questa vostra terra florida, bella, verde e fiorita come un tappeto mirabile, fertile come un Eden… Imprimetevene la bellezza nel cuore, e poi… quando Io sarò tornato onde venni… fuggite. Fuggite sinché potete farlo, prima che, come rapace d’inferno, la desolazione della rovina si spanda qui e abbatta e distrugga e sterilisca, bruci, più che a Gomorra, più che a Sodoma… Sì. Più che là, che non fu che rapida morte. Qui… Gioele, ricordi Sabea? Ella ha profetato un’ultima volta il futuro del Popolo di Dio che non volle il Figlio di Dio».
I quattro sono sbalorditi. La paura del futuro li fa muti. Infine parla Eliel:
«Tu ci consigli?…».
«Sì. Andate. Nulla sarà più, qui, che valga a trattenere i figli del popolo di Abramo. E d’altronde, specie voi, notabili di esso, non sareste lasciati… I potenti fatti prigionieri abbellano il trionfo del vincitore. Il Tempio nuovo e immortale empirà di sé la Terra, e ognun che mi cerchi mi avrà, perché Io sarò dovunque un cuore mi ami. Andate. Portate via le vostre donne, i figli, i vecchi… Voi mi offrite salvezza e aiuto. Io vi consiglio salvezza e vi aiuto con questo consiglio… Non lo sprezzate».
«Ma ormai… che più deve nuocerci Roma? Dominati siamo. E se dura è la sua legge, vero è anche che Roma ha riedificato case e città e…».
«In verità, sappiatelo, in verità non una pietra di Gerusalemme rimarrà intatta. Fuoco, ariete, frombole e giavellotti atterreranno, morderanno, sconvolgeranno ogni casa, e spelonca diverrà la Città sacra, e non essa sola… Spelonca questa Patria nostra. Posto di onagri e di lamie, come dicono i profeti. E non per uno o più anni, o per secoli, ma per sempre. Il deserto, l’arsione, la sterilità… Ecco la sorte di queste terre! Campo di contese, luogo di torture, sogno di ricostruzione sempre distrutto da una condanna inesorabile, tentativi di risurrezione spenti in sul nascere. La sorte della Terra che respinse il Salvatore e volle una rugiada che è fuoco sui colpevoli».
«Non… non ci sarà dunque più, mai più un Regno d’Israele? Non saremo mai più ciò che sognammo?», chiedono con voce affannosa i tre notabili giudei. Lo scriba Gioele piange…
«Avete mai osservato una pianta annosa dal midollo distrutto dalla malattia? Per anni vegeta stentatamente, tanto stentatamente che non fiorisce né fa frutto. Solo qualche rara foglia sui rami esausti dice che ancor vi è un poco di linfa che sale… Poi, ad un aprile, eccola fiorire miracolosamente e coprirsi di foglie numerose, e se ne rallegra il padrone che per tanti anni la curò senza frutti, se ne rallegra pensando che la pianta è guarita e torna ad essere rigogliosa dopo tanto squallore… Oh! inganno! Dopo tanto esuberante esplodere di vita, ecco la subita morte.
Cadono fiori, foglie e i frutticini che parevano già allegare sui rami e promettevano pingue raccolto, e con un improvviso scroscio la pianta crolla al suolo marcita alla base. Così farà Israele. Dopo secoli di sterile vegetare sparso, si riunirà sull’annoso tronco e avrà una parvenza di ricostruzione. Riunito alfine il Popolo disperso. Riunito e perdonato. Sì. Dio attenderà quell’ora per recidere i secoli. Non vi saranno più secoli, ma eternità allora.
Beati quelli che, essendo perdonati, costituiranno la fioritura fugace dell’ultimo Israele, divenuto, dopo tanti secoli, del Cristo, e moriranno redenti, insieme con tutti i popoli della Terra, beati con quelli che, fra essi, hanno non solo conosciuto l’esistenza mia, ma abbracciata la mia Legge come legge di Salute e Vita. Sento le voci dei miei apostoli. Andate prima che vengano…».
«Non è per viltà, Signore, che cerchiamo di rimanere ignoti. Ma per servirti. Per poterti servire. Se si sapesse che noi, che io soprattutto, siamo venuti a Te, saremmo esclusi dalle deliberazioni…», dice Gioele.
«Comprendo. Ma badate che il serpente è astuto. Tu in specie sii cauto, Gioele…».
«Oh! mi uccidessero! Preferirei la mia alla tua morte! E non vedere i giorni che dici! Benedicimi, Signore, per fortificarmi…».
«Vi benedico tutti nel Nome di Dio uno e trino e nel Nome del Verbo incarnato per essere salute agli uomini di buona volontà».
Li benedice collettivamente con un largo gesto e poi posa la mano, singolarmente, sulle quattro teste chine ai suoi piedi. Essi poi si alzano, si coprono di nuovo il volto e si imboscano fra le piante del frutteto e le siepi di more, che dividono i peri dai meli e questi da altri alberi. In tempo, perché in gruppo escono dalla casa i dodici apostoli, cercando il Maestro per mettersi in cammino.
E Pietro dice: «Sul davanti della casa, verso la città, è una turba di popolo che a stento abbiamo trattenuta per lasciarti pregare. Vogliono seguirti. Nessuno di quelli che hai congedato è partito. Anzi, molti sono tornati indietro e molti sono sopraggiunti. Li abbiamo sgridati…».
«Perché? Lasciate che mi seguano! Così fosse di tutti! Andiamo!».
E Gesù, aggiustatosi il manto che Giovanni gli porge, si mette alla testa dei suoi, raggiunge la casa, la costeggia, mette piede sulla via che va a Betania e intona a gran voce un salmo. La gente, una vera folla, prima tutti gli uomini, poi le donne e i fanciulli, lo seguono, cantando con Lui…
La città si allontana fra la sua cinta di verde. La strada è percorsa da molti pellegrini. E ai margini molti mendichi alzano i loro lagni per impietosire la folla e fare così questue fruttuose. Storpi, monchi, ciechi… La solita miseria che in ogni era e in ogni regione costuma adunarsi là dove una festività convoglia le folle. E se i ciechi non vedono chi passa, gli altri vedono e, conoscendo la bontà del Maestro verso i poveri, gettano il loro grido più forte del solito per attirare l’attenzione di Gesù. Però non chiedono miracolo. Soltanto obolo. E Giuda dà l’obolo.
Una donna di civile condizione ferma il ciuchino, sul quale è in sella, presso un robusto albero che ombreggia un bivio, e attende Gesù. Quando Egli è vicino, scivola dalla sua cavalcatura e si prostra, a fatica, perché ha fra le braccia una creaturina molto inerte. La solleva senza dire una parola. I suoi occhi pregano nel volto afflitto. Ma Gesù è fra una siepe di gente e non vede la povera madre inginocchiata ai margini della via. Un uomo e una donna, che sembrano in compagnia della madre afflitta, le parlano. «Non c’è nulla per noi», dice scuotendo il capo l’uomo. E la donna: «Padrona, Egli non ti ha vista. Chiamalo con fede ed Egli ti esaudirà».
La madre le dà ascolto e grida, forte, per vincere il rumore dei canti e dei passi: «Signore! Pietà di me!».
Gesù, che è già avanti qualche metro, si arresta e si volge cercando chi ha gridato, e la servente dice: «Padrona, ti cerca. Alzati, dunque, e va da Lui, e Fabia sarà guarita», e l’aiuta ad alzarsi guidandola verso il Signore, che dice:
«Chi mi ha invocato venga a Me. È tempo di misericordia per chi sa sperare in essa».
Le due donne si fanno largo, prima la servente per preparare la strada alla madre, poi la stessa, e stanno per raggiungere Gesù quando una voce grida:
«Il mio braccio perduto! Guardate! Benedetto il Figlio di Davide! Il sempre potente e santo nostro vero Messia!».
Succede un trambusto, perché molti si girano e la folla ha un rimescolio, un movimento di onde contrarie intorno a Gesù. Tutti vogliono sapere, vedere… Interrogano un vecchio, che agita il suo braccio destro come fosse una bandiera e che risponde:
«Egli si era fermato. Io sono riuscito a prendere un lembo del suo manto e a coprirmi di esso, e come un fuoco mi è corso per il braccio morto e una vita, ed ecco, il destro è come il sinistro, solo perché fu toccato dalla sua veste».
Gesù intanto chiede alla donna: «Che vuoi?».
La donna tende la sua creatura e dice: «Anche essa ha diritto alla vita. Innocente essa. Non chiese d’essere di un o dell’altro luogo, di un o dell’altro sangue. Io colpevole. Io punita. Non lei».
«Speri tu che la misericordia di Dio sia più grande di quella degli uomini?».
«Lo spero, Signore. Io credo. Per me e per la mia creatura alla quale spero Tu renda pensiero e moto. Si dice che Tu sei la Vita…», e piange.
«Io sono la Vita, e chi crede in Me avrà vita dello spirito e delle membra. Voglio!».
Gesù ha gridato queste parole con voce forte e ora abbassa la mano sulla creatura inerte, e questa ha un fremito, un sorriso, una parola: «Mamma!».
«Si scuote! Sorride! Ha parlato! Fabio! Padrone!».
Le due donne hanno seguito le fasi del miracolo e le hanno proclamate forte. E hanno chiamato il padre, che si fa largo fra la gente e giunge alle donne quando già esse sono ai piedi di Gesù piangendo, e mentre la servente dice: «Io te lo avevo detto che Egli ha pietà di tutti!», la madre dice: «E ora perdonami anche il mio peccato».
«Non te lo mostra il Cielo, colla Grazia concessa, che il tuo errore è perdonato? Sorgi e cammina. Nella via nuova, con tua figlia e coll’uomo che hai scelto. Va. La pace a te. E a te, fanciullina. E a te, fedele israelita. Molta pace a te, per la tua fedeltà a Dio e alla figlia della famiglia che servivi e che col tuo cuore hai tenuto vicina alla Legge. E pace anche a te, uomo, che sei stato più rispettoso, per il Figlio dell’Uomo, di molti altri di Israele».
Si congeda mentre la folla, lasciato il vecchio, si interessa del nuovo miracolo sulla fanciullina paralizzata ed ebete, forse per una meningite, e che ora saltella felice, dicendo le uniche parole che sa, quelle che forse sapeva quando si era ammalata e che ritrova intatte nella mente risorta: «Padre, mamma, Elisa. Il bel sole! I fiori!…».
Gesù fa per andare, ma dal bivio ormai superato, da presso gli asinelli lasciati in asso dai miracolati, altri due gridi, lamentosi, dalla caratteristica cadenza ebrea:
«Gesù, Signore! Figlio di Davide, abbi pietà di me!».
E di nuovo, più forte, per superare i gridi della folla che dice:
«Tacete. Lasciate andare il Maestro. Lunga è la via e si alza il sole sempre più forte. Che Egli possa essere sui colli prima del calore», gridano di nuovo: «Gesù, Signore, Figlio di Davide, abbi di me pietà».
Gesù si ferma di nuovo dicendo: «Andate a prendere quelli che gridano e conducetemeli qui».
Alcuni volonterosi vanno. Raggiungono i due ciechi e dicono: «Venite. Egli ha pietà di voi. Alzatevi, ché vi vuole esaudire. Ha mandato noi a chiamarvi in suo nome», e cercano di guidare i due ciechi fra la folla.
Ma se uno si fa condurre, l’altro, più giovane e forse più credente, precorre il desiderio dei volonterosi e si fa avanti da solo, col suo bastoncello puntato in avanti, il caratteristico sorriso e atteggiamento dei ciechi sul volto alzato a cercare la luce… e sembra che il suo Angelo lo guidi, tanto va svelto e sicuro. Se non avesse gli occhi bianchi, non parrebbe cieco.
Giunge per primo davanti a Gesù, che lo ferma dicendo:
«Che vuoi che ti faccia?».
«Che io veda, Maestro. Fa, o Signore, che i miei occhi e quelli del mio compagno si aprano».
È sopraggiunto l’altro cieco e lo fanno inginocchiare presso il compagno. Gesù posa le mani sulle loro facce alzate e dice:
«Sia fatto come chiedete. Andate! La vostra fede vi ha salvati!».
Leva le mani e due gridi escono dalle labbra dei ciechi:
«Io vedo, Uriel!»,
«Io vedo, Bartimeo!», e poi insieme:
«Benedetto Colui che viene nel nome del Signore! Benedetto Colui che lo ha mandato! Gloria a Dio! Osanna al Figlio di Davide», e due volti al suolo a baciare i piedi di Gesù, e poi si alzano, i due già ciechi, e quello detto Uriel dice:
«Vado a mostrarmi ai parenti e poi torno a seguirti, o Signore».
Ma Bartimeo dice invece: «Io non ti lascio. Manderò ad avvisarli. Sarà sempre gioia. Ma separarmi da Te, no. Mi hai dato la vista. Io ti consacro la vita. Abbi pietà del desiderio del tuo infimo servo».
«Vieni e seguimi. La buona volontà uguaglia ogni condizione, e solo è grande chi meglio sa servire il Signore».
E Gesù riprende il cammino fra gli osanna della folla, e Bartimeo si mette fra essa e va, osannando con gli altri, dicendo:
«Ero venuto per un pane e ho trovato il Signore. Ero povero, ora sono ministro del Re santo. Gloria al Signore e al suo Messia»…

Estratto di “l’Evangelo come mi è stato rivelato” di Maria Valtorta

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21 OTTOBRE 2018 XXIX DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO ANNO B Mc 10,35-45

10,32-45 Mc
Dal Vangelo di Gesù Cristo secondo Marco 10,35-45
E gli si avvicinarono Giacomo e Giovanni, i figli di Zebedèo, dicendogli: «Maestro, noi vogliamo che Tu ci faccia quello che ti chiederemo». Egli disse loro: «Cosa volete che Io faccia per voi?». Gli risposero: «Concedici di sedere nella tua gloria uno alla tua destra e uno alla tua sinistra». Gesù disse loro: «Voi non sapete ciò che domandate. Potete bere il calice che Io bevo, o ricevere il battesimo con cui Io sono battezzato?». Gli risposero: «Lo possiamo». E Gesù disse: «Il calice che Io bevo anche voi lo berrete, e il battesimo che Io ricevo anche voi lo riceverete. Ma sedere alla mia destra o alla mia sinistra non sta a Me concederlo; è per coloro per i quali è stato preparato». All’udire questo, gli altri dieci si sdegnarono con Giacomo e Giovanni. Allora Gesù, chiamatili a sé, disse loro: «Voi sapete che coloro che sono ritenuti capi delle Nazioni le dominano, e i loro grandi esercitano su di esse il potere. Fra voi però non è così; ma chi vuol essere grande tra voi si farà vostro servitore, e chi vuol essere il primo tra voi sarà il servo di tutti. Il Figlio dell’Uomo infatti non è venuto per essere servito, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti».

Rivelazione di Gesù a Maria Valtorta
Corrispondenza nell’“Evangelo come mi è stato rivelato” di Maria Valtorta Volume 9 – Capitolo 577

L’alba appena schiarisce il cielo e rende ancora difficile il cammino quando Gesù lascia Doco ancora dormente. Lo scalpiccio dei passi non è certo udito da alcuno, perché è cauto e perché la gente dorme ancora nelle case chiuse. Nessuno parla sinché sono fuori della città, nella campagna che si ridesta lentamente nella parca luce tutta fresca dopo il lavacro delle rugiade. Allora l’Iscariota dice:
«Strada inutile, riposo negato. Era meglio non venire sin qui».
«Non ci hanno trattato male quei pochi che abbiamo trovato! Hanno perso la notte per ascoltarci e per andare a prendere i malati delle campagne. È stato proprio bene, anzi, di essere venuti. Perché coloro che, per malattia o altra causa, non potevano sperare di vedere il Signore a Gerusalemme, lo hanno visto qui e sono stati consolati con la salute o con altre Grazie. Gli altri, si sa, sono andati già alla città… È uso di noi tutti andarvi, sol che si possa, qualche giorno prima della festa», dice Giacomo di Alfeo dolcemente, perché egli è sempre mite, tutto all’opposto di Giuda di Keriot, che anche nelle ore buone è sempre violento e imperioso.
«Appunto perché si va anche noi a Gerusalemme, era inutile venire qui. Ci avrebbero sentiti e visti là…».
«Ma non le donne e i malati», ribatte interrompendolo Bartolomeo, in aiuto di Giacomo d’Alfeo. Giuda finge di non sentire e dice, come continuando il discorso:
«Almeno credo che noi si vada a Gerusalemme, benché ora non ne sono più sicuro dopo il discorso fatto a quel pastore…».
«E dove vuoi che si vada se non là?», chiede Pietro.
«Mah! Non so. È tutto così irreale ciò che facciamo da qualche mese, tutto così contrario al prevedibile, al buon senso, alla giustizia anche, che…».
«Ohè! Ma io ti ho visto bere del latte a Doco, eppure tu parli da ebbro! Dove le vedi le cose contrarie alla giustizia?», chiede Giacomo di Zebedeo con occhi che promettono poco bene. E rincara: «Basta di rimproveri al Giusto! Hai capito che basta? Non hai il diritto, tu, di rimproverarlo. Nessuno ha questo diritto, perché Egli è perfetto, e noi… Nessuno di noi lo è, e tu meno di tutti».
«Ma sì! Se sei malato curati, ma non affliggerci con le tue querele. Se sei lunatico, là è il Maestro. Fatti guarire e smettila!», dice Tommaso che perde la pazienza.
Infatti Gesù è dietro, insieme a Giuda d’Alfeo e Giovanni, e aiutano le donne che, meno abituate al camminare in penombra, fanno fatica a procedere per il sentiero non buono e anche più oscuro dei campi, perché tagliato in un folto uliveto. E Gesù parla fitto con le donne, estraniandosi da ciò che succede più avanti e che pure è sentito da chi è con Lui, perché, se le parole giungono male, il tono di esse denota che non sono parole piane, ma che già hanno sapore di disputa.
I due apostoli, il Taddeo e Giovanni, si guardano… ma non parlano. Guardano Gesù e Maria. Ma Maria è tanto velata dal suo manto che quasi non se ne vede il volto, e Gesù sembra non aver sentito.
Però, finito il suo discorso -parlavano di Beniamino e del suo futuro, e parlano della vedova Sara di Afec, che si è stabilita a Cafarnao ed è madre amorosa non soltanto dell’infante di Giscala ma anche dei piccoli figli della donna di Cafarnao che, passata a seconde nozze, non amava più i figli del primo letto e che è morta poi «così male che veramente si è vista la mano di Dio nella sua morte», dice Salome- Gesù va avanti insieme con Giuda Taddeo e si unisce agli apostoli dicendo nell’andarsene:
«Resta pure, Giovanni, se vuoi farlo. Io vado a rispondere all’inquieto e a metter pace».
Ma Giovanni, fatti ancor pochi passi con le donne, visto che ormai il sentiero si fa più aperto e luminoso, raggiunge di corsa Gesù proprio mentre dice:
«Rassicurati, dunque, Giuda. Nulla faremo, come nulla abbiamo mai fatto, di irreale. Anche ora non facciamo cosa contro il prevedibile. Questo è il tempo in cui è prevedibile che ogni vero israelita, non impedito da malattie o cause gravissime, salga al Tempio. E noi al Tempio saliamo».
«Non tutti però. Marziam ho sentito che non ci sarà. È forse malato? Per qual motivo non viene? Ti pare di poterlo sostituire col samaritano?».
Il tono di Giuda è insopportabile…
Pietro mormora: «O prudenza, incatena la lingua a me che sono uomo!», e stringe fortemente le labbra per non dire di più. I suoi occhi, un poco bovini, hanno uno sguardo che commuove, tanto sono visibili in essi lo sforzo che fa l’uomo per frenare il suo sdegno e l’afflizione di sentire Giuda parlare a quel modo.
La presenza di Gesù tiene ferma ogni lingua. È solo Lui che parla, dicendo con una calma veramente divina:
«Venite avanti un poco. Che le donne non sentano. Ho da dirvi una cosa da qualche giorno. Ve l’ho promessa nelle campagne di Tersa. Ma volevo ci foste tutti a sentirla. Tutti voi. Non le donne. Lasciamole nella loro umile pace… In quello che vi dirò sarà anche la ragione per la quale Marziam non sarà con noi, e non tua madre, Giuda di Keriot, e non le tue figlie, Filippo, e non le discepole di Betlemme di Galilea con la fanciulla. Vi sono cose che non tutti possono sopportare.
Io, Maestro, so cosa è bene per i miei discepoli e quanto essi possono o non possono sopportare. Neppur voi siete forti per sopportare la prova. E Grazia sarebbe per voi esserne esclusi. Ma voi dovrete continuarmi e dovete sapere quanto siete deboli per essere in seguito misericordiosi con i deboli. Perciò voi non potete essere esclusi da questa tremenda prova, che vi darà la misura di ciò che siete, di ciò che siete restati dopo tre anni che siete con Me e di ciò che siete divenuti dopo tre anni che siete con Me. Siete dodici. Siete venuti a Me quasi contemporaneamente.
Non sono i pochi giorni che vanno dal mio incontro con Giacomo, Giovanni e Andrea, al giorno nel quale anche tu sei stato accolto fra noi, Giuda di Keriot, né a quello che tu, Giacomo fratello mio, e tu, Matteo, siete venuti con Me, quelli che possano giustificare tanta differenza di formazione fra voi. Eravate tutti, anche tu, dotto Bartolmai, anche voi, fratelli miei, molto informi, assolutamente informi rispetto a quanto è formazione nella mia dottrina. Anzi, la vostra formazione, migliore a quella di altri fra voi nella dottrina del vecchio Israele, vi era di ostacolo al formarvi in Me.
Eppure, nessuno di voi ha percorso tanta strada quale sarebbe stata sufficiente a portarvi tutti ad un unico punto. Uno lo ha raggiunto, altri vi sono vicini, altri più lontani, altri molto indietro, altri… sì, devo dire anche questo, in luogo di venire avanti sono arretrati. Non vi guardate! Non cercate fra voi chi è il primo e chi è l’ultimo.
Colui che, forse, si crede il primo ed è creduto primo, ha ancora da saggiare se stesso. Colui che si crede ultimo sta per risplendere nella sua formazione come una stella del cielo.
Perciò, una volta di più, vi dico: non giudicate. I fatti giudicheranno con la loro evidenza. Per ora non potete capire. Ma presto, molto presto ricorderete queste mie parole e le capirete».
«Quando? Ci hai promesso di dirci, di spiegarci anche perché la purificazione pasquale sarà diversa quest’anno, e non ce lo dici mai», si lamenta Andrea.
«È di questo che vi ho voluto parlare. Perché tanto quelle parole che questa sono un’unica cosa, avendo radice in un’unica cosa.
Noi, ecco, stiamo ascendendo a Gerusalemme per la Pasqua. E là si compiranno tutte le cose dette dai profeti riguardo al Figlio dell’Uomo. In verità, così come videro i profeti, come già è detto nell’ordine dato agli ebrei di Egitto, come fu ordinato a Mosè nel deserto, l’Agnello di Dio sta per essere immolato e il suo Sangue sta per bagnare gli stipiti dei cuori, e l’Angelo di Dio passerà senza percuotere coloro che avranno su di loro, e con amore, il Sangue dell’Agnello immolato, che sta per essere innalzato come il serpente di prezioso metallo sulla barra trasversa, ad essere segno ai feriti dal serpente infernale, per essere salute a coloro che Lo guarderanno con amore.
Il Figlio dell’Uomo, il vostro Maestro Gesù, sta per essere dato nelle mani dei principi dei sacerdoti, degli scribi e degli anziani, che Lo condanneranno a morte e Lo consegneranno ai gentili perché venga schernito. E sarà schiaffeggiato, percosso, sputacchiato, trascinato per le vie come un cencio immondo, e poi i gentili, dopo averlo flagellato e coronato di spine, Lo condanneranno alla morte di croce propria dei malfattori, volendo il popolo ebreo, radunato in Gerusalemme, la sua morte al posto di quella di un ladrone, ed Egli sarà così ucciso.
Ma, così come è detto nei segni delle profezie, dopo tre giorni risorgerà.
Questa la prova che vi attende. Quella che mostrerà la vostra formazione. In verità vi dico, a voi tutti che vi credete tanto perfetti da sprezzare quelli che non sono d’Israele, e anche da sprezzare molti dello stesso popolo nostro, in verità vi dico che voi, mia parte eletta del gregge, preso il Pastore, sarete percossi da paura e vi sbanderete fuggendo, quasi che i lupi, che mi azzanneranno da ogni parte, fossero contro di voi rivolti. Ma, ve lo dico: non temete. Non vi sarà torto un capello. Basterò Io a saziare i lupi feroci…».
Gli apostoli, man mano che Gesù parla, sembrano creature sotto un grandinare di pietre. Si curvano persino, sempre più mano a mano che Gesù parla. E quando Egli termina:
«E quanto vi dico è ormai imminente. Non è come le altre volte, che del tempo era davanti all’ora. Adesso l’ora è venuta. Io vado per essere dato ai miei nemici e immolato per la salute di tutti. E questo bocciolo di fiore non avrà ancora perduto i suoi petali, dopo esser fiorito, che Io sarò già morto», chi si ripara il volto con le mani e chi geme come se venisse ferito.
L’Iscariota è livido, letteralmente livido… Il primo a riprendersi è Tommaso, che proclama:
«Questo non ti accadrà, perché noi ti difenderemo o moriremo insieme a Te, e così dimostreremo che ti avevamo raggiunto nella tua perfezione e che eravamo perfetti nell’amore di Te».
Gesù lo guarda senza parlare. Bartolomeo, dopo un lungo silenzio meditabondo, dice:
«Hai detto che sarai dato… Ma chi, chi può darti in mano ai tuoi nemici? Ciò non è detto nelle profezie. No. Non è detto. Sarebbe troppo orribile se un tuo amico, un tuo discepolo, un tuo seguace, anche l’ultimo di tutti, ti desse a quelli che ti odiano. No!
Chi ti ha udito con amore, anche una volta sola, non può commettere questo delitto. Sono uomini, non belve, non satana…
No, mio Signore. E neppure quelli che ti odiano potranno… Hanno paura del popolo, e il popolo sarà tutto intorno a Te!».
Gesù guarda anche Natanaele e non parla. Pietro e lo Zelote parlano fitto fitto fra loro. Giacomo di Zebedeo malmena, a parole, il fratello perché lo vede calmo, e Giovanni risponde:
«È perche da tre mesi io so questo», e due lacrime gli scendono sul volto. I figli di Alfeo parlano con Matteo, che scrolla il capo sconfortato. Andrea si volge all’Iscariota:
«Tu che hai tanti amici nel Tempio…».
«Giovanni conosce lo stesso Anna», ribatte Giuda e termina: «Ma che ci vuoi fare? Che vuoi che possa parola d’uomo se così è segnato?».
«Tu credi proprio?», domandano insieme Tommaso e Andrea.
«No. Io non credo niente. Sono allarmi inutili. Dice bene Bartolomeo. Tutto il popolo sarà intorno a Gesù. Già lo si vede da questi che si incontrano. E sarà un trionfo. Vedrete che sarà così», dice Giuda di Keriot.
«Ma allora perché Egli…», dice Andrea accennando a Gesù che si è fermato per attendere le donne. «Perché lo dice? Perché è impressionato… e perché ci vuole provare. Ma non accadrà nulla. Del resto io andrò…».
«Oh! sì. Va’ a sentire!», supplica Andrea.
Tacciono perché Gesù li segue di nuovo, stando fra la Madre e Maria d’Alfeo. Maria ha un pallido sorriso perché la cognata le mostra dei semi, presi non so dove, e le dice che vuol seminarli a Nazaret dopo la Pasqua, proprio presso la grotticella a Maria tanto cara:
«Quando eri bambina io ti ricordo sempre con questi fiori nelle manine. Li chiamavi i fiori della tua venuta. Infatti, quando nascesti, il tuo orto ne era pieno, e quella sera, quando tutta Nazaret corse a vedere la figlia di Gioacchino, i ciuffi di queste stelline erano tutti un diamante per l’acqua che era scesa dal cielo e per l’ultimo raggio di sole che da ponente li colpiva, e posto che ti chiamavi “Stella”, tutti dicevano, guardando quelle tante piccole stelle brillanti:
“I fiori si sono ornati a far festa al fior di Gioacchino e le stelle hanno lasciato il cielo per venir dalla Stella”, e sorridevano tutti, felici del presagio e della gioia di padre.
E Giuseppe, il fratello del mio sposo, disse: “Stelle e stille. È veramente Maria!”.
Chi glielo avrebbe detto allora che la sua stella avresti dovuto divenire? Quando tornò da Gerusalemme eletto a tuo sposo! Tutta Nazaret gli voleva far festa, perché era grande il suo onore venuto dal Cielo e venuto dagli sponsali con Te, figlia di Gioacchino e Anna, e tutti lo volevano a festino. Ma egli con il suo dolce ma fermo volere respinse ogni festa, stupendo tutti, perché quale è quell’uomo, destinato a onorevoli nozze e con tal decreto dell’Altissimo, che non festeggi la sua felicità d’anima e di carne e sangue? Ma egli diceva: “A grande elezione grande preparazione”.
E con continenza anche di parole e di cibo, ché ogni altra continenza era sempre stata in lui, passò quel tempo lavorando e pregando, perché credo che ogni colpo di martello, ogni segno di scalpello divenisse orazione, se orare si può col lavoro. Il suo viso era come estatico. Io andavo a riordinare la casa, imbiancare lenzuoli e ogni altro lasciati da tua madre e divenuti gialli nel tempo, e lo guardavo mentre lavorava nell’orto e nella casa a rifarli belli come mai fossero rimasti in abbandono, e gli parlavo anche… ma era come assorto. Sorrideva.
Ma non a me o ad altri, ad un suo pensiero che non era, no, il pensiero di ogni uomo prossimo a nozze. Quello è sorriso di letizia maliziosa e carnale… Lui… pareva sorridesse agli invisibili Angeli di Dio, e con essi parlasse e si consigliasse… Oh! che io ne sono certa che essi lo istruissero sul come trattare Te! Perché dopo, altro stupore di tutta Nazaret, e quasi sdegno del mio Alfeo, procrastinò le nozze a quanto più poté, e non si capì mai come d’improvviso si decidesse prima del tempo fissato.
E anche quando ti si seppe madre, come stupì Nazaret della sua gioia assorta!… Ma anche il mio Giacomo è un poco così. E sempre più lo diventa. Ora che lo osservo bene -non so perché, ma da quando venimmo ad Efraim mi pare tutto nuovo- lo vedo così… proprio come Giuseppe. Guardalo anche ora, Maria, or che si volge di nuovo a guardarci. Non ha l’aspetto assorto, tanto abituale in Giuseppe, tuo sposo? Sorride di quel sorriso che non so dire se mesto o lontano. Guarda e ha lo sguardo lungo, oltre noi, che aveva Giuseppe tante volte. Ti ricordi come lo stuzzicava Alfeo? Diceva: “Fratello, vedi ancor le piramidi?”.
Ed egli scoteva il capo senza parlare, paziente e segreto sui suoi pensieri. Poco ciarliero sempre. Ma da quando tornasti da Ebron! Neppur più veniva solo alla fontana, come prima faceva e come tutti fanno. O con Te o al suo lavoro. E men che il sabato alla sinagoga o quando si recava per affari altrove, nessuno può dire di aver visto Giuseppe a zonzo in quei mesi. Poi partiste… Che affanno non saper più nulla di voi dopo la strage! Alfeo si spinse sino a Betlemme… “Partiti”, dissero.
Ma come credere se vi odiavano a morte nella città dove ancora rosseggiava il sangue innocente e fumavano le rovine e vi si faceva accusa che per voi quel sangue era scorso? Andò a Ebron e poi al Tempio, perché Zaccaria aveva il suo turno. Elisabetta non gli dette che lacrime, Zaccaria parole di conforto. L’una e l’altro, in affanno per Giovanni, temendo nuove ferocie, l’avevano nascosto e trepidavano per lui. Di voi nulla sapevano, e Zaccaria disse ad Alfeo: “Se sono morti, il loro sangue è su me, perché io li persuasi a rimanere a Betlemme”.
La mia Maria! Il mio Gesù visto così bello alla Pasqua che seguì la sua nascita! E non saperne nulla. Per tanto! Ma perché mai una notizia?».
«Perché bene era tacere. Là dove eravamo, molte erano le Marie e i Giuseppe, e bene era passar per una coppia qualunque di sposi», risponde quieta Maria e sospira: «Ed erano, nella loro tristezza, giorni ancor felici. Il male era così lontano ancora! Se tanto mancava alle nostre persone umane, lo spirito si saziava della gioia di averti, Figlio mio!».
«Anche ora ce l’hai, Maria, il Figlio tuo. Manca Giuseppe, è vero! Ma Gesù è qui e col suo completo amore di adulto», osserva Maria d’Alfeo.
Maria alza il capo a guardare il suo Gesù. E lo strazio è nel suo sguardo anche se la bocca sorride lievemente. Ma non aggiunge parola.
Gli apostoli si sono fermati ad attenderli e si riuniscono tutti, anche Giacomo e Giovanni che erano indietro a tutti con la madre loro. E mentre riposano dal cammino fatto e alcuni mangiano un poco di pane, la madre di Giacomo e Giovanni si avvicina a Gesù e si prostra davanti a Lui che non si è neppur seduto, frettoloso di riprendere il cammino. Gesù la interroga, perché è palese in lei il desiderio di chiedere qualcosa:
«Che vuoi, donna? Parla».
«Concedimi una Grazia, prima che Tu te ne vada così come dici».
«E quale?».
«Quella di ordinare che questi miei due figlioli, che per Te tutto hanno lasciato, seggano uno alla tua destra e l’altro alla tua sinistra quando Tu sarai seduto, nella tua gloria, nel tuo Regno».
Gesù guarda la donna e poi guarda i due apostoli e dice:
«Voi avete suggerito questo pensiero a vostra madre, interpretando molto male le mie promesse di ieri. Il centuplo per ciò che avete lasciato non lo avrete in un regno della Terra. Anche voi dunque divenite avidi e stolti? Ma non voi. È già il crepuscolo mefitico delle tenebre che avanza e l’aria inquinata di Gerusalemme che si avvicina e vi corrompe e acceca… Io vi dico che voi non sapete ciò che chiedete! Potete voi forse bere il calice che berrò Io?».
«Noi lo possiamo, Signore».
«Come potete dirlo se ancor non avete compreso di quale amaritudine sarà il mio calice? Non sarà solamente l’amarezza che vi descrissi ieri, la mia di Uomo di tutti i dolori. Vi saranno torture che, anche se ve le descrivessi, voi non sareste in condizioni di capire… Eppure, sì, poiché -per quanto ancor come due bambini che non conoscono il valore di ciò che chiedono- poiché voi siete due spiriti giusti e amanti di Me, voi certo berrete al mio calice. Però sedere alla mia destra o alla mia sinistra non sta a Me di concedervelo. Essa è cosa concessa a quelli ai quali è stato preparato dal Padre mio».
Gli altri apostoli, mentre ancora Gesù parla, sono acerbi nel criticare la richiesta dei figli di Zebedeo e della loro madre. Pietro dice a Giovanni:
«Tu poi! Non ti riconosco più per quel che eri!».
E l’Iscariota, con il suo sorriso da demonio: «Veramente i primi sono gli ultimi! Tempo di sorprese e di cognizioni…», e ride verde.
«Abbiamo forse seguito per gli onori il Maestro nostro?», rimprovera Filippo.
Tommaso, invece che ai due, si volge a Salome dicendo: «Perché far mortificare i tuoi figli? Se non loro, tu dovevi riflettere e impedire questo».
«È vero. Nostra madre non lo avrebbe fatto», dice il Taddeo.
Bartolomeo non parla, ma il suo volto è tutto una disapprovazione.
Simone Zelote dice, a calmare lo sdegno: «Tutti possiamo errare…».
Matteo, Andrea e Giacomo di Alfeo non parlano, anzi visibilmente soffrono dell’incidente che incrina la bella perfezione di Giovanni. Gesù fa un gesto per imporre silenzio e dice:
«E che? Da un errore ne verranno molti? Voi, che rimproverate indignati, non vi accorgete di peccare voi pure? Lasciate stare questi vostri fratelli. Il mio rimprovero è sufficiente. Il loro avvilimento è palese, il loro pentimento umile e sincero. Dovete amarvi fra voi, sorreggervi a vicenda. Perché, in verità, nessuno di voi è perfetto ancora.
Voi non dovete imitare il mondo e gli uomini di esso. Nel mondo, voi lo sapete, i principi delle Nazioni le signoreggiano e i loro grandi esercitano su di esse il potere in nome dei principi. Ma tra voi così non deve essere. Non deve essere in voi smania di signoreggiare sugli uomini, né sui compagni. Anzi, chi tra voi vorrà diventare maggiore si faccia vostro ministro e chi vuol essere primo si faccia servo di tutti. Così come ha fatto il Maestro vostro.
Son forse venuto per opprimere e signoreggiare? Per essere servito? No, in verità, no. Io sono venuto per servire. E così, come il Figlio dell’Uomo non è venuto ad essere servito, ma per servire e per dare la vita sua in redenzione di molti, così voi dovrete saper fare, se vorrete essere come Io sono e dove Io sono. Ora andate. E siate in pace fra voi come Io lo sono con voi».
Mi dice Gesù: «Segna molto il punto: “…voi certo berrete al mio calice”. Nelle traduzioni si legge: “il mio calice”. Ho detto “al mio”, non “il mio”. Nessun uomo avrebbe potuto bere il mio calice. Io solo, Redentore, l’ho dovuto bere tutto il mio calice.
Ai miei discepoli, ai miei imitatori e amanti, certo è concesso bere a quel calice dove Io bevvi, per quella stilla, quel sorso, o quei sorsi, che la predilezione di Dio concede loro di bere. Ma mai nessuno lo berrà tutto il calice come Io lo bevvi. Dunque è giusto dire “al mio calice” e non “il mio calice”».

Estratto di “l’Evangelo come mi è stato rivelato” di Maria Valtorta

14 OTTOBRE 2018 XXVIII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO ANNO B MARCO 10,17-30

In quel tempo, mentre Gesù usciva per mettersi in viaggio, un tale gli corse incontro e, gettandosi in ginocchio davanti a Lui, gli domandò: «Maestro buono, che cosa devo fare per avere la vita eterna?». Gesù gli disse: «Perché mi chiami buono? Nessuno è buono, se non Dio solo. Tu conosci i Comandamenti: Non uccidere, non commettere adulterio, non rubare, non dire falsa testimonianza, non frodare, onora il padre e la madre». Egli allora gli disse: «Maestro, tutte queste cose le ho osservate fin dalla mia giovinezza». Allora Gesù, fissatolo, lo amò e gli disse: «Una cosa sola ti manca: và, vendi quello che hai e dallo ai poveri e avrai un tesoro in cielo; poi vieni e seguimi». Ma egli, rattristatosi per quelle parole, se ne andò afflitto, poiché aveva molti beni. Gesù, volgendo lo sguardo attorno, disse ai suoi discepoli: «Quanto difficilmente coloro che hanno ricchezze entreranno nel Regno di Dio!». I discepoli rimasero stupefatti a queste sue parole; ma Gesù riprese: «Figlioli, com’è difficile entrare nel Regno di Dio! È più facile che un cammello passi per la cruna di un ago, che un ricco entri nel Regno di Dio». Essi, ancora più sbigottiti, dicevano tra loro: «E chi mai si può salvare?». Ma Gesù, guardandoli, disse: «Impossibile presso gli uomini, ma non presso Dio! Perché tutto è possibile presso Dio». Pietro allora gli disse: «Ecco, noi abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito». Gesù gli rispose: «In verità vi dico: non c’è nessuno che abbia lasciato casa o fratelli o sorelle o madre o padre o figli o campi a causa mia e a causa del Vangelo, che non riceva già al presente cento volte tanto in case e fratelli e sorelle e madri e figli e campi, insieme a persecuzioni, e nel futuro la vita eterna.

Rivelazione di Gesù a Maria Valtorta
Corrispondenza nell’“Evangelo come mi è stato rivelato” di Maria Valtorta
Volume 8 – Capitolo 576 (7 marzo 1947)

È un’altra mattina bellissima d’aprile. La terra e il firmamento spiegano tutte le loro primaverili bellezze. Si respira luce, canto, profumo, tanto l’aria è satura di luminosità, di voci di festa e d’amore, di fragranze. Deve esser scesa nella notte una breve pioggia che ha reso scure e senza polvere le strade, senza con ciò farle fangose, ed ha pulito steli e foglie che ora tremolano, tutte scintillanti e monde, ad una dolce brezza che scende dai monti verso questa fertile piana, che preannuncia Gerico.
Dalle rive del Giordano salgono continuamente persone che hanno traghettato dall’altra sponda, oppure hanno seguito la strada che costeggia il fiume, venendo su questa che punta direttamente su Gerico e su Doco, come indicano i segnali stradali. E ai molti ebrei, che si dirigono da ogni parte a Gerusalemme per il rito, si mescolano mercanti di altri luoghi, e pastori e pastori con gli agnelli dei sacrifici, belanti ignari.
Molti riconoscono e salutano Gesù. Sono, questi, ebrei della Perea e Decapoli e di luoghi anche più lontani. Ve ne è un gruppo di Cesarea Paneade. E sono pastori che, per essere piuttosto nomadi dietro i greggi, hanno conoscenza del Maestro, incontrato o annunciato a loro dai discepoli.
Uno si prostra e gli dice: «Posso offrirti l’agnello?».
«Non te lo levare, uomo. È il tuo guadagno questo».
«Oh! è la mia riconoscenza. Tu non ti ricordi di me. Io sì. Sono uno che Tu hai guarito guarendo tanti. Mi hai rinsaldato l’osso della coscia che nessuno guariva e mi teneva infermo. Te lo do volentieri l’agnello. Il più bello. Questo. Per il banchetto di letizia. Lo so che per l’olocausto sei tenuto alla spesa. Ma per la letizia! Tanta ne hai data a me. Prendilo, Maestro».
«Ma sì, prendilo. Saranno denari che risparmieremo. O meglio, sarà possibilità di mangiare, perché con tutte le prodigalità che si fanno io non ho più denaro», dice l’Iscariota.
«Prodigalità? Ma se da Sichem non si è più speso uno spicciolo!», dice Matteo.
«Insomma, io non ho più denaro. Gli ultimi li detti a Merode».
«Uomo, ascolta», dice Gesù al pastore per porre fine alle parole di Giuda. «Io non vado per ora a Gerusalemme e non posso portare con Me l’agnello. Altrimenti lo accetterei per mostrarti che gradisco il tuo dono».
«Ma poi andrai in città. Ti fermerai per le feste. Avrai un ricovero. Dimmi dove ed io consegnerò ai tuoi amici…».
«Non ho nulla di questo… Ma a Nobe ho un vecchio e povero amico. Ascoltami bene: il dì dopo il sabato pasquale tu andrai all’alba a Nobe e dirai a Giovanni, l’anziano di Nobe (tutti te lo indicheranno): “Questo agnello te lo manda Gesù di Nazaret, tuo amico, perché tu festeggi questo giorno con banchetto di letizia, perché più grande letizia di oggi non c’è per i veri amici del Cristo”. Lo farai?».
«Se così vuoi, lo farò».
«E mi farai felice. Non prima del dì dopo il sabato. Ricorda bene. E ricorda le parole che ti ho detto. Ora va’ e la pace sia con te. E serba il tuo cuore stabile in essa pace nei giorni futuri. Ricorda anche questo e continua a credere nella mia Verità. Addio» .
Della gente si è accostata ad ascoltare il dialogo e si dirada solo quando il pastore, rimettendo in moto il suo gregge, la obbliga a sparpagliarsi. Gesù segue il gregge, approfittando della scia aperta da esso. La gente bisbiglia:
«Ma allora va proprio a Gerusalemme? Ma non sa che c’è il bando per Lui?».
«Eh! ma nessuno può vietare ad un figlio della Legge di presentarsi al Signore per la Pasqua. È colpevole forse di pubblico reato? No. Perché, se lo fosse, il Preside Lo avrebbe fatto imprigionare come Barabba».
E altri: «Hai sentito? Non ha ricovero né amici a Gerusalemme. Che tutti Lo abbiano abbandonato? Anche il risorto? Bella riconoscenza!».
«Taci là! Quelle due sono le sorelle di Lazzaro. Io sono delle campagne di Magdala e le conosco bene. Se le sorelle sono con Lui, segno è che la famiglia di Lazzaro gli è fedele».
«Forse non osa entrare in città».
«Ha ragione».
«Dio Lo perdonerà se sta fuori di essa».
«Non è colpa sua se non può salire al Tempio».
«La sua prudenza è saggia. Se venisse preso, tutto sarebbe finito prima della sua ora».
«Certo non è ancor pronto per la sua proclamazione a re nostro, ed Egli non vuole essere preso».
«Si dice che, mentre lo si sapeva ad Efraim, Egli sia andato in ogni luogo, sin presso le tribù nomadi, per prepararsi i seguaci e le milizie e cercare protezioni».
«Chi te lo ha detto?».
«Sono le solite menzogne. Egli è il Re santo e non il re da milizie».
«Forse farà la Pasqua supplementare. Allora è più facile passare inosservato. Il Sinedrio è sciolto dopo le feste, e tutti i sinedristi vanno alle loro case per la mietitura. Sino a Pentecoste non si raduna di nuovo».
«E, via che siano i sinedristi, chi volete che gli faccia del male? Sono loro gli sciacalli!».
«Uhm! che Egli si usi tanta prudenza? Cosa troppo da uomo! Egli è da più che un uomo e non avrà prudenza vile».
«Vile? Perché? Nessuno può dir vile chi si risparmia per la sua missione».
«Vile sempre, perché ogni missione è sempre inferiore a Dio. Perciò il culto a Dio deve avere la precedenza su ogni altra cosa».
Queste le parole che vanno da bocca a bocca. Gesù mostra di non sentire.
Giuda d’Alfeo si ferma per attendere le donne e, sopraggiunte che siano -esse erano col ragazzo, indietro una trentina di passi- dice a Elisa:
«Avete dato molto a Sichem dopo che partimmo!».
«Perché?».
«Perché Giuda non ha più un picciolo. I tuoi sandali, o Beniamino, non verranno. È destino così. A Tersa non si poté entrare e, anche avessimo potuto, il non aver denaro avrebbe impedito ogni acquisto… Dovrai entrare a Gerusalemme così…».
«Prima c’è Betania», dice Marta con un sorriso.
«E prima c’è Gerico e la mia casa», dice Niche pure sorridendo.
«E prima di tutto ci sono io. Io ho promesso e io farò. Viaggio di esperienze questo! Ho provato cosa è non avere una didramma. E ora proverò cosa è dover vendere un oggetto per bisogno», dice Maria di Magdala.
«E che vuoi vendere, Maria, se non porti più gioielli?», chiede Marta alla sorella.
«Le mie grosse forcine d’argento. Sono tante. Ma per tenere a posto questo inutile peso possono bastare quelle di ferro. Le venderò. Gerico è piena di gente che compra queste cose. E oggi è giorno di mercato, e così domani e sempre per queste ricorrenze».
«Ma sorella!».
«Che? Ti scandalizzi pensando che mi si possa credere povera tanto da dover vendere le forcine d’argento? Oh! vorrei averti dato sempre di questi scandali! Peggio era quando, senza bisogno, vendevo me stessa al vizio altrui e mio».
«Ma taci! C’è il ragazzo, che non sa!».
«Non sa ancora. Forse non sa ancora che io ero la peccatrice. Domani lo saprebbe da chi mi odia perché non sono più tale, e certo con particolari quali il mio peccato non ebbe pur essendo tanto grande. Meglio dunque che lo sappia da me e veda quanto può il Signore che lo ha accolto: fare di una peccatrice una pentita, di un morto un risorto, di me morta nello spirito, di Lazzaro morto nel corpo, due viventi. Perché questo ha fatto a noi il Rabbi, o Beniamino. Ricordalo sempre e amalo con tutto il tuo cuore, perché Egli è veramente il Figlio di Dio».
Un intoppo lungo la via ha fermato Gesù e gli Apostoli, e le donne li raggiungono. Gesù dice: «Andate avanti voi, verso Gerico, ed anche entrateci, se volete. Io vado a Doco con questi. Al tramonto sarò con voi».
«Oh! perché ci allontani? Non siamo stanche», protestano tutte.
«Perché vorrei che voi intanto, almeno alcune, avvisaste i discepoli che Io sarò da Niche domani».
«Se è così, Signore, noi andiamo. Vieni Elisa, e tu Giovanna, e tu Susanna e Marta. Prepareremo ogni cosa», dice Niche.
«E io e il ragazzo. Faremo i nostri acquisti. Benedicici, Maestro. E vieni presto. Tu, Madre, resti?», dice Maria di Magdala.
«Sì. Col Figlio mio».
Si separano. Con Gesù restano soltanto le tre Marie: la Madre, sua cognata Maria Cleofe e Maria Salome. E Gesù lascia la via di Gerico per una via secondaria che va a Doco.
E da poco è per essa quando, da una carovana che viene non so da dove -una ricca carovana che certo viene da lontano perché ha le donne montate sui cammelli, chiuse nelle tremolanti berline o palanchini legati sulle schiene gibbute, e gli uomini a cavallo di focosi cavalli o di altri cammelli- si stacca un giovane e facendo inginocchiare il suo cammello scivola giù di sella, andando verso Gesù. Un servo, accorso, gli tiene la bestia per le briglie.
Il giovane si prostra davanti a Gesù e, dopo il profondo saluto, gli dice:
«Filippo di Canata, figlio di veri israeliti e rimasto tale, io sono. Discepolo di Gamaliele sinché la morte del padre mio non mi fece capo dei suoi commerci. Ti ho sentito più di una volta. So le tue azioni. Aspiro ad una vita migliore per avere quella vita eterna che Tu assicuri possesso di chi crea il tuo Regno in sé. Dimmi dunque, Maestro buono, che dovrò fare per avere la vita eterna?».
«Perché mi chiami buono? Solo Dio è buono».
«Tu sei il Figlio di Dio, buono come il Padre tuo. Oh! dimmi, che devo fare?».
«Per entrare nella vita eterna osserva i Comandamenti».
«Quali, mio Signore? Gli antichi o i tuoi?».
«Negli antichi sono già i miei, i miei non mutano gli antichi. Essi sono sempre:
adorare di amor vero l’unico vero Dio
e rispettare le leggi del culto,
non uccidere,
non rubare,
non commettere adulterio,
non attestare il falso,
onorare padre e madre,
non danneggiare il prossimo ma anzi amarlo come ami te stesso.
Facendo così, avrai la vita eterna».
«Maestro, tutte queste cose le ho osservate dalla mia fanciullezza».
Gesù lo guarda con occhio d’amore e dolcemente gli chiede: «E non ti paiono sufficienti ancora?».
«No, Maestro. Cosa grande è il Regno di Dio in noi e nell’altra vita. Infinito dono è Dio che a noi si dona. Io sento che tutto è poco, di ciò che è dovere, rispetto al Tutto, all’Infinito perfetto che si dona e che penso si debba ottenere con cose più grandi di quelle che sono comandate per non dannarsi ed essergli graditi».
«Tu dici bene. Per essere perfetto ti manca ancora una cosa. Se vuoi essere perfetto come vuole il Padre nostro dei Cieli, va’, vendi quanto hai e dallo ai poveri, e avrai un tesoro in Cielo che ti farà diletto al Padre, che ha dato il suo Tesoro per i poveri della Terra. Poi vieni e seguimi».
Il giovane si rattrista, si fa pensieroso. Poi si alza in piedi dicendo: «Ricorderò il tuo consiglio…», e si allontana tristemente.
Giuda ha un sorrisetto ironico e mormora: «Non sono io solo ad amare il denaro!».
Gesù si volge e lo guarda… e poi guarda gli altri undici visi che gli sono intorno, poi sospira:
«Come difficilmente un ricco entrerà nel Regno dei Cieli, la cui porta è stretta, ed erta è la via, e non possono percorrerla ed entrare coloro che sono caricati dei pesi voluminosi delle ricchezze!
Per entrare lassù non ci vogliono che tesori di virtù, immateriali, e sapersi separare da tutto quanto è attaccamento alle cose del mondo e vanità».
Gesù è molto triste…
Gli Apostoli si sogguardano fra loro…
Gesù riprende, guardando la carovana del giovane ricco che si allontana:
«In verità vi dico che è più facile che un cammello passi per una cruna d’ago che non per un ricco di entrare nel Regno di Dio».
«Ma allora chi mai potrà salvarsi? La miseria fa sovente peccatori, per invidie e poco rispetto a ciò che è d’altri, e per sfiducia verso la Provvidenza… La ricchezza è di ostacolo alla perfezione… E allora? Chi potrà salvarsi?».
Gesù li guarda e dice loro: «Quello che è impossibile agli uomini è possibile a Dio, perché a Dio tutto è possibile.
Basta che l’uomo lo aiuti, il suo Signore, con la sua buona volontà. È buona volontà accettare il consiglio avuto e sforzarsi di giungere alla libertà dalle ricchezze. Ad ogni libertà, per seguire Dio.
Perché la vera libertà dell’uomo è questa: seguire le voci che Dio gli sussurra al cuore e i suoi comandi, non essere schiavo né di se stesso, né del mondo, né del rispetto umano, e perciò non schiavi di satana.
Usare della splendida libertà di arbitrio che Dio ha dato all’uomo per volere liberamente e solamente il Bene, e conseguire così la vita eterna luminosissima, libera, beata. Neppur della propria vita bisogna essere schiavi, se per secondare la stessa noi si deve fare resistenza a Dio. Ve l’ho detto: “Colui che perderà la sua vita per amor mio e per servire Iddio, costui la salverà in eterno”».
«Ecco! Noi abbiamo lasciato ogni cosa per seguirti, anche le più lecite. Che ce ne verrà dunque? Entreremo allora nel tuo Regno?», chiede Pietro.
«In verità, in verità vi dico che coloro che mi avranno seguito in tal modo e che mi seguiranno -perché c’è sempre tempo a riparare alle accidie e alle colpe sin qui fatte, sempre tempo sinché si è sulla Terra e si hanno davanti dei giorni nei quali poter riparare al mal fatto- costoro saranno con Me nel Regno mio.
In verità vi dico che voi, che mi avete seguito nella rigenerazione, siederete sopra i troni a giudicare le tribù della Terra insieme al Figlio dell’Uomo seduto sul trono della sua gloria.
In verità ancora vi dico che non vi sarà nessuno che, avendo per amor del mio Nome lasciato casa, campi, padre, madre, fratelli, sposa, figli e sorelle, per spargere la Buona Novella e continuarmi, non riceva il centuplo in questo tempo e la vita eterna nel secolo futuro».
«Ma se perdiamo tutto, come possiamo centuplicare il nostro avere?», chiede Giuda di Keriot.
«Torno a dire: ciò che è impossibile agli uomini è possibile a Dio. E Dio darà il centuplo di gaudio spirituale a coloro che da uomini del mondo seppero farsi figli di Dio, ossia uomini spirituali. Essi godranno il vero gaudio, qui e oltre la Terra.
E ancor vi dico che non tutti quelli che sembrano i primi, e primi dovrebbero essere avendo più di tutti ricevuto, saranno tali.
E non tutti quelli che sembrano ultimi, e men che ultimi, non essendo in apparenza miei discepoli e neppur del Popolo eletto, saranno gli ultimi. In verità molti da primi diverranno ultimi, e molti ultimi, infimi, diverranno primi…
Ma ecco là Doco. Andate avanti tutti, meno Giuda di Keriot e Simone Zelote. Andate ad annunciarmi a quelli che possono aver bisogno di Me».
E Gesù attende con i due trattenuti di unirsi alle tre Marie, che li seguono a qualche metro di distanza.

Estratto di “l’Evangelo come mi è stato rivelato” di Maria Valtorta.

7 OTTOBRE 2018 XXVII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO ANNO B (Mc 10,2-16)

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7 OTTOBRE 2018 XXVII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO ANNO B (Mc 10,2-16) È lecito ripudiare la propria moglie. L’uomo dunque non separi ciò che Dio ha congiunto.

7 OTTOBRE 2018 XXVII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO ANNO B

Dal Vangelo di Gesù Cristo secondo Marco  (Mc 10,2-16)
n quel tempo, avvicinatisi dei farisei, per metterlo alla prova, gli domandarono: «È lecito ad un marito ripudiare la propria moglie?». Ma Egli rispose loro: «Che cosa vi ha ordinato Mosè?». Dissero: «Mosè ha permesso di scrivere un atto di ripudio e di rimandarla». Gesù disse loro: «Per la durezza del vostro cuore egli scrisse per voi questa norma. Ma all’inizio della creazione Dio li creò maschio e femmina; per questo l’uomo lascerà suo padre e sua madre e i due saranno una carne sola. Sicché non sono più due, ma una sola carne. L’uomo dunque non separi ciò che Dio ha congiunto». Rientrati a casa, i discepoli Lo interrogarono di nuovo su questo argomento. Ed Egli disse: «Chi ripudia la propria moglie e ne sposa un’altra, commette adulterio contro di lei; se la donna ripudia il marito e ne sposa un altro, commette adulterio». Gli presentavano dei bambini perché li accarezzasse, ma i discepoli li sgridavano. Gesù, al vedere questo, s’indignò e disse loro: «Lasciate che i bambini vengano a Me e non glielo impedite, perché a chi è come loro appartiene il Regno di Dio. In verità vi dico: Chi non accoglie il Regno di Dio come un bambino, non entrerà in esso». E prendendoli fra le braccia e ponendo le mani sopra di loro li benediceva.

 Rivelazione di Gesù a Maria ValtortaCorrispondenza nell’“Evangelo come mi è stato rivelato” di Maria Valtorta
Volume 5 – Capitolo 357 (11 dicembre 1945
)

È mattina. Una mattina di marzo. Perciò schiarite e nuvole si alternano nel cielo. Ma le nuvole soverchiano le schiarite, tendendo ad impossessarsi del cielo. Un’aria calda soffia a re­spiri sincopati e fa pesante l’aria, velandola di una polvere ve­nuta forse dalle zone dell’altipiano.

«Se non muta vento, questa è acqua!» sentenzia Pietro uscendo dalla casa con gli altri.

Ultimo esce Gesù, che si accomiata dalle padrone di casa, mentre il padrone si unisce a Lui. Si dirigono verso una piazza. Dopo pochi passi li ferma un graduato romano che è insieme a dei militi.

«Sei Tu Gesù di Nazaret?».

«Lo sono».

«Che fai?».

«Parlo alle turbe».

«Dove?».

«In piazza».

«Parole sediziose?».

«No. Precetti di virtù».

«Bada! Non mentire. Roma ne ha basta di falsi dèi».

«Vieni tu pure. Vedrai che non mento».

L’uomo che ha ospitato Gesù sente il dovere di interloquire: «Ma da quando tante domande a un rabbi?».

«Denunzia di uomo sedizioso».

«Sedizioso? Lui? Ma tu prendi abbaglio, Mario Severo! Que­sto è l’uomo più mite della terra. Te lo dico io».

Il graduato si stringe nelle spalle e risponde: «Meglio per Lui. Ma così ebbe denunzia il centurione. Vada pure. È avvisato».

E si volta tutto di un pezzo, andandosene coi subalterni.

«Ma chi può essere stato? Io non capisco!» dicono in diversi.

Gesù risponde: «Lasciate di capire. Non serve. Andiamo mentre molti sono sulla piazza. Poi partiremo anche di qui».

La piazza deve essere una piazza piuttosto commerciale. Non è un mercato ma poco meno, perché cinta di fondachi in cui sono depositi di merce di ogni genere. E la gente si affolla in essi. Perciò vi è molta gente sulla piazza e qualcuno ammicca a Gesù e presto un cerchio di gente è intorno al «Nazareno». Un cerchio composto di ogni genere e classe e nazione. Chi c’è per venerazione, chi per curiosità.

Gesù fa cenno di parlare.

«Udiamolo!» dice un romano che esce da un magazzino.

«Non ci sarà da sentire una lamentazione?» gli risponde un suo simile.

«Non lo credere, Costanzo. È meno indigesto di uno dei soli­ti retori nostri».

«A chi mi ascolta, pace! È detto nell’Esdra, nella preghiera di Esdra: “E che diremo ora, o Dio nostro, dopo le cose avvenu­te? Che, se abbiamo abbandonato i tuoi comandamenti da Te intimati a mezzo dei tuoi servi…”».

«Fermati, Tu che parli. Il soggetto te lo diamo noi» urla un pugno di farisei che si fanno largo fra la gente. Quasi subito riappare la scorta armata e si ferma all’angolo più vicino. I fa­risei sono ora di fronte a Gesù.

«Sei Tu il Galileo? Gesù di Nazaret sei?».

«Lo sono!».

«Lode a Dio che ti abbiamo trovato!». Veramente hanno cer­ti ceffi così astiosi che non mostrano di essere in gioia per l’in­contro…

Il più vecchio parla: «Ti seguiamo da molti giorni, arrivando sempre dopo che Tu sei partito».

«Perché mi seguite?».

«Perché sei il Maestro e vogliamo essere ammaestrati in un punto oscuro della Legge».

«Non vi sono punti oscuri nella Legge di Dio».

«In essa no. Ma, eh! eh!… Ma sulla Legge sono venute le “so­vrapposizioni”, come Tu dici, eh! eh!… e hanno fatto oscurità».

«Penombra, al massimo. E basta volgere l’intelletto a Dio per distruggere esse pure».

«Non tutti lo sanno fare. Noi, per esempio, rimaniamo in penombra. Tu sei il Rabbi, eh! eh! Aiutaci dunque».

«Che volete sapere?».

Volevamo sapere se è lecito all’uomo ripudiare per un motivo qualsiasi la propria moglie. È una cosa che spesso avviene, ed ogni volta crea molto rumore là dove avviene. Si rivolgono a noi per sapere se è lecito. E noi, a seconda del caso, rispondiamo».

«Approvando l’avvenuto nel novanta per cento dei casi. E il dieci per cento che resta disapprovato è nella categoria dei po­veri o dei nemici vostri».

«Come lo sai?».

«Perché così avviene in tutte le cose umane. E unisco nella categoria la terza classe, quella che, se fosse lecito il divorzio, più ne avrebbe diritto, perché quella dei veri casi penosi, quali una lebbra incurabile, oppure una condanna a vita, o malattie innominabili… ».

«Allora per Te non è mai lecito?».

«Né per Me, né per l’Altissimo, né per nessuno che sia di animo retto. Non avete letto che il Creatore, nel principio dei giorni, creò l’uomo e la donna? E li creò maschio e femmina; e non aveva bisogno di farlo, ché, se avesse voluto, avrebbe potu­to, per il re della creazione, fatto a sua immagine e somiglian­za, creare altro modo di procreazione, e ugualmente buono sa­rebbe stato, pur essendo dissimile da ogni altro naturale. E dis­se: “Così per questo l’uomo lascerà il padre e la madre e si unirà con la moglie e i due saranno una sola carne”.

Dunque Dio li congiunse in una sola unità. Non sono dunque più “due” ma “una” sola carne. Ciò che Dio ha congiunto, perché vide che “è buona cosa”, l’uomo non lo divida, perché se così avvenisse cosa non più buona sarebbe».

«Ma perché allora Mosè disse: “Se un uomo ha preso una donna con sé, ma essa non ha trovato grazia ai suoi occhi per qualcosa di turpe, egli scriverà un libello di ripudio, glielo con­segnerà in mano e la manderà via di casa sua”?».

«Lo disse per la durezza del vostro cuore. Per evitare, con un ordine, dei disordini troppo gravi. Per questo vi permise di ripudiare le mogli. Ma dal principio non fu così. Perché la don­na è da più della bestia, la quale è, a seconda del capriccio del padrone o delle libere circostanze di natura, sottoposta a que­sto o a quel maschio, carne senz’anima che si accoppia per ri­produrre.

Le vostre mogli hanno un’anima come voi l’avete, e non è giusto che voi la calpestiate senza sentirne compassione. Ché se è detto nella condanna: “Tu sarai sottoposta alla potestà del marito ed egli ti dominerà”, ciò deve avvenire secondo giu­stizia e non con prepotenza che lede i diritti dell’anima libera e degna di rispetto.

Voi, ripudiando, come lecito non vi è, portate offesa all’anima della vostra compagna, alla carne gemella che alla vostra si è unita, al tutto che è la donna che avete sposata esigendo la sua onestà, mentre, o spergiuri, andate ad essa di­sonesti, menomati, talora corrotti, e continuate ad esserlo, co­gliendo ogni occasione per poterla colpire e dare maggior cam­po alla libidine insaziabile che è in voi. Prostitutori delle mogli vostre!

Per nessun motivo potete separarvi dalla donna che vi è congiunta secondo la Legge e la Benedizione. Solo nel caso che la grazia vi tocchi, e comprendiate che la donna non è un pos­sesso ma un’anima, e perciò ha diritti uguali ai vostri di essere riconosciuta parte dell’uomo e non suo oggetto di piacere, e solo nel caso che sia tanto duro il vostro cuore da non sapere elevar­la a moglie, dopo averla goduta come una prostituta, solo nel caso di levare questo scandalo di due che convivono senza bene­dizione di Dio sulla loro unione, voi potete rimandarla.

Perché allora la vostra non è unione ma fornicazione, e sovente senza onore di figli, perché disciolti contro natura o allontanati come vergogna. In nessun altro caso. In nessun altro. Perché se figli illegittimi avete dalla vostra concubina, avete il dovere di porre fine allo scandalo sposandola, se liberi siete. Non contemplo il caso dell’adulterio consumato ai danni della moglie ignara. Per quello sono sante le pietre della lapidazione e le fiamme dello Sceol. Ma per chi rimanda la propria moglie legittima perché di essa è sazio e ne prende un’altra, non c’è che una sentenza: co­stui è adultero.

E adultero è chi prende la ripudiata, perché se l’uomo si è arrogato il diritto di separare ciò che Dio ha con­giunto, l’unione matrimoniale continua, agli occhi di Dio, e ma­ledetto è chi passa a seconda moglie senza essere vedovo. E ma­ledetto è chi riprende la donna prima sua e poi, rimandatala per ripudio e abbandonatala alle paure della vita, onde essa ce­de a nuove nozze per il suo pane, la riprende se resta vedova del secondo marito. Perché, anche che vedova sia, ella fu adul­tera per colpa vostra, e voi raddoppiereste il suo adulterio. Ave­te compreso, o farisei che mi tentate?».

Questi se ne vanno scornati, senza rispondere.

«Severo è l’uomo. Se fosse a Roma vedrebbe però che il fango ribolle ancor più fetente» dice un romano.

Anche alcuni di Gadara brontolano: «Dura cosa essere uo­mini, se bisogna essere casti così!…».

E alcuni più forte: «Se tale è la condizione dell’uomo rispet­to alla donna, meglio stare senza nozze».

E questa ragione ripetono anche gli apostoli mentre ripiglia­no la via verso la campagna, dopo aver lasciato quelli di Gada­ra. Lo dice Giuda con scherno. Lo dice Giacomo di Zebedeo con rispetto e riflessione; e Gesù risponde all’uno e all’altro:

«Non tutti capiscono questo, né lo capiscono bene. Alcuni in­fatti preferiscono il celibato per essere liberi di secondare i vizi. Altri per evitare di poter peccare essendo mariti non buoni. Ma solo alcuni, ai quali è concesso, comprendono la bellezza di es­sere scevri di sensualità e di anche onesta fame di donna. E so­no i più santi, i più liberi, i più angelici sulla terra. Parlo di co­loro che si fanno eunuchi per il Regno di Dio. Ci sono negli uo­mini quelli che nascono tali.

Altri che tali vengono fatti. I primi sono mostruosità che devono suscitare compassione, i secondi abusi che vanno repressi. Ma c’è infine la terza categoria: di eunuchi volontari che, senza usarsi violenza, e perciò con dop­pio merito, sanno aderire alla richiesta di Dio e vivono da Ange­li perché l’abbandonato altare della terra abbia ancora fiori e incensi per il Signore.

Costoro negano alla parte inferiore sod­disfacimento per crescere la parte superiore, onde fiorisca in Cielo nelle aiuole più prossime al trono del Re. E in verità vi di­co che non sono dei mutilati, ma sono degli esseri dotati di ciò che manca ai più fra gli uomini.

Non oggetto perciò di stolto scherno, ma anzi di grande venerazione. Comprenda ciò chi de­ve, e rispetti, se può».

Gli ammogliati fra gli apostoli bisbigliano fra loro.

«Che avete?» chiede Gesù.

«E noi? Noi non sapevamo questo e abbiamo preso donna. Ma ci piacerebbe essere come Tu dici…» dice per tutti Bartolomeo.

«Né vi è interdetto farlo d’ora in poi. Vivete in continenza, vedendo nella compagna la sorella, e grande merito ne avrete agli occhi di Dio. Ma affrettate il passo. Per essere a Pella pri­ma della pioggia».

Estratto di “l’Evangelo come mi è stato rivelato” di Maria Valtorta

30 SETTEMBRE 2018 XXVI DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO ANNO B Mc 9,38-43.45.47-48

30 SETTEMBRE 2018 XXVI DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO ANNO B
Mc 9,38-43.45.47-48

30 Settembre 2018 XXVI Domenica Del Tempo Ordinario Anno B

Dal Vangelo di Gesù Cristo secondo Marco 9,38-43.45.47-48

Giovanni gli disse: «Maestro, abbiamo visto uno che scacciava i demoni nel tuo Nome e glielo abbiamo vietato, perché non era dei nostri». Ma Gesù disse: «Non glielo proibite, perché non c’è nessuno che faccia un miracolo nel mio Nome e subito dopo possa parlare male di Me. Chi non è contro di noi è per noi. Chiunque vi darà da bere un bicchiere d’acqua nel mio Nome perché siete di Cristo, vi dico in verità che non perderà la sua ricompensa. Chi scandalizza uno di questi piccoli che credono, è meglio per lui che gli si metta una macina da asino al collo e venga gettato nel mare. Se la tua mano ti scandalizza, tagliala: è meglio per te entrare nella vita monco, che con due mani andare nella Geenna, nel fuoco inestinguibile. Se il tuo piede ti scandalizza, taglialo: è meglio per te entrare nella vita zoppo, che esser gettato con due piedi nella Geenna. Se il tuo occhio ti scandalizza, cavalo: è meglio per te entrare nel Regno di Dio con un occhio solo, che essere gettato con due occhi nella Geenna, dove il loro verme non muore e il fuoco non si estingue.

Rivelazione di Gesù a Maria Valtorta

Corrispondenza nell’“Evangelo come mi è stato rivelato” di Maria Valtorta

Volume 5 – Capitolo 40 (6 dicembre 1945)

E guardatevi dallo scandalizzare uno di questi piccoli il cui occhio vede Iddio. Non si deve mai dare scandalo a nessuno. Ma guai, tre volte guai, chi sfiora il candore ignaro dei fanciul­li! Lasciateli angeli più che potete. Troppo ripugnante è il mon­do e la carne per l’anima che viene dai Cieli! E il fanciullo, per la sua innocenza, è ancora tutt’anima. Abbiate rispetto all’ani­ma del fanciullo e al suo stesso corpo, come avete rispetto al luogo sacro.

Sacro è anche il fanciullo perché ha Dio in sé. In ogni corpo è il tempio dello Spirito. Ma il tempio del fanciullo è il più sacro e profondo, è oltre il doppio Velo. Non scuotete nep­pure le tende della sublime ignoranza della concupiscenza col vento delle vostre passioni.

Io vorrei un fanciullo in ogni famiglia, in mezzo ad ogni ac­colta di persone, perché fosse di freno alle passioni degli uomi­ni. Il fanciullo santifica, dà ristoro e freschezza solo col raggio dei suoi occhi senza malizia.

Ma guai a coloro che levano san­tità al fanciullo col loro modo di agire scandaloso!

Guai a coloro che con le loro licenze danno malizie ai fanciulli!

Guai a coloro che con le loro parole e ironie ledono la Fede in Me dei fanciulli! Sarebbe meglio che a tutti questi si legasse al collo una pietra da macina e si gettassero in mare perché affogassero col loro scandalo.

Guai al mondo per gli scandali che dà agli innocenti! Perché se è inevitabile che avvengano scandali, guai all’uomo che per sua causa li provoca.

Nessuno ha il diritto di fare violenza al suo corpo e alla sua vita. Perché vita e corpo ci vengono da Dio, e solo Lui ha diritto di prenderne delle parti o il tutto. Ma però Io vi dico che se la vostra mano vi scandalizza è meglio che la mozziate, che se il vostro piede vi porta a dare scandalo è bene che voi lo mozzia­te. Meglio per voi entrare monchi o zoppi nella Vita che essere gettati nel fuoco eterno con le due mani e i due piedi.

E se non basta avere mozzo un piede o una mano, fate che vi siano moz­zati anche l’altra mano o l’altro piede, per non fare più scanda­lo e per avere tempo da pentirvi prima di essere lanciati dove il fuoco non si estingue, e rode come un verme in eterno.

E se è il vostro occhio che vi è cagione di scandalo, cavatevelo. È meglio essere orbi di un occhio che essere nell’inferno con tutti e due. Con un occhio solo, o anche senz’occhi, giunti al Cielo vedreste la Luce, mentre coi due occhi scandalosi, tenebre e orrore ve­dreste nell’inferno. E questo solo.

Ricordatevi tutto questo. Non disprezzate i piccoli, non scandalizzateli, non derideteli.

Sono da più di voi, perché i loro Angeli vedono sempre Iddio che dice loro le verità da rivelare ai fanciulli e a quelli dal cuor di fanciullo. E voi come fanciulli amatevi fra di voi. Senza dispute, senza orgogli. State in pace fra voi. Abbiate spirito di pace con tutti.

Fratelli siete, nel Nome del Signore, e non nemici. Non ci sono, non ci devono essere dei nemici per i discepoli di Gesù. L’unico Nemico è satana. Di quello siate nemici acerrimi, scendendo in battaglia contro di lui e contro i peccati che portano satana nei cuori.

Siate instancabili nel combattere il Male quale che sia la forma che assume. E pazienti. Non c’è limitazione all’operare dell’apostolo, perché non c’è limitazione all’operare del Male. Il demonio non dice mai: “Basta. Ora sono stanco e mi riposo”. Egli è l’instancabile. Passa agile come il pensiero, e più ancora, da questo a quell’uomo, e tenta e prende, e seduce, e tormenta, e non dà pace.

Assale a tradimento e abbatte se non si è più che vigilanti. Delle volte si insedia da conquistatore per debo­lezza dell’assalito, altre vi entra da amico, perché il modo di vi­vere della preda cercata è già tale da essere alleanza col Nemi­co.

Tal’altra, scacciato da uno, gira e piomba sul migliore, per farsi vendetta dello smacco avuto da Dio o da un servo di Dio.

Ma voi dovete dire ciò che dice lui: “Io non riposo”. Lui non ri­posa per popolare l’inferno. Voi non dovete riposare per popolare il Paradiso. Non dategli quartiere. Io vi predico che più lo combatterete più vi farà soffrire. Ma non dovete tenere conto di ciò. Egli può scorrere la terra. Ma nel Cielo non penetra. Perciò là non vi darà più noia. E là saranno tutti quelli che lo hanno combattuto…».

Gesù si interrompe bruscamente e chiede: «Ma insomma, perché date sempre noia a Giovanni? Che vogliono da te?».

Giovanni si fa rosso come una fiamma e Bartolomeo, Tommaso, l’Iscariota chinano la testa vedendosi scoperti.

«Ebbene?» chiede con imperio Gesù.

«Maestro, i miei compagni vogliono che io ti dica una cosa».

«Dilla, dunque».

«Oggi, mentre Tu eri da quel malato, e noi giravamo per il paese come Tu avevi detto, abbiamo visto un uomo, che non è tuo discepolo e che neppure mai abbiamo notato fra quelli che ascoltano la tua dottrina, il quale cacciava dei demoni in tuo Nome da un gruppo di pellegrini che andavano a Gerusalemme. E ci riusciva. Ha guarito uno che aveva un tremito che gli im­pediva ogni lavoro, e ha reso la favella ad una fanciulla che era stata assalita nel bosco da un demonio in forma di cane che le aveva legato la lingua.

Egli diceva: “Vattene, demonio maledet­to, in Nome del Signore Gesù il Cristo, Re della stirpe di Davi­de, Re d’Israele. Egli è il Salvatore e Vincitore. Fuggi davanti al suo Nome!», e il demonio fuggiva realmente. Noi ci siamo ri­sentiti. E glielo abbiamo proibito. Ci ha detto: “Che faccio di male? Onoro il Cristo liberandogli la via dai demoni che non so­no degni di vederlo”.

Gli abbiamo risposto: “Non sei esorcista secondo Israele e non sei discepolo secondo Cristo. Non ti è leci­to farlo”.

Ha detto: “Fare il bene è sempre lecito”, e si è ribellato alla nostra ingiunzione dicendo: “E continuerò a fare ciò che faccio”.

Ecco, volevano ti dicessi questo, specie ora che Tu hai detto che in Cielo saranno tutti quelli che hanno combattuto satana».

«Va bene. Quell’uomo sarà di questi. Lo è. Egli aveva ragione e voi torto. Infinite sono le vie del Signore e non è detto che solo quelli che prendono la via diretta giungano al Cielo. In ogni luogo e in ogni tempo, e con mille modi diversi, ci saranno creature che verranno a Me, magari da una strada inizialmen­te cattiva. Ma Dio vedrà la loro retta intenzione e li attirerà al­la via buona. Ugualmente vi saranno alcuni che per ebbrezza concupiscente e triplice usciranno dalla via buona e prenderan­no una via che li allontana o addirittura li dirotta.

Non dovete perciò mai giudicare i vostri simili. Solo Dio vede. Fate di non uscire voi dalla via buona, dove, più che la vostra volontà, quel­la di Dio vi ci ha messi. E quando vedete uno che crede nel mio Nome e per esso opera, non lo chiamate straniero, nemico, sa­crilego. È sempre un mio suddito, amico e fedele, perché crede nel Nome mio, spontaneamente e meglio di molti fra voi. Per questo il mio Nome sulla sua bocca opera prodigi pari ai vostri e forse più. Dio lo ama perché mi ama, e finirà di portarlo al Cielo.

Nessuno che faccia prodigi in mio Nome mi può essere nemico e dire male di Me. Ma col suo operare dà al Cristo onore e testimonianza di Fede. In verità vi dico che credere al mio No­me è già sufficiente a salvare la propria anima. Perché il mio Nome è Salvezza.

Perciò vi dico: se lo incontrerete ancora, non glielo proibite più. Ma anzi chiamatelo “fratello” perché tale è, anche se è ancora fuori del recinto del mio Ovile. Chi non è con­tro di Me è con Me. Chi non è contro di voi è con voi».

«Abbiamo peccato, Signore?» chiede attrito Giovanni.

«No. Avete agito per ignoranza, ma senza malizia. Perciò non c’è colpa. Però in avvenire sarebbe colpa, perché ora sape­te. Ed ora andiamo alle nostre case. La pace sia con voi».

Estratto di “l’Evangelo come mi è stato rivelato” di Maria Valtorta

 

XXIII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO ANNO B Marco 7,31-37

7,31-37 Mc Effatá
Dal Vangelo di Gesù Cristo secondo Marco 7,31-37
In quel tempo, Gesù, uscito dalla regione di Tiro, passando per Sidòne, venne verso il mare di Galilea in pieno territorio della Decàpoli. Gli portarono un sordomuto e Lo pregarono di imporgli la mano. Lo prese in disparte, lontano dalla folla, gli pose le dita negli orecchi e con la saliva gli toccò la lingua; guardando quindi verso il cielo, emise un sospiro e gli disse: «Effatà», cioè: «Apriti!». E subito gli si aprirono gli orecchi, si sciolse il nodo della sua lingua e parlava correttamente. E comandò loro di non dirlo a nessuno. Ma più Egli lo proibiva, più essi lo proclamavano e, pieni di stupore, dicevano: «Ha fatto bene ogni cosa: fa udire i sordi e fa parlare i muti!».

Rivelazione di Gesù a Maria Valtorta
Corrispondenza nell’ “Evangelo come mi è stato rivelato” di Maria Valtorta
Volume 4 – Capitolo 29

Non so dove abbiano pernottato i pellegrini. So che è di nuovo mattina, che sono per via, sempre per luoghi montuosi, e che Gesù ha la mano fasciata e Giacomo di Alfeo ha fasciata la fronte, mentre Andrea zoppica forte e Giacomo di Zebedeo è senza la sacca, che ha preso suo fratello Giovanni.
Per due volte Gesù ha chiesto: «Ce la fai a camminare, Andrea?».
«Sì, Maestro. Cammino male per la fasciatura. Ma il dolore non è forte». E la seconda volta aggiunge: «E la tua mano, Maestro?».
«Una mano non è una gamba. Sta a riposo e duole poco».
«Uhm! Poco non credo, così gonfia e aperta fino all’osso come è… L’olio fa bene. Ma forse era meglio se di quell’unguento di tua Madre ce ne facevamo dare un poco da…».
«Da mia Madre. Hai ragione». dice svelto Gesù, sentendo ciò che sta per uscire dalle labbra di Pietro, che arrossisce confuso, guardando con uno sguardo così desolato il suo Gesù che Egli ne sorride e appoggia proprio la mano ferita sulla spalla di Pietro per attirarlo a sé.
«Ti farà male a stare così».
«No, Simone. Tu mi vuoi bene e il tuo amore è un grande olio salutare».
«Oh! allora, se è per questo, dovresti già essere guarito! Abbiamo sofferto tutti di vederti trattato così, e c’è chi ha pianto».
E Pietro guarda Giovanni e Andrea…
«Olio e acqua sono buona medicina, ma il pianto d’amore e di pietà è più potente di tutto. E, vedete? Io sono molto più lieto oggi di ieri. Perché oggi so quanto siete ubbidienti e amorosi di Me. Tutti», e Gesù li guarda col suo sguardo soave, nella cui ormai abituale mestizia è una luce tenue di gioia, questa mattina.
«Ma che iene! Mai visto un odio tale!» dice Giuda d’Alfeo. «Dovevano essere tutti giudei».
«No, fratello. Non c’entra la regione. L’odio è uguale dappertutto. Ricordati che a Nazareth, da mesi, fui cacciato e mi si voleva prendere a colpi di pietra. Non te lo ricordi?» dice calmo Gesù, e ciò serve a consolare quelli che sono giudei delle parole del Taddeo.
Tanto consolare che l’Iscariota dice: «Ma questo lo dirò. Oh! se lo dirò! Non facevamo nulla di male. Non abbiamo reagito e Lui ha parlato tutto amore all’inizio. E a sassate, come serpi, ci hanno preso. Lo dirò».
«E a chi mai, se sono tutti contro di noi?».
«Lo so io a chi. Intanto, non appena vedo Stefano o Erma, glielo dico. Lo saprà subito Gamaliele. Ma a Pasqua lo dirò a chi so io. Dirò: “Non è giusto fare così. Siete illegali nel vostro furore. Voi siete colpevoli, non Lui”».
«Faresti meglio a non andarci molto vicino a quei signori!… Mi sembra che anche tu sia in colpa agli occhi loro» consiglia saggiamente Filippo.
«È vero. Meglio è che non li avvicini mai più. Sì. È meglio. Ma a Stefano lo dirò. Lui è buono e non avvelena…».
«Lascia andare, Giuda. Non muteresti nulla in meglio. Io ho perdonato. Non ci pensiamo più» dice calmo e persuasivo Gesù.
Due volte, incontrando ruscelli, tanto Andrea come i due Giacomi si bagnano le fasce che hanno sulle contusioni. Gesù no. Prosegue tranquillo come non sentisse dolore.
Pure il dolore deve essere sensibile se quando si fermano per mangiare, deve chiedere ad Andrea di spezzargli il pane; se, quando gli si slaccia un sandalo, deve pregare Matteo di legarglielo di nuovo…; se, soprattutto, nello scendere per una scorciatoia precipitosa e urtando in un tronco perché gli scivola il piede, non può reprimere un lamento, e se gli si arrossa di nuovo la benda di sangue, tanto che alla prima casa di un paese, dove giungono verso il tramonto, si fermano chiedendo acqua e olio per medicargli la mano che appare, levate le bende, molto gonfia, bluastra nel dorso con la ferita rosseggiante al centro.
Mentre aspettano che la donna della casa accorra con quanto desiderano, si curvano tutti ad osservare la mano ferita e fanno i loro commenti. Ma Giovanni si ritira un poco più in là a nascondere il suo pianto.
Gesù lo chiama: «Vieni qui. Non è un gran male. Non piangere».
«Lo so. Lo avessi io non piangerei. Ma l’hai Tu. E non lo dici tutto il male che ti fa questa cara mano, che non ha mai nuociuto a nessuno» risponde Giovanni, al quale Gesù ha abbandonato la sua mano ferita, che Giovanni carezza dolcemente sulla punta delle dita, sul polso, tutto intorno alla lividura, e che volta dolcemente per baciarla sul palmo e appoggiare la sua guancia nel cavo della mano dicendo:
«Scotta… Oh! quanto ti deve dolere!», e lacrime di pietà cadono su essa.
La donna porta l’acqua e l’olio, e con un lino Giovanni vuole detergere il sangue che imbratta la mano, e con delicatezza fa scorrere l’acqua tiepida sul posto ferito e poi la unge, la fascia con strisce pulite e sulla legatura pone un bacio. Gesù gli mette l’altra mano sulla testa china.
La donna chiede: «È tuo fratello?».
«No. È il mio Maestro. Il nostro Maestro».
«Da dove venite?» chiede ancora agli altri.
«Dal mare di Galilea».
«Lontano! Perché?».
«Per predicare la Salute».
«È quasi sera. Fermatevi in casa mia. Casa da poveri. Ma di onesti. Posso darvi del latte non appena tornano i miei figli con le pecore. Il mio uomo vi accoglierà volentieri».
«Grazie, donna. Se il Maestro vorrà, resteremo qui».
La donna va alle sue faccende mentre gli apostoli chiedono a Gesù cosa devono fare.
«Sì. È bene. Domani andremo a Cedes e poi verso Paneade. Ho pensato, Bartolomeo. Conviene fare come tu dici. Mi hai dato un buon consiglio. Spero trovare così altri discepoli e mandarli avanti a Me a Cafarnao. So che a Cedes devono ormai esservene stati alcuni, fra i quali i tre pastori libanesi».
Torna la donna e chiede: «Ebbene?».
«Sì donna buona. Restiamo qui per la notte».
«E per la cena. Oh! graditela. Non mi pesa. E poi ci è stata insegnata la misericordia da alcuni che sono i discepoli di quel Gesù di Galilea, detto Messia, che fa tanti miracoli e predica il Regno di Dio. Ma qui non c’è mai venuto. Forse perché siamo ai confini siro-fenici. Ma sono venuti i suoi discepoli. Ed è già molto. Per la Pasqua noi del paese vogliamo andare tutti in Giudea per vedere se lo vediamo questo Gesù. Perché abbiamo dei malati e i discepoli ne hanno guariti alcuni, ma altri no. E fra questi c’è un giovane figlio di un fratello della moglie di mio cognato».
«Che ha?» chiede Gesù sorridendo.
«È… Non parla e non sente. Nato così. Forse un demonio è entrato nel seno della madre per farla disperare e soffrire. Ma è buono, come indemoniato non fosse. I discepoli hanno detto che per lui ci vuole Gesù di Nazareth, perché deve essere con qualche cosa di mancante, e solo questo Gesù… Oh! ecco i miei figli e il mio sposo! Melchia, ho accolto questi pellegrini in nome del Signore e stavo raccontando di Levi… Sara, va’ presto a mungere il latte e tu, Samuele, scendi a prendere olio e vino nella grotta, e porta mele dal solaio. Spicciati, Sara, prepareremo i letti nelle stanze alte».
«Non ti affaticare, donna. Staremo bene da per tutto. Potrei vedere l’uomo di cui parlavi?».
«Sì… Ma… Oh! Signore! Ma sei forse Tu il Nazareno?».
«Sono Io».
La donna crolla in ginocchio strillando: «Melchia, Sara, Samuele! Venite ad adorare il Messia! Che giorno! Che giorno! E io l’ho in casa mia! E gli parlavo così! E gli ho portato l’acqua per lavare la ferita… Oh!…»; è strozzata di emozione. Ma poi corre al catino e lo vede vuoto: «Perché avete gettato quell’acqua? Era santa! Oh! Melchia! Il Messia da noi».
«Sì. Ma sta buona, donna, e non lo dire a nessuno. Va’ piuttosto a prendere il sordomuto e portamelo qui…» dice Gesù sorridendo…
…E presto Melchia torna col giovane sordomuto e con i parenti di lui e mezzo paese almeno… La madre dell’infelice adora Gesù e Lo supplica.
«Sì, sarà come tu vuoi», e preso per mano il sordomuto lo attira un po’ fuori dalla folla che si accalca, e che gli apostoli, per pietà della mano ferita, si danno da fare a respingere. Gesù si accosta bene il sordomuto, gli pone gli indici nelle orecchie e la lingua sulle labbra socchiuse, poi, alzando gli occhi al cielo che imbruna, alita sul volto del sordomuto e grida forte: «Apritevi!», e lo lascia andare.
Il giovane lo guarda un momento mentre la folla bisbiglia. È sorprendente la mutazione del volto prima apatico e mesto del sordomuto e poi sorpreso e sorridente. Si porta le mani alle orecchie, le preme e le stacca… Si persuade che sente per davvero e apre la bocca dicendo:
«Mamma! Io sento! Oh! Signore, io Ti adoro!».
La folla è presa dal solito entusiasmo e tanto più lo è perché si chiede:
«E come può già parlare se mai udì parola da quando è nato? Un miracolo nel miracolo! Gli ha slegato la favella e aperto le orecchie e insieme lo ha istruito a parlare. Viva Gesù di Nazareth! Osanna al Santo, al Messia!».
E si premono contro di Lui che alza la sua mano ferita a benedire, mentre alcuni, istruiti dalla donna della casa, si bagnano il viso o le membra con le superstiti gocce rimaste nel catino.
Gesù li vede e grida: «Per la vostra Fede siate tutti guariti. Andate alle vostre case. Siate buoni, onesti. Credete nella parola del Vangelo. E tenete ciò che sapete per voi finché sia l’ora di bandirlo sulle piazze e per le vie della terra. La mia pace sia con voi».
Ed entra nella vasta cucina, dove splende il fuoco e tremolano le luci di due lucerne.

Estratto di “l’Evangelo come mi è stato rivelato” di Maria Valtorta

8 Settembre 2018 NATIVITÀ DELLA BEATA VERGINE MARIA Mt 1,1-16.18-23

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Una bambina speciale è nata tra noi. Cresce come l’aurora, e illumina il mondo intero, immerso nelle tenebre e nell’ombra della morte.
Su di Lei spera il cielo e la terra. Da Lei a suo tempo
((…NASCERA’ IL MESSIA…))
Salve Maria Bambina.

TESTO:-
Dal Vangelo secondo Matteo. (Mt 1,1-16.18-23)

Genealogia di Gesù Cristo figlio di Davide, figlio di Abramo.
Abramo generò Isacco, Isacco generò Giacobbe, Giacobbe generò Giuda e i suoi fratelli, Giuda generò Fares e Zara da Tamar, Fares generò Esrom, Esrom generò Aram, Aram generò Aminadàb, Aminadàb generò Naassòn, Naassòn generò Salmon, Salmon generò Booz da Racab, Booz generò Obed da Rut, Obed generò Iesse, Iesse generò il re Davide.
Davide generò Salomone da quella che era stata la moglie di Urìa, Salomone generò Roboamo, Roboamo generò Abìa, Abìa generò Asaf, Asaf generò Giosafat, Giosafat generò Ioram, Ioram generò Ozìa, Ozìa generò Ioatàm, Ioatàm generò Acaz, Acaz generò Ezechìa, Ezechìa generò Manasse, Manasse generò Amos, Amos generò Giosìa, Giosìa generò Ieconìa e i suoi fratelli, al tempo della deportazione in Babilonia.
Dopo la deportazione in Babilonia, Ieconìa generò Salatièl, Salatièl generò Zorobabele, Zorobabele generò Abiùd, Abiùd generò Eliachìm, Eliachìm generò Azor, Azor generò Sadoc, Sadoc generò Achim, Achim generò Eliùd, Eliùd generò Eleàzar, Eleàzar generò Mattan, Mattan generò Giacobbe, Giacobbe generò Giuseppe, lo sposo di Maria, dalla quale è nato Gesù, chiamato Cristo.
In tal modo, tutte le generazioni da Abramo a Davide sono quattordici, da Davide fino alla deportazione in Babilonia quattordici, dalla deportazione in Babilonia a Cristo quattordici.
Così fu generato Gesù Cristo: sua madre Maria, essendo promessa sposa di Giuseppe, prima che andassero a vivere insieme si trovò incinta per opera dello Spirito Santo. Giuseppe suo sposo, poiché era uomo giusto e non voleva accusarla pubblicamente, pensò di ripudiarla in segreto.
Mentre però stava considerando queste cose, ecco, gli apparve in sogno un angelo del Signore e gli disse: «Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa. Infatti il bambino che è generato in lei viene dallo Spirito Santo; ella darà alla luce un figlio e tu lo chiamerai Gesù: egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati».
Tutto questo è avvenuto perché si compisse ciò che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta: «Ecco, la vergine concepirà e darà alla luce un figlio: a lui sarà dato il nome di Emmanuele», che significa Dio con noi. Parola del Signore.

Forma breve

TESTO:-
Dal Vangelo secondo Matteo. (Mt 1,18-23)
Così fu generato Gesù Cristo: sua madre Maria, essendo promessa sposa di Giuseppe, prima che andassero a vivere insieme si trovò incinta per opera dello Spirito Santo. Giuseppe suo sposo, poiché era uomo giusto e non voleva accusarla pubblicamente, pensò di ripudiarla in segreto.
Mentre però stava considerando queste cose, ecco, gli apparve in sogno un angelo del Signore e gli disse: «Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa. Infatti il bambino che è generato in lei viene dallo Spirito Santo; ella darà alla luce un figlio e tu lo chiamerai Gesù: egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati».
Tutto questo è avvenuto perché si compisse ciò che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta: «Ecco, la vergine concepirà e darà alla luce un figlio: a lui sarà dato il nome di Emmanuele», che significa Dio con noi. Parola del Signore.

RIFLESSIONI

È una lunga storia di generazioni, una lettura che appare noiosa e inutile, mentre spiega la sintesi del progetto di Dio Padre fino all’Incarnazione di suo Figlio nella Fanciulla di Nazaret. Sono molti nomi di persone che non si conoscono perché si conosce la Scrittura, sono passaggi importanti che hanno un inizio e il completamente nella nascita di un Bambino che era anche Dio.
La discendenza davidica di Gesù vuole evidenziare che Egli da millenni era l’Atteso dagli israeliti, proprio a Davide Dio profetizzò un discendente che sarebbe stato il vero Re dell’universo. È Gesù a spiegare durante la predicazione che la sua discendenza davidica Lo attesta come Colui che lo stesso re Davide chiamò profeticamente suo Signore.
Da San Matteo leggiamo il dialogo tra Gesù e i farisei che non credevano in Lui, tantomeno accettavano la sua venuta nel Nome di Dio.
«Trovandosi i farisei riuniti insieme, Gesù chiese loro: “Che ne pensate del Messia? Di chi è Figlio?”.
Gli risposero: “Di Davide”.
Ed Egli a loro: “Come mai allora Davide, sotto ispirazione, lo chiama Signore, dicendo: Ha detto il Signore al mio Signore: Siedi alla mia destra, finché io non abbia posto i tuoi nemici sotto i tuoi piedi?
Se dunque Davide lo chiama Signore, come può essere suo Figlio?”.
Nessuno era in grado di rispondergli nulla; e nessuno, da quel giorno in poi, osò interrogarlo» (Mt 22,41-46).
Qui troviamo la spiegazione che proprio San Matteo inserisce già nel 1° capitolo per dimostrare agli ebrei che quel Gesù che avevano crocifisso era davvero il Figlio di Dio. Anche della Vergine Maria, ma qui il mistero si infittisce e per dare esclusiva gloria a suo Figlio Gesù, la Vergine Santa con immensa umiltà non permise di scrivere nel Vangelo altri interventi compiuti da Lei nei trentatré anni di Gesù.
Indubbiamente la Parola di Dio è ispirata dallo Spirito Santo, ma l’Immacolata è la Sposa, una Creatura unica tra gli esseri umani, «piena di Grazia» senza essere stata mai sfiorata da un minimo peccato, quindi, Ella desiderò esclusivamente la gloria di suo Figlio che era anche il suo Dio, così nel Vangelo si trova poco materiale che La riguarda ma è molto incisivo.
Poche citazioni ma tutte determinanti per comprendere il suo singolare ruolo di Madre di Dio e Mediatrice di tutte le Grazie.
Tutto il Vangelo è perfetto e non esiste alcuna incongruenza, è la rivelazione perfetta di Dio sull’Incarnazione e le opere del Verbo eterno, Colui che all’interno della Trinità Santissima aveva il ruolo di esternare la Volontà Divina e parlava con Mosè sul Sinai.
Nel Vangelo troviamo dei misteri che i cristiani accettano per Fede, altrimenti rimarrebbero stupiti dinanzi alle letture meravigliose e superiori di molto alla ragione umana. Sono eventi soprannaturali che si accolgono per Fede e maggiore adesione si ha verso questi misteri, più ci si avvicina a Dio e si ricevono i suoi abbondanti doni.
Nulla avviene per caso quando il cristiano vive con impegno la sua Fede e si sforza di evitare le occasioni per perdere la Luce di Dio e rimanere nelle tenebre, senza più riuscire a distinguere il bene dal male. Il cristiano è chiamato ogni giorno a rivitalizzare la sua Fede con le preghiere fin dal mattino con il santo proposito di osservare i Comandamenti, vivere gli insegnamenti del Vangelo.
La liturgia indica oggi come il giorno di nascita della Madonna, l’importante è festeggiarlo senza pensare ad altre date. La nascita della Vergine ci deve far riflettere sul disegno eterno di Dio proprio sulla Fanciulla di Nazaret. Già circa 700 anni prima il Profeta Isaia annunciava la sua nascita: «Ecco, la Vergine concepirà e darà alla luce un Figlio: a Lui sarà dato il Nome di Emmanuele».
Dio eterno ha sempre pensato alla Madonna, in Lei doveva incarnarsi il Figlio eterno del Padre, che è diventato anche Figlio di Maria!
La ragione di tutti i nomi letti all’inizio del Vangelo di oggi hanno lo scopo di indicare Gesù come il Messia atteso, nato dalla Vergine profetizzata nella Bibbia, quindi con un po’ di buona volontà anche i farisei potevano raggiungere questa Verità.
La nascita di Gesù è arrivata ovviamente dopo quella della Madre, e tutti i nomi citati all’inizio del Vangelo di oggi ci spiegano che Dio ha preparato tutti loro, le generazioni umane in vista della nascita di Maria e quindi della nascita di Gesù, e ha agito sempre in modo soprannaturale con tutti i personaggi coinvolti.
Un grande impegno da parte di Dio per la nascita di Gesù, ma prima venne la nascita della Vergine Madre che festeggiamo oggi.
A Te, Madre nostra, adesso consacriamo incondizionatamente la nostra vita e ti imploriamo di donarci il tuo Spirito per diventare come Te!

2 SETTEMBRE 2018 XXII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO ANNO B Mc 7,1-8,14-15,21-23

Questo popolo mi onora con le labbra, ma il suo cuore è lontano da me. Invano mi rendono culto. Trascurando il comandamento di Dio, voi osservate la tradizione degli uomini.

Mc 7,1-8,14-15,21-23

Dal Vangelo di Gesù Cristo secondo Marco 7,1-8.14-15.21-23

Allora si riunirono attorno a Gesù i farisei e alcuni degli scribi venuti da Gerusalemme.
Avendo visto che alcuni dei suoi discepoli prendevano cibo con mani immonde, cioè non lavate -i farisei infatti e tutti i Giudei non mangiano se non si sono lavate le mani fino al gomito, attenendosi alla tradizione degli antichi, e tornando dal mercato non mangiano senza aver fatto le abluzioni, e osservano molte altre cose per tradizione, come lavature di bicchieri, stoviglie e oggetti di rame- quei farisei e scribi Lo interrogarono: «Perché i tuoi discepoli non si comportano secondo la tradizione degli antichi, ma prendono cibo con mani immonde?». Ed Egli rispose loro: «Bene ha profetato Isaia di voi, ipocriti, come sta scritto: Questo popolo mi onora con le labbra, ma il suo cuore è lontano da me. Invano essi mi rendono culto, insegnando dottrine che sono precetti di uomini. Trascurando il Comandamento di Dio, voi osservate la tradizione degli uomini». Chiamata di nuovo la folla, diceva loro: «Ascoltatemi tutti e intendete bene: non c’è nulla fuori dell’uomo che, entrando in lui, possa contaminarlo; sono invece le cose che escono dall’uomo a contaminarlo». Dal di dentro infatti, cioè dal cuore degli uomini, escono le intenzioni cattive: fornicazioni, furti, omicidi, adultèri, cupidigie, malvagità, inganno, impudicizia, invidia, calunnia, superbia, stoltezza. Tutte queste cose cattive vengono fuori dal di dentro e contaminano l’uomo».

Rivelazione di Gesù a Maria Valtorta
Corrispondenza nell’“Evangelo come mi è stato rivelato” di Maria Valtorta
Volume 4 – Capitolo 166  (12 ottobre 1945)

La città di Naim è in gran festa. Essa ospita Gesù. Per la prima volta dopo il miracolo del giovane Daniele risuscitato da morte.

Preceduto e seguito da un buon numero di persone, Gesù traversa, benedicendo, la città. A quelli di Naim si sono unite persone di altri luoghi, provenienti da Cafarnao, dove erano andati a cercarlo e da dove erano stati mandati a Cana e da qui a Naim. Ho l’impressione che, ora che ha molti discepoli, Gesù abbia costituito come una rete di informazioni, di modo che i pellegrini che Lo cercano Lo possano trovare nonostante il suo continuo spostarsi, sebbene di poche miglia al giorno, quanto lo consente la stagione e la brevità delle giornate. E fra questi, che sono venuti a cercarlo da altrove, non mancano farisei e scribi, in apparenza ossequienti…

Gesù è ospite in casa del giovane risuscitato. Nella stessa sono convenuti i notabili del paese. E la madre di Daniele, vedendo gli scribi e i farisei -sette come i peccati capitali- tutta umile li invita, scusandosi di non poter offrire loro più degna dimora.

«C’è il Maestro, c’è il Maestro, donna. Ciò dà valore anche a una spelonca. Ma la tua casa è ben più di una spelonca, e noi vi entriamo dicendo: “Pace a te e alla tua casa”».

Infatti la donna, pur non essendo certo una ricca, si è fatta in quattro per onorare Gesù. Certo sono entrate in lizza tutte le ricchezze di Naim, messe cooperativamente in moto per addobbare casa e mensa. E le rispettive proprietarie occhieggiano, da tutti i punti possibili, la comitiva che passa per il corridoio di ingresso diretta a due stanze prospicienti, nelle quali la padrona di casa ha approntato le tavole. Forse hanno chiesto questo solo, per il prestito delle stoviglie e tovaglie e sedili, e per la loro prestazione d’opera ai fornelli: questo di vedere da vicino il Maestro e respirare dove Egli respira.

Ed ora si affacciano qua e là, rosse, infarinate, incenerate, o con le mani sgocciolanti, a seconda delle loro incombenze culinarie; sbirciano, si prendono il loro scampolino di sguardo divino, la loro briciolina di voce divina, bevono la dolce benedizione e la dolce figura con lo sguardo e l’udito, e tornano ancor più rosse ai loro fornelli, madie e acquai: felici.

Felicissima, poi, quella che con la padrona di casa offre i bacili delle abluzioni agli ospiti di riguardo. È una giovanetta bruna nei capelli e negli occhi, ma dal colorito soffuso di rosa. E ancor più rosa diventa quando la padrona di casa avverte Gesù che essa è la sposa di suo figlio e presto verranno compiute le nozze.

«Abbiamo atteso la tua venuta a compirle, perché tutta la casa fosse santificata da Te. Ma ora benedici lei pure, acciò sia buona moglie in questa casa».

Gesù la guarda e, poiché la sposina si curva, le impone le mani dicendo: «Rifioriscano in te le virtù di Sara, Rebecca e Rachele, e da te si generino dei veri figli di Dio, per la sua gloria e per la letizia di questa dimora».

Ormai Gesù e i notabili sono tutti purificati ed entrano nella stanza del convito con il giovane padrone di casa, mentre gli apostoli con altri uomini di Naim meno influenti entrano nella stanza di fronte. E il convito ha luogo.

Capisco dai discorsi che, prima che avesse inizio la visione, Gesù aveva predicato e guarito in Naim. Ma i farisei e scribi poco si soffermano su questo, mentre tempestano di domande quelli di Naim per sapere particolari sulla malattia di cui era morto Daniele, e quante ore erano intercorse dalla morte alla risurrezione, e se era stato completamente imbalsamato, ecc. ecc.

Gesù si astrae da tutte queste indagini parlando col risuscitato, che sta benone e che mangia con un formidabile appetito. Ma un fariseo chiama Gesù per chiedergli se Egli era al corrente della malattia di Daniele.

«Venivo da Endor per puro caso, avendo voluto accontentare Giuda di Keriot come avevo accontentato Giovanni di Zebedeo. Non sapevo neppure di avere a passare per Naim quando avevo iniziato il cammino per il pellegrinaggio pasquale» risponde Gesù.

«Ah! non eri andato apposta a Endor?» chiede stupito uno scriba.

«No. Non ne avevo la minima volontà di andarvi, allora».

«E come mai allora vi andasti?».

«L’ho detto, perché Giuda di Simone voleva andarvi».

«E perché questo capriccio?».

«Per vedere la grotta della maga».

«Forse Tu ne avevi parlato…».

«Mai! Non ne avevo motivo».

«Voglio dire… forse hai spiegato con quell’episodio altri sortilegi, per iniziar i tuoi discepoli a…».

«A che? Per iniziare alla santità non c’è bisogno di pellegrinaggi. Una cella o una landa deserta, un picco montuoso o una casa solitaria, servono ugualmente. Basta che in chi insegna sia autorità e santità, e in chi ascolta volontà di santificarsi. Io insegno questo e non altro».

«Ma i miracoli che ora essi, i discepoli, fanno, che sono se non prodigi e…».

«E volere di Dio. Questo solo. E più Santi diverranno e più ne faranno. Con l’orazione, il sacrificio e la loro ubbidienza a Dio. Non con altro».

«Ne sei sicuro?» chiede uno scriba tenendosi il mento nella mano e sbirciando di sotto in su Gesù. E il suo tono è discretamente ironico e anche compassionevole.

«Io queste armi ho dato loro e queste dottrine. Se poi fra essi, e sono tanti, ve ne sarà alcuno che si corrompe con indegne pratiche, per superbia o altro, non da Me sarà venuto il consiglio. Io posso pregare per vedere di redimere il colpevole. Posso impormi dure penitenze espiatorie per ottenere che Dio lo aiuti particolarmente con lumi della sua sapienza a vedere l’errore. Posso gettarmi ai suoi piedi per supplicarlo, con tutto il mio amore di Fratello, Maestro e Amico, di lasciare la colpa. Né penserei di avvilirmi a far ciò, perché il prezzo di un’anima è tale che merita subire ogni umiliazione per ottenere quest’anima. Ma di più non posso fare. E, se ciononostante la colpa durerà, pianto e sangue gemeranno occhi e cuore del tradito e incompreso Maestro e Amico».

Che dolcezza e che tristezza nella voce e nell’aspetto di Gesù!

Scribi e farisei si guardano fra di loro. Tutto un gioco di sguardi. Ma non dicono altro in merito.

Interrogano invece il giovane Daniele. Si ricorda cosa è la morte? Che provò tornando alla vita? E che vide nello spazio fra morte e vita?

«Io so che ero malato mortalmente e patii l’agonia. Oh! tremenda cosa! Non mi ci fate pensare!… Eppure verrà il giorno in cui la dovrò risoffrire! Oh! Maestro!…». Lo sguardo terrorizzato, sbianchendo al pensiero di dovere morire di nuovo.

Gesù lo conforta dolcemente dicendo: «La morte è di per sé espiazione. Tu, morendo due volte, sarai completamente mondo da macchie e gioirai subito del Cielo. Però questo pensiero ti faccia vivere da santo, onde solo involontarie e veniali colpe siano in te».

Ma i farisei tornano all’attacco: «Ma cosa provasti tornando alla vita?».

«Nulla. Mi sono trovato vivo e sano come mi fossi svegliato da un lungo sonno pesante».

«Ma ti ricordavi di esser morto?».

«Mi ricordavo che ero stato molto malato, fino all’agonia, e basta».

«E che ricordi dell’altro mondo?».

«Niente. Non c’è niente. Un buco nero, uno spazio vuoto nella mia vita… Nulla».

«Allora per te non c’è il Limbo, il Purgatorio, l’Inferno?».

«Chi dice che non ci sono? Certo che ci sono! Ma io non li ricordo».

«Ma sei sicuro di esser stato morto?».

Scattano tutti quelli di Naim: «Se era morto? E che volete di più? Quando lo ponemmo sulla bara era già in procinto di puzzare. E poi! Con tutti quei balsami e quelle bende sarebbe morto anche un gigante».

«Ma tu non ti ricordi di esser morto?».

«Vi ho detto di no». Il giovane si impazienta e aggiunge: «Ma cosa volete stabilire con questi lugubri discorsi? Che tutto un paese facesse mostra di avere me morto, mia madre compresa, la mia sposa compresa, che era a letto morente di dolore, io compreso, legato, imbalsamato, mentre non era vero? Che dite? Che a Naim si fosse tutti bambini o ebeti in voglia di scherzare? Mia madre è divenuta bianca in poche ore. La sposa mia dovette essere curata perché dolore e gioia l’avevano resa come folle. E voi dubitate? E perché avremmo fatto questo?».

«Perché? È vero! Perché lo avremmo fatto?» dicono quelli di Naim.

Gesù non parla. Giocherella colla tovaglia come fosse assente. I farisei non sanno che dire… Ma Gesù apre la bocca all’improvviso, quando la conversazione e l’argomento parevano finiti, e dice:

«Il perché è questo. Essi (e accenna farisei e scribi) vogliono stabilire che il tuo risorgere non fu che un ben congegnato giuoco per accrescere la mia stima presso le folle. Io ideatore, voi complici per tradire Dio e prossimo. No. Io lascio le ciurmerie agli indegni. Non ho bisogno di stregonecci, né di stratagemmi, di giochetti o di complicità per essere ciò che sono. Perché volete negare a Dio il potere di restituire l’anima ad una carne? Se Egli la dà, quando la carne si forma, e crea le anime di volta in volta, non potrà renderla quando l’anima, tornando alla carne per preghiera del suo Messia, può essere fomite di venuta alla Verità di molte turbe? Potete negare a Dio il potere del miracolo? Perché lo volete negare?».

«Sei Tu Dio?».

«Io son chi sono. I miei miracoli e la mia dottrina dicono chi Io sia».

«Ma allora perché costui non ricorda, mentre gli spiriti evocati sanno dire cosa è l’aldilà?».

«Perché quest’anima parla la verità, già santificata come è dalla penitenza di una prima morte, mentre ciò che parla sulle labbra dei negromanti non è verità».

«Ma Samuele…».

«Ma Samuele venne per ordine di Dio, non della maga, a portare al fedifrago della Legge il verdetto del Signore che non si irride nei suoi comandi».

«E allora perché i tuoi discepoli lo fanno?».

La voce arrogante di un fariseo, che punto sul vivo alza il tono della stessa, richiama l’attenzione degli Apostoli che sono nella stanza di fronte, separati da un corridoio largo poco più di un metro, non isolati da porte o tende pesanti. Sentendosi chiamati in causa, si alzano e vengono senza far rumore nel corridoio, in ascolto.

«In che lo fanno? Spiegati, e se la tua accusa è vera Io li avviserò di non fare più cosa contraria alla Legge».

«In cosa lo so io, e con me molti altri. Ma Tu che risusciti i morti e ti dici più che profeta, scoprila da Te. Noi non te la diremo certo. Hai occhi, del resto, per vedere anche molte altre cose, fatte quando non si devono fare, o non fatte quando si devono fare, commesse dai tuoi discepoli. E Tu non te curi».

«Vogliate indicarmene alcune».

«Perché i tuoi discepoli trasgrediscono le tradizioni degli antichi? Oggi li abbiamo osservati. Anche oggi! Non più tardi di un’ora fa! Essi sono entrati nella loro sala per mangiare e non si sono purificate, avanti, le mani!». Se i farisei avessero detto: «E prima hanno sgozzato dei cittadini», non avrebbero avuto un tono simile di profondo orrore.

«Li avete osservati, sì. Ci sono tante cose da vedere. E belle, e buone. Cose che fanno benedire il Signore di averci dato la vita perché avessimo modo di vederle e perché ha creato o permesso quelle cose. Eppure voi non le osservate. E con voi molti altri. Ma perdete tempo e pace coll’inseguire le cose non buone.

Sembrate sciacalli, meglio, iene correnti sulla scia di un fetore, trascurando le ondate di profumi che vengono nel vento da giardini pieni di aromi. Le iene non amano gigli e rose, gelsomini e canfore, cinnamomi e garofani. Per loro sono sgradevoli odori. Ma il lezzo di un corpo putrefacente in fondo ad un burrone, o su una carraia, sepolto sotto i rovi dove l’ha gettato l’assassino, o gettato dalla tempesta sulla spiaggia deserta, gonfio, violaceo, crepato, orrendo, oh! quello è profumo gradevole alle iene!

E fiutano il vento della sera, che condensa e trasporta con sé tutti gli odori che il sole ha distillato dalle cose che ha scaldato, per sentire questo vago, invitante odore, e scopertolo, e afferratane la direzione, eccole partire di corsa, col muso all’aria, i denti già scoperti nel fremito delle mascelle simile ad un isterico riso, per andare là dove è putrefazione. E, sia cadavere d’uomo o di quadrupede, o di biscia spezzata dal contadino, o di faina uccisa dalla massaia, fosse anche un semplice topo, oh! ecco che piace, piace, piace! E in quel fetore ribollente si affondano le zanne, e si pasteggia, e ci si lecca le labbra…

Degli uomini si santificano giorno per giorno? Non è cosa che interessi! Ma se uno solo fa del male, o in più d’uno lasciano, non un comando divino, ma una pratica umana -chiamatela pure tradizione, precetto, come volete, è sempre cosa umana- ecco che allora si va, si nota. Si va anche dietro a un sospetto… tanto per godere, vedendo che il sospetto è realtà.

Ma allora, rispondete, rispondete voi che siete venuti non per amore, non per fede, non per onestà, ma per malvagio scopo, rispondete: perché voi trasgredite il comando di Dio per una vostra tradizione? Non vorrete già dirmi che una tradizione è da più di un Comandamento? Eppure Dio ha detto: “Onora il padre e la madre, e chi maledirà il padre e la madre è reo di morte”! E voi invece dite: “Chiunque abbia detto al padre e alla madre: ‘Quello che dovresti avere da me è corban’, non è più obbligato ad usarlo per padre e madre”. Dunque voi con la vostra tradizione avete annullato il comando di Dio.

Ipocriti! Ben disse di voi Isaia profetando: “Questo popolo mi onora con le labbra, ma il suo cuore è lontano da Me, perciò mi onorano invano insegnando dottrine e comandamenti d’uomo”.

Voi, mentre trascurate i precetti di Dio, state alle tradizioni degli uomini, alle lavature di anfore e calici, di piatti e di mani e simili altre cose. Mentre giustificate l’ingratitudine e l’avarizia di un figlio coll’offrirgli la scappatoia dell’offerta di sacrificio per non dare un pane a chi lo ha generato ed ha bisogno di aiuto, ed egli ha l’obbligo di onorarlo perché gli è genitore, avete scandalo perché uno non si lava le mani. Voi alterate e violate la parola di Dio per ubbidire a parole da voi fatte e da voi elevate a precetto. Voi vi proclamate perciò più giusti di Dio. Voi vi arrogate diritto di legislatori mentre Dio solo è Legislatore nel suo popolo. Voi…».

E continuerebbe, ma il gruppo nemico esce, sotto la grandine delle accuse, urtando gli Apostoli e quanti erano nella casa, ospiti o aiutanti della padrona, e che si erano raccolti nel corridoio, attirati dallo squillo della voce di Gesù.

Gesù, che si era alzato in piedi, si torna a sedere, facendo cenno ai presenti di entrare tutti dove Egli è, e dice loro:

«Ascoltatemi tutti e intendete questa verità. Non vi è nulla fuori dell’uomo che entrando in esso possa contaminarlo. Ma quello che esce dall’uomo, questo è quello che contamina. Chi ha orecchie da intendere intenda e usi ragione per comprendere e volontà per attuare. E ora andiamo. Voi di Naim perseverate nel bene e sia sempre con voi la mia pace».

Si alza, saluta in particolare i padroni di casa e si avvia per il corridoio.

Ma vede le donne amiche, che raccolte in un angolo Lo guardano incantate, e va diretto da loro dicendo:

«Pace a voi pure. Vi compensi il Cielo per avermi sovvenuto con un amore che non mi ha fatto rimpiangere la tavola materna. Ho sentito il vostro amore di madri in ogni mica di pane, in ogni intingolo o arrosto, nel dolce del miele, nel vino fresco e profumato. Vogliatemi sempre bene così, buone donne di Naim. E un’altra volta non fate tanta fatica per Me. Basta un pane e un pugno di ulive condito col vostro sorriso materno e il vostro sguardo onesto e buono. Siate felici nelle vostre case, perché la riconoscenza del Perseguitato è su voi ed Egli parte consolato dal vostro amore».

Le donne, beate eppure piangenti, sono tutte in ginocchio, ed Egli, nel passare, le sfiora una per una sui capelli bianchi o neri, come a benedirle. E poi esce e riprende il cammino…

Le prime ombre della sera calano nascondendo il pallore di Gesù amareggiato da troppe cose.

Estratto di “l’Evangelo come mi è stato rivelato” di Maria Valtorta