Implantologia dentale a carico immediato solidarizzata

L’implantologia elettrosaldata è la tecnica odontoiatrica attraverso la quale gli impianti dentali endossei in titanio inseriti nella bocca del paziente vengono collegati tra loro (solidarizzati) attraverso un filo anch’esso in titanio elettrosaldato alla parte emergente di ogni impianto (chiamata appunto emergenza).

Attraverso la loro unione, la stabilità di ogni impianti aumentare ed è possibile procedere con il carico immediato ovvero il dentista può collocare immediatamente la protesi (generalmente provvisoria) nella bocca del paziente il quale potrà lasciare lo studio con i nuovi denti perfettamente funzionanti.

Il filo in titanio utilizzato nell’implantologia elettrosaldata ha lo scopo di unire tra loro gli impianti dentali in modo tale da assicurare un’adeguata resistenza al carico masticatorio di ogni singolo elemento grazie “all’aiuto” ricevuto dagli altri elementi attraverso appunto il filo di titanio.

Come ci ricorda l’illustre Prof. Tramonte, la difficoltà di realizzare l’implantologia a carico immediato, cioè garantire un’immediata soluzione estetica e funzionale al problema di endentulia (parziale o totale) è individuabile nelle ottimali condizioni ossee del paziente richieste.

Ma come bisogna procedere se dette condizioni ottimali non sussistono ovvero il dentista si trova di fronte ad un’insufficiente quantità d’osso o se esso non è della giusta qualità (pensiamo alle persone affette da osteoporosi) ?

La risposta potrebbe essere quella che è conveniente cambiare tecnica ed utilizzare l’implantologia a carico differito congiuntamente ad un’integrazione ossea.

Quest’ultima tecnica odontoiatrica però, costringe il paziente ad intraprendere un iter molto più lungo poiché nella prima fase l’odontoiatra inserisce gli impianti dentali e, solo dopo aver atteso alcuni mesi per l’adeguata osteointegrazione, potrà essere montata la protesi dentaria.

Con l’unione di tutti gli impianti dentali attraverso il filo di titanio, invece, è possibile porre in essere il carico immediato facendo risparmiare al paziente tempo, dolore e soldi.

In definitiva, l’implantologia elettrosaldata appare come una delle soluzioni all’apparente possibilità di effettuare il carico immediato ma non tutta la comunità odontoiatrica la pensa alla stessa maniera.

Per dovere di completezza dobbiamo aggiungere alla presente trattazione anche l’opinione di chi non è favorevole all’adozione di questa tecnica implantologica e spiegarne le motivazioni.

Alcuni odontoiatri ritengono (come è possibile leggere sui loro rispettivi siti Internet) che con l’implantologia elettrosaldata:

  • si possano utilizzare impianti non recentissimi quindi privi di quelle caratteristiche che permettono la loro immediata stabilizzazione che, a sua volta, consente il carico immediato;
  • il paziente è esposto ai fumi della saldatura effettuata all’interno del cavo orale;
  • il dentista è costretto ad attuare il carico immediato quando invece sarebbe molto più indicato procedere con l’implantologia a carico differito.

Lo scopo di questo articolo non è quello di stabilire se l’implantologia elettrosaldata sia o meno valida od addirittura migliore di altre procedure implantologiche bensì ci limitiamo a portare il lettore a conoscenza dell’esistenza di questa tecnica ed ad invitare tutti gli interessati ad approfondire l’argomento con il dentista di fiducia e, soprattutto, in base alle reali problematiche da risolvere.

Nei casi di perimplantite, il laser a cosa serve?

Cosa può fare il laser per la cura della perimplantite ?

Innanzitutto partiamo da un presupposto, la perimplantite, così come la parodontite, ha origine batterica da cui si ha l’infiammazione.

La progressiva necrosi dei tessuti molli colpiti e il riassorbimento dell’osso alveolare che, a sua volta, provoca instabilità sia della radice naturale del dente sia dell’impianto dentale che è quindi destinato al fallimento così come il dente naturale è destinato a cadere anche se perfettamente sano.

La cura della perimplantite non si realizza attraverso un’unica terapia bensì coinvolge più procedure che, realizzate insieme, permettono la completa guarigione e di salvare l’impianto.

Il laser, ormai, è uno strumento molto diffuso in ambito odontoiatrico ed anche l’implantologia ne fa largo uso.

Nei casi di perimplantite, il laser serve per migliorare od approfondire la bonifica dei tessuti molli colpiti dalla patologia così come la superficie degli impianti che, essendo sempre più rugosa, permette ai batteri di insediarsi e di sottrarsi alla decontaminazione manuale oppure a mezzo di strumenti meccanici come i-Brush, una sorta di spazzola a setole in acciaio inossidabile molto piccole, capace di ripulire la superficie dell’impianto dentale senza graffiarla e senza la necessità di ricorrere alla chirurgia per scoprire l’impianto sommerso.

Desideriamo ribadire che il laser per la cura della perimplantite non è una terapia alternativa bensì complementare a quelle finora utilizzate; esso infatti permette di approfondire la decontaminazione batterica iniziata con gli strumenti manuali (scalers e curettes) e meccanici, i-Brush, non di sostituirsi a queste ultime.

Avendo una patogenesi pressoché identica, anche la cura della parodontite (o piorrea) si avvale del laser per vaporizzare i batteri responsabili dell’infiammazione e bonificare, così, le tasche parodontali ed evitare di ricorrere alla levigatura radicolare a cielo aperto.

Perimplantite quali metodiche e procedure per debellarla?

Sebbene la cura della perimplantite adotti metodiche e procedure simili a quelle per debellare la parodontite, è necessario fare alcune distinzioni poiché c’è una sostanziale differenza tra la superficie dei denti naturali (parliamo della radice del dente quindi del cemento radicolare) e quella degli impianti dentali in titanio osteointegrati.

Pur svolgendo la stessa funzoine, la superficie del dente naturale si comporta in maniera diversa da quella di un impianto inserito nell’osso mascellare.

Sembra un controsenso ma l’impianto è molto più sensibile all’igiene orale rispetto al cemento radicolare.

Radice di un dente naturale

La parte del dente naturale al di sotto delle gengive ed immersa nell’osso mascellare è chiamata radice e la sua superficie è detta cemento radicolare.

I denti sono mantenuti in sede (all’interno dell’osso) dal legamento parodontale che parte dall’osso e finisce nel cemento della radice del dente.

La parodontite attacca prima la gengiva, poi i tessuti parodontali (legamento e mucosa) ed infine l’osso provocando la caduta spontanea del dente stesso.

Superficie impianto dentale

L’impianto dentale è mantenuto stabile ed in posizione grazie alla sua stretta relazione con l’osso con il quale, dopo il periodo di osteointegrazione, tende a diventare un tutt’uno.

Non esiste nessun legamento parodontale, ne naturale ne artificiale. Inoltre, la superficie dell’impianto è molto più delicata di quanto non sia quella dei denti.

A complicare le cose ci pensa la morfologia della superficie implantare che non è liscia come si potrebbe essere portati a pensare bensì porosa.

Se da una parte tale porosità facilita e fortifica l’osteointegrazione, dall’altra offre “riparo” ai batteri che causano l’infezione e la cura della perimplantite diventa più problematica.

Cura della perimplantite superficiale o mucosite

Prima che la patologia degeneri in perimplantite, i tessuti coinvolti, infetti ed infiammati, sono quelli molli ovvero gengive e mucosa.

A questo stadio, la cura della perimplantite prevede manovre non chirurgiche di igiene orale professionale allo scopo di eliminare la placca che si è accumulata (anche sulla sovrastruttura anche detta protesi) ed i tessuti molli e duri dalla superficie dell’impianto dentale con l’utilizzo di scalers e lavaggi a base di clorexidina. Per debellare l’infezione può essere utile un supporto antibiotico che deve essere valutato e prescritto dal medico.

Per contenere e eliminare progressivamente l’infiammazione, si sono rivelati utili anche i seguenti metodi:

  • Sciacqui con acqua tiepida e sale;
  • Acido citrico;
  • Perossido di idrogeno.

Cura della perimplantite conclamata

La cura della perimplantite conclamata (ovvero quando l’infezione ha superato i tessuti molli e si appresta ad attaccare l’osso o lo ha già fatto) è di stretta pertinenza del dentista che non può fare altro che ricorrere alla chirurgia orale per raggiungere le parti colpite, asportare il materiale biologico infetto e decontaminare la superficie dell’impianto dentale.

La ricerca da parte dei produttori di strumentazione chirurgica ed odontoiatrica permette oggi ai dentisti di avvalersi di nuovi strumenti appositamente realizzati per aumentare l’efficacia del tarttamento contro la perimplantite.

In particolare vanno citati i seguenti:

Laser

Il laser per la cura della perimplantite è oggi assai utilizzato per decontaminare le superfici implantari con grande soddisfazione sia dei dentisti che dei pazienti

Rimozione meccanica

Detto in questo modo non significa un gran che per i non addetti ai lavori; in altre parole, esistono sul mercato degli strumenti come iBrush (nome commerciale) che, collegati alla al trapano a turbina del dentista, permettono la rimozione meccanica (non manuale come con lo scaler) di placca e tartaro dalla superficie dell’impianto dentale senza però danneggiarlo.

Conclusioni

Come abbiamo visto, la cura della perimplantite può rivelarsi molto invasiva e costosa; è quindi preferibile prestare molta attenzione all’igiene orale quotidiana e sottoporsi periodicamente alla pulizia denti dal dentista poiché solo in questo modo il medico o l’igienista sono in grado di diagnosticare piccoli problemi che, se non curati tempestivamente, possono trasformarsi in un vero calvario.

Gli impianti dentali sono delle viti in titanio utilizzate per sostituire le radici dei denti mancanti.

Gli impianti dentali sono delle viti in titanio utilizzate per sostituire le radici dei denti mancanti.

Le viti hanno una forma conica o cilindrica con lunghezza e diametro variabili in base alle necessità.

Il dentista può inserire gli impianti sia nella mascella sia nella mandibola.

Lo scopo del loro utilizzo è quello di sostenere una singola capsula, un ponte di 3 o 4 elementi oppure un’intera arcata quando mancano tutti i denti (edentulia completa).

Altro beneficio attribuibile alle riabilitazioni implanto-protesiche è che, rallentando il riassorbimento del tessuto osseo, prevengono l’invecchiamento prematuro e contribuiscono a mantenere i tratti del viso.

Riabilitando la corretta masticazione, i muscoli facciali tornano tonici a tutto vantaggio della pelle che risulta più tesa, fresca e giovane.

Dal punto di vista pratico è bene affidarsi ad un implantologo specializzato cioè un laureato in odontoiatria che abbia anche frequentato con profitto la scuola di specializzazione in implantologia

Quanti impianti dentali servono ?

La risposta a questa domanda è strettamente legata al caso specifico che il dentista si trova ad affrontare.

Solo dopo un’attenta diagnosi il medico può prospettare al paziente diverse soluzioni implantologiche per la sostituzione dei denti mancanti.

Di seguito riportiamo i casi più frequenti in cui è possibile utilizzare impianti dentali in titanio in sostituzione dei denti persi prematuramente:

Sostituire un dente

In mancanza di un solo dente le soluzioni sono principalmente due: un ponte dentale in cui gli elementi dentali contigui sorreggono quello mancante

I denti sani che fanno da pilastro devono essere preparati (limati e ridotti a monconi) ed è un vero peccato.

La seconda soluzione prevede l’inserimento di un solo impianto dentale sormontato da un moncone o abutment a cui il dentista fissa la capsula o corona protesica personalizzata.

Per sostituire più denti adiacenti

Per sostituire 3 o 4 denti adiacenti si usa il ponte sorretto da impianti dentali che svolgono il compito di pilastri di sostegno.

E’ possibile aggiungere uno o più impianti nel mezzo per irrobustire la struttura che deve resistere alle forze esercitate durante la masticazione.

Per supportare un’arcata completa

In presenza di pochi denti mal ridotti oppure in totale assenza di elementi dentali, l’implantologia prevede la riabilitazione di tutta la bocca.

La soluzione più comune è il ponte circolare completo su 4, 6 o 8 viti (raramente si arriva a 10).

Il numero di impianti dentali necessari non è quasi mai in rapporto di 1:1, un dente un impianto.

Una sola vite ha la capacità di supportare più di un elemento dentale finto.

Se le gengive del ricevente sono ancora in buono stato, il ponte completo non ha la classica gengiva rosa (detta flangia).

I nuovi denti protesici escono direttamente dalle gengive del paziente senza la necessità di ricoprirle.

Per ancorare una protesi fissa

In caso di edentulia totale (mancanza di tutti i denti) ed in presenza di importante recessione gengivale ed ossea, la soluzione è la protesi fissa con flangia Toronto Bridge.

Bastano 4 o 6 impianti dentali per ogni arcata.

La flangia ha lo scopo di nascondere gli impianti e permette di utilizzare denti della giusta misura.

Mancando tessuto osseo, lo spazio vuoto risultante viene colmato dalla gengiva finta.

Se così non fosse, il dentista sarebbe costretto ad utilizzare denti più lunghi con grave compromissione estetica.

Per stabilizzare la dentiera

La vecchia dentiera, quella che i nostri nonni mettevano nel bicchiere sul comodino prima di andare a dormire, è ormai in disuso.

La protesi mobile, infatti, comporta notevoli problemi di masticazione ma anche di fonetica.

La mancanza di denti è la causa principale del riassorbimento dei mascellari che, assottigliandosi, provocano la profonda modificazione dei tratti del viso.

Una persona senza denti appare più vecchia di quella che è in realtà.

Oggi si preferisce fissare la dentiera con impianti dentali creati appositamente che lasciano al portatore la possibilità di rimuoverla per l’igiene quotidiana.

In questo caso si parla di overdenture su mini impianti dentali con barra o con testa sferica e di protesi totale removibile o semifissa.

Struttura di un impianto dentale

Com’è fatto un singolo impianto dentale ?

In base all’immagine pubblicata sopra, distinguiamo 4 parti fondamentali:

1 Impianto, vite o fixture

L’impianto dentale vero e proprio, detto anche fixture o vite, è la parte che il dentista inserisce all’interno dei mascellari ed ha forma cilindrica o conica del tutto simile alla radice di un dente naturale.

La superficie della vite non è liscia bensì caratterizzata da elementi che migliorano la ritenzione della fixture stessa.

Tali elementi variano da produttore a produttore ma, in generale, possiamo trovare caratteristiche comuni.

La filettatura e le scanalature offrono maggiore superficie di contatto al nuovo tessuto osseo che va ad imprigionare l’impianto rendendolo ben saldo nell’alveolo.

Alcuni trattamenti come: anodizzazione, mordenzatura con acidi e sabbiatura, rendono rugosa o porosa la superficie implantare.

L’irregolarità della superficie implantare è osteoinduttiva poiché favorisce e velocizza il processo di osteointegrazione a tutto vantaggio del paziente che vede diminuire i tempi di guarigione.

2 Abutment

L’abutment o moncone è chiamato componente trasmucoso poiché attraversa le gengive ed ha lo scopo di permettere la connessione con la corona singola, con il ponte oppure con la protesi completa.

Esistono abutment angolati a 45°, dritti, in ceramica, in zirconio ma i più utilizzati sono costruiti con il titanio.

Solitamente l’abutment è un componente a se, ma in alcuni casi può essere parte integrante dell’impianto e forma, con questo, un corpo unico.

3 vite di giuntura impianto-abutment

La piccola vite di giuntura tra impianto ed abutment serve solo nel caso in cui quest’ultimo non faccia parte integrante dell’impianto.

Notiamo la mancanza della vite di connessione nei presidi in ceramica ed anche nei mini-impianti.

4 Protesi dentale

La protesi dentale non fa parte dell’impianto ma abbiamo voluto ugualmente inserirla in questa breve descrizione poiché completa il lavoro del dentista.

In base alla riabilitazione da eseguire, l’implantologo può connettere all’abutment, fissato sull’impianto dentale:

  • una singola corona o capsula protesica;
  • un ponte su impianti;
  • un ponte circolare completo utilizzando viti di ritenzione o del cemento per assicurarla nel cavo orale del paziente

Quanto dura un impianto dentale ?

Tecnicamente l’impianto dentale dura tutta la vita nel senso che è difficilissimo che si verifichi un cedimento od una rottura.

In virtù della bassissima percentuale di rotture molte case produttrici possono permettersi di dare la garanzia a vita dei loro prodotti.

Bisogna, però, fare attenzione e capire bene cosa si intende per garanzia.

Alcuni produttori garantiscono l’integrità dell’impianto e non il fatto che esso rimanga saldamente ancorato al vostro osso per tutta la vita (dall’inserimento in avanti).

Esistono troppi fattori che influiscono sulla durata degli impianti dentali affinché si possa avere una garanzia a vita circa la buona riuscita dell’operazione nel lungo periodo (oltre 10 anni).

Statisticamente, un impianto dentale può durare anche 20 anni a patto di mantenere l’igiene dentale quotidiana, presentarsi alle visite di controllo ed effettuare la pulizia semestrale.

Quanto costano gli impianti dentali ?

In base ai listini pubblicati in rete da molti dentisti, abbiamo cercato di fare una media plausibile andando a ricercare anche le motivazioni di tali prezzi.

Diciamo subito che le nostre ricerche evidenziano una spesa minima di 450 Euro fino ad arrivare a 1350 Euro per ogni vite in titanio.

I prezzi indicati comprendono, di norma, il costo del solo impianto e non il lavoro finito compreso di materiali accessori ed indispensabili.

Quali altri costi ci sono e come mai tanta differenza di prezzo ?

Alla prima domanda rispondiamo che non sempre (quasi mai) nei listini è compreso il costo del moncone dell’impianto dentale e la corona o protesi in caso di arcata completa o parziale.

La differenza di prezzo sta nel fatto che alcune case produttrici investono molto denaro nella ricerca e nei test, soprattutto quelli commissionati a ditte terze che ne certificano i risultati.

Anche il marketing per promuovere un nuovo prodotto fa aumentare il costo degli impianti dentali su cui è spalmato il ricarico per rientrare dalle spese effettuate.

Titanio, zirconio e ceramica

Quali sono i principali materiali utilizzati oggi in implantologia ?

TITANIO

Il materiale in assoluto più utilizzato dai produttori di tutto il mondo è il titanio nella forma (CP4).

L’introduzione di questo metallo si deve alla scuola italiana di implantologia (Prof. Tramonte).

Il titanio è altamente biocompatibile con i tessuti con cui entra in contatto quindi non provoca allergie.

Un’altra caratteristica di questo metallo è la resistenza alle sollecitazioni bio-meccaniche (masticazione).

Da ultimo, ma non per importanza, il titanio favorisce l’osteointegrazione che è il processo di formazione di nuovo tessuto osseo, creato da cellule chiamate osteoblasti.

Il nuovo tessuto duro si posiziona attorno alla superficie dell’impianto per renderlo ben saldo, stabile e formare un tutt’uno con la mascella o la mandibola.

Dopo circa un mese dall’inserimento, è quasi impossibile estrarre la vite; questo a dimostrazione del fatto che le cellule che creanol nuovo tessuto lavorano correttamente.

Per velocizzare l’osteointegrazione e per aumentare il grado di ritenzione, la superficie delle viti non è più liscia come una volta bensì porosa (si parla di microporosità).

ZIRCONIO

Lo zirconio sembra essere una valida alternativa per la costruzione degli impianti dentali ma è ancora in fase di sperimentazione.

Finora non esiste una casistica di studio sufficientemente ampia ed approfondita da far ritenere lo zirconio migliore del titanio.

Le caratteristiche dello zirconio sono la maggiore biocompatibilità e la capacità di ritenere meno placca batterica.

Alcuni dentisti lo trovano più estetico poiché è un metallo bianco.

Bisogna però precisare che il colore dell’impianto non è una limitazione all’estetica poiché la vite deve essere inserita all’interno dell’osso e quindi risulta invisibile dall’esterno.

CERAMICA

Da qualche anno sono apparsi sul mercato anche gli impianti in ceramica compresi di abutment (monconi).

Le caratteristiche della ceramica sono simili a quelle dello zirconio ma, a differenza di quest’ultimo, il grado di resistenza alle sollecitazioni meccaniche è minore.

Il rischio di rotture, quindi, è elevato soprattutto quando il dentista deve lavorare il moncone in ceramica per adattarlo alle esigenze del paziente in cura.

Chi inserisce gli impianti ?

Prima del 1989, l’inserimento delle viti implantari era consentito, per legge, a tutti coloro che avevano conseguito la laurea in medicina e l’abilitazione alla professione medica.

Da quella data in poi, solo gli odontoiatri possono svolgere la professione di dentisti ovvero professionisti che hanno conseguito la laureati in odontoiatria e protesi dentaria.

Perchè Le gengive si ritirano?

La cura della recessione gengivale o gengive ritirate può essere non-chirurgica (ablazione del tartaro, igiene orale professionale e levigatura radicolare) oppure indotta da un mini intervento di chirurgia orale (levigatura radicolare a cielo aperto).

Si verifica recessione gengivale quando il margine della gengiva che normalmente circonda il colletto del dente, tende ad allontanarsi da esso in direzione della radice (margine apicale) lasciando scoperto parte del cemento radicolare. Quando le gengive si ritirano la persona che ne soffre tende ad accusare ipersensibilità dentale specie quando mangia cibi caldi o particolarmente freddi.

Il cemento scoperto può essere più facilmente attaccato dalla placca e dal tartaro, si verifica quindi una maggiore incidenza di carie. L’aspetto più evidente causato dalla recessione gengivale è la compromissione dell’estetica, i denti sembrano più lunghi e più diradati in virtù della perdita di tessuto tra un dente e l’altro (gengiva papillare o papilla interdentale).

Prima di procedere con la cura della recessione gengivale è necessario tentare di stabilirne la causa in modo da abbassare il più possibile le probabilità di recidive:
La recessione gengivale può essere:

Di origine traumatica a causa di:

  • Malocclusione
  • Protesi od otturazioni inadatte;
  • Bruxismo;
  • Spazzolamento troppo energico ed orizzontale.

Dipendente dalla cattiva igiene orale

  • Gengivite
  • Parodontite

Diagnosi

Individuare la cura della recessione gengivale vuol dire effettuare una diagnosi approfondita che tenga conto di tutti i fattori in gioco. Il dentista dovrà valutare in particolare:

  • La classe di Miller con cui è possibile catalogare la recessione in esame;
  • La porzione di gengiva colpita (ovvero l’estensione del tessuto gengivale ritirato che può essere la porzione a ridosso di un solo dente o più denti adiacenti). Ricordiamo che alcune cure per la recessione gengivale si avvalgono di tecniche chirurgiche con cui è possibile porre rimedio a più recessioni con un solo intervento;
  • Lo spessore delle gengive;
  • In caso di gengive ritirate molto sottili è necessario l’intervento con innesto di tessuto;
  • Caratteristiche anatomiche del fornice vestibolare (detto anche solco, localizzato tra la gengiva aderente e la guancia, in cui è situato il frenulo);
  • Lo stato di salute del palato.
  • Il palato è la zona preferita da cui attingere tessuto in caso di innesto.

In base alla diagnosi, il dentista procede all’individuazione della cura migliore per la regressione gengivale che ha davanti. Le terapie praticabili

Cura non chirurgica

Infiammazione parodontale

Se il grado di recesso gengivale non è avanzato e la causa è individuabile in una infiammazione batterica (gengivite o parodontite), uno o più sedute di pulizia dentale professionale per la completa e profonda eliminazione della placca batterica ed ablazione del tartaro unitamente alla levigatura delle radici per eliminare il materiale purulento dalle tasche gengivali, possono essere sufficienti per eliminare il focolaio che alimenta l’infiammazione che, a sua volta, ha provocato il ritiro delle gengive.

Bruxismo

La cura della recessione gengivale passa attraverso la costruzione di un apposito presidio odontoiatrico detto bite da portare di notte in modo che il paziente eviti di digrignare o serrare i denti a tal punto da auto-provocare la causa dell’arretramento delle gengive.

Protesi od otturazioni inadatte

In questi casi è inutile concentrarsi sulla cura della recessione gengivale poiché il trauma che lo ha provocato è ancora in essere. Bisogna quindi individuare l’errore nella costruzione del manufatto protesico od il suo mal posizionamento e porvi rimedio. Eliminata la causa esterna, la gengiva si sfiamma e tende a tornare nella sua posizione naturale.

Intervento chirurgico per la cura della recessione gengivale

Il dentista consiglia di intervenire chirurgicamente per la cura della recessione gengivale quando quest’ultima si trova ad uno stadio talmente avanzato che le terapie summenzionate non darebbero nessun risultato tangibile.

Esistono 3 distinti tipi di procedure di chirurgia odontoiatrica come cura della recessione gengivale:

Intervento di riposizionamento del tessuto

come suggerisce il termine stesso, si tratta di riposizionare il tessuto gengivale e suturarlo in modo tale da ricoprire la parte di radice naturale del dente lasciata scoperta. Il medico decide per questo tipo di intervento poco invasivo, detto anche “ad un solo accesso” quando la gengiva è abbastanza spessa e l’altezza della banda cheratinizzata lo permette.

Innesto chirurgico di tessuto gengivale

In presenza di gengiva molto sottile (si parla di spessore inferiore ai 2 mm), la cura della recessione gengivale passa attraverso il prelievo dal palato di un frammento di tessuto adatto a chiudere il gap formatosi per poi ri-suturarlo immediatamente durante il corso dello stesso intervento.

Intervento chirurgico di innesto e riposizionamento

L’innesto ed il riposizionamento è la tecnica chirurgica indicata prevalentemente per la cura della recessione gengivale in cui i tessuti molli sono particolarmente sottili .

Detta tecnica si pone in essere in due momenti operatori distinti a distanza di tempo. Nel primo intervento si effettua l’innesto che ha lo scopo di inspessire la gengiva la quale, durante la seconda operazione, viene riposizionata. La commistione delle prime due tecniche elencate ha lo scopo di scongiurare la recessione recidiva.

Regime post operatorio

Nell’immediato post operatorio è consigliata l’applicazione di impacchi con buste di ghiaccio avvolte in un piccolo asciugamano morbido, il tutto allo scopo di minimizzare eventuale ematoma e gonfiore.

Dolore

L’eventuale dolore è facilmente controllabile con i comuni analgesici mentre sarà premura del dentista prescrivere antibiotici solo se si riscontra un principio di infezione (per dovere di completezza aggiungiamo che alcuni dentisti preferiscono operare il paziente che è già sotto copertura antibiotica da un paio di giorni).

Emorragia

In caso di emorragia, basterà comprimere delicatamente la parte interessata con una garza sterile inumidita. Se l’emorragia non si dovesse arrestare dopo qualche minuto è opportuno contattare immediatamente il medico e non effettuare nessun tipo di risciacquo.

Rimozione delle suture

Le suture saranno rimosse dopo circa 1 o 2 settimane dall’intervento chirurgico per la cura della recessione gengivale ed in base al tipo di tecnica utilizzata. Fino a questo momento il paziente dovrà astenersi dal praticare le consuete manovre di igiene orale quotidiana. Medicamenti topici come il collutorio alla clorexidina aiuteranno nella disinfezione della zona interessata.

Igiene orale dopo l’intervento

Dopo la rimozione delle suture bisogna prestare la massima diligenza nel ricominciare ad utilizzare lo spazzolino da denti che dovrà essere il più morbido possibile per non causare traumi.
I risultati, anche estetici, posso essere apprezzati già a partire dal secondo mese dopo l’operazione chirurgica anche se è necessario più tempo per quelli definitivi.

La cura della recessione gengivale minimizza le possibilità di perdita dei denti !!!

Malattia gengivale

Con il termine piorrea si indica il complesso di patologie ad eziologia batterica che colpiscono a vario grado gli elementi che del parodonto ovvero: gengive, legamento parodontale ed osso alveolare.

Il parodonto, nel suo insieme, tiene i denti saldi all’interno degli alveoli delle ossa mascellari (mandibola e mascella) ma se questo è compromesso lo sono anche i denti a tal punto che la piorrea può essere tranquillamente definita come la causa principale della perdita prematura degli elementi dentali.

La parola piorrea è quella più utilizzata nel parlare comune mentre nell’ambito della parodontologia, la branca dell’odontoiatria che si occupa appunto della salute del complesso parodontale, tale parola è stata definitivamente soppiantata dal sostantivo parodontite che meglio si relazione ed individua il parodonto come zona interessata dalla patologia e dalle terapie per debellarle.

Si calcola che al mondo, circa il 60% della popolazione (dei Paesi industrializzati) soffra di piorrea a partire dai 50 anni anche se è presente una forma molto aggressiva che colpisce i bambini ed i giovani.

Cause della piorrea

La piorrea è formata da diverse concause di cui la principale è la cattiva igiene orale domiciliare infatti, a seguito dell’insufficiente spazzolamento dei denti e del mancato utilizzo quotidiano del filo interdentale, la placca aderisce alle superfici dei denti e penetra all’interno del solco gengivale.

Mantenendo abitudini igieniche scorrette, i batteri presenti nella placca adesa ai denti ed al di sotto delle gengive producono acidi e tossine che infiammano le gengive. Se la causa dell’infiammazione non viene rimossa, l’infiammazione diventa cronica e si instaura la piorrea.

Non è finita qui, i microrganismi patogeni “scavano” all’interno delle gengive e formano le cosiddette tasche gengivali che si formano tra il dente ed il tessuto molle.

A questo punto le gengive non si presentano più toniche, perfettamente attaccate ai denti e dal colorito rosaceo; bensì sono rosse, gonfie e staccate dal dente. E’ frequente anche la recessione gengivale che lascia scoperto parte del cemento radicolare e quindi espone l’elemento dentale al rischio carie.

Piorrea: sintomi

La piorrea è una malattia silente e quasi asintomatica per cui il soggetto colpito può anche non avvertire alcun disagio o dolore (si parla di dolore da mal di denti) fino a quando le tasche non abbiano raggiunto una profondità tale da permettere all’infezione di arrivare fino all’osso e di provocarne il riassorbimento lasciando la radice dei denti priva di supporto.

A questo punto la piorrea diventa sintomatica ovvero il soggetto si accorge che qualcosa non va poiché i denti cominciano ad avere un’eccessiva mobilità soprattutto quando devono fronteggiare i carichi masticatori.

Allo stadio più avanzato la piorrea presenta i seguenti sintomi:

  • gengive arrossate;
  • Infiammazione gengivale;
  • Tartaro giallo o marrone sedimentato alla base dei denti e sotto-gengivale (tartaro nero);
  • Pus all’interno delle tasche gengivali e tessuto necrotico di cui fa parte anche un sottilissimo;
  • Strato di cemento radicolare rammollito dalla malattia;
  • Estrema mobilita dentale.

Sintomi della piorrea

Nella fase iniziale la piorrea ha sintomi sovrapponibili a quelli della classica gengivite anche perché, lo ribadiamo, la piorrea non è altro che lo stadio successivo della gengivite.

Per non rimanere nel vago, i principali sintomi della piorrea o gli elementi che fanno presupporre la presenza della malattia parodontale sono:

  • sanguinamento delle gengive (spontaneo od a seguito di stimoli come lo spazzolamento dei denti);
  • presenza di tartaro soprattutto in posizione interdentale (classica prova di cattiva igiene orale);
  • Alitosi cronica innescata dai gas che si sprigionano dal tartaro;
  • denti che si muovono
  • In determinati ambiti è possibile la formazione di ascesso dentale;

Questi campanelli di allarme non devo essere sottovalutati ed in presenza di tali sintomi o solo alcuni di essi, è bene recarsi dal dentista per una visita al fine di prevenire la perdita di uno o più denti e di dover ricorrere anzitempo alla protesi mobile o alle soluzioni offerte dall’implantologia.

Diagnosi

Autodiagnosi della piorrea

In presenza dei sintomi elencati nel paragrafo precedente, il soggetto colpito deve subito richiedere una visita e non lasciar correre, come spesso accade, per la mancanza di dolore.

Diagnosi del dentista

Un dentista che si possa definire tale si accorge immediatamente della presenza di gengivite oppure della già avvenuta trasformazione di quest’ultima in piorrea.

Per una diagnosi accurata e scrupolosa il medico rimanderà il paziente ad una visita parodontale in cui il parodontologo effettuerà il sondaggio delle tasche e la compilazione della cartella parodontale (detta anche charting). Solo dopo tale specifica visita è possibile avere un quadro complessivo della gravità a cui è arrivata piorrea nella bocca del paziente e preventivare la terapia più adatta a risolvere il caso in esame.

Terapie

La moderna parodontologia offre oggi differenti terapia attuabili per debellare definitivamente la piorrea e la scelta di una piuttosto che di un’altra dipende essenzialmente dal grado di aggressione della malattia e dei tessuti colpiti. A tale proposito abbiamo preparato un articolo dal titolo “curare la piorrea” che descrive nel dettaglio le differenti cure possibili.

Oltre alle classiche e più che collaudate terapie esiste anche la possibilità di utilizzare il laser per la cura della piorrea.

Mantenimento dei risultati

Una volta debellata la malattia, non si è immuni per sempre dalla sua ricomparsa, i risultati raggiunti con fatica, dolore/disagio, tempo e, soprattutto soldi, detti risultati vanno mantenuti quindi il paziente deve assolutamente cambiare il modo di prendersi cura dei propri denti e delle gengive.

In altre parole, deve imparare a spazzolare i denti correttamente e ad utilizzare il filo interdentale quotidianamente. A queste buoni abitudine si devono aggiungere le sedute di igiene orale professionale a cui sottoporsi annualmente (ma sarebbe più consigliato farle con maggiore frequenza).

Conclusioni

Oggi, al contrario di pochi anni fa, dalla piorrea, si può guarire definitivamente a patto che la malattia sia presa in tempo e non all’ultimo momento quando i denti sono completamente ricoperti di tartaro e totalmente mobili all’interno dell’alveolo. In questi casi estremi il dentista può solo procedere con l’estrazione del dente o dei denti colpiti che comunque sarebbero espulsi in maniera naturale.

Come e pechè i nostri denti si scoprono dalla base gengivale? Colletti Scoperti

La parodontologia definisce la recessione gengivale, detta anche ed impropriamente “gengive ritirate” come lo spostamento verso il margine apicale del tessuto gengivale che normalmente circonda il colletto del dente.

In parole più semplici si riscontra recessione gengivale quando: nell’arcata inferiore le gengive si spostano verso il basso mentre nell’arcata superiore si spostano verso l’alto.

Le gengive ritirate scoprono il cemento radicolare del dente naturale ed espongono quest’ultimo a maggiore sensibilità dentinale oltre che permettere ai batteri della placca di poter attaccare una zona del dente meno resistente dello smalto rendendo più frequenti i casi di carie, e pulpite.

Per coloro che hanno corone in metallo ceramica, montate o meno su impianti dentali, la recessione gengivale lascia scoperta la parte del manufatto in cui non vi è la copertura della ceramica quindi diventa visibile la struttura in metallo, di solito scura, creando non pochi problemi estetici.

Cause recessione gengivale

Individuare con esattezza le cause della recessione gengivale può rivelarsi un compito molto arduo poiché, in alcuni casi, il problema delle gengive può essere dato da più fattori sinergici e, allo stesso tempo, ciò che si pensa esserne la causa potrebbe, invece, essere l’effetto.

Prendiamo ad esempio la parodontite ovvero la malattia che colpisce gli apparati di sostegno del dente (legamento parodontale, osso alveolare e gengiva): essa potrebbe senz’altro essere la causa della recessione gengivale ma potrebbe essersi sviluppata a ridosso di un determinato dente o più denti poiché le gengive di questi ultimi erano già compromesse quindi non perfettamente aderenti al colletto degli elementi dentali lasciando quindi spazio alla placca e permettendole così di infiltrarsi nel solco gengivale e creare le tasche gengivali da cui la parodontite profonda.

Avendo già trattato le cause della recessione gengivale legate alla carente igiene orale quali la gengivite e la parodontite, vediamo insieme quali altre situazione sono in grado influire o determinare la recessione gengivale:

Spazzolamento troppo energico

L’uso scorretto dello spazzolino da denti, invece che essere lo strumento con il quale mantenere la pulizia e la salute dei nostri denti, se usato malamente, può diventare l’arma che rovina le nostre gengive.

Le gengive maggiormente soggette al danno derivante dallo spazzolamento troppo energico sono quelle che ricoprono le superfici vestibolari dei canini e dei premolari a causa della loro posizione facilmente raggiungibile.

La situazione peggiora se, oltre all’eccessiva pressione e sfregamento esercitati, le gengive risultano particolarmente sottili per natura.

Protesi o otturazioni inadeguate

Può capitare che, allo scopo di ricostruire la corona del dente distrutta da una carie molto vasta o incapsulando un dente, la protesi o manufatto che si utilizza sia leggermente imperfetta o poiché preme sui tessuti irritando le gengive o perché favorisce il deposito di placca anch’esso causa di infiammazione gengivale.

I restauri protesici inadeguati rientrano trai i fattori iatrogeni ovvero complicanze dovute a trattamenti medici, conseguenti ad una terapia medica o, in questo caso, odontoiatrica.

Piercing ed oggetti tenuti in bocca

Con il diffondersi della moda del piercing alle labbra della bocca, aumentano anche i casi di gengive ritirate a causa del continuo sfregamento tra il piercing e le gengive stesse.

Anche l’abitudine di tenere penne o matite in bocca, oltre ad essere poco igienico, può causare problemi alle nostre gengive

Età

Con l’avanzare dell’età i problemi di salute aumentano ed anche quelli legati alle gengive non sono da meno. In particolare, in soggetti che hanno superato i settanta, le gengive non sono più così aderenti al colletto del dente come lo erano in passato quindi è necessaria una maggiore attenzione ed una pulizia più approfondita per evitare che micro frammenti di cibo possano infiltrarsi nel solco gengivale, infiammare le gengive e causarne la recessione.

Sintomi

I sintomi della recessione gengivale passano spesso “sottogamba” poiché non sono tali da provocare dolore o particolari fastidi ai soggetti che ne soffrono ma non per questo le gengive ritirate devo essere considerate come un problema di poco conto poiché, ricordiamo, che la loro compromissione può portare alla mobilità dentale ed alla perdita dei denti.

Denti allungati

A causa della recessione gengivale i denti di chi ne soffre sembrano essere diventati più lunghi “sindrome dei denti allungati”.

In realtà i denti sono sempre della stessa lunghezza ma, la porzione di gengiva che si è spostata verso la radice del dente ha lasciato scoperto il colletto e parte del cemento radicolare a seconda della gravità della recessione stessa quindi la parte dell’elemento dentale visibile è aumentata.

Anche lo spazio interdentale sembra essere aumentato a causa della recessione gengivale poiché è venuta meno la parte di tessuto detta papilla che si trova proprio fra un dente e l’altro.

Colore dei denti

Come conseguenza delle gengive ritirare, si registra anche l’apparente cambiamento del colore dei denti.

In realtà, quando le gengive si ritirano lasciano scoperta una porzione di radice che, notoriamente, è caratterizzata da un colore più tendente al giallo rispetto al naturale colore bianco dello smalto della corona.

Il cambiamento del colore della base della corona potrebbe essere dovuto anche dall’eccessiva presenza di tartaro stratificato.

Sanguinamento delle gengive

L’infiammazione dei tessuti molli può portare al sanguinamento delle gengive specialmente durante le manovre di igiene orale quotidiana.

Ipersensibilità dentale

Quando le gengive si ritirano, una parte del cemento radicolare rimane scoperto quindi soggetto stimoli termici come il caldo od il freddo dovuto a cibi o bevande.

Alitosi

Se la recessione gengivale è causata da parodontite, la quale a sua volta presenta tasche gengivali piene di materiale in decomposizione e purulento, il soggetto colpito denuncia una più o meno marcata alitosi e l’alterazione del senso del gusto.

Classificazione di Miller

Esiste una vera e propria classificazione della recessione gengivale approntata dal Dr Preston D. Miller nel 1985 ed a cui la maggior parte degli odontoiatri si rifà per determinare il grado di recesso durante la diagnosi e studiare la corretta terapia.

  • Classe 1:
    La recessione gengivale non si estende oltre la linea di giunzione mucogengivale, non si registra perdita di osso alveolare ne di tessuto interprossimale;
  • Classe 2:
    La recessione si estende oltre la linea di giunzione mucogengivale ma non vi è perdita di tessuto molle ne di osso;
  • Classe 3:
    Recessione che si estende oltre la linea di giunzione mucogengivale e si registra anche la perdita di tessuto molle e/o osso;
  • Classe 4:
    La recessione gengivale supera abbondantemente la linea di giunzione mucogengivale ed il tessuto interdentale è fortemente mancante.

In base a quanto stabilito dal Dr. Preston Miller e dalla letteratura odontoiatrica, solo nei casi di gengive ritirate appartenenti alla prima e seconda classe è possibile ottenere la completa ricopertura del cemento radicolare esposto.

Terapie

Individuare la più corretta cura della recessione gengivale dipende, fondamentalmente, dal grado di recessione a cui il dentista si trova davanti e dal tipo di gengiva.

In altre parole il medico deve valutare di quanto le gengive si sono ritirate, lo spessore di queste ultime ed anche il grado di cheratinizzazione che le contraddistingue.

Fondamentalmente il rimedio principale per la recessione gengivale consiste nell’intervento chirurgico che può essere ad un lembo, a due oppure una sorta di commistione delle due tecniche di chirurgia parodontale.