Will Smith: volevo uccidere mio padre

Dal padre violento alla fama mondiale, Will Smith si racconta - Giornale di Sicilia

Umanamente comprensibile chi cerca di riannodare i fili di ciò che è stato alla luce di ciò che è diventato, tuttavia se a scrivere un’autobiografia è un attore, già pop star di fama mondiale come Will Smith, l’operazione puzza di bruciato. Le persone sagge, con le quali condivido l’anelito alla discrezione, sanno che i panni sporchi si lavano in casa, e dunque non capisco la necessità di rendere edotto chicchessia delle brutture di casa propria. Ma a quanto pare l’ex principe di Bel-Air non la pensa così e a proposito del padre, uomo di indole violenta, scrive: “A nove anni lo vidi colpire mia madre alla testa con tanta forza da farla svenire e sputare sangue. Più di qualsiasi altro momento della mia vita, fu quel preciso attimo in quella camera da letto a definire la persona che sono oggi. (…) Giurai che quando sarei stato abbastanza grande avrei vendicato mia madre, avrei ucciso mio padre“. Fortunatamente le cose presero un’altra piega perché il tempo trovò il modo di lenire la rabbia e il risentimento, tant’è che Smith finì col provare tenerezza per il genitore ormai vecchio, e il giorno in cui portandolo in bagno avrebbe potuto spingerlo giù dalle scale, a prevalere furono altri sentimenti che della promessa di vendetta fecero coriandoli: “La devozione, l’attenzione, l’onestà e la compassione che condivisi nei suoi ultimi mesi di vita sarebbero diventati l’archetipo di amore al quale aspirare nella vita“. Al di là dei toni drammatici, il libro riporta spaccati comici di tutto rispetto e il qualche misura edificanti quando Smith ricorda i suoi mentori: nonna Gigi, Quincy Jones, Mandela, passando per certe sedute di psicanalisi a luci rosse durante le quali arrivò alla conclusione di desiderare un harem di donne con Halle Berry tra le favorite.

Willil potere della volontà, (scritto con Mark Manson) è il titolo italiano. L’originale è Will, laddove will indica il futuro della certezza e la volontà, oltre che il nome dell’autore.

Il Nobel nazista che imbarazzò la Norvegia

A cent'anni dal Nobel per la letteratura a Knut Hamsun, il poeta delle radici - Il Primato Nazionale

Torna in libreria, dopo un secolo, Germogli della terra, il libro grazie al quale Knut Hamsun vinse il Nobel per la letteratura nel 1920; peccato però che l’attribuzione del  prestigioso riconoscimento si rivelò un clamoroso passo falso da parte dell’Accademia svedese, perché nel frattempo lo scrittore era diventato un grande ammiratore di Hitler. Dopo la fine ignominiosa del Führer, la Norvegia corse ai ripari dichiarando il Nostro insano di mente, che tuttavia tale non era, perlomeno non in senso stretto, tant’è che seppe difendere egregiamente le scelte di tutta una vita pubblicando Germogli della terra. Ora, poiché i toni della narrazione sono misogini, violenti e razzisti, in parole povere troppo lontani dall’iper-sensibilità contemporanea, il libro resta di esclusiva pertinenza degli amanti della letteratura tout-court giacché è scritto molto bene, ma volendo potrebbe costituire motivo di interesse anche per coloro che sanno contestualizzare quello che leggono. Comunque bisogna affrettarsi: c’è il rischio che passi un altro secolo prima di rivedere il libro di Hamsun in libreria, poiché l’ombra sinistra della cancel culture è sempre in agguato. E ormai lo abbiamo imparato, il significato di contestualizzare sfugge alla cultura ipocrita.

Il mattino successivo la ragazza non se ne andò, né lo fece per tutta la giornata. Si rese invece utile mungendo le capre e sfregando le stoviglie di legno con della sabbia fine pulendole per bene. Non se ne andò piú. Lei si chiamava Inger. Lui si chiamava Isak.

La vita dell’uomo solitario si trasformò. È vero che la sua donna parlava in modo confuso e si nascondeva sempre il volto per via del labbro leporino, ma non poteva lamentarsene. Senza una bocca deformata probabilmente non sarebbe mai andata da lui, quel labbro leporino era la sua fortuna. D’altra parte lui era forse senza difetti? Isak, con la sua barba rossa e il corpo troppo tozzo, sembrava un orribile troll di fiume o una creatura vista attraverso un vetro deformante. E chi altri se ne andava in giro con uno sguardo come il suo! Sembrava capace di liberare da un momento all’altro una specie di Barabba. Era già tanto che Inger non fuggisse via.

Ma lei non fuggiva. Ogni volta che Isak si allontanava e poi tornava a casa, Inger era accanto alla capanna. Lei e la capanna di torba erano una cosa sola.

È vero che aveva una bocca in piú da sfamare ma ne valeva la pena perché ora poteva muoversi di piú, poteva assentarsi. Lí accanto c’era il fiume, un bel fiume che non era solo piacevole a vedersi ma era anche profondo e impetuoso. Non era un fiumiciattolo, e doveva nascere da qualche grande lago su a monte. Si procurò l’attrezzatura da pesca, andò a cercare il lago, e la sera tornò a casa con trote e salmerini. Inger lo accolse con grande meraviglia. Non essendo abituata a quel cibo era sopraffatta, e batté le mani esclamando: Sei straordinario!”

Knut Hamsun, Germogli della terra