Azzolina: La vita insegna (anche a difendersi dagli insulti sessisti)

Lucia Azzolina «Quando ero ministra mi hanno trattata come una strega»- Corriere.it

La vita insegna. Dalla Sicilia al ministero, il viaggio di una donna che alla scuola deve tutto è il titolo del libro in cui l’ex ministro dell’istruzione Lucia Azzolina intreccia storia personale e vicenda politica per “raccontare il primo anno di pandemia, che ha messo a nudo le debolezze del nostro sistema scolastico e mostrato la follia dei tagli che per anni sono stati fatti. Fino a poco tempo fa la scuola era usata dalla politica come un bancomat. Sotto il mio mandato da ministra è finalmente tornata al centro del dibattito e lì deve restare. C’è anche la parte biografica, perché parlare della mia infanzia è parlare di come la scuola possa essere un ascensore sociale. Una condizione umile di partenza non mi ha impedito di costruirmi un futuro“. Aggredita dai soliti caproni da tastiera, a proposito degli insulti sessisti dice: “Ho subito attacchi sin dal principio solo per il colore del mio rossetto e da quel giorno ho deciso di non toglierlo più. C’è una proposta di legge a cui ho lavorato sull’educazione all’affettività nelle scuole, ma le leggi da sole non bastano, serve un rinnovamento culturale che parta proprio dalla scuola. E poi c’è solo una cosa da fare di fronte a un insulto e a un’aggressione: denunciare“. A me non interessa la signora Azzolina in veste politica, mi interessa in quanto donna. E l’ammiro per il piglio con cui ha tenuto testa agli attacchi di cui è stata oggetto a vario titolo.

La prefazione di Liliana Segre:

Questo libro di Lucia Azzolina è una sorta di autobiografia personale e politica. La storia di una giovane donna che prima in Parlamento e poi come ministro dell’Istruzione, per altro in uno degli anni più drammatici della nostra storia recente, si è trovata a fare quasi un corso accelerato di vita politica, con le sue responsabilità, difficoltà, spesso asprezze.

Ho conosciuto di persona Lucia quando, appena nominata ministro, volle venirmi a trovare a casa a Milano. Mi colpì, oltre che per la sensibilità e la preparazione, per il fatto che venne da me con i mezzi pubblici, in metropolitana, senza macchine di servizio e di scorta. Di sicuro un modo inusuale di presentarsi per una esponente politica di governo.

Ho poi seguito con sincera partecipazione il suo intenso anno da ministro, il suo sforzo di governare e provare a cambiare il mondo della scuola. Condividiamo l’idea che la scuola è il fattore in ogni senso decisivo per il futuro di ragazzi e ragazze, ma in fin dei conti del Paese nel suo insieme. Tanto più dopo un’emergenza come quella da cui stiamo tentando di uscire, esperienza di morte e distruzione di vite, risorse, speranze.

Naturalmente, come quasi tutti, rimasi basita per i reiterati attacchi soprattutto di natura sessista che in quel periodo la ministra Azzolina dovette subire, non solo sui social media, ma addirittura anche nelle aule parlamentari. Il libro riporta alcuni di questi attacchi che offrono lo spaccato di un mondo di ignoranza, volgarità e misoginia assai esteso, e lasciano un senso di sgomento e di vergogna per il livello di certi settori della nostra società.

Ma Lucia non si è mai persa d’animo e il libro ricorda anche i passaggi più significativi della sua attività al ministero, svolta con la passione e la serena coscienza di chi del mondo della scuola aveva una perfetta conoscenza maturata sul campo.

Non c’è dubbio che la migliore risposta ai detrattori è quella della serietà, dell’impegno, della competenza, dello spirito di servizio e di riforma.

C’è una formula che nel libro ritorna più volte: lo studente al centro.

È così: i ragazzi devono essere al centro della scuola, delle attenzioni e delle preoccupazioni certo del corpo docente e del personale scolastico, ma soprattutto di una classe politica che voglia tornare credibile e utile alla democrazia.

Se siamo convinti che «la bellezza salverà il mondo», nostra responsabilità, in primis di uomini e donne della politica, è immaginare la via perché la bellezza possa tornare ad avere la meglio”.

Édouard Louis, in nome di mia madre

Édouard Louis, nel nome del padre

Straordinario talento della letteratura francese, il 28enne Édouard Louis – che in una vita passata si chiamava Eddy Bellegueule, abitava in un paesino nel nord della Francia e a scuola era preso di mira perché omosessuale – esce con un nuovo libro Lotte e metamorfosi di una donna, in cui racconta dell’infelicità di sua madre Monique, vittima di un marito violento e di “un sistema che ha mantenuto mio padre nell’ignoranza, nella povertà e nella violenza, che poi  sfogava su mia madre“. A tal punto assuefatto all’infelicità materna, un giovanissimo Édouard arriva a questa conclusione: “L’infelicità di mia madre mi sembrava fare parte del mondo, quei momenti di gioia erano un tradimento rispetto al posto che doveva occupare“. Si evince con facilità che i rapporti tra lo scrittore e la madre sono stati tutt’altro che idilliaci, e non poteva essere altrimenti giacché l’intera famiglia era soggetta a meccanismi sociali impietosi; ma quando si trasferisce a Parigi e gli arride la fortuna, Édouard viene raggiunto dalla madre, che nel frattempo ha avuto il coraggio di allontanare il marito, e i rapporti si rasserenano. Monique è un’altra donna, la metamorfosi è compiuta.

Da sempre caricata di infinite implicazione affettive e sociologiche, la famiglia è spesso il milieu ideale per sensi di colpa e trame mal riuscite. Perché non basta avere lo stesso sangue per amarsi nel modo giusto.

(foto Getty Images)

Il #MeToo giapponese è una “Scatola chiusa”

Shiori Ito, briseuse de silence | 24 heures

Era una stagista con aspirazioni da reporter Shiori Ito quando, durante una cena, fu drogata e successivamente violentata mentre era in stato di incoscienza. Ora, a 32 anni, è regista, giornalista e icona giapponese del movimento #MeToo, riconoscimento scaturito dal fatto d’aver raccontato nel libro Black Box la violenza avvenuta in un albergo di Tokyo; lo stupratore, Noriyuki Yamaguchi, era ex capo del Washington Broadcasting System e biografo del premier Shinzo Abe.

Ito provò subito ad ottenere giustizia, ma l’iter è stato tutt’altro che semplice; nel 2016 il pm stabilì che Yamaguchi non era perseguibile perché le accuse che gli erano state mosse non erano comprovate; e così, l’anno dopo, Ito rese pubblica la vicenda in una conferenza stampa, attirando su di sé l’attenzione del pianeta. Il 2019 fu l’anno della svolta, perché il giudice le riconobbe un risarcimento di quasi 30 mila euro.

In Giappone la violenza di genere resta una ferita aperta malgrado, dal 2017, venga comminata una pena di cinque anni ai colpevoli di stupro, due in più rispetto al passato. Talvolta Ito avrebbe voglia di tornare a una vita più tranquilla, ma continua a lottare, e dice:

Bisogna innescare un cambiamento profondo, che coinvolga ogni aspetto della società a partire dall’educazione. Siamo cresciute in un sistema in cui dinamiche legate a retaggi patriarcali ci condizionavano e ci condizionano anche oggi, ogni giorno. Insieme alle donne che hanno aderito alle proteste abbiamo cercato di porre l’accento sulle azioni collettive, sul consenso, temi poco affrontati nell’apparato legislativo giapponese. Continuare il percorso intrapreso è fondamentale“.

Denunciate, donne. A patto di avere la forza di Shiori Ito. O di chiamarvi Asia Argento.