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GELSOMINO-STORIE E LEGGENDE VEGETALI

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Jasminum officinale
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Jasminum grandiflorum
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Jasminum azoricum
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Jasminum polyanthum

Jasminum L. è un genere di piante, originario dell’ Himalaya, che include varie specie del Gelsomino, circa 200.
I più comuni sono Gelsomino comune (Jasminum officinale), Gelsomino di Spagna (Jasminum grandiflorum), Gelsomino trifogliato (Jasminum azoricum) e Gelsomino marzolino (Jasminum polyanthum).
Generalmente, i fiori sono bianchi, alcuni lievemente rosati alla base, ma esistono specie a fiori gialli, tipo il Gelsomino di San Giuseppe (Jasminum nudiflorum) e il Gelsomino primulino (Jasminum primulinum).
Qualsiasi sia la specie, la fioritura è sempre molto abbondante e contraddistinta dalla caratteristica principale del Gelsomino, l’inconfondibile profumo emanato dai fiori.
Il genere Jasminum è utilizzato a scopi ornamentali, ma un tempo si credeva avesse innumerevoli virtù officinali.
In Persia, si utilizzava “l’olio di Gelsomino”, che veniva offerto nei banchetti agli invitati.
In seguito, da Dioscoride in poi, si sono scoperte innumerevoli potenzialità della pianta, legate alla sessualità.
Il primo a coltivarlo in Italia fu Cosimo I de Medici, che però ne proibì la diffusione fuori dai giardini granducali.
Secondo una leggenda, un giovane giardiniere rubò una pianta e la regalò alla sua fidanzata, che la mise in terra e la accudì con tanto amore. La pianta crebbe e fece tanti fiori meravigliosi. I due fidanzati si sposarono e vissero felicemente. La storia vuole che, dal quel rametto di Gelsomino, trafugato dalla residenza dei Medici, nacquero quasi tutte le piante di Gelsomino presenti in Italia. Da allora in Toscana, la tradizione vuole che le spose aggiungano un rametto di Gelsomino al bouquet di nozze, in memoria della fortuna della ragazza vissuta al tempo dei Medici e come segno di buona fortuna e prosperità.

Jasminum nudiflorum
Jasminum nudiflorum

Un’altra leggenda, araba, racconta che un giorno la madre di tutte le stelle, Kitza, stava preparando nel suo palazzo di nuvole gli abiti d’oro per i suoi figli, quando giunse un gruppo di stelline, che si lagnavano delle loro vesti: una era troppo larga, un’altra non splendeva abbastanza, una non aveva gemme, ecc. Strepitavano, confondendo la povera madre. Kitza le pregava di non fare chiasso e di farla lavorare, perché le altre sorelle erano nude e potevano ammalarsi. Ma le stelle capricciose non le davano retta e continuavano a protestare. Finché passò da quelle parti il re degli spazi, Micar il quale, udendo quel chiasso, entrò nel palazzo e chiese cosa stesse succedendo. Le stelle, spaventate, diventarono sottomesse e docili, ma non poterono nascondere la verità. Allora Micar, sdegnato, le cacciò dal firmamento. Strappò loro gli abiti d’oro e le scagliò come ciottoli nel fango della Terra.
La madre cadde in un inconsolabile dolore, temeva che gli uomini avrebbero calpestato ed umiliato le sue stelle.
La Signora dei giardini, Bersto, provò pietà per la povera madre e decise di aiutarla. Quindi le tolse dal fango e le trasformò in fiorellini profumatissimi. Così nacquero i Gelsomini, le stelline della terra.
L’ultima leggenda narra di una giovane nomade araba di nome Jasmine, che si copriva il volto per proteggere la candida pelle dal sole. Un giorno, arrivò un principe da un ricco paese lontano e la chiese in sposa. Il padre della giovane acconsentì ed arrivarono schiavi e servi per scortarla all’harem. Anche nel palazzo più bello del mondo, Jasmine sapeva che non poteva vivere rinchiusa e mostrò il suo dolce viso al sole. Il sole rimase abbagliato dalla sua bellezza ed esaudì il suo desiderio, trasformandola in un Gelsomino, che nasce libero nei luoghi più luminosi del mondo.
Solitamente il fiore del Gelsomino ha 5 petali e ciò è molto importante perché, in esoterismo, il numero cinque rappresenta la Grande Madre: Afrodite per i Greci, Ishtar per i Babilonesi.

Jasminum primulinum
Jasminum primulinum

In Asia minore si portava al collo come amuleto un pentacolo, perché si pensava che la Grande Madre in questo modo proteggesse dagli spiriti cattivi.
In Egitto, nella necropoli di Deir-el-Bahri, sono stati rinvenuti piccolissimi frammenti di petali di Gelsomino sulla mummia di un faraone.
Il Gelsomino procura numerosi benefici per il corpo umano: calma la tensione nervosa, favorisce il sonno, allevia tosse e mal di testa, è antibatterico ed agevola la circolazione del sangue. La macerazione dei fiori nell’olio è eccellente, se frizionata contro i dolori da infiammazione nervosa.
Dissolve le paure e le tensioni legate alla sessualità ed è tradizionalmente usato per curare i disturbi uterini e per facilitare il parto.
Nei Paesi asiatici ed arabi, è una pianta che simboleggia l’Amore divino, ed è diffusa ancora oggi la credenza, che il paradiso sia profumato di Gelsomino.
In Indonesia, stringhe di fiori di Gelsomino, intrecciate finemente, vengono utilizzate per adornare i capelli della sposa. Per loro, è il fiore simbolo della vita, della bellezza e della festa di nozze.
In Cambogia, Gelsomini sono offerti a Sri Buddha come omaggio.
In Cina, il fiore di Gelsomino viene elaborato per fare il tè.
Nel linguaggio dei fiori, il Gelsomino ha diversi significati: in Spagna simboleggia la sensualità, nei Paesi arabi l’amore divino, in Italia significa buona fortuna nel matrimonio.

Solanum seaforthianum
Solanum seaforthianum

Ma il significato varia anche a seconda del colore del fiore o della varietà:
bianco esprime amabilità e candore d’animo;
giallo è augurio di felicità, eleganza e grazia;
-il gelsomino notturno (Solanum seaforthianum) rappresenta la timidezza;
rosso, rara specie originaria dell’India (), rappresenta il desiderio.
Il Gelsomino, nell’esoterismo, è associato all’aspetto femminile e materno della Divinità.
Agisce sulla mente, dando fermezza, concentrazione eliminando le tensioni nervose.
Nella pratica esoterica, è associato al pensamento, pertanto si usa nei riti per spingere una persona a rivolgere il pensiero a noi.
Aiuta ad avere idee innovative ed è usato nelle celebrazioni dell’Equinozio di Primavera.
I fiori, bruciati nella stanza prima di coricarsi, favoriscono i sogni medianici; portati indosso propiziano i rientri di denaro e la prosperità.
Per operazioni magiche di amore e lussuria, si utilizzano l’olio, il profumo e l’incenso, infusi in acqua.

Ixora coccinea
Ixora coccinea

I fiori freschi sono utilizzati per attrarre e mantenere un amore spirituale.
Sognare il Gelsomino preannuncia fortuna ed un matrimonio molto prossimo.
Il Gelsomino è utilizzato anche come simbolo per tatuaggi, essendo la rappresentazione simbolica di attaccamento, passione e amabilità.
Gelsomini: sensualità
Gelsomino Bianco: leggiadria
Gelsomino Giallo: elegante sensualità
Pianeta: Luna

 

Didirufus Tattoo
Didirufus Tattoo
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EQUINOZIO DI PRIMAVERA

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L’Equinozio (dal latino “aequinoctium” =notte uguale) è quando, due volte all’anno,  il Sole incontra l’equatore celeste, per cui i giorni sono caratterizzati dall’uguaglianza del giorno e della notte su tutta la Terra.

L’Equinozio di primavera è il 21 marzo, quello d’autunno è il 23 settembre.

Gli Equinozi ricorrono a circa sei mesi di distanza l’uno dall’altro; nell’emisfero boreale, quello di marzo segna la fine dell’inverno e l’inizio della primavera, mentre quello si settembre termina l’estate ed introduce l’autunno.

Invece, nell’emisfero australe, l’autunno inizia a marzo e la primavera a settembre.

Oggi parliamo dell’Equinozio di primavera.

L’Equinozio di primavera è chiamato anche “punto vernale”, o “punto dell’Ariete” o “punto gamma”.

Anticamente, i popoli nordici festeggiavano Oestara, uno degli otto sabbat pagani, festa di origine germanica, che prende il nome dalla dea Eostre, patrona della fertilità.

Essa aveva alcune affinità con divinità di culture greche, per esempio Estia, e romane, Vesta.

Oestara celebra la rigenerazione della natura e la rinascita della vita, coincidente con l’Equinozio di primavera. La vita si rinnova , l’inverno è definitivamente passato, e tutto ciò che è vecchio lascia spazio al nuovo.

Nell’antichità, le sacerdotesse della dea celebravano un particolare rito, che prevedeva l’accensione di un cero, simboleggiante la fiamma eterna dell’esistenza, che veniva spento all’alba del giorno seguente.

Questo rito è stato ripreso da alcune correnti del Neopaganesimo, soprattutto Wicca, durante il quale la rinascita della vita era esaltata e sacralizzata attraverso l’unione sessuale.

Durante l’Oestara molte delle decorazioni e dei rituali implicano l’utilizzo di uova. Infatti, il nome deriva dalla dea odinista Eostre, simboleggiata dall’uovo, che contiene in sé il principio della vita ed il bipolarismo maschile-femminile del divino.

Molte streghe festeggiavano Oestara facendo falò all’alba, suonando campanelle, decorando le uova e mangiandole ritualmente.

Ad Eostre era sacra anche la lepre, simbolo di fertilità e animale sacro in molte tradizioni. I Britanni associavano la lepre alle divinità della luna e della caccia ed i Celti la consideravano un animale divinatorio.

In seguito, Oestara venne assimilata dalla Pasqua, la cui data di celebrazione cade presso il primo plenilunio successivo all’Equinozio di primavera.

La nuova festa cristiana, ancora priva di un nome, in certe lingue assimilò anche la nomenclatura della vecchia festa. Ancora oggi, infatti, in inglese la Pasqua è chiamata Easter, ed in tedesco Ostern.

Nell’antica Roma, l’anno nuovo iniziava nel mese di marzo, dedicato a Marte.

Invece, in Mesopotamia, l’anno nuovo faceva riferimento all’Equinozio primaverile e tale data di tale avvento, coincideva con il segno zodiacale dell’Ariete.

Anche Sham El Nessim (letteralmente “fiutare il vento”), la più antica festività di primavera egiziana, le cui tracce risalgono a circa 4700 anni fa, cade il lunedì e coincide con l’Equinozio di primavera. In epoca faraonica, era una ricorrenza legata all’agricoltura, si chiamava semplicemente “Shamo” (rinnovo della vita), rappresentava l’inizio della creazione ed i suoi riti di fertilità furono anch’essi inglobati dal Cristianesimo nei riti pasquali.

La data del festival non era mai fissa e veniva annunciata ogni anno la sera prima del suo inizio, ai piedi di una grande piramide. In quel giorno era onorato l’intero Pantheon e gli Egiziani solevano offrire pesce salato, lattuga e cipolle alle loro divinità.

Oggi, il giorno di Sham el Nessem, le strade ed i prati delle città egizie si riempiono di gente, coperte e colori. Si fanno pic-nic all’aria aperta e si consumano: i Fiseekh (pesce salato), per garantire un buon raccolto, fertilità e benessere; Uova bollite (simbolo della rinascita e del Cosmo), che ancora oggi vengono appese dipinte nei templi; Termis (semi di lupino).

Poi si mangiano le cipolle verdi, il simbolo più complesso della festa. Infatti, sono state ritrovate delle mummie con gli occhi imbottiti di cipolle, così come affreschi sulle pareti delle tombe egizie raffigurati l’ortaggio. Si suppone che esse siano il simbolo della vita eterna, oltre ad essere considerato un amuleto contro il malocchio e l’invidia.

Un’antica leggenda narra che, un tempo, un Faraone ebbe un unico figlio, che però fu colpito da una malattia sconosciuta e restò a letto per alcuni anni. Il popolo amava talmente il Faraone, che decise di unirsi al suo dolore, astenendosi dal celebrare ogni festa. Il re convocò il gran sacerdote del Tempio di Oun, che diagnosticò al bambino una malattia causata dagli spiriti maligni. Quindi ordinò di collocare sotto la testa del piccolo una cipolla. Il sacerdote tagliò a fette un’altra cipolla e la mise sul naso del ragazzo, per fargli respirare i vapori. Così il principe recuperò le forze e guarì. Nel palazzo si tennero sontuosi festeggiamenti per celebrare l’occasione, che coincise con l’inizio della primavera. Quindi, come gesto d’amore, il popolo appese dei grappoli di cipolla sulle porte delle case, da qui la tradizione viva ancora oggi.

Infine, nel giorno di Sham el Nessem, si mangia anche la Lattuga, che rappresenta il sentimento di speranza con l’inizio della bella stagione.

Un’altra antica festa, coincidente con il 21 marzo, è il festival di Nawrūz (Nuovo giorno), che affonda le sue radici nello Zoroastrismo, rievocando la storia della creazione e l’antica cosmologia del popolo iraniano. E’ una festa di speranza e di rinnovamento, osservata non solo in Iran, ma anche nei Paesi di origine musulmana, anche se con altri nomi. Essa dura 13 giorni, durante i quali la popolazione dà il benvenuto al nuovo anno, purificando le case e saltando su falò allestiti per le strade.

In Iran, i rituali sono Khane Tekani (pulizia della casa) e Chahârshanbe Sûrî (festa del fuoco). In quei giorni si comprano vestiti nuovi e si decorano le case con fiori, in particolare giacinto e tulipano.

Durante la notte del Chahârshanbe Sûrî, si esce nelle strade e si appiccano piccoli e grandi falò, sui quali i giovani uomini saltano cantando i versi tradizionali. Si dice che in questa notte gli spiriti dei morti possano tornare a far visita ai loro discendenti vivi. E’ prevista anche la rottura di alcune anfore di terracotta, in un auspicio di buona fortuna (Kûzeh Shekastân), e il Gereh-goshâ’î (l’atto di fare un nodo ad un angolo di un fazzoletto e successivamente chiedere a qualcuno di scioglierlo, atto simbolico beneaugurante).

Molto importante, infine è l’Haft Sîn (Sette S‎‎), la preparazione di una tavola con sette elementi, i cui nomi iniziano con la “sin” (‘esse’) in persiano. Il sette è un numero sacro e simboleggia i sette arcangeli con l’aiuto dei quali, quasi tremila anni fa, Zarathustra ha fondato la sua religione. L’Haft Sin porta agli abitanti della casa fortuna, salute, prosperità, purezza spirituale e lunga vita. La tavola viene adornata nel modo più bello possibile, con fiori, il libro sacro seguito dalla famiglia, la bandiera tricolore persiana, Verde Bianco e Rosso in orizzontale (patria, fede, rosso sangue versato dagli eroi). Non mancano mai le candele accese, una ciotola di acqua a simboleggiare la trasparenza della vita ed una foglia sull’acqua per la caducità della vita, e lo specchio per essere visibili come siamo. I 7 simboli sono:

  • sabzeh– chicchi di  lenticchie, orzo o frumento, germogliati a simboleggiare la rinascita
  • samanu– un impasto di orzo germogliato e tostato, a simboleggiare l’abbondanza
  • senjed– frutti secchi di Elaeagnus angustifolia,, è legante, a simboleggiare l’amore
  • sîr– aglio, a simboleggiare la salute
  • sîb– mele scrupolosamente rosse, a simboleggiare la bellezza
  • somaq– bacche di Sommacco, a simboleggiare l’asprezza della vita
  • serkeh– aceto, a simboleggiare la pazienza e la saggezza.

In Giappone, il giorno dell’Equinozio di primavera, si celebra Shunbun no Hi, una festa nazionale ufficiale, che si trascorre visitando le tombe di famiglia e celebrando le riunioni di famiglia.

Lo Shunbun no Hi è inserito in un periodo di sette giorni, chiamato Haru no Higan (Equinozio di primavera).

Higan significa “altra sponda” ed indica il passaggio da una stagione all’altra ed anche il periodo del risveglio, passaggio da uno stato di quiete (metaforicamente ignoranza) ad uno stato di illuminazione, di meraviglia e di bellezza.

La popolazione prega, per consolare gli spiriti degli antenati ed invocare la loro protezione. Le tombe sono ripulite dalle erbacce e purificate con l’acqua, poi adornate con fiori ed incensi ed infine, per rallegrare le anime dei defunti, si offrono gli “ohagi”, dolcetti a forma di palline, preparati con Kinako (farina di soia tostata) e ripieni di marmellata di “azuki” (fagioli dolci).

E’ interessante sapere, che il giorno del pianeta Terra venne celebrato inizialmente il 21 marzo 1970, giorno dell’Equinozio di primavera, ed attualmente è celebrato in diversi Stati, il 22 aprile.

Infine, esiste la “Giornata Mondiale della Narrazione”, una celebrazione globale dell’arte orale della narrazione, che viene celebrata ogni anno durante l’Equinozio di primavera nell’emisfero nord, mentre il primo giorno dell’Equinozio di autunno nell’emisfero sud.