Quei modi indifferenti, distratti, irritabili, che erano adesso i modi di Odette nei suoi confronti, Swann ne soffriva, certo; ma non era conscio della propria sofferenza; poiché Odette si era raffreddata progressivamente, giorno per giorno, solo gettando uno sguardo da come lei era oggi a come era stata all’inizio egli avrebbe potuto sondare la profondità del mutamento che s’era compiuto. Ora, questo mutamento era la profonda, segreta ferita che gli doleva giorno e notte, e non appena sentiva che i suoi pensieri le si avvicinavano un po’ troppo, li dirottava rapidamente in un’altra direzione, per paura di soffrire troppo. Si diceva sì, in astratto: “C’è stato un tempo in cui Odette mi amava di più”, ma, quel tempo, non lo rivedeva mai. E come nel suo studio c’era un cassettone che si sforzava di non guardare, che faceva un giro per evitare, sia entrando che uscendo, perché racchiudeva in un cassetto il crisantemo che lei gli aveva dato la prima sera che l’aveva accompagnata a casa e le lettere in cui gli diceva: “Aveste dimenticato così anche il vostro cuore, non vi avrei consentito di riprenderlo” e “A qualsiasi ora del giorno e della notte abbiate bisogno di me, fatemi un cenno e disponete della mia vita”, così dentro di lui c’era un luogo al quale non permetteva mai che la sua mente si avvicinasse, imponendole, se necessario, la deviazione di un lungo ragionamento pur di non farla passare di lì: era il luogo in cui viveva il ricordo dei giorni felici.
M. Proust, Un amore di Swann
Traduzione di G. Raboni per i Meridiani Mondadori
Jeremy Irons nel film Un amore di Swann